Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: changeling    19/04/2015    0 recensioni
Riesci a immaginare di innamorarti per la prima volta? Di desiderare anche solo un singolo secondo in più con colui che ami? Ma se quel secondo non ti fosse concesso, chissà se riusciresti a trattenerti... soprattutto se tu fossi un demone. Questa è la storia di una di loro, che non potè accontentarsi del tempo che aveva, e che, per averne dell'altro, perse molto più di quanto fosse disposta a pagare.
Dopo aver causato la morte del suo primo amore, Sorel ha un solo scopo nella sua vita immortale: proteggere l'unica cosa che ha guadagnato dopo aver infranto il suo stesso contratto. Suo figlio.
Dovrà affrontare angeli e demoni, esorcisti, vecchi nemici e, soprattutto, la paura di perdere il suo adorato David a causa dei suoi innumerevoli segreti: per esempio, quello di essere sua madre. Ma come si può credere a una cosa simile quando lei stessa dimostra appena vent'anni? Riuscirà Sorel a superare il dolore, a costruirsi una famiglia e a guarire il suo cuore grazie all'aiuto dei suoi unici amici?
"Sette" è la settima storia che ho scritto, ma è anche la prima che pubblico online, perciò commentate!!! XD Grazie, e buona lettura.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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_Sorel_

-"Un giorno e una notte". Era questo il nostro patto. Non è così?-
-Non mi basta!- ansimò l'uomo, il sudore che gli colava sulla fronte, sulla bocca, negli occhi.
-Voglio di più! Voglio più tempo!-
La lingua si agitò, viscida, tra le labbra sottili e pallide. Un rossore disgustoso, chiazzato, gli colorava le guance.
Le mani scheletriche si protesero verso di me, avide, animate da un desiderio morboso.
Che essere repellente.
Tutto, in lui, mi nauseava.
Eppure non riuscii a non paragonarlo a Lui, non riuscii a impedirmi di vedere le Sue mani, la Sua bocca, i Suoi occhi, al posto della cretura ripugnante che avevo davanti. Non riuscii a non desiderare di essere di nuovo tra le Sue braccia.
Tra le braccia dell'unico uomo con cui sarei voluta restare, a cui avrei voluto appartenere.
Un giorno e una notte.
Con Lui avevo stretto quello stesso Patto.
Non avrebbe potuto essere di più, ed entrambi sapevamo perchè.
Nonostante ciò avevamo desiderato di rimanere insieme.
Un giorno, una notte.
Un altro giorno, nessun'altra notte.
Anche quell'essere basso e meschino conosceva le conseguenze, eppure continuava a supplicare che mi trattenessi al suo fianco, nel suo letto, nella sua casa. Consapevole di non avere alcun futuro.
Sarei potuta andare via. Avrei potuto risparmiare la vita di quell'uomo. Se mi fossi dileguata in quell'istante sarebbe sopravvissuto.
-Resta con me!- m'implorò ancora una volta.
Avrebbe continuato a vivere.
Avrei dimostrato di considerare dipiù la sua vita rispetto alla Sua, a quella dell'uomo, l'unico uomo, che avessi mai amato?
Sorrisi.
-Come vuoi.-

Tornai a casa prima dell'alba. Il metallo dell'alto cancello cigolò mentre lo chiudevo alle mie spalle con una mano guantata. Salii rapida le scale, m'infilai sotto il portico e oltre il battente di legno dell'orfanotrofio. L'ampio atrio mi accolse con freddezza, come se volesse ricordarmi che, pur essendo stato la mia abitazione per sette lunghi anni, quello non era il luogo a cui appartenevo.
"Ma non temere", pensai sfiorando con la mano la liscia balaustra di pietra mentre salivo i gradini diretta al primo piano, quello delle camere da letto. "Molto presto andrò via per sempre".
Sì. Entro due giorni avrei finalmente lasciato quel luogo inospitale per fare ritorno alla mia patria. Solo una cosa doveva ancora essere sistemata...
-Signorina Mirror...- mi chiamò una vocina sottile non appena raggiunsi il corridoio buio. Mi voltai, facendo svolazzare la lunga gonna attorno agli stivali. Davanti alla camerata dei bambini, un piccolo timoroso mi iguardava incerto, con le maniche del pigiama blu e bianco strette tra le mani e grandi occhi azzurro-viola spalancati.
-David!- esclamai, muovendomi svelta verso di lui.
Il piccolo non si mosse e io lo raggiunsi, inginocchiandomi davanti a lui. Gli accarezzai dolcemente una guancia rosea, e lui allentò un po' la presa sulle maniche.
Con apprensione mi accorsi che tremava.
-Cosa c'è, tesoro?- chiesi, preoccupata. -Non ti senti bene?-
David abbassò il capo, seppellendo il viso nel mio abbracciò finchèl'unica cosa che distinsi di lui furono i boccoli castano-dorati.
Povero bambino. Doveva essere terrorizzato. Abbandonato alla nascita in questo luogo poco accogliente, cresciutovi per sette anni, ora stava per lasciarlo, e con esso tutto ciò che conosceva.
Eppure non riuscivo a biasimare del tutto la madre: tenendolo con sè l'avrebbe fatto solo soffrire, mentre così facendo aveva reso disponibile a David la possivilità di essere adottato da una famiglia normale. Una possibilità che si sarebbe presto realizzata.
-Oh, piccolo...- mormorai, stringendolo forte. Respirai a fondo il suo giovane profumo. Sapeva di latte, di paura dell'ignoto. Di innocenza.
Lo presi in braccio e mi sollevai da terra senza fatica, continuando ad accarezzarlo, sulla testa, sulla schiena, strofinandogli il naso freddo contro la guancia per fargli il solletico.
Lo sentii rilassarsi lentamente mentre gli canticchiavo la sua filastrocca preferita, mentre lo portavo in camera conme, sempre le stesse strofe, ricominciando da capo ogni volta che terminavo l'ultimo verso.

"Due avventurieri cercano le nuvole,
vedono la luce di cui parlano le favole,
come uccelli volano, ritornano di là,
portando quel bel fuoco nelle Profondità.

Sotto un altro cielo brillano due stelle,
si avvicinano e allontanano, le chiamano sorelle;
guardano dall'alto coi loro grandi occhi
vegliano sui piccoli nei loro begli specchi.

Attraverso il sole passano di notte,
gli echi li annunciano, discendono le vette,
sussurri di giganti, grida di folletti,
i bambini dormono nei loro caldi letti."

-Miss Mirror?-
M'interruppi. David si raddrizzò tra le mie braccia per guardarmi in faccia con quei suoi occhioni spettacolari che avrebbero fatto di lui un uomo bellissimo. Non sarebbe potuto essere diversamente, pensai sorridendo tra me e me con una punta di amarezza.
-Ho paura- mormorò con quella sua vocetta acuta -E se mi dimentico di qui? Di Joy, di Maestra Iole e di te?-
Ricambiai lo sguardo senza dire una parola, perchè David era un bambino intelligente e capiva quando qualcuno gli mentiva.
-Mi verrai a trovare?-
Smisi di accarezzarlo e respirai a fondo. Mi sedetti sullo sgabello da toletta nella mia stanza. David si accoccolò sulle mie ginocchia.
-Non potrò venire a trovarti, David.- gli spiegai tranquillamente. Mi fissai sui suoi occhi lucidi e sentii un brandello della mia anima strapparsi. Come spiegargli che non mi avrebbe rivista mai più, che non avrebbe sentito la mia mancanza? Che nel momento in cui me ne sarei andata via avrebbe dimenticato tutto di me?
-Devo partire- gli spiegai dolcemente. -Devo tornare a casa mia, e non so se verrò più qui. Ma se succederà, la prima cosa che farò sarà cercarti. Se vorrai- aggiunsi con leggerezza -potrai anche venire con me. Ma da domani devi stare coi signori Foster, e vivere con loro, perchè saranno i tuoi nuovi mamma e papà.-
-Finchè torni a prendermi.- precisò, serio.
Esitai per un secondo, ma annuii. David appoggiò la testa alla mia spalla e sospirò. Un bambino non dovrebbe sospirare così, pensai. Così piccolo, e già così grande.
Con aria supplice, David sollevò di nuovo la testa, e m'implorò: -Miss Mirror, posso dormire con te stanotte?-
Sorrisi. Lo sollevai e lo portai sul mio letto, coprendolo poi con la coperta. Mi sdraiai accanto a lui e ripresi a canticchiare, lentamente, sussurrando.

"Due avventurieri cercano le nuvole,
Vedono la luce di cui parlano le favole,
Come uccelli volano, ritornano di là,
Portando quel bel fuoco nelle Profondità... "

Pochi minuti dopo sollevai una mano e scostai la frangetta dal suo piccolo viso. Dormiva sereno.
Il mio piccolo David...
Il sorriso mi morì sulle labbra. Domani me l'avrebbero portato via. Lo avrei seguito fino alla sua nuova casa. Avrei aspettato ancora un altro giorno per essere sicura che fosse tutto a posto, e poi sarei sparita per sempre. David non mi avrebbe più rivisto, non si sarebbe mai ricordato di me. Non avrebbe mai saputo chi sono.
Sentii i miei occhi farsi caldi e qualcosa di gelato scorrere lungo la mia guancia; agli umani sarebbe sembrata la carezza di un cristallo di neve, o forse una goccia di pioggia invernale.
Scivolò dal mio mento e cadde sul cuscino. La raccolsi. Ecco com'era fatta una mia lacrima, pensai. La osservai con amaro interesse: era solo la seconda volta in tutta la mia vita che ne vedevo una. Brillava sul palmo della mia mano, fredda e dura, più piccola dell'unghia del mio mignolo. Non c'era luce, eppure la superficie sfaccettata continuava risplendere di riflessi dorati.
Qualunque gioielliere avrebbe venduto l'anima per uno di questi, per un diamante d'oro. E qualsiasi demone avrebbe offerto il proprio sangue per averlo, visto che dall'anima non potevano separarsi, loro.
Forse quella di un mezzo demone sarebbe stata un prezzo equo, riflettei distrattamente. In ogni caso non ero intenzionata a vendere la mia lacrima, per nulla al mondo. La strinsi nel pugno. Quando lo riaprii, era diventata un orecchino a punto luce. Così avrei completato il set, pensai sfiorandomi il lobo destro, decorato da un gioiello identico. Erano passati sette anni da quando l'avevo pianto, ed erano sette anni che lo indossavo.
D'ora in poi l'avrei sfoggiati entrambi, il primo per il padre; il secondo per il figlio.
Per mio figlio.
  
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