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Autore: Alexandra e Mac    19/04/2015    6 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XLIV

Epilogo

Scritto nel Destino



Terminò la lettura e depose il plico di fogli sul tavolo. L'emozione che stava provando era indescrivibile e per un attimo sentì gli occhi umidi di lacrime.

Il romanzo era meraviglioso. Certo, come aveva detto il suo autore, andava ancora limato in alcuni punti, e poi necessitava di un finale più all'altezza del resto, ma nell'insieme era davvero eccezionale.

Per quanto riguardava la revisione di alcune parti non vi erano dubbi che in quattro o cinque giorni di lavoro sarebbero riusciti a sbrigarsela.

Il finale, invece, era un'altra faccenda. Era come se ad Andrew mancasse il coraggio di concluderlo.

Guardò i fogli, sul primo dei quali il titolo faceva bella mostra di sé.

Sorrise rileggendo l'ultima parola delle tre che lo componeva, scritta addirittura con la prima lettera in maiuscolo: alla fine, in un modo o nell'altro, quel termine continuava a ricorrere nei pensieri di Andrew, al punto che lo aveva utilizzato sia per il titolo del romanzo, che per quello delle tre parti di cui era composto.

Del resto non avrebbe potuto che essere così: tutta la trama era un continuo succedersi di personaggi che all'inizio sembravano gettati lì a caso ma che poi, col procedere degli eventi, si rivelavano ad uno ad uno predestinati ad incontrarsi. 

Aveva cambiato i cognomi e le casate nobiliari, ma Andrew non aveva fatto altro che narrare l'incredibile susseguirsi di fatti che, a partire dal 1856 fino a quel momento, avevano portato al loro incontro, così come li aveva vissuti e percepiti con la sua sensibilità di scrittore.

Forse era quello il motivo per cui il finale era scarno e sembrava buttato lì tanto per chiudere. Nel cuore di Andrew non vi era ancora una conclusione a quella vicenda ed egli non era riuscito, oppure non aveva voluto, inventarne uno. Sembrava un gesto scaramantico, per evitare di condizionare il vero finale della loro storia.

Si voltò ad osservarlo, mentre dormiva steso a terra davanti al camino. La sera prima, una volta rientrati nello chalet, non erano riusciti ad attendere neppure un attimo prima di gettarsi l'uno tra le braccia dell'altra. Andrew aveva iniziato a spogliarla con ancora lo zaino sulle spalle. Quando lei aveva proposto di utilizzare il giaciglio sul soppalco, lui non aveva voluto sentire ragioni e aveva recuperato il materasso per  piazzarlo a terra, nel poco spazio davanti al camino. Si erano amati per lunghe ore su quel letto improvvisato e Nicole si era ritrovata a pensare che mai era stata meglio in tutta la sua vita.

Non si trattava solo di soddisfazione fisica, anche se Andrew era sempre molto generoso nel donarle piacere; era piuttosto una sensazione di benessere e di completezza, di piena appartenenza ad un luogo, ad un momento, ad una persona... sentiva d'aver trovato finalmente il proprio posto e il proprio ruolo nel meccanismo infinito della Vita.

Forse in parte quella sensazione era dovuta anche al ritrovamento del diario del conte André d'Harmòn, o all'aver voluto ricercare a tutti i costi le tracce di quell'antico amore giunto sino a loro, che incastrava l'ultimo tassello nel complicato mosaico della sua discendenza materna ma, soprattutto, chiudeva un cerchio di cui lei era una parte importante. Oppure tutto si riduceva alla vicinanza di Andrew. O, forse, ad entrambe le cose.

Tornò a stendersi accanto a lui e subito percepì il tepore confortante dei loro corpi vicini. Non riuscì ad impedirsi di abbracciarlo. Lui era caldo, morbido ed emanava un sensuale odore di uomo. In quel luogo lontano dal mondo quelle sensazioni le sembrarono più primitive ed eccitanti del solito.

All’improvviso si sentì come trasportata indietro nel tempo, come se la sua mente proiettasse immagini del passato: due corpi avvinghiati, mentre facevano l'amore proprio dove lo avevano fatto lei ed Andrew poche ore prima.

La sensazione di deja-vu fu così forte che si sentì sopraffatta da un improvviso senso di timore e si allontanò bruscamente dal corpo dal suo uomo. Andrew mugulò di insoddisfazione, si voltò verso di lei e, afferratala alla vita, la tirò di nuovo accanto a sè.

"Mhmm... mi piaceva di più così".

"No..." tentò di divincolarsi, ancora turbata.

"Cosa ti succede, Nicole?" chiese lui con dolcezza, allentando la stretta ma senza laciarla andare.

Indecisa se confessargli una paura così assurda e irrazionale, disse solo:

"Scusami... È così sciocco...".

Lui si sollevò ad osservarla in un chiaro invito a proseguire.

"Ho avuto una strana sensazione... quasi un deja-vu..." si risolse a dirgli. Forse parlandone sarebbe scomparsa.

Lui annuì: "Come se avessi visto Lady Sarah e il Conte André?"

"Anche tu?" domandò stupita.

"È da quando sono entrato in questo chalet, ieri, che le loro immagini non mi abbandonano. È paragonabile ad un film!" disse divertito lui.

"Ma... non ti sei spaventato?"

"E perché mai avrei dovuto? È’ da una vita che mi capitano cose simili... Ammetto, però, che questa volta sono più forti e più reali. L'ho sempre attribuito alla mia fervida immaginazione, anche se da ieri tutto è così intenso che sembra quasi vero!"

"A me è successo per la prima volta ora, dopo che sono tornata a stendermi accanto a te. Che sia stato perché ho appena letto il tuo romanzo?"

"Lo hai letto tutto?"

Lei annuì, divertita di fronte alla sua espressione stupita e al tempo stesso ansiosa.

"Dopo che ti sei addormentato non riuscivo a prendere sonno. L'ho iniziato, dicendomi che avrei letto finché non mi si fossero chiusi gli occhi. Invece ha vinto la curiosità e l'ho letto sino alla fine".

"E...?" la sollecitò lui. Era impaziente di avere la sua opinione, l'unica di cui gli importasse davvero.

"È meraviglioso, Andrew" lo gratificò lei, sorridendogli con dolcezza.

"Lo pensi sul serio?"

"Sì. Ho solo qualche riserva sul finale, che non è proprio all'altezza del resto."

"Ti ho anticipato che non mi convince".

"La faccenda mi sembra più complicata. Tu non hai scritto un vero finale".

Lui sorrise. "Ero sicuro che te ne saresti accorta!"

"Mi stai dicendo che lo hai scritto di proposito per farmelo leggere così?"

"Già... E il perché dovresti saperlo o averlo capito da sola. Io un finale ce l'ho in mente, ma sei tu che devi dirmi se sarà quello".

"Non puoi parlare sul serio..."

"Assolutamente sì".

"D'accordo", cedette lei, "sentiamo questo finale".

"Un matrimonio, la sera della vigilia di Natale"

"Perché proprio la vigilia di Natale?"

"Ah, ah, non ha letto con attenzione, Lady Sinclair! I protagonisti fuggono da Vienna dopo la festa di Natale per festeggiare il compleanno dell'Imperatrice d'Austria. Il periodo del matrimonio, quindi, deve essere quello. Inoltre la vigilia di Natale ha un'importanza anche per la parte di vicenda americana".

"Tuo nonno... disperso in Vietnam la vigilia di Natale..." annuì Nicole, ricordando il cenno che lui aveva fatto nel romanzo quando aveva introdotto il personaggio che nella realtà era suo padre. Un matrimonio proprio quel giorno per i due personaggi più recenti sarebbe stato un altro legame tra le coppie di quell'incredibile cerchio.

"La sposa che arriva in carrozza... perché appartiene alla nobiltà europea da generazioni e non può - nè vuole - evitarlo... è il suo sogno fin da quando era bambina"  proseguì lui, rammentando ciò che lei una volta gli aveva raccontato della sua infanzia.

A Nicole si riempirono gli occhi di lacrime, nel rendersi conto di quanta attenzione aveva prestato ad ogni più insignificante particolare che gli aveva confidato.

"La chiesa, antica e solenne, addobbata con rami di pino e stelle di Natale..." aggiunse lei, per fargli comprendere, senza dirlo a parole, quanto desiderasse partecipare a quel finale.

"Lo sposo in un elegante abito da sera scuro e la sposa, bellissima, in uno splendido abito in seta rossa..." continuò Andrew, con un sorriso.

Lei si rese conto che stava descrivendo gli abiti che avevano indossato alla festa di inizio estate.

"...coperto, tuttavia, da una corta cappa di pelo bianco, per ripararla dal freddo e moderare la scollatura, che davanti all'altare sarebbe eccessiva" aggiunse lei, proseguendo la sua descrizione.

"Però niente pellicce di animali, non mi va che delle povere bestiole ci rimettano la pelle per il nostro finale. E poi ormai fanno accessori in pelliccia sintetica che nulla hanno da invidiare al pelo vero" aggiunse.

"L'importante è che se la tolga al ricevimento che seguirà al castello del duca suo fratello e che tutti gli invitati possano ammirarla nel suo splendore" pretese lui.

"Ma il duca sarà d'accordo di ospitare il ricevimento?" domandò lei, del tutto calata nel gioco di immaginare quello che ancora riteneva soltanto il finale di un romanzo, anche se sapeva essere il desiderio di Andrew per loro due.

"Il futuro sposo gliene ha già parlato ed è d'accordo. Anzi, ci tiene ad essere lui ad offrirlo agli sposi, oltre al regalo di nozze, ovviamente".

"Non avrai parlato davvero con mio fratello?" domandò lei sbigottita.

"Beh... a chi altri avrei potuto chiedere la vostra mano, milady?"

"Non dici sul serio..."

"Tu che ne pensi?" rispose lui, con un sorriso disarmante.

Nicole comprese solo in quel momento che tutto ciò che le stava dicendo lo aveva pianificato con accuratezza e non si trattava di idee che gli arrivavano all’improvviso.

Era giunto il momento di parlare senza mezzi termini.

"Hai già organizzato tutto quanto, vero?"

"No. Non ancora. Ma Marie-Antoinette aspetta solo una nostra telefonata per fare in modo che tutto ciò che ho messo su carta si trasformi in realtà. È sufficiente che tu dica sì... e che aggiunga il dettaglio della pelliccia bianca al quale, mi tocca ammetterlo, non avevo pensato".

"Sei tremendo..."

"Lo so. Ma converrai con me che un finale simile è molto meglio di quello attuale".

"Su questo non vi sono dubbi. Eppure... manca ancora qualcosa".

"Qualunque dettaglio vorrai cambiare o aggiungere non mi offenderò, nè mi opporrò" disse lui accondiscendente, credendo che lei si riferisse alla pianificazione del loro matrimonio

"Mi sembra che tu abbia pensato a tutto per la cerimonia. È al finale del romanzo che manca qualcosa" e si alzò, lasciandolo a domandarsi di cosa stesse parlando.

Mentre la osservava aprire il baule posto accanto all'ingresso, la provocò:

"Pensavo di poter lasciare all'immaginazione dei lettori le fasi relative al concepimento e la nascita del nostro primo erede... ma se lo desideri posso sempre aggiungerle!"

Tornò da lui con una antica scatola in legno tra le mani:

"Ti sei divertito a scrivere le scene d'amore che hai sparso qua e là, vero?"

"Mhmmm... Dovevo pur trovare un modo divertente per trascorrere il tempo in tua assenza! O avresti preferito che mettessi la stessa passione in incontri sensuali con altre donne? Non ci crederai, ma è stato un duro lavoro!" rispose divertito. Poi, osservando con curiosità ciò che teneva tra le mani, chiese:

"Cos'è quella?"

"Il mio dono per dirti che ti amo e che sì, desidero sposarti".

Con un'espressione raggiante lui fece per abbracciarla, ma lei lo fermò.

"Dopo... Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Ora aprila" gli disse porgendogli la scatola.

Andrew la prese e fece come lei gli aveva detto. Non appena vide il contenuto, sollevò lo sguardo, stupito ed emozionato al tempo stesso.

"Non ci posso credere... Sapevi che erano qui?"

"No. L'ho trovata per caso, il secondo giorno, curiosando nel baule. Non appena l'ho aperta, ho capito subito di cosa si trattava".

"Le lettere d'amore che André scrisse alla moglie negli ultimi mesi di vita... Le hai lette?"

"Sì. Non ho saputo resistere. L'ultima credo possa diventare il finale perfetto per il tuo romanzo".

"Mi stai dicendo che mi dai l'autorizzazione a pubblicarla nella versione originale?"

"Come ti ho detto è il mio regalo di nozze".

"Quindi questo finale non esclude il matrimonio?"

"Ovvio che no. L'idea di una sposa in rosso mi piace assai! Comunque prima leggile, in particolare l'ultima. Sono sicura che la troverai interessante. Così come sono certa che riuscirai ad utilizzarla per la conclusione del romanzo, incastrando le parole del mio antenato con un matrimonio la notte della vigilia di Natale".

"Hai molta fiducia nelle mie capacità..."

"Ho imparato a conoscerti. E, cosa più importante, a fidarmi di te. Tu non molli mai. Quando ti metti in testa qualcosa, procedi imperterrito, finché non hai raggiunto il tuo obiettivo. Non mi meraviglio più che tu abbia conquistato il successo in così giovane età".

"Nicole, hai detto una cosa bellissima. La più bella che potessi dirmi".

"Adesso non esagerare!" replicò lei, fraintendendo la sua osservazione. "Mi sono limitata ad osservare la tua tenacia".

"Non mi riferivo a quello, ma a quando hai detto che ti fidi di me. Lo sai, vero, che è proprio la fiducia uno dei fondamentali dell'amore? Assieme alla fedeltà, al rispetto reciproco, al sapersi donare e al saper mettere al primo posto il bene dell'altra persona".

"Parli dell'amore come di un allenamento di basket!" sorrise lei.

"Se per questo, i fondamentali sono  un concetto che appartiene a qualunque sport. Però ammetto che il basket è il mio preferito. E noto che anche tu ne sai qualcosa".

"Ne ebbi a che fare per lavoro, per un servizio fotografico".

"Ad ogni modo hai capito ciò che intendo: senza la fiducia la passione non diventa amore. È un pò come riuscire a centrare un canestro senza essere capaci di palleggiare, passare la palla o senza saper fare il terzo tempo: puoi fare due tiri con gli amici, ma non potrai mai dire di saper giocare a basket. Così è per l'amore: ti puoi innamorare di qualcuno, ma finché non hai fiducia, non sarà mai vero amore. Certo, talvolta ti può anche tradire..." aggiunse lui, prevenendo quella che sapeva sarebbe stata una sua obiezione, "in quel caso puoi anche decidere di impedirti di amare... È un pò come abbandonare la squadra in cui si gioca perché delusi dall'allenatore o dai compagni... ma se si continua a giocare, i fondamentali non possono essere accantonati, altrimenti non sarebbe più basket. Se vuoi amare di nuovo, la fiducia deve rientrare nei termini dell'equazione, altrimenti è una partita persa in partenza".

"Credo tu abbia ragione" confermò lei, riconoscendo di aver compiuto quel primo passo, "però è tanto difficile...".

"Per questo chi pratica uno sport passa anni ad allenarsi sui fondamentali, perché sono movimenti non spontanei e devono invece diventare naturali, come fossero parte di te. La stessa cosa vale per l'amore".

"Tanto duro allenamento?"

"Certo, soprattutto per ciò che ci riesce più difficile e la fiducia è al primo posto in questa classifica. Perché non comprende, a mio avviso, solo la capacità di fidarsi dell'altro, ma di fidarsi in generale."

"Ovvero?" domandò lei, affascinata e incuriosita dal suo discorso. Scoprire le sue idee era uno degli aspetti più affascinanti del conoscerlo. Andrew aveva salde opinioni su tutto e per alcune di queste talvolta aveva anche una sua originale visione personale, segno di profonda riflessione.

"Fidarsi della Vita; credere fermamente che il Destino abbia in serbo per noi qualcosa di meraviglioso".

"Ero certa che l'ultima lettera del mio antenato fosse la degna conclusione al tuo romanzo. Tu e lui avete in comune davvero molto".

"Che intendi?" chiese lui, incuriosito e al tempo stesso spiazzato da quell'osservazione.

"Leggila e lo capirai".

 

 

***

Entrò nello studio di André e, come le capitava oramai da un mese, ogni volta il suo cuore perdeva un colpo e gli occhi le si riempivano di lacrime. Lo sguardo cadeva sempre sulla poltrona davanti al camino, dove aveva trovato il corpo senza vita del marito. Vedendola vuota, l'illusione che fosse altrove le riempiva per brevi attimi il cuore di una speranza giovanile, per precipitarla immediatamente dopo nel profondo dolore che riempiva ogni istante della sua vita da ormai quattro settimane.

I giorni successivi alla morte del Duca di Lyndham, o Conte d'Harmòn com'era meglio conosciuto nella sua città natale, erano stati frenetici e molto faticosi: tutto il borgo si era riversato al castello, per porgere le condoglianze alla moglie e ai figli, che l'avevano raggiunta non appena avevano saputo della morte del padre.

La prima ad arrivare era stata Jane Elizabeth, che aveva ricevuto dalla madre superiora il permesso di rivedere la famiglia in quella triste occasione. Andrew Alexander era arrivato poche ore dopo con la moglie e i quattro figli, tre maschi e una femmina; li accompagnava anche Eleanor, madre di Daisy e nonna dei ragazzi: il marito, Thomas Clyde, amico di André dai tempi della scuola, benché più giovane, li aveva già lasciati da un anno.

Nicholas Joseph era stato preceduto dal fratello di mezza giornata ed era accompagnato solo dal figlio maggiore poiché sua moglie Caroline, di quindici anni più giovane, aveva partorito da pochi mesi e non si era ancora ripresa, per cui era rimasta a casa con le gemelline di cinque anni e la bimba in fasce.

Alexandra Nicole era stata l'ultima ad arrivare. Quando il marito e la figlia, che avevano seguito di poche ore Andrew, erano scesi dalla carrozza erano soli. Sarah Jane, che portava lo stesso nome della nonna, aveva detto che la mamma li avrebbe raggiunti entro sera.

Sarah non se n'era sorpresa: conosceva la figlia e sapeva quanto fosse attaccata ad entrambi. Era l'unica che, da quando si erano trasferiti in Francia per restarci per sempre, non si limitava ad un paio di visite all'anno di pochi giorni, ma trascorreva con loro diverse settimane. Ian accompagnava moglie e figlia e tornava a riprenderle dopo quindici giorni; tuttavia era capitato anche che Alexandra fosse arrivata da sola, per visite più brevi. Adorava il padre e ogni volta che si trovava a Cluny trascorreva moltissimo tempo assieme a lui, mentre la madre si occupava della nipote.

Alexandra e André avevano moltissimo in comune e, fin da quando era bambina, mentre erano insieme talvolta davano l'impressione di escludere il mondo attorno a loro; Sarah aveva imparato a non farsene un cruccio, poiché amava entrambi ed era felice di osservarli assieme. Inoltre la figlia non mancava di essere affettuosa anche con lei, benché fosse evidente a tutti la predilezione per il padre. La morte di André doveva averla prostrata non poco e, conoscendola, sapeva che aveva bisogno di trascorrere del tempo da sola prima di affrontare tutti quanti.

Ian le aveva detto che avevano viaggiato insieme sino sul continente, dopodiché le aveva lasciato la carrozza per permetterle di fermarsi alcune ore al vecchio collegio alle porte di Parigi che aveva frequentato da ragazza per terminare gli studi: in quel luogo viveva ancora l'ormai ottantenne insegnante di filosofia di Alexandra, con la quale aveva instaurato sin da ragazza un profondo legame di stima e di amicizia, che durava nonostante gli anni.

Quando li aveva raggiunti in serata appariva più serena, segno che il colloquio con mademoiselle Blancharde era riuscito a darle pace: infatti, oltre all'immenso dolore per la perdita del genitore, Alexandra avrebbe dovuto affrontare anche l'idea di essere diventata l'erede del titolo di Contessa d'Harmòn, con tutte le proprietà annesse e connesse.

La volontà del padre di suddividere le tre eredità tra i figli, facendo della più giovane una tra le prime donne ad aspirare ad un titolo per linea di successione e non per far le veci di un marito mancato all'improvviso, era stata innovativa e molto azzardata, tipica del Duca. Sarah sapeva che Alexandra era orgogliosa della decisione del padre; tuttavia, giunti al dunque, le nuove responsabilità avrebbero potuto sopraffarla.

Anche Andrew, che alla morte di André diventava il nuovo Duca di Lyndham, avrebbe dovuto far fronte alle nuove responsabilità dal punto di vista legale e non solo da quello pratico, come già faceva da tempo aiutando il padre; l'unico che da alcuni anni aveva acquisito a tutti gli effetti il titolo di Lord Montagu, subentrando nella linea di successione allo zio materno dopo la sua morte, era Nicholas, che oramai iniziava a vedere i frutti della sua accurata amministrazione. Se per i due eredi maschi tutto ciò era un qualcosa di scontato sin dalla nascita, Alexandra avrebbe dovuto combattere, e non poco, i pregiudizi dell'alta società, che non avrebbero visto di buon occhio la faccenda; inoltre, nell'amministrare le proprietà francesi, avrebbe potuto trovare ostacoli anche da parte di uomini coi quali avrebbe dovuto avere a che fare. Certo, Ian l'avrebbe aiutata, inoltre il padre l'aveva preparata da tempo; nonostante questo le responsabilità sarebbero state molte.

L'arrivo di Alexandra aveva chiuso il cerchio dei familiari più stretti, ma non quello di tutti coloro che avevano desiderato porgere i loro omaggi ad un uomo che avevano imparato ad ammirare e ad amare. Il giorno del funerale l'antica abbazia era invasa da una folla che, in rispettoso silenzio, aveva accompagnato con affetto e stima l'ultimo viaggio terreno del signore del castello.

Avevano sepolto André in una piccola radura, appena oltre il bosco, dal lato delle scuderie. Ricordava ancora quando l'aveva condotta per la prima volta in quel luogo: a quei tempi trascorrevano solo le estati in Francia e quella era la seconda volta che lei si trovava nella residenza della famiglia dei conti d'Harmòn.

André era voluto uscire a cavallo e lei l'aveva accompagnato volentieri, come sempre. A Lyndham Park avevano l'abitudine di cavalcare assieme per un paio d'ore ogni giorno e il marito aveva ripristinato l'uso delle scuderie anche nei suoi possedimenti in Francia proprio per poterlo fare anche lì. Erano giunti in quella radura dopo aver attraversato il bosco. Sarah era convinta che fossero ormai usciti dalle terre dei d'Harmòn, invece André l'aveva sorpresa dicendole che anche quel luogo era loro.

Il bosco si apriva in un'ampio prato in cui il sole entrava prepotente; un ruscello, che poco oltre si rintanava nel terreno, aveva scelto proprio quello spiazzo per emergere in superficie, quasi a voler ricercare la luce, anche solo per un breve tratto. Una distesa di fiori di campo colorava l'erba, che cresceva rigogliosa, mentre l'aria era attraversata da insetti e farfalle variopinte. Era un luogo di pace e serenità. Quando lo aveva mormorato incantata al marito, lui le aveva detto deciso:

"È qui che voglio riposare per sempre".

Non ne avevano mai più parlato, da allora, ma Sarah era certa che quelle fossero le sue volontà anche a distanza di anni. Ne aveva avuto conferma dal loro avvocato, non appena gli aveva comnicato la notizia della morte del marito.

Ora la tomba di André Francois Nicholas, conte d'Harmòn e duca di Lyndham, si ergeva in quel luogo di pace, in un angolo della radura, accanto ad un grande albero che le regalava ombra nelle ore più calde della giornata. Sarah aveva dato disposizioni affinché il prato attorno alla lapide fosse sempre tagliato per permettere a chiunque avesse voluto pregare sulla tomba di farlo senza problemi, accomodandosi sulla panchina che aveva fatto sistemare. Inoltre aveva fatto ampliare il sentiero che dalle scuderie del castello portava sin lì in modo che potesse transitare anche un piccolo calesse.

Da quando André non c'era più lei aveva trascorso ore intere seduta su quella panchina. Per i primi giorni, a turno, le avevano fatto silenziosa compagnia figli e nipoti, ma ogni volta che le dicevano di tornare, lei rimandava sempre sino al tramonto, finché non arrivava William, il figlio di Lynnette, a riprenderla.  Quando i figli e i nipoti erano ritornati alle loro vite, lei aveva continuato a farsi accompagnare lì ogni giorno.

Aveva provveduto anche a comunicare all’avvocato la volontà di essere sepolta accanto al marito, per non correre il rischio che i figli pensassero altrimenti e decidessero di tumularla in Inghilterra, nella tomba di famiglia dei Montagu, accanto al padre, alla madre e al fratello. Lei voleva riposare per sempre accanto all'unico uomo che avesse mai amato. Si augurava soltanto che quel momento arrivasse presto.

Si fece coraggio ed avanzò nello studio del marito, richiudendosi la pesante porta di legno alle spalle.

Si guardò attorno: tutto era rimasto come la mattina del 14 luglio quando, svegliata prima dell'alba dalla sensazione del posto vuoto accanto a sè, si era affrettata a scendere ancora in vestaglia; si era diretta senza esitare nel luogo dove immaginava di trovare il marito addormentato, poiché sapeva che si coricava sempre molto tardi e diverse volte era capitato che lo trovassero che dormiva nel suo studio. In genere apriva gli occhi non appena lo sfiorava. Invece quella mattina André non si era più svegliato.

Guardò la scrivania e la fugace immagine del marito intento a scrivere le apparve come reale: quante volte lo aveva visto chino sui suoi quaderni, intento a mettere nero su bianco i pensieri che gli affollavano la mente?

Era capace di andare avanti per ore e quando lo rimproverava, lui rispondeva che aveva molte cose da scrivere. Lei faceva un cenno infastidito, che lui sapeva essere diretto ai suoi diari segreti e la faccenda finiva lì.

Un giorno però, dopo che aveva avuto un leggero attacco di cuore, le aveva detto che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto leggerli. Lei era rimasta sorpresa e al tempo stesso commossa, perché sapeva quanto il marito fosse sempre stato geloso dei suoi scritti e temeva che la decisione fosse dovuta al fatto che André sentisse imminente la propria fine. Nonostante ciò non aveva detto nulla e aveva iniziato da quelli giovanili, leggendone qualche pagina alla sera prima di adormentarsi. Presto, tuttavia, la lettura l'aveva appassionata sempre più e aveva proseguito con maggiore rapidità, ricordando quanto, già molti anni prima mentre leggeva il diario andato perduto sulla Medea, le parole dell'uomo che amava l'avessero coinvolta.

Quando aveva trovato il corpo senza vita di André, le mancavano solo una decina di diari ancora da leggere e in quelle ultime settimane li aveva letti seduta sulla panchina davanti alla sua tomba. Le parole scritte del marito le recavano conforto e le facevano sentire meno la sua mancanza.

Era giunta alla fine dell'ultimo quaderno proprio quel pomeriggio, dopo neppure un'ora che era seduta accanto a lui. Nonostante faticasse a leggere a causa della vista che negli ultimi tempi le si era velata, le parole di André scorrevano via sempre troppo rapide e, prima di arrivare alle ultime pagine, aveva già preso la decisione di ricominciare dal primo. Era l'unico modo che conosceva per sopravvivere al dolore per la sua perdita, nell'attesa che le ultime battute del proprio destino si compissero anche per lei. Quando però era arrivata a leggere ciò che André aveva scritto proprio nelle ultime ore di vita, aveva scoperto che altri suoi scritti l'attendevano.

L'uomo che amava le aveva scritto delle lettere d'amore!

Trattenendo emozione e curiosità sino a quando i domestici l'avrebbero lasciata sola, aveva cenato e solo dopo si era diretta nello studio dove, era certa, avrebbe trovato quei preziosi scritti.

Finalmente, il momento tanto atteso era arrivato.

Si avvicinò alla scrivania e passò con amore una mano sopra a ciò che stava sullo scrittoio, oltre alla lampada ad olio: il calamaio con la penna d'oca che gli aveva visto innumerevoli volte tra le dita, un foglio di carta assorbente appena utilizzato, tampone,  ceralacca e diversi fogli bianchi, impilati in un angolo. Nessuna traccia, però, delle lettere.

La sedia era ancora nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata André, spostata un pò di sbieco rispetto allo scrittoio, per permettergli di alzarsi; senza muoverla, si sedette al suo posto e, da quella posizione notò subito uno dei due cassetti con un piccolo spiraglio, come se fosse stato lasciato aperto di proposito o come se, chi avrebbe dovuto chiuderlo, non fosse riuscito a farlo.

Lo aprì e capì subito d'aver trovato ciò che stava cercando.

Si rese conto che la mano le tremava e gli occhi le si erano colmati di lacrime, mentre estraeva le lettere dal cassetto. Le scorse rapidamente: ne contò venti e ognuna di esse iniziava con Amore mio, Mio tesoro, Sarah mia adorata... e terminavavo tutte con una frase d'amore e una firma, Tuo A.

Sorrise nel riconoscere la lettera a puntata con cui lui siglava ogni scritto che lasciava a chiunque lo conoscesse:  era come un espressione di familiarità, che concedeva solo a familiari e a chi considerava suo amico.

Con quei preziosi fogli in mano si alzò, per andarsi ad accomodare sulla poltrona accanto al camino. Prima, tuttavia, mandò a chiamare William: aveva preso una decisione e voleva che egli la sapesse subito.

L'uomo arrivò proprio mentre la madre, la fedele Lynnette, le stava coprendo le gambe con un plaid, dopo averle consegnato la scatola in legno intarsiato che aveva chiesto di portarle. 

Lynnette li lasciò soli e, mentre William provvedeva a ravvivare il fuoco, si fece promettere che, alla sua morte, avrebbe portato di persona quella scatola e tutto il suo contenuto nello chalet in montagna che lui ben conosceva, senza che nessun altro, figli compresi, fosse messo al corrente della cosa. Solo sua madre Lynnette avrebbe saputo di dovergli consegnare quella scatola.

L'uomo tentò di obiettare che figli e nipoti avevano diritto di sapere, ma lei fu irremovibile: quelle parole erano per lei sola e tali dovevano restare. I diari del padre sarebbero rimasti a disposizione di tutti, ma quelle lettere no.

Sapeva in cuor suo che quello sarebbe stato anche il desiderio di André e, dopo essere arrivata all'ultima lettera, le parole che lesse le confermarono d'aver preso la decisione giusta. In tutti quegli anni trascorsi assieme aveva imparato a conoscerlo molto bene e non si sorprese più di tanto nel leggere le sue ultime parole.

Avrebbe desiderato essere più forte e riuscire a centellinare quegli scritti nelle lunghe e solitarie giornate che l'attendevano, ma non ci riuscì: le divorò una dietro l'altra con una rapidità straordinaria considerata l'età e la vista sempre più affaticata.

Sorrise, pianse, se le strinse al cuore... ogni frase le procurò gioia e dolore al tempo stesso; ogni passaggio le suscitò ricordi meravigliosi.

Dopo aver riposato gli occhi per alcuni minuti ed essersi ripresa da quel turbinio di emozioni, ricominciò daccapo, rileggendole ad una ad una con calma, soppesando ogni parola, ogni singola frase ed immaginando André mentre le scriveva.

Non si accorse di nulla, nè del tempo che trascorreva, nè di Lynnette che, preoccupata di non averla ancora vista tornare in camera per la notte, per ben due volte era scesa a cercarla. Aperta in silenzio la porta, non aveva osato dirle nulla, vedendola ancora intenta a leggere.

Ad un certo punto si rese conto di essere molto stanca, eppure non riuscì ad alzarsi e a staccarsi da quei fogli. Li ripiegò ad uno ad uno e li mise nella scatola, trattenendola in grembo, quasi fosse un neonato da abbracciare. Tenne tra le mani solo l'ultima lettera, che rilesse altre volte. Non riusciva a staccarsi dagli ultimi pensieri dell'uomo che aveva tanto amato.

Il pendolo in ingresso suonò le tre e lei si stupì di essere ancora sveglia a quell'ora.

Seduta sulla poltrona che aveva accolto l'ultimo respiro del marito, con la testa e il cuore pieni delle sue parole, si sentì nell'unico luogo in cui avrebbe voluto essere. Reclinò il capo e si addormentò, cullata dai ricordi e dall'amore coi quali André l'aveva avvolta.

Nel sonno doveva essersi mossa un po' poiché, ore dopo, Lynnette la trovò  rannicchiata di fianco, la testa appoggiata nel punto in cui, settimane prima, vi era stato il cuore di suo marito. Ad osservarla sembrava fosse in grembo a lui, sprofondata nel suo sonno eterno. Stringeva al petto la scatola di legno intarsiato e tra le mani un foglio, stropicciato e bagnato dalle lacrime.



Amore mio,

 

questa mattina ti ho osservato mentre ti occupavi dei tuoi fiori. Passeggiavi tra le aiuole e ti fermavi a togliere le foglie secche o i petali ormai appassiti; oppure abbassavi il volto per aspirarne il profumo. Mi ha ricordato come ti occupavi dei bambini quando erano piccoli: giocavi con loro, li accudivi quando erano ammalati, ascoltavi con pazienza i loro racconti oppure ti soffermavi a guardarli dormire. Come per i fiori, non hai mai voluto che se ne occupasse qualcun altro.

 

Il flusso dei ricordi si è spinto oltre e il pensiero è andato alla prima volta che ti vidi. Non so se sono mai riuscito a farti capire sino in fondo ciò che provai in quel momento: quando ebbi posato per la prima volta lo sguardo su di te, sentii che la mia vita era ad una svolta. Il Destino ti aveva messo sulla mia strada e, se non lo avessi assecondato, lo avrei rimpianto per sempre.

So che ti sembrerà strano che io, proprio io, accenni al Destino: sono sempre stato un uomo pragmatico, che ha sempre creduto che fosse l'Uomo l'artefice della propria esistenza. Pensare che la vita sia solo nelle mani del Destino renderebbe l'Uomo del tutto passivo e completamente rassegnato agli eventi; lo priverebbe della spinta a migliorare, a credere in se stesso, a prendere qualunque decisione.

Eppure, col tempo, sono giunto alla conclusione che negare il Destino sia una forma di arroganza: priva del Destino la vita dell'Uomo si ridurrebbe ad una serie di occasioni perdute; vivremmo nel continuo rimpianto di ciò che non è stato e che invece avrebbe potuto essere, di ciò che non abbiamo fatto e che invece avremmo potuto fare. Il presente diverrebbe così soltanto un'occasione perduta e, al posto di viverlo, non faremmo altro che sprecarlo.

Forse la verità sta proprio nel mezzo: il Destino ci pone davanti a delle situazioni; come le affrontiamo ci condurrà su una strada piuttosto che verso un'altra e questo fatto potrebbe condizionare ciò che il Destino ha in serbo per noi. Però penso anche che se il Destino di un uomo è molto forte, qualunque strada egli prenda alla fine arriverà dove era predestinato che arrivasse.

Penserai che siano le farneticazioni di un vecchio, e probabilmente avresti ragione, ma è da un po’ di tempo che penso che il nostro incontro abbia messo in moto un meccanismo che ho la presunzione di immaginare destinato a muoversi nel tempo.

Ultimamente nei miei pensieri ricorre spesso il diario che lasciai sulla Medea: forse è solo la vana speranza di un uomo che ancora rimpiange, dopo anni, quella perdita; eppure ho come la sensazione che quel diario non sia andato smarrito... magari è finito nelle mani di qualcuno che lo ha già letto. Oppure altre persone lo leggeranno: in quelle pagine è narrata una storia d’amore, la nostra storia d'amore, e mi piace immaginare che un giorno ci sarà chi vorrà saperne di più sull'uomo e la donna che vissero quell'amore; un giorno, forse, qualcuno si spingerà oltreoceano, sulle tracce di un conte francese e di una nobildonna inglese che si incontrarono alla corte di Francesco Giuseppe e salvarono la vita dell'Imperatrice Sissi. Allora i miei diari racconteranno tutta quanta la storia...

Queste lettere, però, vorrei che rimanessero solo nostre. E se un domani qualcuno le dovesse comunque ritrovare, vorrà dire che era Destino che accadesse.

 

Da parte mia, il mio Destino lo ringrazio ogni giorno per aver contemplato nei suoi progetti per me il nostro incontro, il nostro amore, la nostra vita insieme.

 

Tuo per sempre, A.












Fine







E così questa lunga avventura è terminata: desidero rigraziare tutte le persone che, nel corso di questi anni, sul sito dove fu inizialmente pubblicata, qui su EFP o privatamente, hanno letto e, soprattutto, recensito questa trilogia:  grazie, è stato bellissimo vivere assieme a Voi questa esperienza, che ha arricchito e continua ad arricchire la mia vita di splendidi momenti.

 
Mi sarebbe tanto piaciuto che l'esperienza di scrivere insieme a Mac potesse concludersi con questa fanfic, che chiude la trilogia di "SCRITTO NEL DESTINO", soprattutto perché questa storia (o almeno l'idea di questa storia) l'avevamo pensata assieme. Purtroppo non è andata così.  Per questo motivo questa fanfic è dedicata alla "mia socia": è un augurio perché la Vita possa regalarle ancora le stesse emozioni che abbiamo vissuto entrambe scrivendo insieme.

Grazie, MAC, per i bei momenti e per tutto il divertimento! Spero che questo racconto, benché sappia che è un pò diverso da come lo avevamo immaginato, ti possa comunque piacere e tu lo possa considerare la degna conclusione della nostra avventura nella Storia.

 
Vorrei dedicare questa fanfic anche Desi, la nostra revisionatrice: pur non avendo usufruito dei tuoi servigi per questo ultimo capitolo (e la tua mancanza, credimi, si è sentita eccome!), sei stata un valido aiuto per i due capitoli precedenti, oltre che una grande sostenitrice, fin dalla sua genesi, di tutto il progetto.

Infine dedico questa fanfic anche a Cate e Laura, che mi hanno sempre sostenuta, per anni, nel mio lato nascosto di "scrittrice", con tutte le paranoie annesse e connesse con cui le ho stressate!

Alexandra




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