Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: Clockwise    20/04/2015    2 recensioni
«Il fatto è che tu sei un uomo di scienza: le definizioni sono un obbligo, per te. Io, non proprio. Le definizioni, anzi, mi spaventano. Perché, inevitabilmente, escludono qualcosa. E io non voglio escludere niente, voglio avere ogni possibilità, ogni sfumatura possibile.»
«Cerchi l'infinito.»

John parla, Sherlock ascolta.
Alla ricerca di definizioni, di parole – amore?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buon non compleanno a tutti!
Per i (s)fortunati che non avessero letto Aforismi e Trio, due paroline: Amanda è figlia di John e Mary; Mary è stata uccisa dalla rete di Moriarty, in una storia che ancora non ho scritto, e John ha scoperto il suo coinvolgimento in alcuni piani di Moriarty. 
A questo punto, divertitevi!
In fondo altre note inutili, 
-Clock 
 
Ars Amandae
 
 
 
Φιλία
(affetto, amicizia, amore)
 
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura d'aver alcun riposo,
salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l cielo, per un pertugio tondo;
e quindi uscimmo a riveder le stelle.
Dante Alighieri, Inferno, Canto XXXIV
 
 
 
Il 221b suonava stranamente silenzioso, dopo il frastuono della giornata.
Amanda, nonostante gli sforzi di Sherlock, non sembrava amare particolarmente le scene del crimine: si era addormentata fra le braccia di John nel mezzo di quello che Sherlock non aveva esitato a definire “il caso dell'anno”. E John, da quando erano saliti sul taxi, non aveva smesso un attimo di sghignazzare.
«Sveglierai la bambina...»
«Ma dai, voglio dire... Hai visto la faccia di Donovan? Era sul punto di strangolarti!»
Sherlock gli lanciò un'occhiata di rimprovero, che l'altro ignorò. Si strinse Amanda al petto e salì fino in camera di John, adagiandola nel lettino.
Il caso non era stato niente di troppo complicato, in effetti: solo una truffa, uomini dai capelli rossi, e un paio di begli inseguimenti. La parte migliore era stata, senza dubbio, la faccia oltraggiata di Donovan quando Sherlock le aveva scaricato Amanda fra le braccia senza troppi complimenti ed era corso ad inseguire il truffatore. O quella di Lestrade quando Sherlock era tornato, dopo che lui si era subito i piagnistei di Amanda e Donovan per quasi mezz'ora. Ma chi davvero aveva stupito ed emozionato Sherlock – per quanto solo la parola gli facesse storcere il naso – era stato John.
«Cosa fai, scendi? Io sto morendo di fame» sussurrò John, dalla porta. Sherlock sbatté le palpebre velocemente, come per dissipare i pensieri, e annuì, seguendolo.
«Quello di cui ho davvero voglia è un bel bicchiere di vino, in effetti... Oh, guarda ci sono anche un paio di panini... E questi cos- Cristo! Sherlock, di chi sono questi pollici?»
«Non gridare, Amanda dorme» lo redarguì il detective, flemmatico, sprofondando nella sua poltrona e osservandolo da sopra le dita giunte. «E comunque sono dell'ingegnere della scorsa settimana.»
John alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia, richiudendo il frigorifero.
«Basta, ormai ci rinuncio. Finché rimangono nel loro ripiano, farò finta di niente...»
Sherlock sollevò un sopracciglio. Niente rimproveri, niente espressioni di disgusto, niente discorsi di “etica” e “morale”. Strano.
Il dottore riempì due generosi bicchieri di vino e ne offerse uno al detective, poggiando un piatto con due panini dall'aria quasi commestibile sul tavolino accanto a loro. Sprofondò nella propria poltrona e sollevò il bicchiere.
«A noi.»
Sherlock aggrottò le sopracciglia e non si mosse. John non si fece troppi problemi, e trangugiò un gran sorso. Sembrava già ubriaco.
«Dio, che giornata.»
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, sorridendo. Sherlock si era quasi dimenticato la forma e la consistenza dei suoi sorrisi – si erano fatti tanto rari.
«Ne avevo veramente bisogno. Grazie, Sherlock» disse, guardandolo negli occhi. Il detective abbozzò un sorriso.
«Sai, è... non è stato facile, per me, quest'ultimo periodo. Mary e...»
Sherlock chiuse gli occhi per un istante di troppo, perché non voleva davvero sentirne parlare – non voleva essere crudele, ma c'erano lui e John, in quel momento, e voleva che non ci fosse nient'altro.
John sembrò capire, perché deglutì e tacque.
“Sherlock” ed “empatico” non erano mai stati accostati nella stessa frase: Sherlock scomponeva e analizzava le persone, ma non le capiva né tantomeno era toccato da loro; John doveva essere la proverbiale eccezione a conferma della regola.
Perché Sherlock capiva John come se si trattasse di sé stesso – anzi, forse anche meglio. Vedeva come stesse ancora soffrendo per la morte di Mary, in un misto di senso di colpa, umiliazione e risentimento: aveva scoperto verità che sarebbe stato meglio lasciare inviolate, vista la sofferenza che ne era sprigionata. Vedeva con che dolore guardava Amanda, combattuto fra il naturale amore paterno e quel terribile miscuglio di emozioni che provava al pensiero di Mary.
John era perduto in un pozzo oscuro, nei meandri più tortuosi del suo animo, popolati di fantasmi; l'unica cosa che Sherlock poteva fare era portagli un po' di luce. Per questo accettava ogni tipo di caso, anche banali come quello dell'ingegnere – si era costretto persino ad uscire di casa, sebbene non ce ne fosse alcun bisogno, non appena aveva notato gli occhi di John spalancarsi un po' e animarsi all'improvviso –, cercava di tenere a bada le proprie crisi di noia, di suonare ad orari ragionevoli – aveva dovuto chiedere a Mrs Hudson quand'è che il suo violino fosse più fastidioso, perché lui non ne aveva la minima idea – e riduceva al minimo le intrusioni di Mycroft. Aveva persino confinato i suoi esperimenti ad un solo ripiano del frigo. Faceva il possibile, e si odiava perché erano solo sprazzi di luce qua e là, non era abbastanza.
«Amanda... dovrà iniziare la scuola, fra poco. Volevo iscriverla all'asilo» mormorò John, scrutando i fondi del suo bicchiere. Sherlock trattenne uno sbuffo: a lui non era mai piaciuta la scuola, così piena di gente insulsa e nozioni inutili. Avrebbe voluto tenersi Amanda a casa ancora per mesi. Non l'avrebbe mai ammesso, ma aveva perso la testa per quella bambina, stravedeva per lei.
Annuì, bevendo un sorso a sua volta. John lo osservava pensieroso.
«Non credo di aver ancora perdonato Mary. Suppongo di doverlo fare, prima o poi, per il bene di Amanda, ma ora...» scosse piano la testa, senza staccare gli occhi dal detective, che invece sembrava intento a dedurre il tappeto. «Che cosa provi per me, Sherlock?»
Sherlock sollevò di scatto la testa, il cuore che batteva furioso, il sangue nelle orecchie, la gola secca, la mente bianca – sintomi di cosa? Nessuna malattia nota, che gli stava succedendo?
Lo guardò, pregando il suo aiuto. John era un medico, lui poteva riconoscere i sintomi e fare una diagnosi accurata, quindi prescrivergli le medicine giuste, e Sherlock le avrebbe prese obbediente, perché non si trovasse più in quello stato.
Gli occhi di John erano indefinibili, in quel momento, per chi, come Sherlock, non conosceva i caratteri delle emozioni e la loro complessa grammatica.
Schiuse le labbra per parlare, senza sapere cosa dire. Per John era abbastanza.
«Grazie, Sherlock. Di tutto.»
Di cosa? Perché lo ringraziava? Cosa voleva dire?
Il detective si alzò bruscamente, incapace di sopportare ancora quegli occhi – indagatori, amorevoli, gentili.
«Vado a controllare Amanda.»
Lasciò John a vedersela con i fondi del suo bicchiere, perso nei suoi dubbi.
 
•°•
 
Sherlock fece le scale due a due e spalancò la porta della camera di John senza troppe cerimonie. Amanda si dimenava piangendo disperata, il viso rosso lucido di lacrime.
Sherlock prese la bambina in braccio, stupendosi di quanto gesti come quello gli venissero spontanei; lontani i tempi in cui respingeva ogni contatto umano, ormai era come se la parte di lui bambina, spontanea, più umana, emergesse da una crepa della sua armatura che andava allargandosi sempre di più – chi l'aveva provocata? Temeva di sapere la risposta, e temeva anche di stare dando al nemico tutte le armi per distruggere definitivamente la corazza.
La bambina seppellì il viso nella sua spalla, singhiozzante, ma più silenziosa. Sherlock le carezzò i capelli morbidi, chiedendosi perché John non l'avesse sentita. E la risposta gli giunse quando inquadrò John: sudato, il volto contratto in una smorfia di dolore, agitava braccia e gambe e mormorava frasi sconnesse – a Sherlock parve persino di udire il suo nome, ma era difficile a dirsi: un incubo.
Sherlock strinse la mascella, dimenticando per un attimo la bambina, il cui pianto era tornato a intensificarsi; perché quello che faceva non era abbastanza? Perché non riusciva ad uccidere, o almeno allontanare, i mostri di John?
Strofinò assente la schiena della bambina, mentre scendeva di sotto. La adagiò delicatamente sul divano, sistemandola fra i cuscini. Il labbro inferiore iniziava a tremarle pericolosamente, quindi Sherlock si affrettò a prendere il violino e posizionarlo sotto il mento. In piedi davanti alla finestra, chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla ninna nanna più dolce che conoscesse, al sapore di sogno, infanzia e sonni bianchi, innocenza e purezza, condita di sorrisi e complicità, affetto e tenerezza – lontano dai mostri.
Quando le dita iniziarono a fargli male, si fermò e riaprì gli occhi. Il petto di Amanda si alzava e abbassava placido, nel sonno. Sorrise mesto e si accucciò accanto a lei, guardandola finché le palpebre non si fecero troppo pesanti.
E così John li ritrovò poco più tardi, svegliatosi da un brutto incubo che riassumeva tutti gli eventi della sua vita che avrebbe soltanto voluto dimenticare: accoccolati l'uno accanto all'altra, Amanda distesa tranquillamente in una reggia di cuscini che occupava metà divano e Sherlock raggomitolato scomodamente nell'altra metà. John sorrise teneramente, avvicinandosi. Si piegò a sfiorare con un bacio i capelli di sua figlia, nel petto una pioggia di emozioni contrastanti; quando si spostò sulla tempia di Sherlock, e i suoi ricci gli solleticarono le guance, il suo petto divenne un campo di battaglia. Strinse le palpebre, deluso e furioso con sé stesso – perché, perché non riusciva a capire? Dov'era il suo posto? Cosa doveva fare? Con Sherlock...
Si raddrizzò e premette forte i pugni chiusi sugli occhi. Poi scosse la testa, come per scacciare i pensieri, stese una coperta su Sherlock e sua figlia, e fece per tornare a letto, finché una voce non lo trattenne.
«Non volevo svegliarti.»
John trasalì e scosse la testa, sentendosi un bambino colto con le mani nella marmellata.
«Non fa niente, davvero. Tutto bene con Amanda?»
Sherlock, come suo solito, non sembrava turbato dalla situazione, e continuò a parlare a voce bassa con gli occhi ancora chiusi – al punto che John si chiese se fosse veramente sveglio.
«John, desidero che tu smetta di avere incubi.»
Il tono serio e quasi perentorio con cui lo disse fece sorridere John.
«Lo vorrei anch'io, Sherlock, ma non è semplice...»
«Fidati di me. Ho promesso che vi avrei protetti, tutti e tre; ho fallito con Mary, non voglio ripetere il mio errore. Lascia che ti aiuti, John.»
Il medico lasciò crollare le spalle, e con esse tutta la sua caparbietà, la sua voglia di combattere, la sua forza. Annuì, sconfitto, ma Sherlock non poteva vederlo.
Non parlò più, e John pensò che si fosse addormentato.
 
•°•
 
«Allora, guarda bene, Amanda: quello lì è Orione. Lo vedi? Le tre stelle vicine, eccole lì... E guarda, quelle sono le braccia, le gambe... Sai la storia di Orione? Era un arciere gigante, che Zeus mise in cielo...»
Sherlock scosse la testa, mascherando un sorriso.
«Perché vuoi riempirle la testa di nozioni inutili? È molto più istruttivo imparare a memoria la tavola periodica.»
John sorrise e si voltò verso di lui. Amanda, fra le braccia del padre, gridò «Sh'lock!» e allungò le braccia verso l'altro, che avanzò verso di loro, sul tetto del Bart's.
«Ho finito con Molly. Era come pensavo: polvere di mercurio nella cipria. Ho mandato un messaggio a Lestrade, il mio lavoro è finito. Andiamo a casa?» snocciolò rapido, lasciando che Amanda giocasse con la sua sciarpa, raccontandogli, a parole sue, tutte le storie di stelle che le aveva narrato John; questi, con sua sorpresa, scosse la testa.
«È una bellissima notte, si vedono addirittura le stelle. E stavo insegnando ad Amanda le costellazioni principali, è importante conoscerle per sapersi orientare.»
Sherlock roteò gli occhi, fingendosi annoiato; John gli tirò un pugno scherzoso sul braccio.
«Solo perché tu non sai se la Terra gira intorno al Sole, non vuol dire che non sia importante!»
Finalmente, una risatina sfuggì alle labbra di Sherlock e un sorriso complice si aprì su quelle di John.
«Ora, zitto e ascolta. La stella più importante di tutte è la Stella polare, nella costellazione... Sherlock, che costellazione?»
Il detective sollevò un sopracciglio, distogliendo gli occhi dalla volta celeste.
«Seriamente?»
John sorrise, malefico.
«È bello umiliarti, di tanto in tanto. Allora, Amanda, visto che Sherlock non lo sa, te lo dico io: è l'Orsa Minore...»
«Sono informazioni del tutto inutili...»
«Ignoralo, è solo invidioso e molto seccato...»
«A che serve conoscere le stelle? Non ho bisogno di loro per orientarmi!»
Il tono di Sherlock era serio. Il sorriso spensierato di John lasciò il posto ad un'espressione quasi spaventata, analoga a quella del detective. Si studiarono per istanti eterni, comunicandosi con gli occhi quello che le labbra non riuscivano a dire. Finché Amanda non emise un gridolino, annoiata.
Sherlock sollevò le labbra in un sorriso.
«Basta che le conosca il mio blogger
John sorrise, ringraziandolo silenziosamente, stringendosi un po' di più la bambina al petto.
Erano rare le volte in cui sbucavano le stelle, a Londra; da tenere ben strette.     







Il titolo è un gioco con l'Ars Amandi (letteralmente, "arte di amare") di Ovidio e il nome di Amanda (in latino, appunto, "colei che deve essere amata").
La storia dei pollici e dell'ingeniere è un riferimento a "L'avventura del pollice dell'ingeniere". 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Clockwise