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Autore: Sebs    18/04/2015    2 recensioni
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"Sentiva il suo nome, quello di Bellamy, riempirle i polmoni. Voleva gridarlo, fermare tutti per avere il tempo di cercarlo e trovarlo.
Che stupida idea, credere che un abbraccio potesse legare a sé una persona per sempre. Che potesse rendere il pezzo di cuore che aveva rubato e che andasse via, con la stessa prepotenza con cui lo aveva seminato."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non poteva guardare.

Lì intorno c'erano solo segnali della sua disfatta. Non riusciva a vedere bene cosa stesse succedendo nei confini di Camp Jaha. C'erano solo urla, e fumo. La paura le riempiva gli occhi e non sapeva neanche come aveva fatto, cosa aveva potuto fare di così grave a Lexa da scatenare i Grounders contro il suo popolo. Sapeva solo che le sue gambe non sarebbero state abbastanza veloci da salvarli tutti.

Octavia e Lincoln furono i primi che vide. Fieri come un leone e una leonessa che difendevano gli altri, pronti a tutto.

Raven, doveva essere lei. Era in alto, in una specie di vedetta e sparava con un'arma che doveva essere più alta di lei. Clarke si concesse di ridere, ma non lasciò che le lacrime che le riempivano gli occhi uscissero. Non era sicura che sarebbe riuscita a controllarle.

Non vedeva nessun'altro.

Bellamy.

Doveva cercare Bellamy.

Continuava a ripetersi il suo nome, come se lui potesse sentirla e andarle incontro. Trovò un piccolo strappo nella rete e ci si infilò. Non voleva essere notata, non sarebbe stato difficile con tutte quelle persone e i suoi vestiti erano abbastanza anonimi.

Sentiva il suo nome, quello di Bellamy, riempirle i polmoni. Voleva gridarlo, fermare tutti per avere il tempo di cercarlo e trovarlo.

Che stupida idea, credere che un abbraccio potesse legare a sé una persona per sempre. Che potesse rendere il pezzo di cuore che aveva rubato e che andasse via, con la stessa prepotenza con cui lo aveva seminato.

Corse in tutte le direzioni, cercandolo. Evitando di essere vista dagli altri. Si sentì tirare un braccio e si preparò a sferrare un pugno a colui che si era messo in mezzo. Quello evitò il pugno prendendolo in una mano.

"Calma, Principessa."

"Oh mio…"

La guerra continuava lì intorno. I Grounders avanzavano e guadagnavano terreno. Clarke guardò i visi dei ragazzi a terra, cercando di non ricordare i loro nomi.

"Clarke," disse Bellamy, prendendo il viso tra le sue mani. "Guarda me."

Clarke obbedì, ma riuscì a vedere solo il sangue di Bellamy che gli copriva i tratti del. Era suo? Aveva già visto Bellamy sanguinare, ma non era mai stato così reale, mai così definitivo.

Bellamy le abbassò appena il viso e le baciò la fronte. Clarke non se ne accorse quasi. "Vieni."

Le prese una mano e con l'altra maneggiava un bastone, facendosi spazio tra i soldati. Dalla loro o dalla parte avversa, ormai non aveva senso.

S'infilarono nella crepa di una parete e Clarke si accorse che erano al chiuso.

"Va meglio, Clarke? Clarke?"

Lei si asciugò gli occhi, scivolando e sedendosi a terra. "… colpa mia, Bellamy. Tutta…"

"Non lo dire neanche, Clarke. Se non fosse per te, nessuno di quei ragazzi sarebbe vivo."

"Metà di loro sono morti, Bellamy"

"Non sarei vivo neanche io, Clarke. Mi avrebbero ucciso per aver sparato Jaha. Clarke, Octavia sarebbe sola, adesso, se non fosse per te."

"Octavia sta bene."

Bellamy sorrise, accarezzandole il viso. "Sì, sta bene. Octavia è diventata una roccia."

"Quello è merito tuo, Bellamy."

Bellamy abbassò lo sguardo e sorrise appena. Clarke si accorse che gli stava tremando il labbro, ma non disse nulla. Poggiò una mano su quella di Bellamy. Se quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita, lo avrebbe passato a combattere con lui. Era l'unica cosa sensata da fare, l'unica possibile e l'unica che Clarke volesse fare.

"Dobbiamo andare."

"Clarke…"

Non voleva guardarlo. Vedere la sua stessa espressione nei tratti di Bellamy. Vedere i suoi occhi riflettere il suo viso, i suoi occhi che le parlavano senza dire niente.

Non voleva guardarlo perché non voleva sapere cosa stava per dire. Sapeva cosa stava per dirle.

"Clarke, se dobbiamo andare a morire, lì fuori…"

"Bellamy…"

"Sono felice di non morire da solo, Clarke. Sono felice di morire vicino a te."

"Bellamy…"

"Che tu sia qui, Clarke. Anche se hai fatto una bella cavolata a tornare."

A Clarke scappò una risata. Guardò Bellamy, che sorrise con lei.

"Credevo che avrei dovuto ammazzarti appena scesi sulla Terra."

Clarke gli passò una mano sul viso con la manica della maglia, pulendolo dal sangue. "Meglio, non averlo fatto."

Gli guardò negli occhi.

"Già," disse, avvicinandosi appena. "Clarke… Io…"

Clarke sentì il cuore batterle all'impazzata. Non era niente che avesse mai provato prima. Finn, sebbene non fosse lontano nel tempo, non era paragonabile a Bellamy. Le mani di Bellamy che le sfioravano il viso, la sua voce rotta, gli occhi che cercavano i suoi. Era un legame troppo forte, era tutto ciò che fermava Clarke dall'andare a vendicare tutti i suoi ragazzi a terra.

Qualcosa colpì la parete dietro cui erano nascosti.

"Andiamo," disse lei, alzandosi in piedi. Bellamy la precedette, affacciandosi nella crepa.

Potrei morire. Potrei davvero morire.

"Bellamy…"

Bellamy si girò, porgendole una mano per farle strada. Lei prese il suo braccio e lo avvolse intorno a sé, aggrappandosi a lui, come se rischiasse di annegare. "Devi sopravvivere, Bellamy."

Lui  annuì, serio, e poggiò la fronte su quella di Clarke.

"Ho bisogno che tu sopravviva. Perché io…"

Bellamy poggiò le labbra su quelle di Clarke, piano. "Lo so. Lo so, Clarke. Ti prego, non dirlo adesso. Non così."

Lei annuì, e Bellamy le sfiorò ancora le labbra con le sue.

"Ci incontreremo ancora, Bellamy," disse lei, prima di cedere al suo bacio. Lui la strinse a sé, come la prima volta, come quando non riusciva a credere al suo corpo, circondato da quello di Clarke, mentre tutti li guardavano.

Baciare Bellamy, che idea strana era. Sembrava baciare una parte di sé, o un sogno. Era come quando sogni di volare, quando nulla esiste davvero e nulla può farti male. Era un sogno di un disperato, di qualcuno che non può permettersi il lusso della speranza, ma che non può farne a meno. Bellamy era questo: era lei stessa, il suo sogno e la sua grande speranza.

Le asciugò le guance dalle lacrime e le chiese se era pronta. Poi la lasciò libera e la vide uscire alla luce del sole.

Se doveva morire, morire al fianco di Clarke sarebbe stato l'unico modo in cui avrebbe voluto morire al mondo.

  
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