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Autore: Nephertiti    20/04/2015    8 recensioni
ATTENZIONE: CAPITOLI REVISIONATI, IMMAGINI RICARICATE.
Mitsuko, una ragazza di diciassette anni, è stata obbligata dai genitori a frequentare una nuova scuola, ignara del perché, dovrà trasferirsi in una nuova casa. Ma nell'abitazione troverà sei fratelli bellissimi, nonché vampiri assetati del suo sangue...(riprende la storia dei Diabolik Lovers, ma troveremo una nuova protagonista con un fisico ma soprattutto un carattere ben diversi da quelli della nostra Yui.)
Mitsuko resterà solo un'altra Sposa Sacrificale o riuscirà ad adattarsi in quella villa del terrore, che diverrà per lei man mano più familiare?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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DIABOLIK LOVERS: GIRL OF LIGHT

 

 

 

 

 

 

 

Prologo

 

 

 

 

Alberi, alberi e ancora alberi...

Mi chiesi se stessi andando a vivere in mezzo a un bosco...


Gettai un'occhiata al mio autista.

Era immobile, spaventosamente serio e di certo non amava conversare.

 

Mi ero presentata, dicendo di chiamarmi Mitsuko Yoshida e di avere diciassette anni, ma lui non mi aveva degnato di uno sguardo, completamente assorto dalla guida, come se vivesse solo per fare quel mestiere.

 

"Dove stiamo andando?"

Parlai di nuovo, ovviamente lui non rispose, ma potei notare il suo labbro incurvarsi leggermente.

Rabbrividii.

Perché ero stata costretta a trasferirmi a Tokyo?

Perché mio padre aveva mormorato un "perdonami, presto verrò a riprenderti", prima di spingermi in questa macchina nera, funerea e inquietante?

Troppe domande senza risposta, troppi dubbi da sciogliere e che sarebbero rimasti tali per molto tempo.

 

Assorta nei miei pensieri, non mi accorsi che la vettura si era fermata.

L'autista mi fece cenno di scendere e io seguii l'ordine.

Recuperai da sola la mia valigia dal cofano, il tizio in macchina non alzò un dito, non che avessi bisogno del suo aiuto, avevo imparato a contare su me stessa in tutto.

Non appena richiusi il cofano, l'auto sfrecciò via, rivelandomi il luogo in cui ero finita.

 

Avevo di fronte un enorme cancello nero, che introduceva a un viale circondato di rose.

Il loro profumo invase le miei narici.

Era un odore piacevole e questo servì a sciogliere la tensione, forse non sarebbe stato poi così male.

Fissai l'enorme cancello di ferro che non accennava ad aprirsi, mi guardai intorno in cerca di un campanello o qualsiasi cosa...

Il cielo intanto si era incupito, ricoperto da nuvoloni neri, che ogni tanto s'illuminavano sotto la luce argentea dei fulmini.

Era l'inizio di luglio, quindi si prospettava una tempesta estiva coi fiocchi.

Poggiai la mano sul cancello e al solo tocco questo si spalancò.

Sorpresa, proseguii lungo il viale rosato.

Osservai le rose che puntellavano gli arbusti circostanti, ce n'erano di molteplici colori, ma quelle bianche mi colpirono maggiormente: così pure, così maestose.

Raggiunsi un enorme portone in legno, che per maniglia aveva un battente.

Afferrai l'impugnatura circolare con mano tremante: quella villa gigantesca, che mi avrebbe ospitato per poter frequentare il nuovo college, era decisamente tetra, seppur a suo modo elegante.

 

Colpii col battente il legno consumato del portone e il rumore rimbombò in tutta la dimora.

In quel momento scese una pioggia scrosciante, che inumidì i miei capelli ramati.

La porta si spalancò cigolando.

Reprimendo la voglia di darmela a gambe, entrai, cercando di essere più coraggiosa di quanto in realtà fossi.

Una volta dentro, il portone si chiuse alle mie spalle.

Sobbalzai, cercando con lo sguardo chi lo avesse spinto, ma non c'era traccia di anima viva.

 

L'ingresso era ampio, al centro partiva una scalinata enorme, che poi si divideva in direzioni opposte.

Era tutto grigio e... vecchio: sembrava il set di un film dell'orrore, solo che stavolta, se fosse accaduto qualcosa, non avrei potuto metterlo in pausa: ci ero dentro.

"C'è nessuno?" chiesi con un filo di voce.

 

Cavolo Mitsuko smettila di avere paura.

 

Mi rimproverai cercando di scacciare quell'ansia che si diffondeva nel corpo.
"C'è nessuno?"

Alzai la voce, sperando che qualcuno mi rispondesse, ma l'unica risposta che ricevetti fu il silenzio.

Mi voltai a destra e scorsi un'altra stanza.

Mi avventurai all'interno, con passo deciso, e notai una figura sul divano.

Mi affrettai e giunsi in un salotto spazioso.

Un ragazzo era steso su uno dei tre divani presenti, gli occhi chiusi e il viso immensamente pallido.

Titubante mi schiarii la voce, per richiamare la sua attenzione, ma questo non reagì: nessuno mi aveva parlato di ragazzi, doveva essere la magione di una famiglia con due figlie.

Lo osservai in silenzio sperando che si svegliasse da solo.

Guardandolo meglio, mi accorsi che era molto alto, aveva i capelli rosso chiaro e un fisico niente male...
“Un gran figo”, mi disse una vocina nella testa.

Scacciai quella voce, non era il momento per certi pensieri.

Titubante, allungai una mano verso la sua e quando la toccai fui presa dal panico: era freddo come il ghiaccio.

Mi sfuggii un "Oh mio Dio..." 
Papà ma dove mi hai mandata?

Mi chiesi, mentre cercavo disperatamente il telefono nella tasca esterna della valigia. Finalmente le mie dita toccarono qualcosa di solido e rettangolare.

Estrassi il mio smartphone, pronta a digitare il numero dell'ambulanza, ma qualcosa, anzi, qualcuno me lo impedì.

Il ragazzo steso accanto a me, mi aveva afferrato per un polso.

Spalancai gli occhi nel vederlo così sveglio e forte.

Senza spiegarmi come, mi ritrovai stesa sul divano, con il rosso sopra di me.

 

"Chi sei?" chiese lui con un ghigno stampato in faccia.
"Chi sei tu?" domandai, ringraziando il cielo per non aver balbettato.
"È casa mia e le domande le faccio io." rispose, mentre si sporgeva verso il mio collo. Cercai invano di divincolarmi dalla presa.
"Sono Mitsuko, dovevo raggiungere una specie di villa, ma devo aver sbagliato." risposi, mostrandomi sicura di me.
"Però ora sei qui... – disse il rosso - e sono molto assettato.", aggiunse, leccandosi spudoratamente il labbro.

Ora sì che avevo paura.
"Lasciami subito.", gli ordinai tentando di scappare, ma lui era sempre più vicino...

Che intenzioni ha? Pensai con orrore.

"Ayato!" una voce autorevole interruppe il ragazzo.

Questo sbuffò e mi lasciò andare.
"Hai avuto fortuna, tavoletta1" mi disse il rosso sottovoce.

Mi allontanai da lui e vidi il mio 'salvatore'.

 

Era anche lui alto, aveva dei capelli viola scuro e gli occhi di un bellissimo color prugna, contornati da un paio d'occhiali.

Riportai lo sguardo sull'altro e mi accorsi che si era avvicinato.
"Chi sei?" chiese anche lui con tono gelido.
"Mitsuko Yoshida." risposi, fingendomi coraggiosa.
"Che ci fai qui?"
È quello che mi chiedo anche io... pensai fra me e me, però considerai più opportuno non dare quella risposta.
"Cercavo casa Sakamaki..." spiegai.

Il ragazzo mi fissò con un'espressione seria e interrogativa.

"Shu, tu ne sai qualcosa?" chiese a qualcuno.

Mi guardai intorno e scorsi un altro ragazzo biondo, steso su uno dei divani, con le cuffie nelle orecchie: sembrava dormire.
"Dev'essere l'ospite di cui ha parlato quel tale." rispose il ragazzo, senza aprire gli occhi.
"Chi ci ha offerto lo spuntino?" domandò una quinta voce alle mie spalle: dietro di me sostava un altro giovane dai capelli rosso fuoco e due occhi verde smeraldo.

Indossava un cappello simile a quello di Michael Jackson.

D'istinto indietreggiai, mi aveva dato dello spuntino...


"Il tipo della Chiesa. È la nuova sposa sacrificale e non dovremmo ucciderla per quanto ci è possibile." annunciò il biondo.

Impallidii di fronte a quell'affermazione, erano... assassini?

Perché aveva detto ucciderla?

 

Qualcuno mi leccò la guancia.
"Mh è deliziosa." disse il rosso col cappello.
"Voglio assaggiarla anche io!" un altro ragazzo dai capelli viola e con un peluche in mano, spuntò nella camera e mi passò la lingua sulla guancia.

Corsi via inorridita.

 

"Non toccatemi!" urlai, appiattendomi contro un muro.
"Come sei scontrosa Bitch-chan2!" , a parlare fu di nuovo il ragazzo col cappello.

Riflettei sull'appellativo che mi aveva dato e alla paura si mischiò la rabbia...
"Come mi hai chiamata?" chiesi, con il tono più alto di un'ottava.
"Hai sentito benissimo Bitch-chan." ripetè, lui scandendo le parole.
"Vacci piano, l'ho vista prima io." affermò il ragazzo che doveva chiamarsi Ayato.
"Lei è di tutti." disse quello con il peluche in braccio.

"Io non sono di nessuno! – ribattei furiosa –ci dev'essere un errore, non dovrei essere qui e adesso me ne vado!"

Gridai di nuovo, mentre prendevo il cellulare, ma qualcuno me lo strappò dalle mani e lo appallottolò come fosse di carta.
Rivolsi lo sguardo al fautore di quel gesto e mi ritrovai davanti un ragazzo alto, capelli biondi, o meglio, bianchi, con sfumature di un rosa chiarissimo sulle punte, gli occhi color cremisi e un fisico perfetto come quello degli altri...


"P-perché?" balbettai.
"Non ne avrai bisogno." rispose semplicemente, con una punta di fastidio nella voce.
Non parlai.

 

Due voci mi suggerivano cosa fare, una urlava "scappa!" l'altra ripeteva "tiragli uno schiaffo!"

 

Guardai i bellissimi e terrificanti ragazzi che mi circondavano e decisi di ascoltare la prima.

Corsi a perdifiato fuori dal salotto, andai su per le scale, così velocemente che inciampai, sbucciandomi leggermente il ginocchio, dal quale uscì una piccola goccia di sangue, mi rialzai a fatica, ignorando la gamba che pulsava dal dolore, arrivai al secondo piano ed entrai nella prima camera disponibile.

Chiusi a chiave la porta alle mie spalle e caddi a terra, priva di forze.

Delle lacrime uscirono prepotenti dagli occhi.

 

Lì, su quel pavimento duro e freddo, in quella stanza semi-buia, tentavo di convincermi che quello era solo un brutto sogno, presto sarei tornata a casa con mio padre e avrei ripreso la mia normalissima vita...


"Bitch-chaaan!", una voce mi riportò con violenza alla realtà.

Afferrai con veemenza il pendente a forma di croce che portavo al collo, m'infuse coraggio...

Chiusi gli occhi, inspirando a fondo, quando li riaprii, i sei erano davanti a me.

L'oscurità avvolgeva i loro volti, rendendoli più terrificanti di quanto già fossero.

Notai il loro sguardo guizzare sul mio ginocchio sbucciato, intravidi una luce sinistra e famelica, in quegli occhi spaventosi, e tremai.

 

Per quanto mi sforzassi di negarlo, una vocina ripeteva: vampiri.

Erano innaturalmente bianchi ed incredibilmente veloci, per non parlare del fatto che, nonostante mi fossi chiusa a chiave in quella stanza, avevano trovato il modo di entrarvi.

In più, si rivolgevano a me come se fossi un dolce prelibato...
Conoscevo bene i vampiri.

Avevo letto molte storie sul loro conto, in qualche modo mi avevano sempre affascinato, ma ero sicura che non esistessero.

Invece ora, guardando quelle facce, quei canini così appuntiti, che spuntavano improvvisamente dalla bocca, capii che erano tremendamente reali.

"Non vi avvicinate", ordinai loro, stupendomi della mia stessa voce, così ferma e decisa. Scoprii la croce che portavo al collo, sperando almeno di allontanarli, ma nessuno si mosse, qualcuno addirittura sorrise perfidamente.

 

"Perspicace, ma non abbastanza... -, esclamò quello con gli occhiali – noi vampiri siamo immortali e di certo non esistono armi umane che possano ferirci."
Sbiancai.

L'avevo già capito che erano vampiri, ma spiattellarmi in faccia quella cruda realtà mi aveva spiazzato.


"Questa è la tua stanza. Frequenterai la nostra scuola serale e dovrai abituarti a dormire di giorno e svegliarti la notte. A tal proposito, è bene che conosca chi si nutrirà del tuo sangue."

Pronunciò quelle parole raccapriccianti con naturalezza.


"Io sono Reiji, il secondo figlio. Lui è Ayato – annunciò, indicando il rosso che avevo incontrato per primo. – E lui è Raito."

Indicò l'altro rosso, il quale calcò il cappello sulla testa con la mano.

Certo, un gesto da vero gentlemen, peccato che mi aveva chiamata spuntino.


"Lui è Kanato." Annunciò, rivolgendosi a quello dai capelli viola col peluche in mano.
"Poi c'è Subaru, l'ultimogenito." e indicò il tipo con i capelli bianchi.
"Infine c'è Shu, lui è il primogenito." concluse Reiji, facendo un cenno a quello biondo con gli auricolari.

 

Mi lanciò un'ultima occhiata gelida e andò via, seguito a ruota dagli altri.

Dunque erano fratelli.

Mi tirai su dal pavimento, sorpresa di trovare la mia valigia sul letto.

Ero così sconvolta, che non mi ero neppure accorta della sua presenza.

Strinsi di nuovo il ciondolo che avevo al collo, cercando conforto.

Ma questo non venne.

Mi sentivo confusa, stordita.

 

Non riuscivo a credere che la mia famiglia mi avesse abbandonato qui, nonostante ciò, non potevo fare a meno di pensare che mio padre sapesse a cosa stavo andando incontro. Perciò mi aveva chiesto di perdonarlo.

 

Con questa consapevolezza mi lasciai cadere sul letto, come un peso morto, le lacrime ripresero a rigarmi il viso.

Avevo una sola domanda: perché?
Aprii la valigia e ne estrassi una scatolina.

Alzai il coperchio e il pianista in miniatura al suo interno prese a girare, il carillon produsse la sua melodia3.
Le lacrime divennero più abbondanti.
"Perché?" mormorai, rannicchiandomi su me stessa.

 

Non potevo abbattermi in questo modo...

Asciugai il viso umido e richiusi la scatolina.

La poggiai sul comodino e studiai la stanza in cui mi trovavo.

Il letto su cui ero stesa era a due piazze, con il materasso bianco e le lenzuola rosa confetto.

Di fronte al letto c'era un grande armadio bianco con due ante.

A sinistra del letto un comodino e una lampadina rosa, proprio come il lenzuolo.

Ma è tutto rosa?

A destra, una finestra coperta da delle tendine di lino, rigorosamente rosa.

 

Aprii la finestra e mi sporsi.

Pioveva ancora, ma non come prima.

Guardai giù, ero al secondo piano, un salto del genere mi avrebbe minimo rotto una gamba. Esclusi l'idea di gettarmi per scappare.

Attraverso le nubi, notai che il sole stava sorgendo.

Ricordai le parole minacciose di Reiji: ti dovrai abituare a dormire di giorno e svegliarti di notte.
Sistemai i vestiti nell'armadio.

 

Sorrisi amaramente, ricordando di aver portato un abbigliamento chic.

In fondo ero convinta di frequentare un college privato e, pensando di non essere all'altezza, avevo scelto i capi più nuovi e alla moda che avessi.

 

A sinistra dell'armadio notai una porta che mi era sfuggita.

Afferrai la maniglia dorata e la girai, carica di rinnovate speranze, sebbene queste si sciolsero quando vidi una vasca: era il bagno.

Davvero pensavo sarebbe stato così facile andare via?

Comunque sia, avrei trovato il modo.

Afferrai la camicia da notte blu a maniche corte e andai al bagno per cambiarmi.

M'infilai rapidamente l'abito e mi sciacquai il viso.

Lo specchio davanti a me rifletteva una Mitsuko frastornata.

I capelli castani erano più ricci e scompigliati del solito, la carnagione più pallida...

Uscii dal bagno e mi buttai sul letto.

Provai a chiudere occhio, ma non ci riuscii, pensai invece a qualche piano per la fuga: sarei riuscita a scappare da lì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tavoletta1: Nell'anime, Ayato chiama la protagonista Chichinashi, che letteralmente significa "senza tette".

Bitch-chan2: Sempre nell'anime, Raito si rivolge alla protagonista con questo soprannome che sta per "puttanella" (questi vampiri son tutti molto simpatici, si...)

Melodia3: la melodia che produce il carillon di Mitsuko è la seguente:  
https://youtu.be/VoE04a1RHwk

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Salve gente! Ebbene ho deciso di revisionare i capitoli.
Non ho apportato modifiche sostanziali alla storia, ma era troppo caotica, sia a livello di grafica, sia per qualche piccolo dettaglio nella scrittura che non mi convinceva.
In più, ho cambiato il volto di alcuni personaggi, approfittando del fatto che tinypic ci ha abbandonati, e quindi dovevo reinserire le immagini.
Ho deciso di lasciare i vecchi “angoli autrice” poiché sono parte di questa storia, in qualche modo.
Quindi ben trovati, voi che avete già letto e seguito questa fan fiction e benvenuti nuovi arrivati!

 

 

   
 
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