Scoppietta; il fuoco di questo bivacco scoppietta rosso nella notte nera e con la sua vitalità rende meno pesante quest’inverno freddo di guerra.
Siamo attaccati alle braci e godiamo del calore che emanano con avidità: abbiamo bisogno di questo tepore, di questo focolare.
Mi ricordo di quando ero a casa, prima della guerra. Nelle sere d’inverno ci riunivamo intorno al fuoco…ricordo mia madre, ricordo i miei fratelli -quelli veri-, ricordo tutti quelli che amavo… Amavo. Imperfetto, dico bene.
Ora odio. Siamo obbligati ad odiare: non c’è posto per chi non odia i tedeschi.
Una volta credevo.
Avevo un qualcosa che chiamavo fede, ma la montagna mi ha tolto anche quello: non possiamo essere figli di Dio, non esiste un Dio che vuole la guerra, non esiste un Dio i cui figli si uccidono a vicenda per qualche stupido motivo.
Speravo, poi. Nell’ingenuità dei miei vent’anni volevo un mondo migliore, sognavo la pace, la fine del fascismo, una mia famiglia…
Ma il fuoco scoppietta, e scoppietta anche la mitragliatrice.
Silenziosi, minacciosi, i tedeschi hanno risalito la montagna, e ci hanno attaccati.
Hanno sparato, su noi e sul nostro fuoco.
Avevo in mano il fucile, ma ho alzato gli occhi e ho guardato il giovane che stava davanti a me: due occhi azzurro cielo, di un Hans forse, oppure di un Franz o Ralf, ma certo non di Adolf, non quell’Adolf.
Chi mi sta davanti non ha colpa.
Non gli ho sparato, non potevo sparargli: non sono capace di uccidere io, che amavo, credevo e speravo.
Meglio la morte, dolce, liberatoria, che mi coglie mentre il fuoco ancora scoppietta.
Ciao a tutti,
grazie per essere arrivati fin qui. Questa breve storia è nata per un esperimento scolastico in cui ci è stato chiesto di immedesimarci nella figura di un partigiano. Io ho scritto questo e ho deciso di condividerlo con voi anche solo per avere un parere.
Grazie a tutti,