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Autore: Aru_chan98    19/04/2015    0 recensioni
Nel reame di Picche infuria da secoli una guerra civile, combattuta tra la famiglia reale e un gruppo di ribelli. La loro unica speranza è l'amicizia tra Alfred, il giovane figlio del re, e Arthur, il quarto figlio del capo dei ribelli. Ma una volta adulti, manterranno la loro promessa di riportare la pace e far finire per sempre la guerra?
(Cardverse AU)
Genere: Angst, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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yaketa nohara ni tatazumu kodomo
[I bambini che stanno sopra alle pianure bruciate dal sole]
muryoku na sono te de haka wo horitsudzukeru
[Continuano a scavare tombe con le loro mani impotenti]

ikasaba no ato de na mo shiranu shounen to
[Sopra al campo di battaglia segnato di cicatrici, coprono con la terra]
nokotta mukurotachi ni tsuchi wo kabuseta
 [I corpi dei ragazzi senza nome e gli altri cadaveri]


La guerra ormai infuriava da anni, quasi decadi, e sembrava ormai infinita per gli abitanti del regno di Picche. Una guerra civile andava avanti e divorava il paese da molti anni e nessuno degli altri reami sembrava interessato a fare altro che stare a guardare quella povera gente che si massacrava a vicenda, nell’intento di rovesciare il malvagio re che stava sul trono. Ma nonostante questo re fosse malvagio, egoista e tirannico come il re prima di lui, suo figlio non era così: il principe Alfred era un bambino di 9 anni dal buon cuore, sempre allegro, gentile, valoroso e con un alto senso della giustizia. Alfred era la speranza dei ribelli per salvare il regno e avere finalmente un re giusto e saggio. Per questo se qualcuno lo vedeva camminare per il villaggio lontano dal castello nessuno osava torcergli un capello. Il principino usciva spesso dal palazzo, nel vano tentativo di aiutare quelle povere persone nei villaggi vicino al castello, conscio del fatto che il padre era troppo occupato con la guerra per badare a lui e questo gli dava l’occasione di scappare per giorni interi. Nell’unica volta che era scappato per una settimana intera, in un villaggio a una giornata di cavallo dal palazzo in cui viveva, aveva incontrato un altro ragazzino, all’incirca della sua età, forse un poco più grande, e in poco tempo i due erano diventati inseparabili. Il nome di questo bambino dai capelli biondi come il grano perennemente spettinati e dagli occhi del verde più incredibile era Arthur, ed era il quartogenito del capo dei ribelli. Arthur poteva sembrare una persona incredibilmente testarda e cinica, ma era molto sensibile e dal cuore d’oro. I due passavano le notti nei campi non molto distanti dalle trincee, a guardare le stelle e passare del tempo insieme. Un giorno molti uomini e un intero villaggio vennero massacrati da soldati del re, anche se anche alcuni militari di quella fazione erano morti e molti ragazzini del villaggio di Arthur vennero chiamati ad aiutare a seppellire i morti. Lo spettacolo era davvero terribile: dove una volta c’era un villaggio brulicante di vita ora c’erano solo case bruciate e rase al suolo, i campi rovinati e tanto, fin troppo sangue e cadaveri riversi al suolo. I ragazzi e gli uomini cominciarono a scavare tombe per quei poveri corpi senza vita, che i due bambini non conoscevano né avrebbero mai avuto l’onore di conoscere. E non importa quanti cadaveri seppellissero sotto la nera terra bruciata, ad ogni nuova tomba, il piccolo principe si sentiva sempre più impotente all’idea di non poter cambiare le cose e anche se Arthur voleva consolarlo, anche lui non sapeva che cosa fare.


 
ubai, ubaware nokotta zetsubou (nikumiau hate ni)
[Ruba, fatti derubare: ciò che rimane è la disperazione] (Le conseguenze dell’odio reciproco)
hieta mukuro wo idaite (atataka na hitomi ga tojiteiku sono tabi)
[Abbracciando un corpo ormai freddo,] (Ogni volta che degli occhi ancora tiepidi iniziano a chiudersi)
musebinaita
[Singhiozzai, soffocato dalle lacrime]


I mesi continuavano a passare, ma la guerra infuriava comunque e le perdite erano numerose su entrambi i fronti. Le persone erano così disperate ormai che tutti non avevano altra scelta che derubarsi a vicenda senza poter fare niente per impedirlo. I campi erano distrutti e incolti, così la gente stava morendo di fame a momenti e i commerci erano quasi nulli a causa dei confini chiusi. L’odio reciproco di queste due fazioni stava portando lentamente quel reame alla distruzione. Un giorno la battaglia si spostò nei pressi del villaggio di Arthur e molti ragazzi furono costretti a scegliere da che parte stare. I fratelli maggiori di Arthur decisero di unirsi formalmente alla resistenza e aiutare loro padre nella sua causa come tanti altri giovani. Quella notte i due ragazzini rimasero a parlare vicino ai margini del villaggio, perché il più grande aveva paura per i fratelli. Il giorno dopo la battaglia si spostò altrove e i ragazzini e gli altri uomini andarono nella trincea abbandonata per seppellire i morti del giorno precedente. “Non avrai intenzione di andare anche oggi sulle trincee” chiese preoccupato Alfred all’amico, “Devo. Al, devo assolutamente sapere se i mie fratelli o mio padre sono lì o se sono sopravvissuti” gli rispose con determinazione il bambino. C’era tanta preoccupazione mescolata a determinazione in quegli occhi verdi, che Alfred non poté fare a meno di accompagnare l’amico su quelle trincee. Come sempre, lo spettacolo era orrendo, ma almeno nessun civile era stato coinvolto per questa volta. I cadaveri erano ancora tiepidi in quella fredda giornata di febbraio, ma questo non faceva altro che far disperare di più chi trovava tra di loro un amico o un parente. I due bambini cercarono un segno dei quattro famigliari di Arthur che avevano preso parte alla battaglia e per buona parte della trincea, fortunatamente non trovarono alcun segno di loro. “Alfred, vieni” chiamò Arthur ad un certo punto, poco prima di cadere a terra: nel fango, sporco di sangue, giaceva il corpo senza vita di suo padre. Appena lo vide, Alfred s’irrigidì sul posto, conscio che quello era un colpo doloroso per Arthur ed era furioso con suo padre per ciò che aveva fatto. Non sapeva nemmeno che cosa dire all’amico, che piangeva abbracciando il corpo di suo padre, piangendo calde lacrime di dolore. “Arthur…” spezzò il silenzio il giovane principino, toccando la spalla del suo amico, che alzò la testa dal terreno, senza lasciare il padre. Alfred lo strattonò e lo tirò a sé, per abbracciarlo e tentare il possibile per consolarlo almeno un poco. Arthur pianse sulla sua spalla, mentre l’amico gli accarezzava i capelli, piangendo anche lui a momenti, odiando come mai in vita sua quella guerra. Quando tornarono a casa, ad Alfred mancò il cuore di dare quella triste notizia alla madre di Arthur, ma il bambino non era in grado di dire niente agitato com’era e niente fu mai più doloroso per il principino che vedere quella piccola famigliola così devastata. 


 
 
hakanaku chitta inochi wo nageki nagara, tada tomurau (kono te de ha nani wo mamoreru darou)
[Per la perdita di queste vite brevi e smarrite, posso solo piangere] (Esiste qualcosa che io possa proteggere con le mie mani?)
owarinaki arasoi wo itsuka tomeru sono tame ni (arasoi wo tomo ni, nakusu sono tame ni)
[Per poter un giorno porre fine a questa interminabile guerra,] (Così non ci saranno più guerre)
ikiyou
[Continueremo a vivere]

kokoro no naka, miseatte ienu kizu mo wakachiatta (shinjite kimi to atariatta)
[Nel profondo, condividevamo le nostre ferite che non potevano guarire] (Credi in ciò che ci siamo detti)
osanaki hi no yakusoku wo kono te de kanaeru to chikatte
[Legati dalla promessa fatta quando eravamo bambini, ti giuro che l’adempierò con le mie stesse mani]


Gli anni erano passati e i due bambini ora erano ragazzini di 14 e 16 anni. Uscire dal castello era diventato più rischioso per il principe perché in pochi anni sarebbe cominciata la sua istruzione per diventare sovrano di quel regno devastato, ma ogni rischio valeva la pena di precipitarsi a cavallo fino al villaggio del suo migliore amico. Quella volta suo padre era dovuto partire per una spedizione vicino al confine col reame di Quadri per sedare una rivolta e Alfred aveva colto l’occasione per andare a trovare Arthur, sapendo che sarebbe potuto restare per più giorni quella volta. “Ciao Alfred, stai cercando Arthur?” gli chiese la madre del biondo gentilmente. “Si, signora. Sa dove posso trovarlo?” gli rispose Alfred, con un sorriso. “Ancora con questo “Signora”. Sarai anche il principe, ma ti trasformo in un ranocchio se continui a darmi del voi aggiungendo “signora”” gli disse scherzosamente la madre di Arthur, per poi aggiungere “Arthur è nei pressi del campo poco fuori dal villaggio”. Alfred la ringraziò e corse a raggiungere l’amico, mentre la donna andava a preparare la camera degli ospiti, sicura che il principe si sarebbe fermato da loro per qualche notte. Alfred arrivò nel luogo indicato dalla donna e vide l’amico inginocchiato poco distante da lui: era andato a trovare la tomba del padre. “Sono sicuro che sia contento che tu ti stia prendendo cura di tua madre e del tuo fratellino così bene, non essere triste” gli disse piano il più giovane. Arthur non lo aveva sentito arrivare, ma non sobbalzò. “Non sono triste, è che mi manca davvero tanto” rispose piano e con una nota di tristezza nella voce, il biondo. Alfred gli arruffò i capelli e finalmente Arthur fece un piccolo sorriso. Il principe gli tese una mano e lo aiutò ad alzarsi. “Allora sua Altezza, cosa la porta qua oggi?” gli chiese il ragazzino scherzando. “Sono venuto perché una certa persona si sarebbe sentita sola se non fossi andata a trovarla ogni volta possibile” gli rispose Il più giovane, scherzando a sua volta. Arthur stava per rispondere quando entrambi si resero conto di tenersi ancora per mano. Arrossirono e lasciarono andare le loro mani il più presto possibile. “P-per quanto starai qui stavolta?” gli chiese alla svelta Arthur, nel tentativo di cambiare argomento il prima possibile. “Well, il re starà via per un paio di settimane, quindi una settimana intera come minimo, I guess” rispose con altrettanta velocità il principe. Ad Arthur scappò un piccolo sorrisetto mentre guardava in basso, imbarazzato ma felice che l’amico sarebbe rimasto per così tanto, ma delle grida improvvise fecero allarmare i due ragazzi: il villaggio era sotto attacco! I due corsero a perdifiato fino al villaggio per vedere che stava accadendo. L’esercito reale sembrava intenzionato a distruggere il piccolo villaggio, ma per fortuna il re non era con loro. Alfred sfoderò subito la spada che teneva attaccata alla cintola e protesse Arthur dagli attacchi di alcuni soldati mentre il ragazzo raggiungeva casa sua per assicurarsi che la madre e il fratellino stessero bene e per prendere la sua spada. I due dovevano essersi nascosti, perché non li vide, ma non ebbe tempo di cercarli perché Alfred e gli altri ragazzi del posto avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile per fronteggiare il nemico. La battaglia durò un paio d’ore, ma fortunatamente riuscirono a respingere l’attacco. “Arthur, tutto bene?” chiese il principe all’amico, non appena i due si ricongiunsero, “Si, non preoccuparti, ora andiamo: non ho visto la mamma né Peter in casa” gli rispose un po’ ansioso il ragazzino. I due si affrettarono a tornare a casa e appena Arthur chiamò i suoi familiari, suo fratello Peter corse da lui da dentro una credenza e lo abbracciò piangendo, continuando a dire che aveva avuto tanta paura. Il ragazzo si inginocchiò a livello del fratellino di 7 anni e controllò che non fosse ferito: “Va tutto bene Peter. Tranquillo, il peggio è passato ormai. L’importante è che tu non sia ferito. La mamma?” gli chiese e Peter si limitò a indicare la cucina. Arthur prese in braccio il fratellino e, seguito da Alfred, raggiunse il punto indicato poco prima. Sua madre era nascosta dietro alla legna per cucinare, ma quando i ragazzi si avvicinarono notarono le la donna era ferita ad una spalla. “Ah, ragazzi. Ottimo lavoro con quei soldati” disse loro con un sorriso stanco. Alfred non ebbe bisogno di girarsi per capire che l’amico si era irrigidito sul posto. Posò a terra Peter e, insieme al principe, aiutò la madre ad alzarsi. Quella notte, i quattro si ritirarono nelle loro stanze molto presto, esausti per quella giornata. Alfred provò a prendere sonno, ma non ci riusciva: continuava a pensare a tutte quelle vite spezzate e alla paura negli occhi delle persone innocenti. Una piccola lacrima spuntò dai suoi occhi al pensiero di non poter ancora far nulla per loro se non provare pietà e compassione, ma se l’asciugò subito e decise di alzarsi dal letto. S’infilò le scarpe e silenziosamente si diresse verso la camera di Arthur. Senza bussare aprì lentamente la porta, ma il ragazzo non c’era e il letto sembrava intatto. Il principe non ebbe bisogno di pensarci due volte che uscì dalla porta e si diresse verso una radura dentro al boschetto vicino ai margini del villaggio. Arthur era lì, seduto vicino ad un albero, con la testa nascosta tra le braccia che circondavano le sue ginocchia. Il giovane principe si sedette vicino a lui e gli chiese a voce bassa che cosa c’era che non andava. “L’hai vista no? La mamma era ferita.  Non oso immaginare cosa sarebbe successo se avessimo vinto troppo tardi. Mi domando se esista qualcosa che io possa proteggere con le mie mani” rispose il ragazzino, senza mai alzare la testa dal suo “rifugio”. Alfred gli accarezzò i capelli biondi e disse “Ma hai protetto il villaggio. Molti altri sarebbero morti se il villaggio fosse stato preso. Tua madre starà bene e Peter non ha nemmeno un graffio. Tuo padre e i tuoi fratelli sarebbero fieri di te se ti avessero visto combattere con tutto quel coraggio”. “Lo pensi veramente?” disse piano il maggiore, “Ne sono certo”, fu la risposta che ottenne, mentre la mano del principe scivolava dalla sua testa alla sua spalla. Arthur alzò la testa e l’appoggiò alla spalla dell’amico, sentendosi bisognoso e grato di quell’affetto che stava ricevendo. Chiuse gli occhi e riuscì a calmarsi sentendo il principe respirare: quel giorno non aveva perso nessuno grazie al cielo. Preso dal momento, Alfred girò la testa per guardare l’amico che finalmente sembrava meno teso e, sorprendendo molto più se stesso, posò un lieve bacio sul lato della testa bionda del più grande. Arthur arrossì, ma ancora una volta non reagì vistosamente: arrossì parecchio, ma non chiese all’amico il motivo di quel gesto. Tuttavia, intrecciò le dita della sua mano sinistra con quella del principe e, con un tono stranamente dolce per lui, disse “Spero che questa guerra finisca in fretta. Non vedo l’ora del giorno in cui potremmo finalmente vivere tutti in pace” “Allora cerchiamo di rimanere vivi finché quel giorno non arriverà” gli rispose con un tono altrettanto dolce Alfred. I due portavano dentro mille dolori e cicatrici a causa di quella guerra, ma in quel momento tutto ciò in cui riuscivano a credere erano quelle parole, ovvero che un giorno la guerra sarebbe sicuramente finita. I giorni volarono, fortunatamente senza altri attacchi, e presto arrivò il giorno prima della partenza del giovane principe. Sarebbe partito l’indomani all’alba e, non volendo svegliare nessuno, la famigliola lo salutò prima di andare a dormire. Ma i due ragazzi preferirono sgattaiolare nella radura anche quella notte. “Il cielo è davvero una meraviglia” disse Alfred, che stava sdraiato nell’erba accanto ad Arthur, tenendolo per mano. “Sarebbe bello se ogni giorno fosse così” ammise il più grande. “Quando sarò re la farò cessare questa stupida guerra. La gente smetterà di uccidersi a vicenda e il reame di Picche tornerà nuovamente florido” disse con aria sognante ma decisa il giovane principe. “Dubito che i ribelli ti daranno retta. Mi impegnerò al massimo per ricoprire la posizione di mio padre un giorno, così da poter dare una mano a far finire questa guerra” disse di rimando il più grande, girandosi verso Alfred. “E dopo questo” cominciò a dire, per poi baciare il dorso della mano di Arthur “Dopo questo mi aspetto che tu sia la mia regina”. Arthur arrossì completamente e girò lo sguardo verso il cielo, sentendosi ancora più in imbarazzo quando sentì Alfred ridacchiare allegro. Dopo qualche minuto di silenzio, Arthur si mise a sedere, attirando l’attenzione dell’altro ragazzino. “Sai, man mano che cresceremo potremmo dimenticarci di noi o della nostra promessa. Quindi, beh, questo pensiero mi ha tenuto sveglio nelle precedenti notti, so… well… I-I made these rings. Li ho intagliati nel legno. So che non sono questa gran cosa, ma-“ “Sono meravigliosi” lo interruppe Alfred. Ne prese uno e, tirato fuori il coltellino che teneva nello stivale, alla luce della luna piena incise una piccola frase vicino a quella che il suo tatto identificò come un’altra piccola incisione. “Questo è il tuo” disse deciso, ma, quando Arthur tese la mano sinistra per prenderlo, il principe fu svelto a prendergli la mano e infilargli il piccolo oggetto all’anulare. Notandolo il più grande arrossì vistosamente e con un coraggio inimmaginabile, con mani tremanti fece lo stesso. Il principe fece un sorriso stupendo e lo abbracciò forte.
Il sole sorse troppo in fretta per i gusti del giovane principe, che voleva rimanere in quella piccola casa accogliente ancora per molto, ma il dovere era dovere, e lui non poteva rischiare di mettere in pericolo un villaggio intero per i capricci del suo cuore. Mentre si vestiva e si allacciava il mantello per partire, i suoi occhi si soffermarono sul suo anulare sinistro: la notte precedente, poco dopo essere tornato nella sua stanza aveva inciso accanto alla frase di Arthur, le parole “He is your Queen”. Lo guardò per qualche secondo, per poi infilarsi gli stivali e uscire dalla stanza, ma prima di uscire dalla casa si diresse verso la camera dell’altro ragazzo. Entrando vide le coperte alzarsi e abbassarsi al ritmo del respiro placido del ragazzino addormentato. Vedendolo così sereno, si fece prendere dal momento e, facendo più piano possibile, posò un casto bacio sulle labbra del giovane addormentato, per poi arrossire e uscire di casa, sellare il suo cavallo e partire diretto per il castello. Ciò che non sapeva era che Arthur si era svegliato nell’esatto momento in cui il principe si era avvicinato al suo letto. Aprì gli occhi non appena Alfred chiuse la porta di casa e si diresse di corsa alla finestra della sua stanza in tempo per vedere il caro amico sellare il cavallo e partire. Si portò una mano alle labbra, incredulo, ma doveva essere la realtà perché sentiva ancora la sensazione delle labbra del principe sulle sue. Dopo poco i suoi occhi verdi caddero su un altro dettaglio, l’anello della notte precedente. Guardò meglio e arrossì quando lesse l’incisione: su quel piccolo anello marrone chiaro era inciso “Just remember I love you”            


 
kako wo wasurete toki ha nagareru
[Il tempo scorre, facendo dimenticare il passato]
chinurareta keifu ha itsumade tsudzuku no ka
[Per quanto ancora proseguirà questa stirpe intrisa di sangue?]

ubaware shichi de kibou wo kakage ken wo nuku
[Sopra alle terre rubate, portando la speranza, estraggo la mia spada]
kawashita yaiba no saki natsukashii kimi ga ita
[Ti incontrai di nuovo, proveniente da memorie ormai lontane, dall’altro lato della mia lama]
 
Da quel giorno erano trascorsi ben cinque anni e i due ragazzi non si erano più rivisti. Una guardia che aveva attaccato il villaggio aveva riferito al re che il principe combatteva per la resistenza e che era scappato dal castello, così il sovrano, al suo ritorno, cominciò ad istruire il figlio ai doveri di un re, proibendogli di uscire dal castello e mettendo delle guardie fidate a controllarlo costantemente. Man mano che il tempo passava, che le responsabilità si facevano più importanti e che la vita a corte si faceva più frenetica, Alfred cominciò a dimenticarsi dei giorni trascorsi con Arthur, che il re aveva dato per rapito dai ribelli e ucciso per convincere il figlio a non uscire più e fidarsi di lui, e con essi i sentimenti provati per lui un tempo. L’unica cosa che rimaneva nella sua mente era la vaga promessa di portare la pace, fatta anni prima, legata ad un anello di legno che il principe teneva legato a una corda che faceva da collana. Un giorno giunse la notizia che il re era morto in una battaglia a causa di alcuni ribelli e il principe, divenuto ora re di Picche, decise di accorrere sul campo di battaglia. “Altra morte, solo morte. Quand’è che questa stirpe di uomini dediti alla guerra finirà?” era tutto quello che il principe riuscì a pensare, una volta arrivato sul luogo e aver ucciso i ribelli rimasti, con la spada che gocciolava di sangue ancora caldo, senza accorgersi che un’altra persona lo stava guardando con occhi carichi d’odio, rabbia e delusione.
 


In quei cinque anni che passarono Arthur aveva continuato a lavorare sodo per mantenere la promessa fatta al principe e alla fine era riuscito a diventare il capo dei ribelli. Le battaglie erano lunghe, le strategie difficili da pianificare, ma ogni volta che vincevano una battaglia, conquistando un nuovo pezzo di terreno dietro l’altro, che vedeva la speranza tornare negli occhi delle persone, acquisiva maggiore determinazione per fare ciò che doveva fare. Combatterono per mesi e un giorno gli venne annunciata la notizia che il re era morto. Quasi non credendo alle sue orecchie e volendo congratularsi con i guerrieri che avevano compiuto quell’impresa, si precipitò subito al galoppo fino al luogo di quella battaglia. Ma quando arrivò, vide i suoi compagni riversi a terra morti, mentre un giovane uomo dai capelli biondi e dalla spada insanguinata osservava quello spettacolo raccapricciante. Arthur sguainò la spada senza far rumore, pensando di uccidere quell’uomo all’istante, ma quando si girò per poco non lasciò cadere l’arma a terra e sia lui che l’altra persona sbarrarono gli occhi: l’assassino dei suoi compagni d’armi era Alfred! Ma non era più la persona che conosceva, era diverso. Arthur sentiva che ormai era suo nemico ed era suo dovere combatterlo.



 
ano hi no kimi wo shinjite susunde (sagashi tsudzuketeita)
[Credi nel te stesso che ho conosciuto e vai avanti] (Ti ho cercato per così tanto tempo)
ima, me no mae no kimi to (omokage wo yatto mitsukete; bokura)
[Ora sei qui, davanti ai miei occhi…] (E ora sei qui: noi…)
tatakau nante
[Come possiamo combatterci?]


“Arthur?” disse esitando il nuovo re di Picche, temendo di aver davanti solo un sogno o un miraggio. Arthur non riusciva a credere che la persona che aveva davanti ai suoi occhi fosse lo stesso principe dei suoi ricordi. “A-Alfred?” disse anche il più grande. Il nuovo re fece uno splendido sorriso e fece per abbracciare l’amico ritrovato, quando, guardandolo, si bloccò di colpo: gli occhi verdi di Arthur erano scivolati velocemente verso la spada grondante di sangue dell’ex principe, per poi assumere un’espressione scioccata. “Ma come? Alzi la spada contro di me?” gli chiese Alfred, quando vide l’amico mettersi in posizione difensiva ad ogni passo che faceva verso di lui. “Ti ho cercato così a lungo. Papà diceva che eri stato ucciso dai ribelli, ma io non ci ho mai creduto. Sapevo che ti saresti ribellato e ne saresti uscito vivo. Sono così felice di rivederti”, ma Arthur non dava segno di voler abbassare la spada. La persona che aveva davanti era senza dubbio lo stesso ragazzino allegro che conosceva, ma allo stesso tempo non lo era: c’era qualcosa in lui di diverso. “Arthur, non voglio farti del male, ti prego, abbassa la spada. Non so cosa ti abbiano fatto questi mascalzoni, ma ti assicuro che adesso sei al sicuro”. A queste parole, il biondo strinse più forte l’elsa della spada: voleva con tutte le sue forze credere di aver ritrovato un caro amico, ma ormai, davanti ai suoi occhi aveva un nemico. Un nemico, Arthur non riusciva a crederci: Alfred non era una persona qualunque per lui, era il suo amato principe, la persona con cui aveva stretto la promessa di far cessare quella stupida guerra che stava devastando tutto. “No” disse fermamente Arthur, abbassando lo sguardo “No, i miei compagni non centrano nulla. Per questi anni non abbiamo fatto altro che aiutare questa povera gente. Non mi hanno rapito, non mi hanno fatto nessun lavaggio del cervello: io sono il capo dei ribelli. Alfred, apri gli occhi e renditi conto di quello che hai fatto. Tuo padre era un tiranno. Non ti ricordi tutte le volte in cui abbiamo dovuto scavare fosse per le salme dei poveri cavalieri, su cui piangevano le loro povere vedove? Non ti ricordi quando ci promettemmo a vicenda di portare la pace e far finire la guerra, combattendo contro tuo padre al fianco della resistenza? O erano solo parole, quelle che pronunciasti davanti a quegli anelli?”. “Vedi Arthur? I ribelli ti hanno riempito la testa di sciocchezze. Mio padre cercava solo di migliorare il paese. Ma voi non lo capite, tuo padre non capiva, e nemmeno questi vigliacchi che hanno ucciso mio padre” rispose Alfred. A quelle parole, il cuore del più grande si spezzò: il ragazzo che conosceva e amava ormai non c’era più.
 
 
afuredashita namida wo nugui mo sezu yaiba wo muku (tsugunai wo yurusareru no nara)
[Senza asciugare le mie lacrime traboccanti, affronto la tua lama] (Se solo tu potessi permettermi di espiare le mie colpe…)
horobosareta sono mirai wo, kuni wo, kaese to sakende (sono mirai wo, kimi wo, mamoru to sakende)
[“Rendici il nostro futuro distrutto, rendici la nostra terra” così ti grido] (“Proteggerò il nostro futuro, ti proteggerò” così ti gridai)
todokanai
[Ma la mia voce non ti raggiunge]


Una piccola lacrima scese dal volto di Arthur, ma quando Alfred cercò di avvicinarsi per tentare di consolarlo, il biondo gli sferrò un pugno, che l’ex principe riuscì a schivare solo per pura fortuna. Si allontanò velocemente dall’amico, ma Arthur non perse tempo e cercò di colpirlo con la spada questa volta: in quei colpi c’era una disperazione incredibile e tanta, tanta rabbia e delusione. Le loro spade continuavano a cozzare l’una contro l’altra, mentre le lacrime continuavano a scendere sul volto di Arthur. Lacrime di dolore e rabbia, che facevano star male Alfred, convincendolo sempre di più che l’amico avesse passato le peggiori torture per comportarsi in quella maniera, ma comunque si sentiva stranamente in colpa. “Ti prego Arthur, lasciami spiegare. Vedrai che ho ragione io, che tutto quello in cui credi è sbagliato. Ti devi fidare di me, ti giuro che non ti sto dicendo bugie” provò a convincerlo Alfred, ma l’amico non sembrava volerlo ascoltare. “No, quello che sbaglia e non ha capito niente sei tu! Come puoi parlarmi così dopo tutto quello che hai visto con i tuoi occhi e che abbiamo passato?! Tu non stai tentando di concludere la guerra, tu la stai solo peggiorando. Ci devi restituire tutte le terre che tu e tuo padre vi siete presi ingiustamente con la forza! Il popolo sta morendo di fame e questo paese non avrà un futuro se non apri gli occhi!” gli urlò Arthur, continuando a sferrare e parare i colpi delle spade. “Ma allora non vuoi proprio capire! Non è come pensi tu! Mio padre ha cercato di aiutare questo paese morente. Arthur non credere a quello che i ribelli ti hanno detto in questi anni, dicevano solo bugie per metterti contro di me: sapevano che saresti diventato il loro capo, così non potevano permettere che tu sapessi la verità, che la famiglia reale era nel giusto. Perché altrimenti non avrebbero avuto il potere tutto per loro. Vieni con me, io ti proteggerò ora e per sempre. Rimani al mio fianco. Te lo ricordi no? Ti avevo promesso che una volta finita la guerra saresti stato la mia regina: quei sentimenti non sono cambiati, quindi ti prego, lascia che ti mostri la verità” gridò disperato e anche irritato Alfred, e per un secondo Arthur interruppe il suo attacco. “No, non verrò mai via con te” rispose con decisione il ragazzo. Gli occhi celesti di Alfred s’indurirono di colpo e disse piano, come una minaccia, “Allora, per il tuo bene, non mi lasci altra scelta” e ripresero a combattere.


 
kotoba ha mou, todokazu ni sono yaiba wo uketsudzukeru (shinjite kimi wo machitsudzuketa)
[Non riuscendo più a raggiungerti con le mie parole, continuo a subire i colpi della tua spada] (Io ti ho creduto, e ho continuato ad aspettarti)
osanaki hi no yakusoku ha hatasarenu mama ni kieteitta
[La promessa che ci eravamo scambiati da bambini è scomparsa, irrealizzata]



I due stavano combattendo da interminabili ore ormai, ma nessuno dei due sembrava voler cedere. Ormai le parole avevano fallito, nessuno dei due sembrava voler ascoltare le parole dell’altro, lasciando che l’unico suono che riecheggiasse fosse lo stridio del metallo delle loro spade che cozzavano in parate, stoccate e affondi. Se prima Alfred cercava di andarci piano, per tentare di far ragionare Arthur, adesso faceva sul serio, anche se il rivale si dimostrava uno spadaccino davvero abile. “Bugiardo. Io ti ho creduto! Ho creduto ad ogni tua parola, anche se sapevo che erano tutte bugie. Ho aspettato ogni giorno il tuo ritorno da quando ci siamo scambiati quella promessa, facendo di tutto per realizzarla… La tua regina? Oh no, non ci sarà niente su cui regnare se non riesco a fermarti” pensò Arthur, piangendo le sue ultime lacrime, per poi tentare di colpire l’ex principe. Era la visione più triste che avessero mai potuto aspettarsi dal futuro: la loro preziosa promessa spezzata, svanita nel tempo come se fosse un effimero ricordo. Era davvero per questo che avevano sacrificato la loro amicizia? Era per questo che avevano stretto i denti nonostante le difficoltà del cammino che avevano scelto di percorrere? Era davvero per questo che avevano sacrificato il loro amore? Questo pensiero attraversò la mente di entrambi, quasi all’unisono, colmando i loro cuori di rabbia e dolore. Per un attimo si allontanarono per riprendere fiato, ma nemmeno qualche secondo dopo Alfred si avventò sul rivale con tanta rabbia da urlare il suo nome, come per tentare di svegliarlo da un brutto sogno. Il colpo fu così violento che il biondo dovette sorreggere la spada anche con la mano destra, ma non riuscì a pararlo bene, e la lama del rivale lo ferì ad una spalla. Alla vista del sangue di Arthur, lo stomaco di Alfred a momenti si rivoltò: nella sua vita di sangue ne aveva visto davvero tanto e aveva anche ucciso un po’ d’uomini nelle battaglie in cui aveva accompagnato suo padre, ma l’idea di aver ferito il suo amato amico lo sconvolgeva. Con occhi sbarrati fissava il sangue dell’amico gocciolare in terra, con un’espressione sconvolta in viso e a momenti lasciò cadere la spada. “No… No! No! No, Arthur, scusa, io non volevo! Io non volevo ferirti, non lo avrei mai fatto, credimi” disse sconvolto: Arthur poteva anche essere suo nemico, ma non avrebbe mai voluto torcergli nemmeno un capello. Arthur strinse i denti, il dolore della ferita si faceva sentire, ma questo non gli impedì di sollevare la spada e ritornare in posizione di difesa. Nonostante tutto Arthur non si fidava dell’amico, non dopo tutta la furia che aveva messo in quegli attacchi. “Se non volevi allora getta la spada. Nemmeno io voglio farti del male, quindi se ti arrenderai di tua spontanea volontà darò ordine che nessuno dei miei ti faccia del male. Ti faremo capire come stanno le cose, ti aiuteremo ad uscire dalla follia in cui ti ha trascinato tuo padre. Alfred, non voglio perderti né combatterti, quindi lascia che ti aiuti a recuperare il senno, te ne prego” provò a dirgli il più grande, sperando di riuscire a farlo ragionare ora che era così sconvolto. Ma le sue parole caddero nel vuoto: Alfred rialzò la spada e disse “No, ti sbagli e non vuoi capirlo. Non intendo diventare un prigioniero, e so che se venissi via con te mi tagliereste la gola alla prima occasione. Quelli folli siete voi” ma l’ultima parte sembrava più rivolta a se stesso che all’avversario. “So, bring it on” disse con voce gelida Arthur, ignorando il dolore della spalla.
 
 
hakanaku chitta namida wo, nokoshita me wo, ashita he tsunagu (inochi kakeshite, mukuwarenu no nara)
[Le lacrime dalla vita breve e i germogli ormai lasciati alle spalle si collegano al nostro futuro] (Queste vite scommesse non potranno essere ripagate)
kimi to miteta yume no mirai wo mamori, yatasu sono tame ni (yume no mirai wo ubai, suteru sono tame ni)
[Per poter proteggere il tuo futuro che abbiamo entrambi sognato,] (Per poter rubare e gettare via quei sogni del futuro,)
tatara

[Combatterò]
kokoro sae mo azamuite kimi no moto he yaiba wo muku (shinjite kimi wo machitsudzukeru)
[Tradendo il mio cuore, punto la mia spada verso di te] (Ci crederò e continuerò ad aspettarti)


Dopo alcune ore di combattimento, i due si erano distanziati, e ora si guardavano con sguardi di rabbia e determinazione, ansimando per la stanchezza dello scontro. Quella lotta sembrava essere combattuta non solo dal loro corpo, ma anche dalle loro anime. Si guardavano, ma nessuno dei due abbassava la spada, sospettando che l’altro avrebbe usato ogni occasione possibile per attaccare. Ormai Arthur non piangeva più, pensando che non importava, perché il loro passato non sarebbe tornato mai più, né
tutte le persone che avevano perso. Stavano combattendo lì da tempo, eppure la loro era una battaglia come tante, come se le loro vite, sebbene avessero un ruolo importante per le rispettive fazioni, fossero insignificanti come germogli: anche se uno di loro fosse morto in quella battaglia sarebbe stato solo un passo avanti per la fazione avversaria in quella guerra centenaria. Entrambi lo sapevano bene, ma comunque nessuno dei due voleva arrendersi. Ognuno combatteva per ciò in cui credeva, ma allo stesso tempo volevano ardentemente salvare l’altro da se stesso. “Ora basta. Non pensi sia il tempo di smettere? Stiamo lottando da ore ma ormai è chiaro che nessuno di noi è in grado di sopraffare l’altro. Lo so che non mi crederai per via di quello che ti hanno fatto, ma ti prego, capiscimi. Non intendo arrendermi, perché io sto combattendo solo per proteggere quel futuro che ti ho promesso; il tuo futuro soprattutto. Non voglio stare in un campo di battaglia e ricevere la notizia della tua morte, non la reggerei. E non voglio nemmeno vederti morire. Non sono i piani di mio padre, è quello che voglio io. Io voglio far finire questa guerra, ma voi ribelli continuate ad ostacolarmi” “Noi ostacoliamo te?” rispose con una nota d’indignazione Arthur “No, non è così. Anche io non voglio né sentire della tua morte o vederla, ma non posso tollerare che in nome della nostra promessa tu porti avanti la tua follia. Potrà non essere un progetto di tuo padre, ma i suoi ideali sono comunque radicati nel tuo cuore, e questo rende tutto una pazzia. Tu non puoi sacrificare questo paese per i tuoi obiettivi, a maggior ragione se dici di farlo per me. Non importa se questo significa combatterti, ma il mio compito è salvare questo regno, a qualsiasi costo, come mio padre ha fatto prima di me”. Gli occhi di Alfred sembrarono indurirsi, ma si capiva che le parole di Arthur lo avevano ferito. Ripartì per un nuovo attacco, ma il più grande fu più veloce e non solo bloccò l’azione sul nascere, ma con un fendente ferì lievemente l’ex principe al braccio. Arthur ne sferrò un altro, ma rimbalzò sulla corazza dell’armatura del più giovane. Nell’urto, la collana a cui era attaccato l’anello di legno saltò fuori ed emise un suono leggero quando andò ad appoggiarsi contro il ferro blu dell’armatura. Appena lo vide Arthur si paralizzò sul posto: non credeva più che l’amico avesse conservato quel piccolo oggetto. Aveva la spada alzata, ma non sembrava intenzionato a muovere un solo muscolo. I suoi occhi verdi caddero dall’anello al collo di Alfred a quello che aveva alla sua mano sinistra, che reggeva la spada senza muoversi. Quindi non aveva davvero dimenticato, che ci fosse anche solo una minuscola possibilità di far tornare tutto come prima? Il cuore di Arthur saltò un battito e Alfred si accorse che l’avversario era arrossito. Di colpo, Arthur avrebbe voluto gettare la spada a terra, correre dal suo amore, abbracciarlo forte e perdonarlo, ma non si mosse. Anche se il
suo cuore era agitato, la sua spada non si mosse nemmeno di un millimetro. Voleva recuperare quel prezioso legame con Alfred, ma si costrinse a ignorare il suo cuore e a ricordarsi che il suo dovere era quello di affrontare il suo amore e batterlo per portare la libertà al popolo di Picche. Non era il momento di pensare a quello che il suo cuore voleva, prendendo il posto di suo padre aveva giurato di difendere degli ideali, e arrendersi al nemico non avrebbe fatto altro che distruggerli. Avrebbe continuato a combattere, anche se questo avrebbe significato tradire il proprio cuore. Stava per mettersi in posizione d’attacco quando sentì un sibilo nell’aria che si avvicinava molto velocemente: si scansò di lato e una freccia si conficcò nel terreno ai suoi piedi. Si voltò e vide un arciere con i colori della corona che puntava il suo arco nella sua direzione. Scioccò la lingua in segno d’irritazione per la situazione. “Vedo che hai portato rinforzi. Per ora mi ritiro, ma non pensare che la guerra sia finita qui. Ci rivedremo Alfred, fino ad allora, addio” disse Arthur, per poi montare sul suo cavallo e scomparire per i boschi al galoppo, ignorando la voce di Alfred che lo chiamava.
 


 
oroka na hi no yakusoku wo kono te de kanaeru sono toki made
[Fino a quando] [Non riuscirò ad adempiere a quella promessa con le mie stesse mani]
 

Sotto la luna che cominciava a sorgere Arthur continuò a galoppare, dirigendosi verso il suo quartier generale. Aveva uno sguardo determinato, perché quella era l’unica emozione che riusciva a provare, soffocando tutti gli altri sentimenti che avrebbe dovuto provare i quella situazione, come il dolore o la rabbia. Voleva far finire quella guerra al più presto. Una volta arrivato nei pressi dell’accampamento, si girò momentaneamente nella direzione verso cui era situato il castello. A 10 leghe di distanza, l’ormai incoronato sovrano di Picche, guardava le stelle dalla terrazza del suo palazzo, che stava nella direzione del campo dei ribelli. “Non importa quanto tutto questo possa farmi male” “Non importa se alla fine perderò tutto” “O se perderò la mia vita” “O se guadagnerò solo odio per il mio operato” “Non importa anche se tu dovessi odiarmi Alfred” “Non importa se tu cercassi di uccidermi Arthur” “Io continuerò ad amarti” “Io continuerò a cercarti” “Fino a quando non concluderò questa guerra con le mie mani”



Piccolo Angolo dell'Autrice:
Vi prego non picchiatemi XD Questa song fic ruota è ispirata alla canzone Nemesis of the Ruined Kingdom cantata da Rin e Len Kagamine, ma la traduzione è opera di PineappleYuki (https://www.youtube.com/watch?v=Gw2BUhflVeg) che vi consiglio caldamente di ascoltare per entrare nel clima della storia. So che è una canzone molto trsite ma era perfetta per questa storia. Come sempre, in rosso canta America, in blu Inghilterra e in viola entrambi, anche se stavolta ho usato questi colori anche per far capire a chi appartengono i pensieri nell'ultima parte. Mi scuso se i personaggi sono un pò OOC, ma era necessario per la storia. Spero sia venuta bene e alla prossima ^w^

 
 
 
   
 
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