Christmas
Café
Città illuminata da luci.
Festoni ovunque.
Vetrine illuminate con bambini che indicano questo e
quello, urlando la tipica frase: ‘Guarda mamma! Voglio quello per Natale!’.
Già, Natale. Un nome, un periodo dell’anno. E,
soprattutto, tanti, tantissimi regali.
Troppi.
Guardai il mio portafoglio sconsolata. Vuoto, come
sempre. E se lo era negli altri periodi dell’anno, figurarsi a Natale. Sospirai,
facendo mente locale sui pensierini ‘obbligatori’, cioè i regali per la
famiglia: a mamma una cornice per foto, al nonno una sciarpa fatta da me e a Sota un libro economico fantasy.
“Kagome?”.
“Uhm?”, mugolai, volgendo gli occhi verso la mia
amica Sango che mi accompagnava.
“Continuerò a ripeterti fino alla nausea che se non
hai soldi per i regali posso prestarteli io”, disse Sango
per la nona volta in quella mattina. Io storsi il naso. Ma certo! Adesso andavo
a chiederle ‘Sango, mi presteresti i soldi per
comprare il tuo regalo?’. Deprimente.
“Oh, guarda!”, urlò Sango,
fermandosi di colpo, “guarda quel maglione in vetrina! È perfetto per Miroku”. Miroku. Sì, il fidanzato
donnaiolo di Sango. Perché Sango
aveva un fidanzato, non come me che ruzzolavo nella solitudine amorosa più che
totale. E, oltretutto, stavo morendo di fame.
“Kagome…”, brontolò la mia
amica guardandomi malissimo, “non starai ancora pensando che tu sei ‘la povera
sfortunata senza ragazzo’…”. Distolsi lo sguardo, fiondandomi nel negozio.
“Kagome, non ignorarmi!”,
strillò Sango, inseguendomi. Il negozio era caldo,
non come il gelo che regnava all’esterno, e la commessa, impegnata a leggere
una rivista di gossip, osservò rapidamente le nuove clienti da dietro la cassa.
“Buon Natale”, esclamò allegra, lanciando la rivista
sul ripiano e saltando davanti alle noi due, “posso esservi utile?”. Aveva due
buffi codini rossi, ed era decisamente una youkai. Le
avrei dato… 17 anni massimo.
“Oh, vorrei vedere quel maglione indaco in vetrina”,
esclamò Sango, già dimenticatasi della ramanzina da
farmi, per mia fortuna. Lo shopping era la sua fonte primaria di distrazioni.
“Oh sì, un attimo che glielo prendo…
KOGA!”, strillò verso il retro del negozio, prima di rivolgersi nuovamente alla
cliente, “Scusi, che taglia ha detto?”.
“Credo una media”, ipotizzò lei confusa, “però Miroku è molto alto… forse una large”.
“Glieli porto entrambi, così li vede e… KOGA VIENI ALLA CASSA! … e mi dice quale crede sia
meglio. Come taglia intendo”. Detto ciò la ragazza ridacchiò allegra,
dileguandosi nel retro. Sango la fissò perplessa,
mentre io mi concentravo sul cartellino del maglione.
“Oh mamma”, esclamai, “Sango,
costa una fortuna!”.
“Fa vedere”, disse quella avvicinandosi, “oh, temevo
peggio”. Peggio? Precisamente cosa intendeva Sango
per peggio?!
“Fila alla cassa!”, strillò la voce della commessa
dal retro, mentre un ragazzo si lanciava verso la cassa in questione.
“Sei una pazza isterica Ayame!”,
sbraitò quello, i lunghi capelli neri spettinati in una coda alta smontata, una
fascia calata sulla fronte e una folta coda di lupo che spuntava dai jeans,
“ecco perché i tuoi clienti fuggono”. Io e Sango si
scambiammo uno sguardo preoccupato.
“Se proponi di aiutarmi in negozio fallo bene”, si
lamentò quella, uscendo dal retro con i due maglioni indaco. Sango si avvicinò alla commessa, e cominciarono a discutere
animatamente su taglia, colore, modello, ecc… In
pratica, Sango fece smontare il negozio. Io, cercando
di ignorare la fame, mi concentrai sul ragazzo – youkai
– che si era rifatto la coda alta e sfogliava svogliatamente una rivista di
moto.
“Ah, non sono sicura, forse è meglio una camicia…”, mormorò Sango
indecisa.
“Sango, Miroku non ha la stessa corporatura di questo ragazzo?”,
feci notare, mentre l’interessato alzava lo sguardo turchese su di me per
squadrarmi. Le altre due si illuminarono.
“Koga, provati questo
maglione”, disse subito la commessa.
“Nemmeno morto!”, sbraitò l’altro, “Tutto tranne
questo!”. Ayame lo fulminò, minacciosa. Dopo un breve
momento di silenzio, Koga si alzò rassegnato,
acchiappò il maglione e andò a provarlo. Sango
ridacchiò, mentre la ragazza annuiva soddisfatta. Mi sentii terribilmente in
colpa per lo sfortunato.
“Sei un’ottima osservatrice Kagome”,
si complimentò la mia amica.
“Sarà”, ribattei io, mentre venivo catturata dai
sensi di colpa e la fame aumentava. Alla fine, la mia pancia brontolò
rumorosamente. Sango scoppiò a ridere, facendomi
arrossire terribilmente. Non era colpa mia se non avevo i soldi per una stupida
colazione al bar.
“Dai, Kagome, ti offro la
colazione”, propose lei. Subito brontolai un debole ‘Non voglio’, ma l’altra mi
mise una banconota in mano e mi spinse verso l’uscita. “Qui ne abbiamo ancora
per molto, tu vai a mangiare qualcosa nel bar qui accanto”. Tristemente
sospirai, avviandomi verso il locale. Un piccolo bar dall’aria accogliente, e
un nome semplice: Café.
Il nome più utilizzato dai baristi del mondo. Sbuffai, entrando dalla porta già
spalancata, e sedendomi rapida sul primo sgabello, senza guardarmi attorno. La
gente aveva la brutta abitudine di scocciarmi, soprattutto ragazzi in cerca di
tresca. Avevo l’aria della tipica innocentina
facilmente abbordabile.
“Che vuoi?”, chiese una voce brusca. Alzai lo
sguardo rapida, sorpresa.
“”Ehm… un cappuccino e un
cornetto con la glassa”, sputai tutto d’un fiato. Il ragazzo che mi aveva
parlato stava di spalle, litigando con qualcuno nelle cucine. Feci una smorfia,
sorpresa da quella inospitalità. Di colpo, il ragazzo si girò con un piattino,
e la lasciò scivolare sul marmo liscio fino a me. Era un gesto innaturale,
misurato, inumano. Il mio sguardo,
attirato dal piattino contenente il cornetto, si spostò nuovamente sul barista.
Stava lavando qualcosa, sempre di spalle. Aveva la coda alta, e una cascata di
capelli argentati. Peccato fosse così freddo. La domanda che mi ronzava nella
testa adesso era: chi sta provvedendo al mio cappuccino? Non feci in tempo a
pensarlo che un uomo uscì dalle cucine e attivò la macchina del caffè, tutto
questo nell’arco di 2 soli secondi. I miei occhi si ritrovarono confusi. Vedevo
forse doppio? Scossi la testa, e fissai i due barman. Erano terribilmente
simili, li avrei confusi se il nuovo arrivato non avesse avuto i capelli
sciolti. Anche lui, argentati. Adesso avevo due spalle rivolte a me, e addentai
sconsolata il cornetto, soddisfando i desideri del
mio stomaco. Sentii l’odore del latte, e capì che il mio cappuccino stava
arrivando. Solo, non mi aspettavo che arrivasse in modo così…
brusco. L’uomo si voltò, e sbatté la tazzina sul ripiano, facendomi sobbalzare.
Poi, veloce come era apparso, si ritirò nelle cucine. Fissai sconvolta il
cappuccino. La crema dondolava, ma non era traboccata neppure una goccia. Un
altro di quei gesti tanto misurati da mettere paura.
Ma dove mi aveva mandato Sango?
Il barista con la coda si voltò, e si mise ad
asciugare diversi bicchieri. Teneva gli occhi bassi, coperti dalle lunghe e
folte ciglia. Nonostante non riuscissi a vederne il colore, sembravano
luminosi. Decisi di concentrarmi sul cappuccino, riempiendolo di zucchero come
mio solito. Alla quinta bustina, il barista alzò gli occhi, fissando i resti
delle precedenti bustine, ma non disse nulla. In compenso, mi permise di
rimanere ipnotizzata da due profonde e calde pozze ambra. Un colore
confortante, sembrava nascondere un animo dolce, o forse era solo la dolce
sfumatura miele a dare quest’impressione? Le iridi si alzarono ancora,
squadrandomi. Abbassai gli occhi imbarazzata, e cominciai a gustare la schiuma
del cappuccino. Il calore del latte e del caffè mi risvegliò, rendendomi
nervosa. Dovevo ancora fare i regali, e non avevo uno yen. Come potevo fare?
“Brutto periodo, il Natale”, dissi sconsolata,
girando con il cucchiaino il fondo della tazza, “tutti quei regali…”.
Non ottenni risposta, e continuai. “La mia amica la fa facile, lei è sfondata
di soldi… io arrivo a malapena a fine mese. Non
trovi?”. Il ragazzo alzò gli occhi nuovamente, squadrandomi come prima.
“Che c’è? Non puoi pagare?”. Strabuzzai gli occhi.
“Ma che stai dicendo? Certo che posso pagare!”. Lui sembrò confuso. “E allora
che cosa vuoi?”. Aprii la bocca, ma la richiusi. Volevo solo qualcuno con cui
parlare. Ma era troppo dura ammetterlo.
“Pensavo che vuoi baristi foste abituati a
intrattenere i clienti”, dissi in tono da lamentela. Lui sbuffò. “Non ti ho
chiesto nulla, io”. Sbattei la banconota sul bancone ed uscii, senza dire
nulla. Me ne pentii subito dopo. I soldi erano di Sango,
come facevo con il resto? Ero troppo orgogliosa per rientrare in quello stupido
bar. Avevo poco tempo per pensare, e lo persi a preoccuparmi. Sango uscì dal negozio di vestiti, parlottando con la
commessa.
“Allora ti aspetto alla vigilia!”, si raccomandò Sango. “Contaci, verremo”, confermò l’altra allegra. Fissai
Sango sconcertata.
“Che sta succedendo?”, domandai confusa e scocciata.
Visibilmente scocciata.
“Ho invitato Ayame alla
cena di Natale”. Ayame?
Come aveva fatto ad ottenere una simile confidenza in dieci minuti? E la cena
di Natale non doveva essere una cosa ristretta tra amici? Sbuffai, tenendo per
me i miei pensieri. La festa era di Sango; poteva
fare come voleva, per quel che mi riguardava.
“Kagome, che hai?”.
Ringhiai in risposta. “Niente”. Sango sobbalzò, fissandomi perplessa. “Certo, e il sole
sorge a occidente! Su, si vede da qui che sei arrabbiata”, mi rimproverò, con
il suo solito tono da sorella maggiore. “Niente, ho beccato un barista
antipatico, andiamo?”, sbottai infastidita, prendendole la mano e avviandomi.
Peccato che lei rimase immobile come una roccia. Mi voltai, temendo si fosse
pietrificata, e cercando una Medusa attorno a me, giusto per evitare di fare la
stessa fine.
“Un ragazzo ti ha fatto arrabbiare?”, domandò
incredula. Solo in quel momento capii cosa stava complottando. “Sango, no!”,
precisai subito, ma ormai la sua mente stava volando via col vento. “Oh Kami, La mia gelida ‘povera sfortunata senza un ragazzo’ ha
avuto una reazione scocciata!”. Ok, devo ammettere di non essere molto loquace
con i ragazzi, e di odiare quelli che ci provano spudoratamente solo per
portarti a letto. Lo so benissimo che non sono carina, possono evitare di
prendermi in giro cercando la donna di facili costumi. Ma da questo a gelida!
…
Ok, forse non potevo proprio ribattere. Sango continuava a fissarmi con un sorriso furbetto che mi
preoccupava. Poi filò verso il bar, talmente veloce da lasciarmi impietrita. “Sango”, urlai, correndole appresso. Nulla da fare, era già
entrata e filata al bancone. Senza dire né ‘A’ né ‘B’, aggredì il povero – povero un corno – barista.
“Sei tu che hai fatto arrabbiare…”,
mi prese per il braccio e mi tirò a sé, “questa ragazza?”. Lui mi squadrò con i
suoi occhi ambra – sprecati per una persona così scorbutica – e parlò molto
lentamente. “Io non ho fatto niente. Lei ha preso a parlarmi della sua vita, e
sinceramente non me ne frega nulla”. Alzai gli occhi al cielo, maledicendo
mentalmente la mia depressione post-shopping. Sango,
dal canto suo, continuò a fissare intensamente il ragazzo, come tramando
qualcosa.
Come?
Ho detto come?
Sbagliato. Stava
tramando qualcosa.
“Sei invitato a casa mia per la vigilia!”. Sbattei
la mia mano sulla fronte talmente forte che mi feci male. Lui strabuzzò gli
occhi, prima di scoppiare in una sonora risata. Avrei giurato che avesse la
tentazione di rotolarsi sul pavimento, se non fosse che sul retro del bancone
non c’era spazio sufficiente. Mi accorsi in quell’istante che aveva due tenere
orecchiette da cane, bianche e candide. Un altro di quei segni che avrebbero
dovuto dimostrare un animo sensibile inesistente.
E che lo distinguevano chiaramente come hanyou, e non come youkai. Sango rimase immobile, con un sorrisetto fiero, attendendo
la risposta con una serietà innaturale. Innaturale per chiunque, ma non per
lei. Quando il barista smise di ridere, e si accorse che la proposta era seria,
rispose gentilmente – miracolo, oggi
nevica! – trattenendo ancora le risate.
“Grazie, ma vado ad una festa con un mio amico”,
disse sorridendo ironico. Rimasi abbagliata, per un momento brevissimo.
…
Brevissimo,
ho detto.
Ok, forse non era poi così breve. Dovevo ammettere
che aveva un fascino spaventoso, scatenava in me un’attrazione particolare. Che
mi confondeva. E mi spaventava. Una
reazione normale – mi dissi – davanti ad un uomo così bello. Incuteva un senso
di inferiorità, come tutti coloro che sono imparentati con demoni, ma non
rispetto. Non riuscivo a rispettare una persona talmente maleducata.
“Peccato, volevo conoscere il ragazzo che aveva
smosso Kagome, l’eterna
depressa”. “Sango!”, strillai, prendendola e
trascinandola via. Molto lentamente, per mia sfortuna, dato che lei si
rifiutava di camminare veloce. Ero rossa come un pomodoro, ne ero sicura. Le
guance mi bruciavano, e di una cosa ero certa.
Non avevo mai fatto una simile figuraccia in tutta
la mia vita.
Era il ventiquattro dicembre. Meglio noto come
‘Vigilia di Natale’. Erano le quattro del pomeriggio, e le strade erano
stracolme di disperati. Sì, i pazzi che fanno regali all’ultimo minuto. Corrono
tra i vari negozi, comprando tutto ciò che si trovano tra le mani, al punto che
non sanno più cosa hanno regalato a chi. Un branco di disorganizzati.
Tra questi, c’ero anch’io.
Non perché fossi disorganizzata, ma perché ero
riuscita ad ottenere da mio nonno la grazia di qualche spicciolo solo quel
giorno. E dovevo ancora fare il regalo di Sango.
Stavo morendo di sete, non mangiavo da quella mattina…
insomma, un disastro. Entrai in un
negozio di bigiotteria, alla ricerca di un braccialetto grazioso ma economico.
Incredibilmente, riuscii nell’impresa, comperando un grazioso bracciale a tre
fili, decorati con pietre dure. Sango adorava le pietre,
era perfetto. Uscii dal negozio, ed entrai in un bar, per ordinare un bicchiere
d’acqua. Non avevo soldi per la bottiglia.
“Potrei avere un bicchiere d’acqua?”, domandai
distrattamente, frugando nella mia borsa per farci entrare il pacchetto
ingombrante del negozio.
“Se vuoi bere compra una bottiglia”, disse una voce
scorbutica. Rimasi pietrificata. Quella voce… l’avevo
già sentita. Mi guardai attorno, e riconobbi il bar della settimana precedente.
Quindi… quella voce…
“Oh kami!”, esclamai
sconsolata, sbattendo la fronte sul bancone. Sentii il barista sghignazzare.
Nulla di più fastidioso. Alzai la
testa di scatto, arrabbiata.
“Senti, ma ce l’hai con me?”, domandai, incapace di
sopportare anche il minimo fastidio. Lui mi fissò confuso, per nulla intenzionato,
oltretutto, a prendere il bicchiere d’acqua da me richiesto. “Avercela con te?
Non so neppure chi sei!”. Quale altra risposta può essere più spiazzante? E deludente. Lo fissai sconsolata. I suoi
occhi erano sempre così attraenti ma… insomma, il suo
fisico e il modo di comportarsi non andavano d’accordo! Forse solo le
sopracciglia, sembravano sempre incurvate come a creare un’espressione corrucciata… molto tenera, in effetti. E le orecchiette non
facevano che completare il quadretto. Sbuffai, sedendomi.
“Non ho soldi per una bottiglia, voglio solo un
bicchiere”, brontolai. Forse era meglio così. Se non mi ricordava non poteva
ricordare neppure la figuraccia che avevo fatto a causa di Sango.
E questa era un’ottima cosa.
“Cosa ti fa credere che ti darò l’acqua?”, domandò
provocandomi. Sembrava divertito. Mi chiedevo come quel bar potesse essere
ancora in attività con un barista così antipatico.
Per non parlare di quello che usciva dalle cucine. Raggelante.
“L’acqua è un bene primario dell’umanità, ecco cosa
me lo fa credere”, risposi acida. Lui ridacchiò – strano, mi aspettavo una
rispostaccia – e si rivolse verso il retro.
“Sesshomaru! Un bicchiere
d’acqua!”, chiamò. Mi chiesi perché chiamava qualcuno dal retro quando aveva il
lavandino a due passi e i bicchieri idem. Comunque, lo stesso inquietante
personaggio della volta precedente uscì dalla cucina, prese un bicchiere, lo
riempì e me lo sbatté davanti senza farlo traboccare, per poi sparire. Tutto
ciò in circa… 5 secondi? Il tempo di scorgere una
chioma argentata e uno sguardo tagliente che mi trapassava. Inquietante.
“Che pena, neppure i soldi per una bottiglia”.
Fulminai il barista. Come diamine si permetteva? Mica tutti sono ricchi
sfondati come Sango! E poi, se volevo un bicchiere d’acqua, perché dovevo
comprare una bottiglia d’acqua? Non
erano proprio la stessa cosa!
“Mai pensato di cambiare lavoro?”, domandai perfida.
Lui mi fissò confuso. O forse voleva solo sembrarlo. “Ti vedrei bene come
stozzino”. La sua mascella si irrigidì.
“Ehi, strega! Chi ti credi di essere?”, sbraitò, e
d’istinto mi tirai indietro. Questo era proprio matto! Il primo istinto fu
quello di alzarmi e scappare a gambe levate. E così avrei fatto se non fosse…
“Ehi, Inuyasha! Stai di
nuovo aggredendo i clienti?”. Questa voce mi era mortalmente familiare. Troppo.
Eppure, il mio cervello si rifiutava di identificarla. Ovvio, il mio cervello
stava cercando di proteggermi dalla crudele
verità che mi attendeva.
Altro che strozzini, al mondo c’era qualcosa di
peggio.
Gli amici di
amici.
Era la notte prima di Natale…
Suona come una favoletta
sgradevole. E magari c’è pure Babbo Natale che si cala dai camini e mangia i
biscotti che i bimbi gli hanno lasciato! Che sciocchezze, avevo problemi ben
più gravi al momento.
Come per esempio scoprire che Miroku
era amico del barista-pazzo-furioso!
Il pomeriggio peggiore della mia vita. E,
casualmente, il ‘menomato mentale che aggredisce i clienti’ era stato invitato
alla festa di Sango. Ovvio, l’amico del fidanzato ci
sta sempre! Adesso… d’accordo che il padre di Miroku possiede mezza Tokyo, ma che casualmente possegga
quell’inutile bar e che il barista sclerotico sia il migliore amico del figlio… non c’erano altre spiegazioni, il mondo mi voleva
male.
Oltretutto, l’occhiata maliziosa che mi aveva
lanciato Miroku… una volta varcata la porta della
casa di Sango, mi aspettavo il peggio. Già sapevo che
le nostre ex-compagne delle superiori ci avevano dato buca, quindi rimanevamo
in sei: io, Sango, Miroku,
l’arteriosclerotico e i commessi del negozio di abbigliamento. Insomma, due
coppiette e due single.
Nulla di più diabolico.
Camminavo da sola verso casa di Sango.
Non era molto lontana dalla mia, ma quella notte era mostruosamente fredda. Era
previsto un bianco Natale. Erano
tutti contenti. Tutti tranne me. Odiavo il freddo, odiavo la neve, e
soprattutto odiavo l’uso che si faceva della neve. Sarà che una volta mio
fratello mi inzuppò di quella sostanza bianchiccia fino al midollo e il giorno
dopo stavo a casa con quaranta di febbre. O molto più semplicemente ero una
depressa cronica che non faceva altro che lamentarsi. In quel momento,
ringraziai la voce che mi distrasse dalle mie p… dai
miei contorti ragionamenti.
“Kagome!”. Mi voltai
subito, e vidi Koga e Ayame
che mi venivano incontro. Incredibile, ricordavo i loro nomi e loro ricordavano
il mio. Un record per tre persone che si erano viste per tre minuti in un
negozio una settimana prima. “Anche tu stai andando da Sango?”,
mi chiese la rossa gentilmente. Aveva un grazioso cappellino viola di lana con
pompon in cima. Non mi soffermai sul resto dell’abbigliamento, ero quasi certa
di non poter muovere il collo su e giù, tanto ero imbottita con maglioni e
sciarpe. Koga la seguiva sempre in silenzio, come un
satellite attorno a un pianeta. Avevo l’impressione che ormai si fosse
rassegnato al carattere forte ed aggressivo della ragazza. Un po’ mi faceva pena… o forse mi sentivo ancora in colpa per il maglione.
“Sì, facciamo la strada insieme?”, proposi
gentilmente. Meglio stare in compagnia, data la pessima serata. Magari non
erano il genere di coppia che si infrattava in un
angolo a pomiciare. E così sembrava, dato che Ayame
si mise a chiacchierare animatamente del più o del meno. Era un pozzo senza
fondo, sembrava non esaurire mai gli argomenti, e si interrompeva solo per
chiedermi un’opinione.
“Non trovi anche tu?”. “Sì, certo”. “La neve è
meravigliosa, vero?”. “Umm… non molto”. “Ah no? Io la
adoro! Sai, una volta, quando avevo dieci anni, bla bla bla, bla
bla, bla bla bla…”.
E così via.
Koga,
invece, mi fissava con sguardo ricco di rancore. Lo sapevo, era ancora
arrabbiato per il maglione. Sul serio, non lo avevo fatto apposta! Ero
sovrappensiero e non ho pensato a cosa potevo scatenare con una simile
sentenza, tutto qui. Non ero mica come Sango, che
aveva volontariamente invitato il barista-diversamente-abile alla sua festa! Idem per Miroku. Durante questo mio ragionamento, non mi ero accorta
che Ayame aveva smesso di parlare. Sì, e non solo,
stava fissando Koga con lo stesso sguardo assassino
che avrei fatto io se avessi trovato Sota saltellante sul mio
letto, nella mia stanza.
“Koga”, disse di colpo,
facendoci sobbalzare entrambi, “ti ho beccato”. Il lupo la fissò confuso. “C-come?”. Ayame lo additò, mentre
la rabbia cominciava a trapelarle dagli occhi. “Ti piace Kagome,
non è così? È da prima che la fissi!”.
…
Ok, forse era meglio scappare.
“Io vi precedo!”, dissi subito, e senza attendere
risposta fuggii alla velocità della luce. Sentii solo le urla di Koga, ma ero troppo vigliacca per tornare indietro. Metti
caso che Ayame si arrabbiava pure con me… preferivo fuggire! Arrivai a casa di Sango in cinque minuti, distava solo un isolato da dove
avevo lasciato Ayame e Koga.
Salii gli scalini e suonai il campanello. Strofinai le mani, in attesa che
qualcuno aprisse. Ero arrivata presto, forse ero la prima. Sentii lo scatto
della serratura, e mi voltai.
Feci in tempo a vedere una cosa, prima che la porta
venisse richiusa rumorosamente. Per carità, Miroku
aveva due bellissimi occhi, ma non così belli. Ma di sicuro, nonostante la sua
natura da donnaiolo, lui li avrebbe meritati molto di più. Ringhiai. Stupido
barista deficitario! La porta venne riaperta da Miroku,
che aveva un sorrisino di scuse. Il più falso che mi avesse mai fatto.
“Ciao Kagome! Auguri!”,
disse subito, per rabbonirmi. Ringhiai un auguri a mia volta, ma avevo voglia
di prendergli la testa per sbatterla contro un angolo.
Un angolo appuntito.
Perché riusciva a risvegliare la ragazza sadica che
era in me? Non ero mai stata così violenta. Intravidi due occhi ambra che mi
fissavano infastiditi dall’ingresso del salotto. E lui era lì, bello come un
dio greco, per quanto mi costasse ammetterlo. Aveva jeans neri e una camicia
bianca sbottonata in cima, che lasciava intravedere il petto marmoreo.
Rabbrividii solo a guardarlo, prima di accorgermi che dentro casa faceva
decisamente caldo. Sango doveva aver dato fondo a
tutti i termosifoni della casa. Appuntai nella mia mente di non toccarli per evitare
ustioni di terzo grado. Nel frattempo mi privai della mia sauna ambulante,
rimanendo solo con una maglietta nera a strisce dorate e gonna a pieghe nera,
scaldamuscoli e ballerine. Sul letto di Sango,
adibito a ‘spogliatoio’, erano accumulati due maglioni, zuccotto, sciarpa,
guanti e cappotto modello eschimese durante la tormenta. Sembrava
l’attrezzatura di dieci persone, invece che di una: me. Mi diressi verso il salotto, dove trovai Miroku
e il pazzo mentre attaccavano decorazioni.
…
Diciamo pure solo Miroku,
l’altro sbuffava senza effettivamente partecipare. Insomma, un ospite molto
educato. Come quando faceva il barista. Almeno era coerente. Miroku si concentrò su di me, e si illumino. Brutto segno.
“Kagome!”. Ecco, stava per
fare una richiesta sbagliata. “Perché non aiuti Inuyasha
a finire di decorare la stanza, mentre io aiuto Sango
in cucina?”. Ecco, richiesta sbagliata arrivata. Inuyasha
– ho terminato i vocaboli alternativi con cui definirlo – lo fulminò
immediatamente, ringhiando. Sì, Inuyasha, ti odio anch’io, ma non lo faccio notare
così tanto! Miroku sorrise innocentemente, e si
dileguò. Fissavo un festone a terra, confusa e terribilmente affranta. Perché
lui e Sango dovevano sempre fare così? Mi ricordava
il loro tentativo per farmi fidanzare con Hojo, il
mio migliore amico. Era finito con tanta delusione per lui e diverse crisi
isteriche per me.
“Che dobbiamo fare?”, chiesi infine, rassegnata al
mio destino. Qualcuno da lassù mi voleva molto più male di quanto avessi mai
creduto. Altrimenti non mi avrebbe fatto questo.
Lui sbuffò, indicando i tanti festoni sparsi per la stanza. “Dobbiamo
attaccarli per tutta la stanza”, brontolò, prendendone uno per un capo. Mi
avvicinai, mio malgrado, per prendere l’altro capo, e munita di puntina mi
avvicinai al muro per posizionarlo. Peccato che, quando stavo per conficcare la
puntina nel muro, il capo del festone scivolò via dalle mie mani. Ancora
immobile, come se nulla fosse successo, chiusi gli occhi, cercando di contare
fino a dieci.
Uno.
Due.
Tre, quattro.
Cinque-sei-sette-otto…
Ok, così veloce non funzionava. Spalancai gli occhi,
inclinando la testa lateralmente, e fissando Inuyasha,
che sghignazzava divertito. Era divertente? Ah, sì? Perché a me non faceva ridere affatto!
“Ma insomma, la smetti?”, mi arrabbiai. Lui sbuffò,
uno sbuffo che non avevo mai sentito prima.
“Keh! Sei noiosa”. Noiosa? Avevo sentito bene? Parlava
mister simpatia! Rapidamente attaccò la sua parte di festone, e poi, con uno di
quei gesti troppo veloci, me lo ritrovai davanti. D’istinto arretrai, parandomi
davanti le mani. Lui sghignazzò nuovamente, strappandomi la puntina dalle mani
e attaccando il capo del festone che mi aveva precedentemente tirato via dalle
mani.
“Se non sei portata per i lavori manuali dillo e vai
in cucina, donna”, disse con la sua voce roca. Divenni rossa dai piedi alla
punta dei capelli. Dalla rabbia.
“Ah, è così?”, dissi in tono di sfida, “allora
vediamo chi ne attacca di più!”. Inutile. Non c’era nemmeno da porsi il quesito
su chi avrebbe vinto. Inutile e infantile.
Ma in quel momento l’unica cosa che mi premeva era vincere. Lui sorrise, stuzzicato dalla sfida. Si voltò, prendendo
il festone più vicino, e io feci lo stesso. Mi munii di così tante puntine che
mi feci diversi buchi sul palmo della mano, ma non ci feci caso. Cercavo solo
di essere veloce. Prendi il festone, attacca il festone, prendine un altro e
ripeti. Ne avevo fatti solo tre quando me lo ritrovai accanto, a braccia
incrociate e con un sorrisino divertito e soddisfatto sul volto. Oh Kami, quanto lo odiavo!
Mi morsi il labbro inferiore, con la terribile tentazione di lanciargli addosso
le restanti puntine. Avevo il terribile sospetto che le avrebbe parate tutte.
Ma perché non provare?
Per sua fortuna, suonò il campanello, e seguì la
voce di Sango. La povera Sango
che non avevo ancora salutato.
“Kagome, apri tu?”.
Sbuffante mi diressi all’ingresso, sapendo già chi avrei trovato, e sperando
solo che Ayame non avesse sete del mio sangue. Chissà,
forse potevo usare Inuyasha come barriera umana. Era
un’interessante teoria. Aprii la porta, e rimasi colpita da Koga.
Aveva tutti i capelli arruffati, e diversi graffi. Ayame,
invece, sembrava appena uscita da una rivista di moda. Ora che il mio collo
aveva il dono del movimento, potevo notare che non solo il suo cappello era
grazioso. Tutti gli abbinamenti del suo vestiario erano fatti seguendo le varie
sfumature del viola.
“Ciao, scusate il ritardo”, disse allegra Ayame, con la voce che sembrava imitare le alte tonalità
delle campanelle natalizie. Koga alzò gli occhi al
cielo. Mi fece ancora più pena.
“Guarda guarda chi si vede! L’ammasso di pulci!”. Koga alzò la testa, incrociando gli occhi dorati di Inuyasha. E in mezzo c’ero io. Percependo nell’aria una
strana atmosfera elettrica, mi spicciai a spostarmi. Koga
ringhiò, e sembrò riprendere colorito. Non era più il succube ragazzo di Ayame. Era una persona completamente diversa da quella che
credevo di aver conosciuto.
“Ciao, botolo. Sei stato adottato, per caso?”.
Scoppiai a ridere, mentre Inuyasha sbiancava. Evviva,
un alleato! E non solo, poteva combattere ad armi pari con Inuyasha.
“Non dovresti parlare proprio tu, cucciolotto”,
ribatté l’altro, ma Koga sbuffò, con fare superiore.
“Mi invidi perché tu soffri la solitudine mentre io ho Ayame.
Ti piacerebbe essere chiamato cucciolotto da qualcuna, asociale che non sei altro”.
“Ehi, cerchi le botte?”, sbottò Inuyasha
sfoderando gli artigli. “Nulla di meglio per riscaldarsi dal freddo che fa di
fuori”, ribatté Koga posizionandosi. Sono tutt’ora
certa che, se non fosse intervenuto Miroku, se le
sarebbero date di santa ragione. Ammetto di averci sperato. Vedere Inuyasha a terra implorare pietà era troppo stuzzicante.
“Ragazzi, la casa ci serve ancora, e ci serve
intera”, disse Miroku, mettendo una mano sulle spalle
di entrambi. Inuyasha lo scansò in malo modo, e si
dileguò nel salotto, superandomi. Io, ignorandolo a mia volta, mi diressi in
cucina per trovare la povera Sango. Era immersa in un
enorme tomo di cucina natalizia.
“Auguri Sango”, esordii
sorridente. L’arrivo di Koga e Ayame
mi aveva tirato su di morale. Forse non sarebbe stato così male. La frangetta
di Sango spuntò dal bordo dell’enorme volume
culinario, seguita dagli occhi e dal naso.
“Auguri Kagome! Ti prego
aiutami, Miroku è una frana!”, mi implorò lanciando
il librone sul tavolo, che tremò pericolosamente sotto il peso della
tonnellata. Alzai gli occhi al cielo. Come se lei fosse uno chef! Annusai
l’aria, e mi diressi verso un’enorme pentola sui fornelli. Abbacchio con
lenticchie. Tipico. Però, il profumo era… strano.
“Sango, ma lo hai
girato?”, domandai perplessa. Lei annuì tutta convinta e soddisfatta. Annusai
nuovamente l’odore, che non mi convinceva affatto. “Cosa hai girato?”. “L’abbacchio, che domande!”, rispose lei
sbuffante, dirigendosi nuovamente verso il tomo. Io ebbi la tentazione di darmi
una manata sul volto, ma l’ultima volta mi ero fatta parecchio male, e mi
trattenni. “Sango, le lenticchie”. Lei mi fissò con occhi confusi e innocenti. “Le
lenticchie. Devi girare anche quelle!”, sbraitai. La mia amica sembrò
illuminarsi, e corse verso la pentola. “Si sono tutte attaccate!”, si disperò
la ragazza, mentre io la scansavo, togliendo l’abbacchio dal fuoco e cercando
di scrostare le lenticchie bruciate con un cucchiaio. Non ci riuscii più di
tanto, ma almeno era mangiabile.
“La tavola è apparecchiata?”, domandai, sentendo
rumori sospetti provenire dal salotto. “Sì, ci starà pensando Miroku con Ayame e Koga”. Bene, ora ero proprio rassicurata. Quanti cocci
avremmo trovato sul pavimento? Ah, sì, lo sapevo. Troppi. Ci avviammo con la pentola, sperando di trovare almeno
un’asse di legno. Incredibilmente, dovetti ammettere che con Ayame che faceva da dittatrice nella stanza si riusciva a
mantenere l’ordine. Miroku stava raccogliendo i cocci
di un portacandele di ceramica, ma sembrava l’unico oggetto infranto.
Almeno per ora.
“Ah, che bella mangiata!”, esclamò Ayame sbragandosi sul divano. Ancora la fissavo sconvolta.
Mai vista una persona così esile mangiare così tante cose. Mai. Da sola aveva ingurgitato due panettoni, un torrone bianco e
uno nero e un pandoro. Questo, ovviamente, esclusa la cena. Non ebbi il tempo di riprendermi dallo shock che la ragazza
scattò in piedi, additando un punto imprecisato.
“Guardate!”. Seguii la linea immaginaria prolungata
del suo dito. “Nevica”. Oh cavolo, nevicava davvero! Mentre maledicevo i kami, Sango e Miroku
proposero in coro ciò che più temevo. “Usciamo a giocare!”. Presi un respiro
profondo. Forza Kagome, magari la neve non si è
accumulata e non ci sarà alcuna battaglia con palle bianchicce e fredde. Ma ero
poco convinta, data la mia recente sfortuna. Infilai nuovamente il mio kit
antigelo, e mi diressi alla porta. Dove trovai, ovviamente, la cara sostanza bianchiccia che copriva ogni cosa che
poteva essere coperta. Ringhiai, e Inuyasha
sghignazzò, probabilmente intuendo il motivo del mio disappunto. E questo non era un bene. Ma, per mia fortuna, io
non fui la prima colpita. Bensì fu Sango. Senza
sapere come e quando, Miroku era riuscito ad
accumulare a nostra insaputa una bella dose di neve, e l’aveva schiantata
contro la spalla della ragazza.
La reazione fu impressionante.
E inquietante soprattutto.
Si immobilizzò, tanto che io e Ayame
tememmo che la neve l’avesse congelata. Poi, molto lentamente, assottigliò lo sguardo sul fidanzato,
che smise di sganasciarsi dalle risate per rimpiazzarle con un’occhiata
preoccupata. Sango dischiuse le labbra, espirò con
uno scatto mantenendo il petto immobile, e solo allora parlò:
“Ragazze contro ragazzi. E, soprattutto, vendetta”. La sua voce era un sibilo,
mentre i suoi occhi si assottigliarono a tal punto da impedirmi di scorgere
l’iride scura. Ayame urlò di gioia, e corse a
costruire un muro di difesa, mentre io mi pietrificavo. Oh no. No! Cosa avevo fatto di male? Ora anche Sango! La mia amica mi scosse, per impedire alla neve di
accumularsi sul mio zuccotto panna. Corsi dietro al muro di neve, sperando che,
accumulata in quel modo, anche quella inutile sostanza ghiacciata potesse dare
un senso alla sua esistenza. Inuyasha sghignazzava
felice, mentre Koga sembrava preoccupato. Miroku era terrorizzato.
E lo capivo, io stessa ero terrorizzata alla vista di Sango
che accumulava munizioni ridendo maligna. Per tutto il giardino si sentivano i
suoi ‘Muahahah’.
Rabbrividii, mentre facevo anche io qualche palla di neve, per pura autodifesa.
Poi, con un urlo di guerra di Ayame, la battaglia
cominciò. Rimasi raggomitolata dietro al muro, passando le munizioni alle mie
compagne di guerra. A quanto pare Ayame aveva
costruito un muro resistente, perché non cedette neppure sotto i vari
bombardamenti.
“Dobbiamo rubargli le munizioni!”, urlò Miroku disperato, prima che io sentissi il suo respiro
soffocato da un tonfo sordo. “Ah!”, festeggiò Sango,
ridendo come una pazza. “Non ti farò passare!”, urlò Ayame,
che cominciò a bombardare il povero Koga. Feci un
respiro di sollievo. Le mie compagne erano sufficientemente agguerrite per fare
a meno di me. Il mio cervellino congelato impiegò troppo tempo per notare che
in due potevano occuparsi di due nemici. E che io, la terza, non ne avevo. Ma, come ho già
precisato, la mia materia grigia scarseggiava in quel momento, e realizzai il
concetto solo quando la sua fastidiosa voce roca mi raggiunse.
“Ehi, depressa cronica”. Stupidamente, molto stupidamente, sollevai lo sguardo
sull’albero dietro al muro di difesa. E lui era lì, solo con un cappotto nero corto
aperto sul davanti – congelai solo a guardarlo – e sorrise maligno, tenendo tra
le mani il mio nemico invernale. Prima che potessi muovermi – o realizzare che lui si era mosso – mi ritrovai la faccia
ricoperta di neve. Mi tolsi il grosso con un gesto secco delle mani, sentendo
la rabbia crescere. Adesso capii la reazione di Sango.
Solo che essere colpite in faccia era molto peggio.
Mai Miroku si sarebbe azzardato a fare una cosa del
genere. Presi un respiro profondo per calmarmi – inutile – e lo fulminai con i miei occhi nocciola. Stava ridendo
come un matto, in equilibrio come mai io sarei riuscita a stare su quel
fuscello. Ma non importava la cosa peggiore è che stava ridendo. Sarebbe piaciuto anche a me ridere, se non fosse che
sapevo benissimo che non c’era nulla da ridere. La sua bocca spalancata mi
tentava troppo. Volevo imbottirla di neve come un barile. E, non appena questa
idea attraversò la mia mente, la feci. Utilizzai una delle mie palle di neve
‘scorta personale’, e lo presi in pieno, facendolo cadere dall’albero. Uhm,
sembrava funzionare come antistress, mi stavo quasi divertendo. Sango mi guardò, sbalordita, trovandomi in piedi fuori
dalle mie difese. Chiunque si sarebbe preoccupato della salute di Inuyasha caduto dall’albero. Chiunque, non io. Presi
tra le braccia altre munizioni, e mi avvicinai minacciosamente verso il ragazzo
steso a terra, sbigottito e sorpreso.
“Adesso tocca a me ridere”, sghignazzai. Lui deglutì
– che soddisfazione vederlo nel panico – e scattò in piedi con uno di quei
movimenti troppo veloci. Subito lanciai un’altra palla di neve, ma questa lo
prese solo di striscio sulla spalla. Koga mi fissò,
divertito, e lanciò anche lui una palla a Inuyasha,
prendendolo sulla schiena.
“Ehi!”, strillò Inuyasha,
fermandosi per protestare verso il compagno che lo aveva appena tradito. Pessima scelta. Se in tutta la mia vita
avevo mai avuto un pregio, questo era la mira.
Lanciai tutte e tre le mie munizioni, una di seguito all’altra, prendendolo sul
fianco, sulla spalla e – vendetta
tremenda vendetta – nuovamente sulla faccia. Lui si voltò verso di me con
sguardo truce e omicida, mentre io sorridevo beata.
“Inuyasha, arriva la
cavalleria!”, urlò Miroku, prendendomi di mira. “Ayame, copri Kagome!”, gridò
subito Sango, cominciando a scatenare una pioggia di
palle di neve su Miroku. Ayame
urlava come una forsennata, scatenando la sua ira demoniaca sul povero ragazzo.
Per quanto riguarda Koga… bè,
lui era dalla mia parte. Massacrammo Inuyasha, che si ritrovò con la camicia tutta inzuppata –
ecco cosa succede a tenere il cappotto aperto
– i capelli pure e le orecchie congelate. Stavo ridendo come mai nella mia vita.
Mai mi sarei immaginata che Inuyasha, innocuo com’era al momento, potesse
essere così divertente. Oltretutto concentrava la sua attenzione su Koga, cercando di difendersi da lui come poteva, mentre io
continuavo la mia vendetta. Questo finché non finirono le munizioni. Poi,
distrutta, mi lasciai cadere sulla neve. Ero comunque tutta bagnata – Inuyasha si era difeso male, ma si era difeso – quindi
tanto valeva riposare su qualcosa di soffice. Inuyasha
si mise a brontolare sull’albero, gambe a penzoloni mentre Miroku
e Sango parlavano tra di loro, nuovamente
rappacificati. Ayame, mentre ballava per conto suo
tracciando curve sulla neve, guardò casualmente l’orologio.
“ARGH!”, urlò di colpo, facendomi sobbalzare, “Koga, è tardi! Dobbiamo andare di corsa!”. Il ragazzo
annuì, distraendosi dal suo hobby – sfottere Inuyasha
– e si avviarono a salutare Sango e Miroku. Anche io mi alzai in piedi, per salutarli. Ayame mi aggredì, abbracciandomi e facendomi promettere
solennemente di uscire di nuovo in trio con lei e Sango.
Salutai anche Koga, e i due si avviarono sulla
strada. Li seguii per qualche secondo con lo sguardo, quando sentii un suono
sospetto. Il suono di una porta.
“Sango!”, strillai, già
temendo il peggio. Inuyasha fissava la porta chiusa
terrorizzato tanto quanto me. Ci avevano chiuso fuori? “Sango,
apri la porta!”, strillai avvicinandomi, mentre anche Inuyasha
scendeva dall’albero e mi seguiva. La sentii ridere da dietro la porta. Attesi
una risposta, battendo nervosa il piede a terra, e cominciando a sentire
notevolmente il freddo. Avevo la tentazione di ringhiare, ma temevo fosse
controproducente. Inuyasha mi affiancò, con le
orecchie congelate e sguardo infastidito.
“Non entrerete finché non rispetterete la tradizione
natalizia!”, urlò Sango dall’interno. Io inarcai un
sopracciglio, confusa. “E quale?”. Sentii risatine maligne dall’interno. Bene, dovevo preoccuparmi. “Guarda in alto!”,
disse la voce di Miroku. Chiusi gli occhi,
terrorizzata. No. No! Non potevano
farmi questo! Guardai lentamente verso l’alto, speranzosa, ma subito vidi le
mie speranze correre via salutandomi con la manina.
Vischio.
Stupido e verdissimo vischio. Stupide tradizioni anglosassoni. Chi aveva deciso che il
vischio era la pianta della dea dell’amore Freya?
Perché l’avrei cercato per tutto il globo e l’oltre mondo per disintegrarlo, distruggere ogni singola
molecola, ogni singolo atomo così che non rimanesse di lui neppure un granello
di polvere! Inuyasha ringhiò. Un ringhio talmente
selvaggio da terrorizzarmi. Sentii il silenzio oltre la porta.
“Miroku, se non apri entro
dalla finestra”, minacciò. Miroku sbuffò
tranquillamente. “Sono tutte chiuse”. Alzai gli occhi al cielo. Era ovvio che
intendeva che sarebbe entrato dalla finestra sia che fosse aperta o chiusa. Inuyasha ringhiò nuovamente, distraendomi. Quel lato di lui
mi spaventava. Miroku
sospirò. “Inuyasha, se scheggi un solo vetro, ti
licenzio”. Inuyasha raggelò e sbiancò, divenendo
dello stesso colore della neve. “Non oserai”, mormorò poco convinto. “Certo che
sì!”. Era ovvio che non l’avrebbe fatto, quindi mi aspettavo di vedere Inuyasha correre verso la prima finestra. E, invece, con
mio enorme stupore, il ragazzo indietreggiò, sedendosi rassegnato sui gradini.
“E allora fammi un fischio quando intendi aprirmi”, sospirò sprofondando la
testa tra le ginocchia e le braccia incrociate. Lo fissai sconvolta. E si
arrendeva così? Non avevo parole, ma
mi sedetti anch’io accanto a lui. Non intendevo certo rispettare la tradizione.
“Ecco cosa stavano complottando”, disse Inuyasha improvvisamente. Sobbalzai, fissandolo. “Come?”.
“Prima complottavano”. Lo fissai tra l’arrabbiato e lo sconvolto. Possibile che
con l’udito che aveva non avesse sentito? “A che ti serve il super udito se non
per queste cose?”, mi lamentai subito, sbuffante. Poi capii. “Ehm…”, cominciò lui, per poi ignorarmi. Forza. Dillo!
Ammetti la tua debolezza! Avevi le orecchi congelate e non potevi sentire bene.
Ammetti! Ma lui rimase zitto, e mi
rassegnai anche sotto questo punto di vista. Fissai solo sconsolata le sue
orecchiette, tremolanti e con numerosi ghiaccioli luccicanti formatasi sul pelo
bianco. Sbuffai, togliendomi lo zuccotto e lasciando liberi i miei capelli, per
metterlo in testa a lui. Mi fissò bieco, ma non si spostò.
“Che stai facendo?”, domandò scontroso. “Copriti le
orecchie”, dissi tranquillamente, per poi aggiungere, “è l’unica cosa carina
che hai”. Lui ridacchiò – strano da parte sua – e sospirò. Ero sicura che
stesse morendo di freddo, anche se non l’ammetteva. Era un hanyou,
non una divinità celeste scesa in terra. Mi alzai, dirigendomi verso la porta.
Adesso basta.
“Sango, apri subito!”,
urlai. Lei ridacchiò crudele. Non c’era nulla di divertente. Cominciai ad innervosirmi sul serio. La mia amica non
poteva volere questo! Non se mi voleva bene. Era pur sempre un barista pazzoide
e schizzato! Poi, lo schizzato in questione scattò in piedi, e fulminò la
porta.
“E va bene!”, strillò trattenendo i tremori per il
freddo, “Avete vinto voi!”. Mi pietrificai. Come come?
Vinto loro? Come poteva deciderlo senza sapere anche la mia opinione? Mi guardò, avvicinandosi pericolosamente. Sango e Miroku, da dentro,
urlarono vittoriosi. Io arretrai, ma trovai la porta dietro di me a bloccarmi.
“Inuyasha”, sputai
terrorizzata, “non pensarci neppure”. “Tu pensa a stare ferma”, disse lui serio
e concentrato. Mi prese la testa tra le mani, mentre mi dimenavo. “Mollami!”,
strillai impanicata, cercando di ritrarmi. I suoi
occhi ambra erano terribilmente vicini, troppo.
“Stai ferma”, ringhiò lui, aumentando
il mio terrore. In compenso, spaventata a morte, mi immobilizzai. Si avvicinò –
mi resi conto di quanto fosse più alto di me – e io chiusi gli occhi
istintivamente, inclinando la testa verso il basso. E lui, stranamente, me lo
lasciò fare. Sentii le sue labbra calde sulla fronte, per un attimo brevissimo,
e poi il freddo della notte innevata tornò a colpirmi più di prima, ora che
potevo notare il contrasto. Aprii gli occhi, fissandolo sbalordita, ma lui era
concentrato sulla porta.
“Bene, e adesso aprite!”. Ci fu un lungo silenzio. “Inuyasha, così non vale!”, strillò Miroku
dall’interno. L’altro sbuffo un ‘e va bene’, e si diresse minacciosamente verso
la finestra più vicina. “Argh!”, urlò Sango dall’interno, “va bene, va bene, apriamo!”. Inuyasha sorrise soddisfatto, tornando indietro, ed
entrando tranquillamente dalla porta spalancata da Sango.
Io fissavo ancora il punto in cui l’avevo ritrovato una volta aperti gli occhi.
“Kagome?”. “Mhm?”, risposi imbambolata. “Stai bene?”, domandò Sango confusa. Io annuii lentamente. La mia amica alzò gli
occhi al cielo, e mi tirò dentro al caldo, portandomi nella sua stanza. “Non ci
sai proprio fare con i ragazzi”, commentò. Io annuii nuovamente, sembravo
incapace di parlare. Già, Sango aveva ragione.
Ma, in fondo, questo Natale non era così male.
E nemmeno lui.
Ecco la mia shottina per il concorso! XD Auguratemi buona fortuna per i risultati! *incoraggiamento spirituale XD*
Allora, volevo postarla ieri, dato che è ambientata nel periodo della vigilia, ma purtroppo non ho avuto la possibilità di chiedere a Roro *una delle organizzatrici del contest assieme a kade e celina* se potevo metterla prima dei risultati >___>
Lasciatemi tanti commentini natalizi, a Natale sono tutti più buoni, e si può fare di più! *___*
Aryuna
The
End