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Autore: LaFatinaScalza    17/04/2015    4 recensioni
Darren pensa che andare a letto con un uomo non ha nulla a che vedere con il sesso di una donna. Non c’è morbidezza, non c’è accoglienza, non c’è incastro perfetto nell’avere un uomo fra le proprie braccia, fra le proprie gambe. L’amore fra uomini si deve volere così tanto da costringerlo ad accadere.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chris Colfer, Darren Criss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Popnography

 

- Chi sei tu?

- Sono il creatore... di uno show televisivo che dà speranza, gioia ed esalta milioni di persone.

- E io chi sono?

- Tu sei la star!

- Non c'era niente di vero?

- Tu eri vero! Per questo era cosi bello guardarti.

Ascoltami Truman, là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te.

Le stesse ipocrisie, gli stessi inganni; ma nel mio mondo tu non hai niente da temere.

(The Truman Show)

 

 

 

“Sai quanto tengo alla puntualità, no?”

“Chris, aspetta, stai bene?”

“Quindi stavo pensando, è uno schifo, è tutto uno schifo, il programma è da rifare e se l’hotel è quello dell’ultima volta io giuro, giuro che mollo tutto.”

“Trovare una sistemazione decente a Londra il 23 dicembre, hm? Mi sembra un’idea troppo ottimista, ehi- attenzione.”

Chris fa appena in tempo a voltarsi, prima che uno dei paparazzi appostati all’ingresso dell’aeroporto scatti il suo flash a due centimetri dal suo viso. In foto sarà scarmigliato e pallido e con l’espressione infastidita, una vecchia t-shirt e lo zaino di Chewbacca appeso ad una spalla, una mano a coprirsi parzialmente il volto. “Cazzo.”

“Chris Colfer, è vero che ha deciso di trasferirsi per sempre in Europa?”

“Ehi Chris, cosa ci dici del tuo ultimo libro?”

“Chris, ti prego, posso avere un autografo?”

“Chris, cosa ne sarà del contratto che ti lega al tuo editore per altri due libri?”

Un capannello crescente di persone comincia ad accalcarsi intorno a lui, e Chris alza gli occhi verso il cielo ingombro di nuvole cariche di pioggia. Meno di due ore ed il suo aereo sferzerà quel bianco sfilacciato, portandolo lontano da Los Angeles, dai paparazzi e, con un po’ di fortuna, da qualsiasi ricordo.

“Mi spiace, sono molto in ritardo,” commenta a denti stretti, facendosi spazio come meglio può fra la calca vociante, trascinandosi dietro con poca grazia il suo enorme trolley mentre la sua agente lo indirizza con lo sguardo verso il vip lounge, dove potrà attendere in pace l’imbarco sprofondato in una delle lussuose poltrone di pelle blu.

L’aeroporto è affollato dei viaggiatori delle feste. Davanti a lui, un enorme albero di Natale ingombro di decorazioni fa bella mostra di sé, scintillando pigro nelle luci del tardo pomeriggio. Intere famiglie attraversano l’atrio tenendo d’occhio bambini urlanti, passeggeri in ritardo che cercano di saltare le file per i gate, la coda che si sta lentamente creando allo Starbucks, gli annunci che gli altoparlanti continuano a gracchiare intervallati da musica delle feste.

Lo avevi promesso, pensa. Lo avevi promesso e io mi sono fidato.

 

 

 

*

 

 

 

Quando è cominciata, è stato chiaro fin da subito che non si trattasse di una storia d’amore.

Tuttavia, Darren pensa con amarezza, è stato altrettanto chiaro che il sesso ne era solo un aspetto. E soprattutto, non c’era stato niente di sensazionale, nessun momento di rivelazione che li aveva portati a correre l’uno verso l’altro con il fiatone per confessarsi amore eterno e farsi grandi promesse o compiere grandi gesti, niente fuochi d’artificio, niente tempo che si ferma d’improvviso.

C’è stato un momento, dopo la fine delle riprese e prima dell’inizio del Glee Tour, in cui Darren si è accorto del modo in cui Chris lo guardava, come se lo stesse soppesando, come se dovesse valutare cosa poteva succedere davvero, quanto fossero sincere le sue attenzioni. Era divertente, e pericoloso, e anche stupido, surreale e così incredibilmente liberatorio, che nessuno dei due aveva pensato alle conseguenze, perché tutto ciò a cui pensavano era averne di più, di più, sempre di più. Non aveva nessuna importanza il chiacchiericcio, scomparivano i giornalisti ed i fotografi, i malpensanti potevano essere scacciati via con un gesto della mano.

Forse la verità è che Darren è uno sprovveduto a volte. La maggior parte delle volte. Forse è dipeso anche dal fatto che in quel periodo tutti i suoi progetti e tutte le sue certezze erano stati spazzati via da qualcosa di più grande, di più importante. Anche se qualcuno lo avesse avvertito, la sua ostinazione non gli avrebbe consentito di schiantarsi contro la vita di Chris con tutta la forza possibile.

La prima sera erano andati ad uno spettacolo, qualche giorno dopo un altro, poi un altro ancora.

“Cosa te n’è parso?”

“Beh,” aveva riso Chris, flirtando, stava flirtando con lui e non gli faceva paura, stava flirtando e lo voleva ma non ancora, troppo presto, non era il momento, quindi aveva abbassato lo sguardo sulla punta delle sue scarpe, nascosto il suo sorriso dietro una mano. “Adoro quell’analisi di strutture drammaturgiche che-”

“Che?”

“Che si oppongono ai principi, uhm, aristotelici di-“

“Di?”

“Oh, dannazione, ti va di mangiare qualcosa insieme?”

Chris era giovane, più giovane di lui. Chris era inesperto, ma non sprovveduto. Chris era tutto il contrario di tutto, era spiazzante, qualcosa di diverso, qualcosa di ingestibile, alti e bassi che avrebbero fatto impazzire chiunque. Chris era alle prese con la fama e con il dover apprendere come gestirla, e la verità è che Darren ne era attratto come mai in precedenza era stato attratto da un corpo maschile.

Maschio, Chris era maschio, è maschio nella linea della mascella e giù fino alla clavicola, negli avambracci forti, nei piedi lunghi e sottili, in mezzo alle gambe. E Darren da subito ne era stato irrimediabilmente curioso, anche se era un’equazione sbagliata, insolubile, un rompicapo. Forse l’errore era stato pensare ingenuamente che bastava desiderarsi, per aversi.

 

 

 

*

 

 

 

All’inizio era stato semplice.

C’erano stati momenti, piccole gemme.

E anche se adesso pensa che fondamentalmente l’amore sia una merda e più riesce a starne lontano e meglio è, lo rifarebbe tutto perché è masochista e vuole farsi del male. Non solo, lo rifarebbe di più. Lo bacerebbe più forte, gli terrebbe la mano a testa alta, lascerebbe che scattassero una foto di loro due e non ne avrebbe vergogna, non riderebbe di lui quando parlava di Parigi, Londra o Barcellona farneticando di come avrebbero potuto chiedere un mutuo e mettere insieme i soldi di Glee e provare a comprare Casa Milà, fare l’amore contro la finestra.

Anche ad un oceano di distanza, Chris non riesce a non cercare il suo corpo caldo fra le lenzuola quando si sveglia.

 

 

 

*

 

 

 

Dopo, la segretezza era diventata un requisito fastidioso ma indispensabile. Darren si è sempre nascosto dietro la finzione che parlarne avrebbe rovinato tutto, che non si fidava di spiegarne le sfumature a qualcuno che non avrebbe mai capito.

“Non permetterò a nessuno di farti del male,” gli aveva ripetuto un miliardo di volte, fino a perdere quasi la voce, fino a rendere le parole prive di qualsiasi senso logico. E non aveva importanza se era capitato che dovessero guardarsi da lontano, seduti a qualche tavolo di distanza, se avevano dovuto piazzare qualche piccola bugia sulla bocca di chi li conosceva e manteneva il loro segreto. Era il prezzo da pagare, Darren pensa, perché se una cosa è così talmente bella forse è anche giusto che sia così talmente dolorosa.

Aveva dormito accanto a lui su un letto troppo grande sognando sogni troppo grandi, cercando di cancellare le sue paure quando Chris lo stringeva troppo forte e gli diceva “Non è a me che appartieni, lo sai anche tu.”

Aveva canticchiato qualche canzone al suo orecchio dicendogli che quella era la loro canzone, che era stata scritta proprio per loro due, che lo avrebbe sempre pensato. Aveva rischiato come uno stupido, indossando i suoi vestiti, facendogli indossare i suoi, perché era uno dei pochi modi che aveva per dargli una prova, per fargli capire che avrebbe voluto dirlo, ma non poteva.

L’avevano vissuta tutta nascosti fra le pareti anonime di un albergo o dietro le tende tirate di casa. Gli aveva raccontato tutto, di più, lo aveva stretto più forte come se potesse compensare il peccato originale che si portavano dietro, gli aveva inventato campi di grano da attraversare in bicicletta con il sole forte di luglio, viaggi in auto lungo sconfinate strade sul mare, gli aveva attaccato decine di lucine scintillanti sopra il letto perché non poteva dargli nessuna notte sotto le stelle. Gli aveva detto che erano collegati, e che non importava come sarebbe andata a finire, anche se i fili fossero stati tagliati nessuno avrebbe potuto spezzarli.  Lo aveva fatto mentendo un po’, con la consapevolezza che erano troppo fragili, che c’era una spada di Damocle in precario equilibrio sulle loro teste, che si sarebbero dovuti separare presto.

Non gli aveva mai detto di amarlo.

 

 

 

*

 

 

 

Svegliarsi, fare una doccia, guardare un temporale formarsi nello spicchio di cielo fra le ante della finestra aperta. Uscire, comprare il giornale, togliersi gli occhiali da sole. Indugiare nel sorriso di un cameriere carino, prepararsi una pasta veloce, andare a correre al parco. Intrattenere l’idea di uscire ad ubriacarsi, cercare una scusa per non farlo, andarci davvero, constatare che il mondo va avanti anche senza di lui.

Chris fa le cose che, con lui, negli Stati Uniti, non avrebbe mai potuto avere.

Guardare un film romantico da solo, non aver nessuno con cui condividere il caffè, provare una fitta allo stomaco quando uno smorzato meow meow rivela la presenza di un gattino rosso inzuppato dalla pioggia nell’androne del palazzo dopo essersi ripromesso che non ci sarebbero mai più stati altri gatti. Cercare di scrivere, piangere, non riuscire a dormire, fare il conto con le dita per calcolare il fuso orario dov’è lui e capire se sta dormendo.

Nella lista dei pro e dei contro, non c’è molto che valga, quando il pensiero va a lui ed ai suoi occhi grandi e bugiardi e impossibili impossibili impossibili.

 

 

 

*

 

 

 

“Cosa sono queste?”

Chris aveva sollevato lo sguardo dal suo sandwich, rivolto i suoi occhi azzurri carichi di scetticismo verso di lui, e Darren aveva scrollato le spalle con impazienza. “Forbici.”

“E perché mi stai dando delle forbici?”

Perché sono autodistruttivo e a volte incosciente. Perché cercavo una scusa per parlarti. Perché Dublino fuori da questo hotel pulsa così viva da non permettermi di sentire i miei stessi pensieri. Perché il tour è finito. “Perché voglio che mi tagli i capelli.”

Perché voglio le tue mani addosso e sto trovando una giustificazione.

“Non sono capace di tagliare i capelli, Darren,” aveva riso Chris, spezzettando il sandwich con le mani, ficcandosene un morso in bocca.

“Non m’importa.”

Chris lo aveva fatto sedere sul bordo della vasca da bagno, gli aveva avvolto un asciugamano intorno alle spalle, gli aveva pettinato i riccioli umidi con un sorriso condiscendente che, Darren ne è certo, era sfuggito al suo controllo e non sapeva di avere.

Erano rimasti in silenzio, mentre Chris accorciava piano le ciocche. Quella sera, sul palco, gli avrebbe detto “I’ve never loved another,” forse lo stava pensando già in quel momento, cercando di tagliargli i capelli il più pari possibile. E poi si erano ritrovati l’uno davanti all’altro, Chris ancora con le forbici in mano, le dita fra i suoi capelli umidi a pettinarglieli come poteva, a respirare il respiro dell’altro, e Darren si era sporto in avanti e lo aveva baciato, premendo la bocca sulla sua e stringendo in un pugno la sua maglietta grigia, sentendolo schiudere le labbra, spingendogli la lingua contro la sua, perdendo l’equilibrio ed aggrappandosi alle sue spalle, baciargli la guancia e lo zigomo e l’orecchio e il collo e perdere il controllo.

“Darren, Darren, Darren, aspetta.”

“Ti voglio,” dice Darren, ma sono solo le sue labbra a muoversi perché le sue corde vocali non riescono a produrre nessun suono, come se fosse una cosa troppo segreta e proibita anche solo per essere enunciata. Chris spalanca gli occhi e Darren sente l’elettricità che gli scorre sotto pelle, il suo campo gravitazionale.

Gli fa scorrere le mani dalle tempie verso il basso, fino all’addome, fin sulle cosce. Non sa come si fa, deve improvvisare, ma non è così ingenuo, lo sente rabbrividire e perdere il controllo. Chris gli prende una mano, gli preme le dita fra le sue gambe, geme.

“Sei così sexy,” sussurra Darren, e la parola suona aliena nel silenzio fra di loro.

 

 

 

*

 

 

 

Ma forse invece il problema è che non sono mai riusciti ad avere una vera e propria conversazione al riguardo, e che non è mai, mai, mai riuscito a pronunciare la parola rottura. Quando è finita, quando non era in grado di essere adulto, avrebbe voluto solo gridare, gridargli contro e fargli del male, quando era andato tutto veramente a puttane, lo aveva chiamato un cambio di circostanze. Darren ne era rimasto ferito, e gli si leggeva in volto.

Chris ne sente ancora adesso il peso, le colpe.

 

*

 

 

 

A volte, essere Blaine Anderson è stato soffocante al punto da non consentirgli di riconoscere la propria immagine allo specchio. Anche nella propria vecchia t-shirt di Star Wars, occhi spenti, capelli in disordine, Darren sente l’essenza di Blaine scorrergli negli arti, modificargli la postura, il tono di voce, infondendo una pacatezza ed una grazia nei suoi movimenti che gli risultano estranee nello spazio stretto del piccolo bagno in penombra.

È il suo ultimo giorno.

Darren si spalma la schiuma da barba sulle gote distogliendo lo sguardo. Sa che quando metterà piede fuori dal suo trailer, varcherà la soglia dell’essere Blaine Anderson, e per qualche ora tutto ciò a cui dovrà pensare sarà dare il meglio di sé, prestare la propria voce ed il proprio corpo alla stregua di un soldato mercenario. Non mente quando ripete di sentirsi fortunato, di essere in una posizione privilegiata, ma ha dovuto lavorare sodo per trovarsi dov’è. Ha dovuto prendere decisioni sacrificanti ed imparare a navigare i pericoli di chi ti sorride e ti dice che sei una superstar.  Allunga una mano, la mano che si allunga verso di lui è la prova inconfutabile che quello allo specchio è ancora lui.

Darren non odia Blaine. Blaine si nutre di lui allo stesso modo in cui Darren si nutre di Blaine e, anche se non aveva idea di cosa comportasse all’epoca e si circoscriveva tutto a sedersi davanti ad un piano e cantare “Baby One More Time” perché è un idiota, l’ha cercato e voluto con tutta l’ostinazione di cui è stato capace. Gliene è senza dubbio grato.

Quindi, mentre per l’ultima volta nella sua vita fa scorrere il rasoio sulla guancia per cancellare la sua barba dal volto di Blaine, Darren si sente quasi sgomento. All’esterno, il fragore del set che prende vita giunge ad ondate assordanti. Se Darren riuscisse davvero ad essere onesto con se stesso, se tutto fosse diverso, forse si direbbe che ha voglia di andare a cercare Chris. Ma è tutto più difficile di quanto lo sia mai stato in passato, e Darren non è ingenuo. Sa che se più tardi il sorriso di Blaine si illuminerà quando incontrerà gli occhi di Kurt, allora sarà okay. Blaine avrà il permesso di invadere lo spazio personale di Kurt in un modo in cui a Darren non è stato mai concesso di farlo con Chris.

Oggi è il loro ultimo giorno e dopo oggi non avrà più scuse, per cercare Chris.

Si sente uno spazio vuoto fra il cuore e lo stomaco, e non importa quanto ci provi, non riesce a rendere il pensiero di ciò che il futuro gli riserva abbastanza grande da colmare quello spazio.

 

 

 

*

 

 

 

Non lo ammette a sé stesso, ma il pensiero che lo conforta, quando si sente solo e troppo lontano da casa, è che nessuno potrà mai portargli via i ricordi. Darren glieli ha lasciati, infrangibili, collegati stretti l’uno all’altro come perle di una collana, con tutto l’egoismo di cui è capace a volte.

Pensa a Parigi, a Darren che canta con la testa fuori dal finestrino della loro auto. Pensa all’ostinazione di stringersi le mani, al non chiedersi, solo per pochi giorni, quando, quando finirà, quando uno dei due finalmente ne avrà abbastanza e spezzerà il cuore all’altro, quando verranno beccati da qualche fotografo e Darren sarà scaraventato sotto i riflettori e out of the closet. Pensa alla fragile illusione di credere di essere okay, alle mani di Darren che gli risalgono lungo i fianchi, i suoi occhi umidi sotto la pioggia.

Ma è passato quasi un anno, e Darren è in Australia con Baz Luhrmann, e Chris è a Londra e cerca di portare le sue cicatrici con quanto più onore possibile. Guarda le sue foto soltanto quando non riesce più a mentire a se stesso. Ha dovuto imparare sulla sua pelle che la guarigione è un processo lungo e tortuoso.

 

 

 

*

 

 

 

A Darren è sempre venuto più facile parlargli mentre facevano l’amore. C’era quella piega del suo collo, quando lasciava cadere indietro la testa, quando il piacere trasfigurava il suo volto e schiudeva le sue labbra rosse e tumide, quando non si vergognava di essere voluto, e di volere. A quella piega del suo collo Darren ha detto tutte le sue parole d’amore. Tutte quelle che non sarebbe mai riuscito a dire guardando in quei suoi impossibili occhi chiari.

Chris nel loro letto si muoveva lento e caldo come un temporale estivo, la sua pancia liscia e piatta ed il velluto delle sue cosce aperte ed era tutto semplice. Darren strofinava il naso sulla peluria di pesca sotto la mandibola e gli chiedeva scusa, gli diceva che un giorno sarebbero stati liberi, che avrebbero potuto essere chi erano, ma non adesso, non ancora, lui doveva capirlo, doveva dargli tempo.

Si muoveva dentro di lui lentissimo, senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso, controllando ogni smorfia di piacere, ogni piccolo lamento che gli abbandonava le labbra, cercando di non pensare a come le mani di Chris fossero possessive sulla sua schiena, sulle sue costole, sui suoi fianchi.

Darren pensa che andare a letto con un uomo non ha nulla a che vedere con il sesso di una donna. Non c’è morbidezza, non c’è accoglienza, non c’è incastro perfetto nell’avere un uomo fra le proprie braccia, fra le proprie gambe. L’amore fra uomini si deve volere così tanto da costringerlo ad accadere.

“Non riesco a staccarti gli occhi di dosso,” gli diceva piano, poi, ancora sdraiato su di lui, mentre Chris guardava altrove sbattendo piano le sue ciglia umide.

 

 

 

*

 

 

 

New York è spazzata da uno strano vento caldo, che agita le chiome degli alberi di Central Park ed anche Darren, mentre si ritaglia pochi secondi per sbocconcellare un panino, prima che qualche assistente di scena troppo zelante riesca a scovare il suo nascondiglio sul set.

È sempre stato abile nel trovare piccoli luoghi appartati nei quali avere un po’ di quiete fra un ciak e l’altro, ma questa volta dipende tutto dal carattere irascibile, collerico ed insopportabile della sua co-star e dai continui capricci che non consentono di proseguire le riprese. Un tempo, era quasi un gioco stare stretti in due dietro un divano, zittirsi a vicenda con una mano sulla bocca, inventare scuse fantasiose per giustificare di essere rosso in volto.

Adesso Darren guarda il telefono, scorre i contatti fino a trovare il suo, pensa alla telefonata che gli deve, che sta rimandando da troppo tempo. Cerca di trovare nella memoria un’eco della sua voce, ne sente le grida, la durezza, l’inflessione cattiva delle liti. Pensa che forse davvero non saprebbe cosa dirgli, come dirglielo. Prova a convincersi che comunque non vorrebbe saperlo.

Sa di essere un vigliacco.

Ma quando finalmente qualcuno lo avvista nascosto sotto il tavolo del catering, si persuade che lo farà, lo chiamerà domani.

 

*

 

Si sveglia presto, quella mattina, forse per la sirena di un’ambulanza che passa troppo vicina alla sua finestra, riscuotendolo da un sonno colloso e sottile.

Ha dormito con le finestre aperte nonostante stia incominciando a fare freddo e, ancora prima di alzarsi, sa già che la pioggia batte un ritmo regolare sull’asfalto fuori, e non è la mattinata giusta per uscire.

Si lava i denti sostenendo il proprio sguardo allo specchio, provando a non ignorare le occhiaie ed il pallore. Lascia cadere lo spazzolino nel bicchiere in cui, se le cose fossero diverse, ce ne sarebbe un altro uguale, ma viola. Se le cose fossero diverse, il tubetto del dentrificio avrebbe un’orma spensierata al centro, invece che essere spremuto dal fondo.

Il pavimento è freddo sotto i suoi piedi nudi, il gatto rosso gli scivola fra le caviglie, Chris infila i calzini ed i jeans mentre la caffettiera borbotta sul fornello. In mattine così, riesce a sentire la propria solitudine tangibile fra le pareti di casa, solo il suo respiro senza nessun cuore su cui sincronizzarsi.

Quando esce, chiudendosi velocemente la porta alle spalle, pensa che è talmente presto che non ha senso prendere la metro. Cammina qualche centinaia di metri alla ricerca di un taxi, calcandosi gli occhiali sul naso, conscio che ormai è raro che qualcuno si disturbi ad importunarlo. Ci sono voluti anni, per togliersi di dosso i panni dell’attore. Tutto sommato ne è felice.

Quando la vettura gialla gli accosta accanto, Chris si accomoda con un saluto veloce al conducente, cliccando distrattamente sul proprio iPad. Un tempo Darren glielo avrebbe tolto dalle mani, si sarebbe lamentato di non ricevere abbastanza attenzioni, avrebbe poggiato la testa sulla sua spalla promettendogli il mondo.

Adesso sfoglia le notizie con una mano, aggrappando l’altra allo sportello ed evitando accuratamente lo sguardo del tassista nello specchio retrovisore.

“Darren Criss says fatherhood is the most amazing experience he ever lived!” dice l’articolo sul quale non riesce ad impedirsi di cliccare.

Il taxi rallenta per permettere l’attraversamento ad alcuni pedoni. Chris è solo una delle persone che hanno il cuore in frantumi, in quel preciso momento, a Londra, in Europa, nel mondo. Gli si chiudono gli occhi, mentre il taxi riparte lento e sotto le sue costole, fra carne ed osso ed anima, il suoi muscoli cardiaci cercano invano di ritrovare un ritmo tutto loro, come le dita di un ragazzo che sfiorano piano la pelle di un altro, ed è un segreto che non potrà mai rivelare.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Giuro che avevo scritto un happy ending.

“Il lieto fine è così necessario?” mi ha chiesto qualcuno.

No, non lo è. Non in questo caso.

 

A presto,

LFS

  
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