1] Shiroi kiba
La bottiglietta di sakè rotolò varie volte sul pavimento, attraversando la stanza in uno strano movimento semicircolare, prima di fermarsi a causa dell’impatto flebile col muro.
Fortuna che era vuota
Sfortuna che il suo contenuto si stava agitando nel suo stomaco sottosopra e gli faceva desiderare tremendamente un cesso in cui vomitare.
Provò a muoversi, ma il senso di nausea incrementò a ogni spostamento; così decise che tutto sommato forse era meglio restare spaparanzato in qualche modo sulla vecchia poltrona del soggiorno a guardare lo spicchio di cielo stellato che si vedeva dalla finestra.
Gli girava la testa, ma non abbastanza. Non abbastanza da riuscire a scordare e potersi lasciare andare all’oblio, smettere di essere l’eroe disonorato e potersi finalmente concedere il lusso di essere un uomo sbronzo. Perché nella mente continuavano ancora turbinargli, imperterrite, lampi d’immagini quasi troppo vive per essere solo ricordi.
Così Sakumo ha take si arrese: afferrò l’ennesima bottiglia, la stappò con una rotazione secca del polso, e se la incollò alle labbra mentre gli ultimi scampoli della sua coscienza ripercorrevano minuziosamente, secondo per secondo, immagine per immagine, quella missione maledetta.
Ricordava. L’odore del bosco in cui s’erano accampati. Il crepitio del fuoco che avevano acceso per scaldarsi, l’ululato lontano di un lupo solitario, le risate e le battute che circolavano tra i ragazzi, per tenersi caldi e svegli. Il risveglio nella neve, la partenza ordinata verso l’obbiettivo.
E poi il fischiare di uno shuriken. La macchia rossa che si era aperta sul collo di Yoshinori, lo sguardo spaventato di Chisako, la corsa frenetica verso un riparo, il kunai che saltava alla mano quasi dotato di volontà propria, quel grido
“Shiroi Kiba!!”…
E un istante dopo la decisione di tornare indietro, abbandonando la ricerca di quel rotolo maledetto che avrebbe salvato il villaggio da una guerra certa ma che non avrebbe risparmiato la vita di quei ragazzi dagli occhi pieni di terrore e dal sangue caldo che colava dalle ferite.
Precisamente, dove diavolo stava l’errore che aveva commesso?
Perché c’era da qualche parte, un errore. Altrimenti non si spiegavano i commenti velenosi, i bisbigli, le accuse implicite nelle parole degli anziani sull’esito di quella spiegazione. Non si spiegava lo sguardo di rammarico e di scusa presente negli occhi del Sandaime ogni volta che si presentava al suo cospetto.
Era stato così sbagliato aver salvato la vita a quei cinque ragazzi, invece di mandarli tutti a morte certa come carne da macello?
Un cigolio improvviso lo strappò dalle sue elucubrazioni e lo trasportò violentemente alla realtà; assottigliò gli occhi neri per tentare di inquadrare nella sua visuale sfocata chi cavolo era il disturbatore della sua quiete
Il cigolio si ripeté, accompagnato da un tonfo, e dallo sfreghìo di una chiave della porta. Poi, una figura opaca attraversò in diagonale la stanza, rapidamente, arrivando di slancio alla porta del corridoio sperando di non venire fermata. Per sua sfortuna, Sakumo aveva conservato un decimo di vista
-Ka..Kakashi?- chiamò, con voce strascicata –dove diavolo sei stato, fin’ora?-
La figura parve tremolare per qualche istante, quasi fosse indecisa su cosa fare, poi traballando vistosamente si girò
E Sakumo incontrò ancora quegli occhi neri e ardenti così simili a quelli che aveva avuto una volta. Quella zazzera argentea che era simile alla sua.
Ma non vide i suoi lineamenti, non vide il suo sorriso, non vide la sua espressione. Pensò che il sakè giocava davvero dei brutti scherzi, ma più si sforzava più non vedeva
Da quando suo figlio indossava una maschera?
Da quando suo figlio lo guardava con odio?
-ad allenarmi, padre. Tra una settimana ci sono gli esami di selezione-
Tacquero entrambi, Sakumo nel tentativo di riprendere aria e riuscire a rispondere a tono, Kakashi in attesa di una qualsiasi reazione lucida, una reazione che gli ricordasse che quell’uomo dal viso distorto e lo sguardo spento era ancora la zanna bianca di Konoha. Poi, stanco, aprì la porta e sparì nella sua camera quasi fosse stato inghiottito dalle tenebre
Dal salotto, Sakumo deglutì a fatica lottando contro il terrore.
Kakashi aveva sei anni. Aveva solo sei anni. E on era passato neanche un anno da quando si era diplomato all’accademia. Non erano passati neanche sei mesi da quando suo padre si era rovinato con le proprie mani ed era scivolato in quel nero tunnel di depressione. Come poteva un bambino di soli sei anni, per quanto dotato, geniale e brillante, aspirare a diventare chunnin e passare l’intera serata ad allenarsi in mezzo alla neve?
Boccheggiando ancora, Sakumo trovò la forza di alzarsi in piedi, arrivando davanti al calendario appeso alla parete. Facendo appello a tutta la sua forza e alle sue riserve di chakra, concentrò la vista scorrendo lo sguardo sulla lista di numeri
Poi, silenziosamente, scoppiò a piangere, accasciandosi a terra con lentezza
Da quando suo figlio aveva smesso di essere un bambino?
Ok, lo ammetto, proprio non sapevo che titolo mettergli. Ho decine e
decine di idee in sospeso, fanfic lasciate a metà che spuntano da ogni dove e
io continuo a sfornare Oneshot improvvisate. Perdonatemela^^
Perché Sakumo scoppia in lacrime? Perché il giorno del calendario in
cui si svolge la storia è quello di Natale. Ora, se fosse davvero alcolizzato
non lo so, però di sicuro era depresso. Io ho scelto questa via, ovviamente, i
nomi dei ninja in missione con lui sono puramente inventati.
Ah già. Shiroi kiba, sta per Zanna Bianca.
Thank you per aver letto
Thank yu, se commenterete
Merry christmas, di nuovo
Besos
Vostra wolvie