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Autore: hart_kinsella    17/04/2015    1 recensioni
AU, what if? | Bluebell, Alabama: Wade Hart è un giovane medico di New York arrivato in città per una questione d'eredità. Quando conosce la sexy e sfrontata barista Zoe Kinsella saranno scintille.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Wade Kinsella, Zoe Hart
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non ve l'aspettavate una nuova storia dalla sottoscritta, eh? :P
Che dire? Ultimamente la mia ispirazione galoppa!
L'idea di 'scambiare' Zoe e Wade negli ultimi tempi mi ha ossessionato come un tarlo nella mente, e non potevo non ascoltare la voce che mi diceva di mettere questa storia "su carta".
Vi avverto che questa ff sarà formata da soli due capitoli e non la continuerò: credo che sia perfetta così e voglio concentrarmi su Where We Belong (la pubblico anche per distrarre i lettori dall'attesa del prossimo capitolo :P).
E' stato divertente cambiare completamente prospettiva, ribaltare totalmente le personalità di Zoe e Wade e spero che a voi piacerà leggere questa storia come io ho amato scriverla (in soli due giorni!).
Niente, vi do appuntamento a domenica per la seconda parte e vi auguro buona lettura: una vostra recensione sarebbe cosa graditissima! ;D
-Silvia

 

Wade Hart chiuse la portiera della macchina presa a noleggio con un rumore sordo e sospirò, prima di mettere in moto. Davanti a lui la campagna selvaggia e deserta dell'Alabama ribolliva sotto il sole estivo del primo mattino: se solo 48 ore prima gli avessero detto che, invece che fare le ronde dei pazienti all'ospedale di New York in cui era specializzando, avrebbe trascorso il fine settimana in una sperduta cittadina dell'Alabama, non ci avrebbe creduto.

E invece eccolo lì: con un sospiro inforcò gli occhiali da sole e inserì la chiave nell'accensione dell'auto. Quando provò ad armeggiare con l'autoradio, scoprì che era sintonizzata su un'unica frequenza che, per giunta, trasmetteva solo musica country.

“Magnifico!” Bisbigliò tra sé e sé con sarcasmo, mentre lasciava il parcheggio dell'autonoleggio, destinazione: Bluebell.

 

Quando arrivò nella cittadina, scoprì che Bluebell non era poi così diversa da come l'aveva immaginata da quando l'avvocato George Tucker, due giorni prima, gli aveva telefonato dicendogli di raggiungere l'Alabama al più presto per una questione importante: la cittadina era ordinata, impeccabile, quasi da cartolina, con anziane signore che, sedute sulle panchine, cercavano un po' di ristoro dal caldo con ventagli, bambini che correvano da ogni parte, un gazebo al centro della piazza principale e, si rese conto ben presto, tanti occhi che, mentre percorreva le minuscole stradine trascinando il suo trolley, lo studiavano in un misto di curiosità e diffidenza, ad un paio dei quali rispose con uno sguardo fermo e sicuro.

Finalmente giunse davanti allo studio legale dell'avvocato Tucker e, dopo un sospiro di incoraggiamento, si addentrò nell'edificio.

La segretaria lo invitò a sedersi su un divano scomodo e, dopo qualche minuto di attesa, un giovane dallo stile informale uscì dall'ufficio accanto e si avvicinò a lui con un sorriso amichevole “Lei dev'essere il signor Hart”

Wade si alzò e gli strinse la mano, correggendolo immediatamente con un pizzico di irritazione “Dottor Hart”

“George Tucker, lieto di conoscerla” Se George era rimasto contrariato dalla sua aria diffidente, Wade non ebbe modo di capirlo, perché il giovane legale non perse neanche per un momento il suo sorriso cordiale “Prego, si accomodi”

Wade annuì e lo seguì nel suo ufficio, prendendo poi posto su una sedia davanti alla scrivania dell'avvocato.

“Immagino si chiederà perché l'ho chiamata, invitandola a venire a Bluebell con una certa urgenza”

Il medico si sistemò meglio sulla sedia “Effettivamente sì”

George sospirò, prendendo in mano delle carte “Deve sapere che qualche settimana fa il dottor Harley Wilkes, uno dei due dottori di Bluebell, purtroppo è venuto a mancare” Wade aggrottò la fronte, cercando di capire dove l'altro uomo sarebbe andato a parare con quel discorso “Ebbene, aprendo il suo testamento qualche giorno fa, ho scoperto che lei, dottor Hart, è l'erede unico designato da Harley”

Wade ridacchiò, incredulo “Cos'è, uno scherzo?! Mi avete fatto venire fin quaggiù per una stupida candid camera?”

L'avvocato si irrigidì, preso alla sprovvista dalla reazione dell'altro “Mi creda, non mi permetterei di scherzare su certe questioni: è tutto qui, nero su bianco” Aggiunse, picchiettando sui fogli che aveva tra le mani “Ne deduco che lei non era a conoscenza delle intenzioni del dottor Wilkes...?”

“Io non conosco nessun dottor Wilkes, punto!” Sbottò Wade, lasciando a dir poco stupito da tanta veemenza l'avvocato “Mi scusi. È che davvero non capisco perché un uomo che non ho mai visto in vita mia, di una cittadina sperduta di cui non ho mai sentito parlare, abbia voluto lasciarmi in eredità tutto ciò che possedeva!”

“Lo capisco. E credo sia proprio per questo che Harley ha allegato al testamento una lettera per lei”

Wade prese con mano tremante la busta bianca, che recava il suo nome e cognome, dalle mani di George: fissandola in silenzio, si disse che, qualunque cosa vi fosse scritta all'interno, dopo averla letta la sua vita non sarebbe stata più la stessa.

Vedendo la titubanza di Wade, George si schiarì la voce, alzandosi dalla sua poltrona “La lascio solo”

Non appena la porta dell'ufficio si richiuse alle spalle dell'avvocato, Wade sospirò ed aprì la busta, il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto.

Caro Wade,

se stai leggendo questa lettera significa che, nonostante ogni mia speranza, io e te non abbiamo avuto modo di conoscerci mentre ero ancora in vita.

Sappi che questo mi ferisce più di quanto tu possa immaginare: non avrei desiderato altro che poterti abbracciare e poter sentire il suono della tua voce, anche solo per qualche minuto.

Quello che sto per dirti sarà difficile da accettare, ma ti prego di credermi: io, Harley Wilkes, sono il tuo padre biologico. Ti sembrerà incredibile, ma è così.

Io e tua madre Jacqueline ci conoscemmo all'incirca trent'anni fa, un'estate in cui lei arrivò a Bluebell per assistere una zia malata e per sconvolgere tutto il mio mondo. Ci innamorammo subito e follemente l'uno dell'altra, ma sapevamo che, nonostante l'amore che ci legava, per noi non c'era futuro: dopo poco più di due mesi, la zia di Jacqueline purtroppo passò a miglior vita e tua madre fu costretta a fare ritorno in Connecticut dalla sua famiglia. Ci ripromettemmo di rimanere in contatto, ma, dopo qualche lettera, Jacqueline non si fece più sentire e sembrò sparire nel nulla. Io, tuttavia, non mi diedi per vinto e, risparmiato qualche soldo, partii alla volta della sua cittadina, salvo poi venire respinto da lei in persona, che mi cacciò in malo modo.

Soltanto una decina di anni più tardi seppi il motivo per cui tua madre mi aveva escluso dalla sua vita: quell'estate era rimasta incinta e, una volta che i suoi genitori, i tuoi nonni materni, lo scoprirono, le impedirono di dirmelo e di tornare a Bluebell da me come lei voleva per sposare Ethan Hart, quello che tu hai sempre chiamato tuo padre, un uomo di buona famiglia e gentile che, innamorato pazzo di Jacqueline, non esitò a riconoscere quel bambino come suo figlio. Nel frattempo, Jacqueline, insieme a te e a suo marito, si era trasferita a New York e fu proprio lì che mi chiese di accorrere: tu avevi bisogno di me e io, pensandoti in quel letto d'ospedale, non esitai. Ti vidi per cinque minuti, oltre il vetro della tua stanza, e me li feci bastare per il resto della mia vita: non desideravo altro che tu potessi guarire e tornare ad una vita normale e sapere che questo sarebbe avvenuto grazie a me mi riempì il cuore di gioia e mi fece sentire davvero tuo padre.

Lo so, probabilmente avrei dovuto contattarti mentre ne avevo ancora la possibilità, ma avevi un padre e una madre che ti amavano più della loro vita e non mi sembrava giusto sconvolgere il tuo mondo: ho sempre cercato di farmi bastare le notizie e le foto che tua madre mi inviava ogni mese.

Tutto quello che ho da lasciarti è la mia eredità, la clinica in cui per quarant'anni ho assistito, giorno dopo giorno, centinaia di pazienti, dove sono diventato il medico e l'uomo che sono oggi, con la speranza che tu voglia seguire le mie orme.

Perdonami, se puoi, mio caro Wade.

Harley”

Quando Wade terminò di leggere quel fiume di parole, aveva gli occhi lucidi e una confusione enorme in testa: tutta la sua vita era basata su un'unica, gigantesca bugia. Come avrebbe potuto d'ora in poi guardare negli occhi sua madre e quello che credeva suo padre? Come avrebbe potuto continuare a voler loro bene?!

 

Dopo aver svolto alcune formalità con l'avvocato, Wade, ancora sconvolto, vagò per la città, preda dei propri pensieri cupi e confusi e spossato dall'afa, che già da tempo gli aveva fatto appiccicare alla schiena la camicia bianca che aveva indosso. Così, quando vide un bar, non ci pensò due volte e ci si diresse spedito.

Non appena varcò la soglia del locale, dal discutibile nome Rammer Jammer, nuove e numerose paia di occhi si posarono su di lui e Wade poteva giurare che le conversazioni animate che si stavano svolgendo prima del suo arrivo si fossero bruscamente interrotte. Leggermente a disagio, e capendo come dovevano sentirsi ogni giorno gli animali dello zoo della Grande Mela, prese posto su uno sgabello di fronte al bancone, dietro al quale, con suo grande disappunto, non c'era ombra di un barista. Wade cominciò a picchiettare sul bancone di legno, la sensazione che ogni sua mossa venisse osservata che non lo abbandonava, finchè non sentì un'imprecazione provenire da sotto il bancone.

Aggrottando la fronte, vi si sporse oltre “Tutto bene là sotto?” La persona accucciata laggiù si rialzò in fretta e il medico si ritrovò ad essere colpito a tradimento sul naso con una testata “Ouch, sta' più attento!”

“Oddio, scusami! Stai bene?”

La voce che gli si rivolse non era maschile come lui si aspettava, ma femminile e, quando Wade riaprì gli occhi, mentre con le mani si stringeva il naso ammaccato, si ritrovò davanti una visione dai lunghi capelli mori e camicetta a quadretti che lo studiava preoccupata.

“Ti porto del ghiaccio!” Disse la ragazza, correndo da una parte all'altra dietro il bancone, ma Wade si oppose con un gesto della mano.

“Non serve, tranquilla”

“Lascia almeno che ti offra da bere. Cosa ti porto?”

“Un bicchiere di scotch, grazie”

La mora alzò un sopracciglio, dubbiosa “Non è un po' presto per quello?”

“Da queste parti le bariste si mettono sempre a discutere sulle ordinazioni che ricevono?!” Rispose lui, velenoso, per poi correggere il tiro dopo un sospiro “Scusami. È che ho bisogno di qualcosa di forte”

Lei si strinse nelle spalle “Come vuoi” Versò con maestria dello scotch in un bicchiere, che poi gli mise davanti “Allora, cosa ti porta a Bluebell?”

Wade sogghignò, sorseggiando il suo drink “Cosa ti fa pensare che non sia di qui?”

La ragazza appoggiò i gomiti sul bancone, il viso ormai a poca distanza da quello di Wade, che la trovava più sexy ed interessante ogni secondo che passava “Beh, conosco tutti a Bluebell e, fidati, un tipo affascinante come te non mi sarebbe sfuggito”

Chiaramente colpito, lui ricambiò il sorriso della sconosciuta “Sei sempre così sfacciata?”

Lei scrollò le spalle, senza perdere il sorriso malizioso che aveva sul volto “Fa parte del mio lavoro”

Wade si sfiorò un sopracciglio “Ora che ci penso, però, dovrei sapere almeno il nome della ragazza che ha appena cercato di uccidermi con una testata e che, per di più, mi trova affascinante”

La barista rise e per le orecchie di Wade fu come musica “Zoe Kinsella” Gli porse la mano destra, che lui strinse.

“Dottor Wade Hart, piacere di conoscerti”

“E così sei un dottore, eh? Mi farei visitare da te con piacere: da quando Harley non c'è più, preferirei morire piuttosto che andare da quel vecchio scorbutico del dottor Breeland!”

Sentendo il nome di Harley, Wade si irrigidì leggermente e bevve tutto d'un fiato lo scotch rimanente nel suo bicchiere “Mi dispiace deluderti, ma sono qui solo di passaggio: sono di New York, non potrei mai vivere in un posto del genere!”

Zoe sorrise con l'aria di chi la sapeva lunga “Uh, il solito yankee convinto che noi siamo soltanto un branco di sudisti che girano con un sigaro in bocca e un fucile in mano! Il che in parte è vero” La sua precisazione divertita strappò un sorriso a Wade “Credimi, qui c'è molto di più di quello che sembra” Gli fece un occhiolino, facendo pensare all'uomo che quelle sue parole potessero riferirsi non solo a Bluebell, ma anche a se stessa: i loro sguardi si incrociarono in un modo intenso e quasi pericoloso, finchè l'attenzione di entrambi non fu attirata dall'arrivo nel locale di cinque ragazze dai lunghi e vaporosi abiti d'epoca.

Una delle cinque, quella che sembrava la leader del gruppo, una bionda dal sorriso mellifluo e un'aria di malcelata superiorità, si avvicinò al bancone, mentre Zoe, chiaramente infastidita, riguadagnò una postura normale “Cameriera, vorremmo ordinare, se hai finito di battere la fiacca”

Zoe, per niente intimidita, si dipinse in faccia un sorriso falso “Buongiorno anche a te, Lemon. Arriverò da voi non appena avrete imparato a usare le parole “per favore”: non sono difficili, scommetto che persino voi Belles riuscirete a pronunciarle”

La bionda, irritata, cercò di non perdere la calma e sospirò, come se la cosa le costasse uno sforzo enorme “Per favore...soddisfatta?” Zoe le sorrise con sufficienza, mentre la bionda si accorse solo in quel momento della presenza di Wade, che osservava leggermente stranito lo scambio tra le due donne “Oh, mi scusi, solitamente non mi comporto in questo modo! Lemon Breeland, e lei è...?” Gli chiese, porgendogli la mano.

Wade stava per stringerla e presentarsi a sua volta, quando Zoe intervenne “È un mio amico, quindi non ti interessa conoscerlo” La barista era evidentemente soddisfatta, mentre Lemon le lanciava un'occhiata di fuoco e Wade, chiaramente a disagio, guardava prima l'una poi l'altra.

Alla fine strinse con un po' di esitazione la mano della bionda che sembrava appena uscita da “Via col vento” “Dottor Wade Hart, piacere”

“Anche mio padre è un medico, sa?” Wade deglutì, riconoscendo in lei la figlia dell'uomo che era ormai suo socio e di cui di lì a poco lui avrebbe fatto conoscenza “Come leader delle storiche Belles di Bluebell, le do il benvenuto nella nostra splendida città” Lemon fece un mezzo inchino, di fronte al quale per poco lui non scoppiò a ridere, prima che la bionda si rivolgesse a Zoe con fare sprezzante, schioccandole le dita davanti “Non abbiamo tempo da perdere qui, cameriera!”

Dopo di che raggiunse le sue amiche ad un tavolo e Wade, osservato le ragazze con sguardo perplesso e curioso insieme, si voltò di nuovo verso la barista “Ma da quale epoca arrivano?! E quale persona sana di mente chiamerebbe una figlia Lemon?!” Zoe rise delle sue parole incredule, mentre lui scuoteva la testa, unendosi a lei. Quando tornò serio, la guardò intensamente “E così sarei un tuo amico, eh?”

Zoe evitò di incrociare il suo sguardo, mentre si stringeva nelle spalle e armeggiava con alcuni bicchieri “L'ho detto solo per salvarti dalle sue grinfie”

Wade giocherellò con il bicchiere, facendo un verso poco convinto “Mmm, sarà!”

Ignorando l'impazienza con cui Lemon e le altre Belles la stavano fissando dal tavolo, la ragazza appoggiò un'altra volta i gomiti sul bancone, perdendosi negli occhi verdi dell'uomo che aveva di fronte “Allora, visto che siamo amici, che ne dici di svelarmi il motivo per cui sei qui? Sei una spia in missione segreta? Perché ti ci vedrei bene come 007!”

Lui sorrise del suo entusiasmo, scuotendo la testa “Mi dispiace deluderti, ma no” Era sempre stato una persona riservata, eppure, guardando la ragazza di fronte a sé, gli venne naturale confidarsi con lei, pur conoscendola solo da una manciata di minuti “E va bene: sono il figlio illegittimo di Harley Wilkes”

Nonostante l'aria seria con cui lui fece questa confessione, Zoe gli scoppiò a ridere in faccia “Ma smettila!” L'occhiata che Wade le lanciò, però, fu eloquente abbastanza da farla smettere di ridere in un attimo “Aspetta, è vero?!” Abbassò la voce, avvicinandosi ancora di più a lui per parlare lontano da orecchie indiscrete “La tua vita è meglio di una telenovela: non appena si saprà, sarai sulla bocca di tutti, qui!”

Wade fece cenno alle proprie spalle, dove, fingendo che tutto fosse normale, gli avventori del Rammer Jammer gli lanciavano occhiate curiose “Più di così? Mi sento un pesce nell'acquario!”

“È solo il nostro modo di accogliere i forestieri, Doc”

Il nomignolo che le era uscito di istinto dalle labbra colse Wade di sorpresa, facendolo anche sorridere: suonava maledettamente bene e lui era sicuro che avrebbe potuto farci l'abitudine. A quello e anche alle gambe perfette e fasciate in un paio di pantaloncini di jeans e stivali da cowboy di Zoe, che aveva appena lasciato il suo posto dietro il bancone e, armata di bloc notes, si preparava a prendere le ordinazioni delle Belles.

Wade, cercando di ricordarsi come tornare a respirare, allungò una banconota sul bancone, preparandosi ad andare.

“Che fai? Ho detto che lo scotch te l'avrei offerto io, come risarcimento per quel naso malridotto”

“Considerala allora una mancia per la barista bella e simpatica che mi ha distratto dai brutti pensieri” Quando si accorse di ciò che aveva detto, Wade impallidì, mentre Zoe sorrise lusingata.

“E così sarei bella, eh?” Gli fece il verso, una mano sul fianco.

“Scusami, io...io non so cosa mi sia preso, di solito non sono così diretto”

Zoe sorrise, dandogli una pacca sulla spalla “Qui a Bluebell le inibizioni spariscono: lo vedrai!” Detto questo, si allontanò, e a Wade non restò altro che ammirare il suo fondoschiena perfetto, mentre, deglutendo, scuoteva la testa per tornare alla realtà e al suo consueto fare serio ed impeccabile, cosa che gli risultava un po' più difficile ogni minuto che trascorreva in quella bizzarra cittadina ferma nel tempo.

  
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