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Autore: Colli58    17/04/2015    5 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Victoria Gates aveva ricevuto la visita dell’agente Sean Brady e si era trovata in una situazione curiosa.
Nonostante fosse stato con il personale del dodicesimo due soli giorni, la coppia Castle e Beckett aveva avuto su di lui già uno strano effetto. Come aveva previsto li aveva osservati e dopo poco meno di mezz’ora era lì davanti a lei elucubrando soluzioni proposte al caso, mentre la sua detective si trovava in bagno a vomitare per le nausee. Come situazione era nuova e bizzarra davvero.
Però era stato d’aiuto, aveva permesso a Brady per entrare nel loro piccolo mondo e capire di cosa parlava quando accennava al rapporto che c’era tra i due. Non personale, quello era palese quanto la pioggia, ma la dinamica delle loro indagini non era poi così semplice da descrivere. Essere presente era l’unico modo per capire. Beckett e consorte erano sulla stessa lunghezza d’onda, molto attivi, laboriosi di mente e doveva ammettere, pur non volendo, che la cosa funzionava piuttosto bene.
Beckett aveva una strada davanti a sé e il suo uomo non era d’intralcio.
“Sono davvero in sintonia, fanno quasi paura.” Disse Brady dopo aver chiarito le richieste della donna.
“Che ti avevo detto?” Gates rise facendolo accomodare.
“Stavo lì a guardarli mentre parlavano tra loro e mi sentivo non solo di troppo, ma completamente fuori fase…”
Il capitano sorrise divertita. In realtà in quella situazione ci si era trovata di rado, ma concordava con lui sul fatto che fosse a metà strada tra l’inquietante e l’irritante per certi versi.
“Ma come la gestisci, Victoria? La questione personale intendo. Sta qui, conosce ogni vostra procedura. E’ al corrente di ogni vostro metodo e non è un poliziotto. Lui sa tutto di lei, non perde una sua mossa. La studia continuamente.”
Il capitano sorrise. “E’ la sua musa, direi che l’adora. La definizione calzante è adorazione, Sean.”
L’uomo rise scuotendo il capo. “Da quanto tempo loro…” indicò con la mano.
“Quando sono subentrata a Montgomery l’avevo cacciato. Allora non stavano insieme e tra loro c’era un rapporto conflittuale, qualcosa che li aveva portati ad una rottura prima che Beckett fosse ferita. In quell’occasione lui è rimasto in questo ufficio giorno e notte cercando il sicario che l’aveva quasi uccisa. L’ho cacciato ma il sindaco Weldon me lo ha imposto nuovamente.”
“Chissà com’eri felice.” Brady strizzò gli occhi
La Gates annuì. “Come una Pasqua! Ma la verità è che è stato un bene. Lui l’ha aiutata a venirne fuori. Alcune volte ho avuto l’impressione che senza la presenza dello scrittore, Beckett potrebbe non essere qui. ”
“Per via del ferimento?” Il capitano annuì. “Dopo una cosa del genere non è facile tornare alla vita di tutti i giorni. Non è stato un ferimento in azione, è stata un’esecuzione in piena regola…”
Brady aprì la bocca annuendo.
“La relazione è nata dopo?”
“Credo che ci fosse un legame da molto tempo, non concretizzato, ma lui si sarebbe fatto esplodere per lei. Letteralmente.”
Brady osservò le proprie mani per qualche secondo. “Stai diventando romantica Iron Gates.”
“Oh, piantala. Hanno colpito anche te e sei qui da due giorni.” Ironizzò la donna. Poi lo squadrò con un’occhiata tagliente e lui annuì. “Sono una bella coppia. Lo ammetto. Ma lo sai Victoria, lui deve allontanarsi se Beckett passerà ai corsi per ufficiali. In quel campo il procuratore è rigido.”
La sedia per la Gates era diventata scomoda.
“Rigido un corno. Vorrei proprio che, invece di indagare su una mia detective che ha uno stato di servizio impeccabile, impiegaste il vostro tempo per capire chi ha fatto arrivare Denver al mio distretto: ha un morto sulla coscienza e non una storia d’amore con uno scrittore di gialli dal passato discutibile. Il procuratore pensi che domani ci sono i funerali di Lopez, vittima delle azioni di un idiota mandato a dare problemi.”
“Victoria…”
“Non rabbonirmi, voglio che andiate a fondo. Io ho le mani legate ma voi siete lì per questo.” Replicò il capitano tornando ad appoggiare gli occhiali sul tavolo.
“Hai dei nemici…”
La Gates rise. “Anni passati alla disciplinare non ti rendono così popolare. Ma non mi faccio intimidire. Voglio che quel detective faccia carriera. La voglio vedere ad un posto di comando perché se non le diamo questa opportunità ora, dopo potrebbe rivelarsi tardi.”
“Farò il possibile, lo sai…” Brady lasciò stemperare le parole mente la donna lo fissava con attenzione.
“So che ci sono altri squali in lizza, ma è la più pulita di tutti.”
“Come te Victoria. Vedrai, lasciami fare. Levami un’ultima curiosità, Castle è amico del sindaco Weldon. Ho letto che il caso che l’aveva coinvolto in passato è stato gestito da loro…” Brady stava scavando per bene. Il capitano lo conosceva, faceva il suo lavoro con cura. La sua stizza si placò.
“Hanno lavorato in disaccordo, ma sono arrivati alla verità. Non hanno mollato, nessuno dei due.”
“Come intende fare per questo caso.”
“Le ricorda molto il caso che l’ha interessata personalmente.” Spiegare le vicissitudini di Beckett avrebbero richiesto troppo tempo e non era nemmeno del tutto sicura di conoscere la storia al completo.
Brady respirò lisciandosi la barba. “Indubbiamente è tosta. Un caratterino… E pure lo scrittore, insomma potrebbe starsene a godersi i soldi in tranquillità. Lo fa solo per lei?”
“Credo proprio di sì.”
“E la sua connessione con la CIA?” Incalzò di nuovo Brady e la Gates allargò le mani.
“Classificata. In passato gli è stato permesso di lavorare con un agente, che poi si è rivelata essere qualcosa d’altro. Ma lo sai come sono quelli dell’agenzia. Tombe…”
“Beckett ha partecipato ad alcuni casi con lui. Tutti classificati. Non ti sembra strano?”
“Secondo te perché l’FBI la voleva? Solo perché è un bel faccino?” Il sarcasmo della Gates fece sghignazzare Brady che sprofondò nella sedia.
“Usa il cervello ed è intelligente da capire cosa sta succedendo. Senti, il caso che stanno seguendo può avere ripercussioni sulla politica di questa città. Quello che dicono è fattibile, ma lui non parlerà. Hanno ragione. Ed è per questo che sono lì, perché mi fido.”
“Anche tu pensi che Molnhar non accetterà la trattativa? Le prove contro di lui si accumulano. Se la scientifica ci dà conferma che il sangue trovato corrisponde a quello di Keeler sulla macchina e le sue impronte digitali pure, non ha alcuna via di uscita.” Replicò confuso.
“L’idea di farlo seguire a Las Vegas è pazza davvero, ma per mettere ko un politico corrotto allora ben venga. Mi infastidisce fare il lavoro a mezzo se posso fare di più.”
“Scomodiamo il procuratore?”
“Se vogliamo fargli una proposta va fatta in fretta.” Disse quindi. Brady scosse il capo e si alzò.
“Come Iron Gates desidera.”

Come Beckett e Castle avevano previsto, Molnhar non volle collaborare. Altre ore di interrogatorio lo avevano visto solo trincerato nel suo mutismo. Parlargli di nuovo promettendogli clemenza nel caso in cui collaborasse era stato come parlare al vento.
Castle era più che mai convinto che una sorta di patto di fratellanza esistesse tra Molnhar e Orvak, qualcosa per cui lui doveva per forza sacrificarsi. Tutto conduceva a lui come una scia di piccole briciole bianche su un bel nero d’asfalto fresco.
Infatti il sangue trovato nella macchina corrispondeva a Frederick Keeler, il terriccio era quello del cantiere dell’Atlantis, le sue scarpe imbrattate dello stesso materiale. Prove fin troppo pesanti però sempre nessun motivo valido per uccidere un ragazzo.
Molnhar aveva avuto il suo avvocato e tempo per decidere ma lui si era rinchiuso a riccio. Il procuratore distrettuale era stato rapido a dare l’ok alla possibile proposta, sebbene avesse fatto rimostranze sull’azzardo che rischiava di infangare un membro del consiglio comunale. Chissà come tutti avevano paura di perdere la sedia rischiando il loro comodo posto. Il procuratore non era mai stato un uomo di particolare verve quando doveva schierarsi contro politici corrotti. In ogni caso, a suo favore, si poteva dire che il suo incarico era ancora troppo fresco perché si distinguesse qualcosa di nitido sulla sua volontà.
Beckett si stropicciava nervosamente le mani. La verità era stata ancora mascherata e non sarebbe venuta a galla tanto facilmente, ma ancora una cosa andava fatta. Indurre il tarlo del dubbio nella testa di Howard Bass. Come aveva detto Castle, si preannunciava una vittoria di Pirro. Lui se ne stava pensieroso accanto a lei, guardando il suo essere accigliata con serietà.
“Mancava così poco…” Mormorò Kate.
“Lo so. Troveremo un altro modo.” La rincuorò.
Lei lo guardò. “Facciamo sapere a Keeler che abbiamo dubbi su Bass. A quest’ultimo che sappiamo tutto, che le prove arriveranno, che è solo una questione di tempo…”
“Mettiamogli un po’ di pepe addosso e anche da un’altra parte!” Castle strabuzzò gli occhi e lei fece roteare i suoi. Erano quelle le cose che le avevano reso la vita lavorativa leggera. Così realizzò pensando alla battutaccia. In pochi minuti aveva allentato la sua tensione. Sapeva che i giochi erano quasi conclusi, non certo con la vittoria che aveva sperato. Però poteva ancora fare qualcosa.
Esposito aveva lavorato con Ryan al locale Atlatis, facendo indagini su chi avesse spostato il corpo durante la notte, indagando sugli operai edili era venuto fuori che il gestore, Viera, era stato il primo ad arrivare quella mattina, più mattiniero del solito e molto teso. Aveva accelerato i tempi di lavoro sullo scavo minacciando di licenziare tutti.
Ma il corpo era stato spostato molto prima, quindi qualcuno era entrato nel locale.
La videosorveglianza era stata manomessa, Tory, analizzando meticolosamente i fotogrammi alla ricerca di indizi, aveva notato alcuni picchi di luce ed anomalie, scoprendo infine una discrepanza sulle ore impresse nei video. Un bel salto e anche condizioni di luce differenti. Fino alle 2 e mezza circa la camera registrava un orario e alle 2 e 32 un inspiegabile salto temporale faceva passare l’orario della telecamera di alcuni minuti in avanti portandola alle 2 e 36. Fino a quel momento la frenesia di vedere, o meglio intravedere qualcosa sull’omicidio li aveva veicolati solo su alcune fasce d’orario. Avevano così trovato il punto in cui il video era stato sostituito con un video di un’altra giornata. Questo complicava le cose, rendeva le prove meno valide, dubbie e la colpevolezza di Molhnar molto più effimera.
Era stato il gestore, Viera a consegnare i video alla polizia. La sua calma davanti alla presenza degli uomini della omicidi era stata davvero da manuale, ma aveva commesso un errore, manipolando solo una specifica parte dei video in modo grossolano. Forse per la fretta di consegnare informazioni che sapeva essere importanti per la risoluzione del caso, per dimostrarsi solerte, disponibile e, ovviamente, innocente. Un errore grossolano, ma utile ai loro scopi. Se fossero stati alterati completamente non ci sarebbero state le prove necessarie ad arrivare a Molhnar.
I due detective lo avevano scortato quindi in centrale per metterli sotto torchio. Nel tardo pomeriggio Esposito l’aveva messo con le spalle al muro e ammise di aver spostato il corpo per paura che le indagini gli facessero fermare i lavori, ma che i video erano originali fino alla manomissione delle ore 2 e 32.
Il sistema d’allarme silenzioso che aveva collegato al suo telefono era scattato e lui si era diretto al cantiere in compagnia di un suo operaio, Jessy Marcos. Avevano trovato Keeler galleggiare nel grande acquario. Era già morto. Lo avevano caricato sul Pick Up e scaricato al canale di scolo della centrale.
Gli era stato quindi imposto di consegnare i video originali e le prove erano evidenti. Non erano implicati nell’omicidio, ma erano di sicuro colpevoli di intralcio alla giustizia. Viera era un uomo viscido, a tratti prepotente e a tratti falsamente collaborativo. Aveva cercato di trovarsi una scusa, ma le accuse per lui e Marcos erano inconfutabili.
La Gates raggiunse Beckett alla sua scrivania.
“Intende fare qualcosa con Keeler?”
Lei annuì capo. “Prima che l’arresto di Molnhar vada alla stampa? Possiamo fargli sapere solo i nostri sospetti…” 
“Se non altro potrebbe fargli trovare il modo di eliminare Bass dai suoi ranghi…” Commentò Castle.
Kate si alzò e prese la sua giacca indossandola. Sentiva freddo e la temperatura stava calando con la sera. Ottobre era stato clemente fino ad allora. Ma l’inverno era alle porte, un inverno che tutti i meteo, secondo Caste, predicevano freddo e nevoso.
“E’ pallida Beckett, vuole andare a casa?” Le chiese la Gates, ma lei negò.
“Vorrei cercare ancora un po’ tra questi dati.” Disse con un mezzo sorriso.
“Bass non farà un passo falso…” Commentò Castle.
“Non abbiamo prove che sia lui il mandante. Se trovassimo prove più dirette di un tentativo di estorsione, una telefonata oppure una e-mail…”  Kate osservò la pila di documenti sul suo tavolo.
La Gates sospirò. “Se non troviamo qualcosa nelle prossime 24 ore potremmo dover chiudere il caso con quello che abbiamo.”
Lo sguardo deciso che le due donne si scambiarono fece sorridere Castle. Kate sarebbe divenuta un capitano tosto quanto la Gates, se non di più.
“In tribunale Molnhar potrebbe cavarsela con poco, insomma lui non ha movente.” Commentò Castle e il silenzio dei presenti sancì il loro essere d’accordo.

L’incontro con Keeler fu abbastanza simile al precedente, ma stavolta Kate si portò Castle nella saletta dove l’uomo era stato fatto accomodare che non attese nemmeno un attimo prima di incalzare Beckett. La investì di domande e con sprezzante boria aveva ironizzato su un possibile cambio di sospetti.
Beckett non aveva perso un colpo. Aveva atteso silenziosa che il politico finisse la sua kermesse di stronzate e poi aprì il fascicolo che aveva di fronte.
“Abbiamo fermato un uomo.” Disse senza nessuna reale inflessione ma Castle intuì la sua fermezza e il suo disprezzo.
L’uomo di fronte a lei sussultò, muovendosi sulla sedia. “Avete trovato l’assassino?”
Kate piegò il capo e si umettò le labbra. “Forse. La sua macchina è stata vista sul luogo del delitto, il sangue di suo figlio è stato trovato sugli interni...” Spiegò.
“Quindi avete le prove? Chi è stato?”
“Un amico del suo solerte factotum.” Chiarì Castle.
L’idea che Rick fosse presente doveva infastidire parecchio il loro interlocutore perché lo degnò giusto di uno sguardo schifato, cosa che stava rendendo Castle anche più divertito del solito. Ma anche lei voleva pungolarlo, voleva fargli sapere che in fondo Castle, suo marito, era parte della squadra che era arrivata all’assassino con tutta la sua sfacciata abilità e fortuna.
“Abbiamo ragione di credere che suo figlio abbia tentato una mossa… ardita. Per ragioni a noi non del tutto chiare, pare abbia voluto crearsi una piccola fortuna tentando la sorte con un piccolo ricatto.”
“State scherzando? Mio figlio aveva tutto ciò che voleva! Soldi, potere! Come potete insinuare una cosa del genere?” La stanza stava diventando incandescente.
“Forse aveva tutto, ma non la libertà che agognava a quanto pare…” La stoccata di Castle venne placata da un gesto gentile di Kate.
Lei posò di fronte a Keeler le fotografie di Frederick sul conto di Bass. Keeler le osservò con attenzione, disgustato, per una volta pensieroso. Valutò attentamente le sue parole, le pesò prima di parlare.
“Chi vi ha dato queste informazioni?”
“Le meraviglie della tecnologia informatica.” Bleffò Beckett. Castle le abbozzò un sorriso e tornò a guardare Keeler in evidente imbarazzo.
“Sappiamo che Frederick ha chiamato Bass pochi giorni or sono. Abbiamo i riscontri telefonici ma non sappiamo cosa si siano detti. Però queste fotografie… C’erano ragioni per cui suo figlio aveva a che fare con Howard Bass?”
Keeler negò con il capo.
“Conosce questo individuo?” Chiese infine Beckett mostrando la foto di Molnhar.
Non ci volle molto per capire che Keeler aveva riconosciuto l’uomo ritratto nella foto.
“E’ un sicario.” Chiarì Castle. “Un commilitone del suo autista.”
“L’ho visto più volte parlare con Zed… Sosteneva che era un vecchio amico a cui stava cercando di dare una mano.” Per un momento il politico si trasformò davanti ai loro occhi, mostrando una preoccupazione umana, forse per se stesso. Ed eccolo apparire sul suo viso il dubbio e finalmente il senso di colpa.
Kate si sporse in avanti. “Non abbiamo prove, ma qualcuno ha voluto dare una lezione a suo figlio. Lo hanno picchiato selvaggiamente. Probabilmente non intendevano ucciderlo, forse è stato solo un incidente…”
L’uomo deglutì annuendo. “Farò luce su questa situazione. Vi terrò informati.”
Castle si mosse sulla sedia.  “Ci dia una mano. Cerchi di capire se Bass ha delle colpe.”
“E cosa pensa che io possa fare? Andare da lui e accusarlo? Non ci sono prove…”
“Ma ha queste. E lei è suo padre…” Annuì scuro in viso.
Castle pensò a come fosse difficile proporre quelle foto come prova senza le dichiarazione della testimone. Con la testimonianza di Judith tutto sarebbe stato più facile. Avevano preso una decisione, imboccato la strada difficile e in salita per tenerla al di fuori di quel pasticcio. Stavano lavorando su ipotesi e un fragile ricamo di relazioni tra i vari personaggi chiave di quella brutta vicenda. Era davvero poco e il suo buonumore scomparve una volta che Keeler ebbe lasciato l’ufficio.
“Mi dai una mano? Vorrei rivedere tutto l’incartamento, ci deve essere sfuggito qualcosa…” Chiese Kate con un sospiro. Lui annuì e le diede una carezza sul viso.  Poi si stropicciò gli occhi stanchi.
“Per questo scopo posso anche offrirti una deroga sul limite alla caffeina.” Le parole di Castle la fecero sorridere.


Numeri, cifre, orari, firmati, decine di ore di filmati. Rapporti di interrogatori, persone, volti appesi alla lavagna. Dovevano pur dire qualcosa, però senza quella certezza di cui avevano bisogno, il colpevole sarebbe stato solo un aguzzino prezzolato. Non poteva essere tutto lì. Non potevano lasciare la ricerca incompiuta.
Sprofondati nella lettura sia Beckett che Castle si scambiavano sporadicamente occhiate furtive. Nessuno dei due voleva cedere all’evidenza di essere in un loop. Dovevano trovare qualcosa, era impellente trovare qualcosa.
La lista di numeri di telefono segnati di rosso che Castle scorreva sembrava confondersi sotto il suo sguardo. Era la stanchezza, ma anche l’urgenza, lo scontento di non essere andati oltre. Si sfregò vigorosamente gli occhi e Kate lo osservò. “Mi si incrocia lo sguardo…” mormorò facendo una leggera pressione sul bulbo oculare.
“Hai bisogno di riposo.” Forse dobbiamo solo lasciar stare per stasera.” Kate si sentì vagamente in colpa a dire quelle parole, ma anche lei si sentiva un po’ sottotono.
“Oppure cedere all’evidenza… occhiali…” Mormorò Castle contrito e Kate strabuzzò lo sguardo, annuendo.
“Ma non facciamo quelle battute sull’età che avanza… eh?” Disse con un sorriso che lei ricambiò con dolcezza. Fortunatamente Castle era un uomo che non giudicava l’usare occhiali un mezzo con grave mancanza di fascino. Alcune volte li usava a casa quando era al lavoro nel suo ufficio e la sua vista ne trovata giovamento. Kate lo considerava anche piuttosto sexy quando lo notava così, sprofondato nella rilettura dei suoi scritti. Non c’era nulla di male nell’ammettere di averne bisogno e sapeva che la voracità di lettura del suo uomo lo avrebbe richiesto. “No, sei affascinante con gli occhiali. Sembri più intelligente…” Disse con Ironia.
“Ah ah! Vedrai quando succederà a te!” Replicò contrito e Kate rise.
“Vorrà dire che sarà arrivato il momento.” Castle apprezzò la sua placida accettazione. Non era un uomo che amava l’idea di invecchiare, anzi, vanesio com’era anche i primi capelli bianchi erano un dramma, ma l’idea di invecchiare con lei gli sembrava già più accettabile.
“Maledizione, ci sarà pure qualcosa qui!” Sbottò Castle ributtandosi nella lettura.
Un numero apparve al suo sguardo confuso. Un numero che gli diceva qualcosa. Forse era la combinazione, le ultime tre cifre erano curiose, ovvero 000, combinazione assai rara in un numero di telefono poiché i numeri di quel genere le compagnie telefoniche li conservavano per i centralini, enti di un certo rilievo territoriale, oppure li vendevano a persone che desideravano distinguersi. Era una chiamata fatta al numero di Molnhar, un paio di volte la sera dell’omicidio, ma occorreva andare più a fondo. Al momento non sembrava essere collegato agli altri ma destava interesse. 
“Siamo risaliti ai proprietari di questi numeri?” Chiese a Ryan, rivolto alle sue spalle.
L’uomo indicò una pila di carte. “Lì dentro.”
Castle fece scivolare le dita sugli incartamenti andando a farne cadere un po’ in modo maldestro a terra.
Sbuffò mentre Kate alzava la testa su di lui. “Che diavolo combini?” Disse aiutandolo a rimettere in ordine le carte. “Kate questo numero… quello che finisce con 000 non ti dice nulla?” Disse incrociando il suo sguardo.
Un sorriso spuntò sul suo volto pallido. “Oh, sì…” disse affrettando la ricerca del documento con lui.
Quando gli occhi di entrambi caddero sulla lista di nomi e numeri, lo sguardo di Kate si fece aggressivo.
“Facciamogli una visita, te la senti?” Castle annuì raccattando il fogli alla bene e meglio e piazzandoli davanti ad un sorpreso Ryan. “Ehi, non vale!” Sbottò pensando di dover fare ordine.
“Noi usciamo un momento, dite alla Gates di ritardare la formalizzazione delle accuse di Molnhar. Giusto un paio d’ore al massimo. E controllami i movimenti di questo conto nelle ultime due settimane!” Lanciò all’irlandese un documento che lui prese al volo un po’ sgomento.

Negli anni in cui aveva seguito Kate, l’arrivare ad una svolta nel caso era sempre stato elettrizzante. In quel momento guardarla semplicemente al volante, farsi strada negli ingorghi della sera a New York, sfrecciare con sicurezza alla volta della soluzione del caso sembrava addirittura più eccitante.
Decisa e forte, soddisfatta e allo stesso tempo torturata.
“Era sotto il nostro naso, come ci è sfuggito, era così banale.” Disse di nuovo.
“Avevamo gli occhi troppo impegnati in altro. Sai quante persone sono virtualmente implicate in tutto questo caso? E’ una folla!” Esclamò divertito e lei si torturò nuovamente il labbro.
“E guarda caso è un anello deboluccio...”
Fece stridere le gomme entrando nel parcheggio e si infilò nel primo posto libero.
“Lo rifacciamo?” Esclamò Castle sorridendo e lei fu piuttosto felice di vederlo distratto e di essere arrivata a destinazione. Lo stomaco sottosopra, quella perenne sensazione di fame, e la voglia di spaccare il muso a qualcuno. Così d’impulso, non certo a Castle, lui era innocuo e a guardarlo, particolarmente adorabile con quel sorriso da bambinone. In quei giorni si era scoperta emotiva più del solito, però in quel momento la sua emotività le stava dando quell’incredibile resistenza.
“Questa è roba da veri duri…” Sottolineò uscendo dall’auto. Kate rise alla sua esclamazione puerile.
Entrarono nella palazzina a passo spedito. Sapevano dove andare e la decisione era stata presa un po’ d’impulso, ma non c’era altro modo.
Quando la porta si aprì il loro interlocutore ebbe una reazione stupida ed imprevista, cercò di squagliarsela. Il muro costituito da Beckett e Castle gli impedì di darsi alla macchia oltre l’ingresso. Kate lo bloccò senza troppi complimenti dopo che Castle l’ebbe sospinto verso l’interno della stanza.
“Ci devi delle spiegazioni signorino…” Disse Kate mentre metteva le manette al ragazzo con una certa soddisfazione. La sua reazione era stata già di per sé una dichiarazione di colpevolezza, ma servivano dettagli quindi riportarlo al distretto con sollecitudine era il primo passo.
Castle lo aveva controllato attentamente mentre il ragazzo continuava a lamentarsi di volere il suo avvocato.
“Ehi, tutti vogliono l’avvocato oggi” Sbottò Castle divertito.
“Lo vogliono sempre dopo. Mai che ci pensino prima.” replicò Kate con un sorriso sprezzante.
Entrare al distretto accompagnando il loro sospettato sotto lo sguardo curioso di tutti fece scalpore.
Il capitano uscì dal proprio ufficio togliendosi gli occhiali. Era stata avvertita da Ryan della loro sortita e quindi non era del tutto sorpresa, ma le manette ai polsi del ragazzo le avevano destato curiosità.
“Ha cercato di darsi alla fuga, Capitano.” Spiegò Beckett con un sorriso tirato.
“Mhh… Preparo subito un mandato anche se è tardivo…” replicò annuendo e stringendo gli occhi.
Esposito raggiunse i due e si occupò di portare il sospettato nella stanza degli interrogatori guardandolo con un sorriso divertito. In qualche modo la naturale antipatia che tendeva a generare su tutti non era certo passata inosservata all’ispanico che si limitò ad accompagnarlo senza profferire parola.
Tornando disse a Beckett: “se è lui il colpevole sono anche contento…”
Castle rise di gusto e aiutò Beckett a sistemare i documenti che Ryan aveva fornito loro. I riscontri bancari avevano dato i loro frutti.
Beckett raggiunse la saletta interrogatori più determinata che mai. Voleva chiudere quel caso e mettere al muro quel piccolo stronzetto.
Sedette davanti ad un agitatissimo Robert Randall.
“Mi hai fatto fare un bella fatica per arrivare a te, te la sei studiata bene. Lo ammetto.” Iniziò a dire con sicurezza mentre il ragazzone stringeva le mani piegato in avanti.
“Non ho fatto nulla!” Sbottò.
“Cercare di scappare davanti alla polizia non è proprio un segno di innocenza!” Castle sorrise. Anche a lui stava vistosamente antipatico, ma in quel momento dovevano prendersi il tempo per fargli confessare il necessario.
“Quanto sai?” Iniziò a dire Beckett ordinando le informazioni nella cartella che Ryan gli aveva lasciato facendogli un breve sunto.
“Io non so nulla…” replicò Robert.
“Non sai di aver contattato l’assassino di Frederick? Come non lo sai? Lo hai anche pagato...” Il ragazzo si rabbuiò.
“Sei stato la chiave di tutto fin dal principio. Sei stato il delatore, Robert. Colui che seguiva e spiava Freddy per conto di suo padre, ma anche per conto del suo aguzzino a quanto pare.” Beckett espirò e guardò Robert con insistenza.
“E per avere un bell’alibi, ti sei scelto una buona serata per stare in dormitorio a giocare online, così che tutti potessero provare che eri semplicemente occupato. Ma hai fatto qualche errore di valutazione. Molhnar non è uno molto abile nel nascondere le sue transazioni bancarie. Hai pagato 2000 dollari su un conto della Citybank intestato a lui. E guarda caso lo hai fatto proprio la sera dell’omicidio.”
“Tra un combattimento e l’altro…” Commentò Castle.
“Ti sto chiedendo di collaborare se vuoi avere anche solo qualche chances di ambire ad uno sconto sulla pena. L’accusa sarà di omicidio di primo grado. C’è premeditazione, particolare crudeltà… ti aspetta una vita in carcere.” Lasciò decantare la cosa con calma. Il ragazzo non rispose.
“Se ci dici da chi è partito tutto, chi è il primo mandante e come sono andate le cose, noi faremo il necessario per farti avere qualche sconticino.” Aggiunse e di nuovo Robert rimase in silenzio.
“Molhnar ti ha chiamato al dormitorio del campus, doveva sapere dove trovarlo e come adescarlo immagino. La cosa simpatica è che non ha usato il solito usa e getta, ha maldestramente usato il telefonino intestato a lui, pensando che non avremmo mai notato le chiamate ad un numero fisso come quello dell’università.”
Ad ogni piccolo tassello che aggiungevano alla storia, Robert si incupiva.
“Gli hai detto dove si trovava? Gli hai detto quale fosse il modo migliore per farlo interessare a quell’incontro?” Gli occhi di Beckett lasciarono il ragazzo per osservare Castle che annuì.
“Chi c’è dietro? Non puoi aver organizzato tutto da solo, uno come Orvak non si sporca le mani per due spiccioli, ma Dimitri si, lui è di bocca buona, accetta ogni lavoro.” Valutò con calma e come sempre lasciò che le sue parole penetrassero nella mente del sospettato.
“Immagino conoscessi già anche Dimitri. Magari era uno di quelli che avevi già incontrato con Orvak. Uno di quello che o accompagnavano nelle sue intimidazioni tipo vecchia scuola dell’est, eh?”
Raccontare un tassello alla volta, dimostrargli che la strada l’avevano trovata e capita dava un certo potere a Kate, quello di incutere non solo paura ma dimostrare che loro era furbi almeno quanto lui.
“Beh, ti ha umiliato vero? Perché lui avrebbe voluto tornare indietro, voleva riallacciare i rapporti con Saul Porter…” Le parole di Castle fecero breccia e sul viso di Robert comparve un segno di rabbia. Corrugò la fronte e lo sguardo si fece duro. “Stavi per perdere la tua bella banca e allo stesso tempo la faccia.” Insinuò ancora lo scrittore.
“Ma non lo conoscevi di persona. Lo hai visto ma non hai capito chi fosse fino a che non te l’abbiamo detto noi…” Aggiunse Beckett.
Robert non era un duro. Beckett l’avrebbe fatto crollare, non avrebbe retto molto e Castle si auspicò che avvenisse al più presto. Era evidentemente preoccupato per lei vista l’ora tarda. In quei tre giorni gli sembrava che il mondo si fosse chiuso a riccio e che il tempo, tiranno, era sempre troppo poco.
Una continua corsa, ma senza il desiderio di avere il solito finale passato a festeggiare il caso chiuso. No, voleva solo che lei si liberasse per tornare a casa, per riposare.
Si sorprese nel desiderare più che mai che quel rampollo troppo viziato deponesse le armi e accettasse di vuotare il sacco in modo rapido.
Kate si stava prendendo i suoi tempi, ma la sua ferocia stava aumentando forse anche in relazione all’affaticamento.
“Hai giusto qualche minuto per valutare la cosa. Possiamo farti avere un avvocato, ma vedi è tardi…”
Roberto sbirciò le carte sul tavolo cercando di leggerne a rovescio i contenuti e così Kate gli semplificò l’operazione girando il foglio e indicando i punti salienti.
Ryan prese appunti sui dati da cercare all’università in relazione a quanto stava emergendo. Il centralino automatizzato doveva aver registrato le chiamate in ingresso per poi essere reindirizzate agli interni dei dormitori. Un’informazione piuttosto facile da reperire.
“Molhnar ha preso contatto con te. Ti ha chiamato al campus. Quindi di chi è la prima mossa? Lui cercava Frederick per dargli una lezione, vero?”
“Magari non ucciderlo… forse per un minimo di rispetto ad un compagno di squadra. Voleva solo dargli una lezione. Però tu gli hai chiesto, pagando la differenza, di andarci pesante. Altrimenti perché non limitarsi ad ucciderlo con un colpo di pistola.” Continuò Castle dopo di lei.
“Così la lezione sarebbe stata più amara. Una gamba spezzata in quel modo non gli avrebbe permesso di ballare, nemmeno di camminare diritto. Lo volevi proprio rovinare.”
“Perché è questo che hai chiesto a Molhnar. La cifra che gli hai dato non basta per un omicidio. Ma per un bel pestaggio…” Castle mostrò a Robert la foto del cadavere martoriato di Frederick.
Il ragazzo strinse la mascella.
“Ma non importerà al giudice che Frederick sia stato ucciso per errore, importerà che qualcuno ha pagato un sicario per aggredirlo. Quindi omicidio di primo grado. Quindi galera a vita.” Sentenziò.
Lo stato di agitazione di Robert crebbe.
“Quanto potrà resistere un bel tipo come te in un carcere duro? Diventerai molto popolare in poco tempo…” L’insinuazione di Castle lo mandò nel panico più completo.
Il ragazzo prese a tremare. Forse il timore di vivere quel genere di ambiente, gli abusi, la violenza e quel che ne conseguiva lo avrebbero fatto a pezzi in poco tempo.
“Io non lo volevo morto… Volevo solo che avesse una lezione, che fosse ripagato delle umiliazioni che ho vissuto accanto a lui…” Sbottò all’improvviso, sbavando e muovendo le mani convulsamente.
“Che hai vissuto tu? Hai usato Freddy per avere soldi dalla sua famiglia. Se non ti stava bene il suo stile di vita potevi lasciarlo. I soldi però ti piacevano troppo.” Replicò Kate.
“Sapevi anche che la manna era finita. Avevi intuito che Frederick cercava il modo di andarsene e allora non avevi più nulla da perdere…” Castle fece affondare così il minimo di autocontrollo che il ragazzo stava mantenendo.
“Rivoleva solo quel bastardo di colore. Rivoleva lui gettando alle ortiche una vita che altri gli avrebbero invidiato. Ha preferito lui a me! Cane rognoso senza un soldo!” Le sua urla raggiunsero con chiarezza il corridoio adiacente.
Esposito guardava da dietro la barriera con la Gates al suo fianco. “Gran coniglio nel cilindro!” Mormorò il capitano. Esposito la vide annuire compiaciuta e lasciare la saletta. La risoluzione di un caso del genere avrebbe comunque portato a mitigare gli effetti della brutta figura fatta dal distretto a causa di Denver, per tutti il dodicesimo era un grande risultato. Ma la morte di Lopez era comunque una brutta e inutile perdita.
“Ora vuoi raccontarci tutto?” La voce di Beckett si fece più morbida e si mise comoda sulla sedia.

Alla fine Robert aveva vuotato il sacco e chiarito ogni dubbio. Le speculazioni si erano rivelate vere.
Secondo Robert, Howard Bass aveva chiesto a Orvak, uomo al servizio a quanto pare di più padroni, di dare un lezione al rampollo dei Keeler per farlo stare al suo posto. Ma per Orvak era un rischio troppo elevato immischiarsi oltre misura, così aveva proposto Molhnar che aveva preso accordi con Bass. Robert poteva avere la sua parte aiutando Dimitri a organizzare la cosa senza problemi, ma il ragazzo aveva alzato la posta.
Orvak non aveva usato particolari attenzioni, voleva che Frederick sapesse che doveva stare al suo posto e perché.
Robert invece aveva fatto in modo che il pestaggio di Freddy avvenisse in un ambiente comodo perché si potesse collegare in qualche modo a Saul Porter, aveva fornito anche il metodo più sicuro di far lasciare il locale al ragazzo: simulare una chiamata per comunicargli che Saul lo voleva incontrare all’Atlantis, locale in cui lavorava. Era stato Frederick a farglielo sapere involontariamente, durante una telefonata che il ragazzo aveva ascoltato. Così Freddy era caduto nella trappola ingenuamente e dopo essere stato tramortito di botte, probabilmente era caduto dalla piattaforma nella vasca dei sirenetti, in uno stato di semi incoscienza dovuta alle gravi lesioni, finendo con l’annegare, mentre il sicario aveva già lasciato il locale.
Bass era stato formalmente incriminato per concorso in omicidio di primo grado insieme a Robert. L’unico ad esserne all’oscuro era Keeler senior il cui dolore era stato sopraffatto dalla rabbia contro il suo stesso collega. Ma indirettamente era stato il primo vero colpevole e forse per questo avrebbe avuto sensi di colpa per l’intera vita.
Il lato positivo stava nella fortuna di aver liberato la città, in un solo colpo, da due sicari e da un politico di dubbia moralità.
Il summit con il capitano ed il procuratore distrettuale era durato a lungo e l’orologio del distretto segnava le 4 e 38. Castle si sentiva euforico e a pezzi allo stesso tempo. Attese con calma che Kate terminasse la lunga sessione di lavoro burocratico. Era tardi per molte cose, le conferenze stampa e i giornali.
Era tardi anche per pensare di portare a compimento tutti i fascicoli per formalizzare le accuse.
L’usignolo Robert Randall aveva cantato mettendo nei guai tutti, ed era quanto bastava per chiudere il caso con più di quella vittoria di Pirro che avevano paventato fino alla sera prima.
Quando Castle vide Kate uscire dalla saletta in cui erano rinchiusi per preparare l’incartamento sul caso, venne trattenuta da Brady che si complimentò con lei. Lo sentì congratularsi ed auspicarsi un medesimo impegno anche nel caso di una possibile promozione. Sembrava entusiasta e quella patina di burocrate un po’ untuoso era scomparsa definitivamente a parte quel dettaglio dato dall’eccessivo nero dei capelli, una tinta decisamente sbagliata per un uomo della sua età. Alla prima occasione Castle glielo avrebbe suggerito, magari fornendogli il contatto di un ottimo parrucchiere in città.
Sorrise compiaciuto ma allo stesso tempo una sensazione strana lo assalì. Si guardò intorno.
Tarda notte, di lì a poco sarebbe sorto il sole albeggiando. Kate stanca e con occhiaie scure. La vide stringere la mano a Brady e poi annuire soddisfatta. Quella era la sua vita, ciò che la rendeva fiera, ciò che era stata per anni. Era la ragazza tosta che inseguiva gli assassini.
Lo era ancora nonostante lui ed il loro matrimonio. Era stupenda, lo rendeva fiero e gli faceva paura allo stesso tempo.
L’ansia lo colse senza ragione, o almeno una ragione c’era ma Castle non volle accettare le motivazioni che si stava dando. Deglutì e guardò Kate lasciare Brady e dirigersi verso di lui con aria soddisfatta.
Abbassò gli occhi cercando di sembrare meno angosciato. Poi fece un lungo sospiro e si piantò in faccia un sorriso tirato. Lei si lasciò cadere addosso a lui e mormorò sul suo petto. “Andiamo a casa.”

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Rieccomi! A casa con la tracheite ma almeno ho tempo per voi tra una martellata e l'altra. Ho i lavori a casa e mi stanno dando il colpo di grazia, ma spero di aver presto il mio angolo perfetto per dedicarmi allo scrivere e ai mie hobby!
Adesso mi sento un po' in colpa, ci ho masso troppo. Ma siamo quasi alla fine. Un solo capitolo.
Grazie per la pazienza!
Anna

  
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