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Autore: Scarli    19/04/2015    0 recensioni
Se mi piaceva stare in compagnia? Chiedetelo alla moltitudine di persone di cui mi circondavo ogni giorno. Mi chiedevano foto, autografi e, addirittura, se potevano darmi un bacio. Questa è la vita di un quarterback. La mia vita.
Credevo mi piacesse vivere così. Pensavo che questa era la felicità.
Mi sbagliavo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Non ero un appassionato di moto come, del resto, gli altri ragazzi della mia età. Ma una cosa in comune l’avevamo: il football. Mio padre era l’allenatore della squadra di Knoxville quindi non potevo non diventarne il quarterback.
 ‘’Sono fiero di te’’ mio padre lo ripeteva in continuazione. Io gli credevo. Questa era la strada che lui voleva che io intraprendessi.
Mi chiesi se questo era l’unica cosa di importante nella vita. Certo poi venivano le ragazze, le feste e l’alcol ma continuavo a chiedermi se avevo tutto. I miei pensieri smisero di farmi impazzire quando la mia ragazza mi telefonò per la centesima volta.
Lei mi piaceva davvero, aveva tutto quello che un ragazzo poteva desiderare. Era bella, che dico, bellissima, si vestiva alla moda, era solare ed era la ragazza più popolare della scuola. Ma era ossessiva. Se non le mandavo più di 1000 messaggi al giorno cominciava a farsi paranoie su noi due o a preoccuparsi che non mi fossi fatto male giocando a football (se capitava, e, per fortuna, non mi era mai capitato, era davvero imbarazzante e si diventava l’argomento preferito per almeno un mese). Dopo due lunghe settimane di quella che credevo una relazione capii che la sua teoria era ‘’puoi male dove vuoi, fatti investire, gettati da un ponte ma guai a te se ti succede qualcosa giocando a football’’. Okay, non diceva davvero così e sono consapevole del fatto che forse ho esagerato un po’ ma lei era davvero pazza.
Questa era la parte brutta della vita: le ragazze intelligenti erano le sfigate, le più belle e popolari facevano parte delle ragazze senza cervello, erano le così dette ‘oche’ o almeno così avevo sentito dire un giorno da una ragazza dietro di me in classe. Cominciai a ridere a crepapelle e la professoressa Bell mi mandò dal preside. Il preside non aveva molta influenza nella mia vita: il signor Blonde era un vecchio amico di mio padre e gli doveva molto perché oltre ad essere il nostro coach era anche il finanziatore della squadra. Comunque quel giorno, raccontando l’episodio al preside, si mise a ridere anche lui.
-Signor Austin vada immediatamente dal preside- le fece il verso. . Era un uomo falso, si vedeva lontano un miglio, ma per l’amore dei soldi era pronto a recitare, anche male.
Ritornando alla mia ragazza ‘oca’ alla fine decisi di rispondere.
-BENJAMIN  LUOIS  AUSTIN- era incazzata nera, non usava mai il mio nome per intero -Spero tu abbia una spiegazione-.
-Sasha stavo solo dormendo- mentii.
-Oh in questo caso scusa- continuammo a parlare del più e del meno fino a quando non fece buio. Il mio pensiero su di lei continuava e decisi che avrei fatto il più possibile per farmi odiare. Nel  frattempo non feci altro che dormire.
Sognai. Sognai di essere in una casa al mare, bianca, più precisamente. Era una casa bellissima, contornata da uno steccato verde con una serie di rampicanti da cui spuntavano rose rosse. Esse erano da per tutto: sui davanzali delle finestre, sul prato, e perfino in un campo, poco lontano dalla casa bianca, interamente ricoperto da piantagioni di rose rosse. Alla finestra si affacciò una ragazza. La figura era sfocata. Il viso era un miscuglio di colori, così come il resto. Una cosa sola si riusciva a distinguere: una rosa rossa. Ella avvicinò il fiore al viso. Per annusarla, pensai. Questa  era la fine del sogno.
Erano le 4.00 del mattino, avrei dovuto dormire, l’indomani ci sarebbe stata la scuola. Questo pensiero non cambiò niente e continuai a riflettere sul sogno. Molti credono che i sogni abbiano un significato. Non era il mio caso, mi dissi. Non voleva dire niente quel sogno. Le rose rosse le odiavo pure. Non c’era connettivo logico fra me e le rose. E poi quella fanciulla dietro al davanzale della finestra. Era tutto diverso da come ero io. Il bianco è un colore puro, lo studiai quando ero piccolo. Io non ero puro, gli sfigati lo erano. Noi eravamo gente complicata. Il rosso comunque è pur sempre il colore del sangue. E se il sogno volesse dire qualcosa? E se mi succedesse qualcosa di grave? Furono le mie domande. Smettila Ben, mi dissi.
Cominciai a disegnare una rosa rossa nel mio quaderno per i disegni. Disegnare era la mia passione segreta, tutti ne avevano una no? Comunque all’opera finita mi chiesi perché l’avessi fatto. Non volevo dimenticare questa notte, tanto meno il sogno. Questa fu la risposta a me stesso.
 
   
 
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