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Autore: Briciole_di_Biscotto    20/04/2015    3 recensioni
Reyna ed Elia sono cugini, uniti da un profondo amore fraterno... o almeno così credono.
Cosa accadrà quando Reyna, spinta dall'odio per se stessa, ammetterà al cugino l'amore malato che prova per lui?
Tra amori, litigi, brutte avventure e baci mai dati, i due protagonisti dovranno imparare a convivere con un segreto più grande di loro.
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Come era potuto accadere? Come era potuto succedere che pensieri così insani si facessero strada nella sua testa, rendendola malata, facendola impazzire?
La sera si infilava sotto le coperte sapendo già che non sarebbe riuscita a riposare. Si rotolava per ore nel letto cercando di scacciare dalla mente l'immagine di lei con Elia e quando, finalmente, riusciva ad addormentarsi, poi si svegliava più stanca di prima. E ringraziava con tutto il cuore il genio che aveva inventato il correttore, dato che altrimenti non avrebbe saputo quale scusa usare per spiegare le profonde occhiaie che da mesi, ormai, le deturpavano il bel viso.
Si sorprendeva lei stessa di come riuscisse a fare finta di niente durante la giornata, a sorridere davanti agli amici, a continuare ad essere l'alunna modello che era sempre stata.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
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 Reyna aveva sei anni. Era una bella bambina dai capelli castani e scintillanti occhi verdi. Era allegra, gentile e leggermente territoriale. I suoi piani per il futuro? Viaggiare per il mondo come il padre, diventare una giornalista di successo e vivere in una bellissima casa alle Hawaii nel tempo libero. Ma, come tutte le bambine intelligenti, aveva anche un piano B: le sarebbe piaciuto avere una villa piena di animali, diventare un'attrice e visitare in ogni caso le Hawaii.

La piccola sbuffò, appoggiando pesantemente la guancia paffuta sulla piccola mano e guardando annoiata il grande salone di casa sua, in quel momento stipato di parenti venuti per il consueto pranzo di Natale da tutta l'Italia, e anche oltre. Quanto odiava quelle invasioni in casa sua!

Guardò sua madre parlare con il fratello Giacomo e la moglie Aline, newyorkese fino al midollo, con la piccola Suzanne in braccio; la zia Sara alle prese con una delle solite litigate dei gemelli, Marco e Mattia; le nonne erano comodamente sedute a tavolino chiacchierando, sorseggiando the e strapazzando ogni tanto un povero nipote capitato per sbaglio accanto a loro. C'era poi suo padre che parlava con il fratello Luigi e la moglie Saki, trasferitasi dal Giappone in Italia, e che ora era in attesa del suo primo bimbo.

E poi molti altri: gli zii da Milano, quelli da Napoli, quelli da Firenze, cugini dei cugini e amiche delle prozie. Intere famiglie che ogni anno si riunivano nell'immensa villa rinascimentale dove abitava Reyna per scambiarsi i regali di Natale e accogliere tutti insieme il nuovo anno.

La bambina saltò giù dall'enorme poltrona sulla quale era appollaiata e si avvicinò all'immenso tavolo di vetro dove le donne avevano riposto ogni tipo di specialità culinaria europea e anche d'oltreoceano. Storse un po' il naso davanti al sushi, al cuscus, e altre varie pietanze dalla provenienza ignota e prese una manciata di patatine, decidendo di andare sul sicuro.

Stava per tornare alla sua morbida poltrona davanti al caminetto, quando si sentì chiamare.

- Ehi, Rey-rey, vieni un po' qui!

La bambina si girò, sorpresa del fatto che qualcuno la avesse apostrofata, e incontrò le iridi scure di suo cugino Elia, dieci anni di strafottenza e di arroganza che, seduto comodamente sul largo davanzale dell'immensa finestra con una cuffia nell'orecchio sinistro, le disse di avvicinarsi con un pigro gesto della mano.

Reyna si avvicinò, curiosa di sapere cosa volesse da lei l'ombroso cugino ed eccitata all'idea di conoscerlo meglio. Il ragazzo allungò una mano e afferrò una manciata di croccanti patatine dal bicchiere della bimba, ignorando le sue proteste. Le sgranocchiò tranquillamente, poi tornò a rivolgere la propria attenzione verso la cuginetta, che lo guardava indecisa se offendersi o seguire il suo esempio e iniziare a mangiare anche lei. Nel dubbio aveva fatto entrambe le cose, mettendosi un paio di patatine in bocca e sgranocchiandole mentre lo fissava con aria corrucciata.

Elia sorrise lievemente. - Allora, Rey-rey. Ti stai annoiando?

La bambina annuì:- Vuoi giocare con me?

Il ragazzo la fissò sorpreso, non sapendo bene cosa rispondere: nessuno glielo aveva mai chiesto. Così, si limitò ad annuire. Reyna sorrise raggiante e poggiò il bicchiere con dentro le patatine sul davanzale, per poi afferrare la mano del cugino e condurlo fuori dal salone, su per le scale fino alla sua cameretta, che in quel periodo condivideva con le due cugine di Messina. Nonostante questo, la camera era ordinata e per niente femminile. Le pareti erano azzurro chiaro, e c'erano un letto a castello e una piccola poltrona-letto dove doveva dormire una delle cugine. Un grande armadio a muro, una scrivania e delle ceste per i giocattoli completavano l'arredamento.

Mentre la bimba lasciava la sua mano per andare a frugare fra i giochi, l'attenzione del maggiore venne catturata da un'immensa mappa geografica attaccata alla parete, dove molte città erano segnate da puntine rosso fuoco. Si avvicinò per osservarla meglio, e iniziò a leggere i nomi dei luoghi che erano stati marcati: Hong-Kong, New York, Londra, Parigi, Madrid, Las Vegas, San Francisco, Rio de Janeiro e molte altre.

Si girò incuriosito verso la cuginetta che in quel momento stava riemergendo da dentro una cesta con due macchinine telecomandate. - Ehi, cos'è questa?

Reyna sorrise, felice che Elia glielo avesse chiesto. - Sono tutti i luoghi dove ha viaggiato papà! Da grande sarò come lui, e girerò tuuutto il mondo!- disse allegra allargando le braccia e facendo cadere le macchinine sul morbido tappeto.

- Dove vorresti andare prima di tutto?

- Mh... Voglio vedere le Hawaii!

Elia sorrise:- Le Hawaii? Io ci sono stato, sono bellissime!

La bimba sembrò pensarci un attimo, poi chiese:- Vuoi venire con me? Dai, ci divertiremo!

Il ragazzo annuì ridendo e pensò che, in fondo, non gli sarebbe dispiaciuto fare una vacanza insieme a quella piccola peste. La bimba sorrise:- Allora è una promessa?

-Sì.

-Mi devi dare un bacio.- disse la minore porgendo la guancia.

Il moro la guardò stordito:- Un bacio?

-Sì. La maestra ci ha detto che si fa così quando si fa una promessa.

Elia le scompigliò lievemente i capelli:- Non c'è bisogno di un bacio per suggellare una promessa.

 

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Reyna lanciò un'occhiata frettolosa all'orologio e sbuffò, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle. Alla sua sinistra, Elisa la guardò divertita. - Dai, non fare così! La scuola è finita, iniziano le vacanze! Avremo due intere settimane di libertà e, se saremo fortunate, nevicherà! Cosa chiedi di più dalla vita?

La castana le lanciò un'occhiata di traverso:- Intendi oltre ad una scorta infinita di biscotti? La tranquillità. Mi domando perché i miei debbano sempre organizzare questi mega cenoni di Natale e Capodanno. Cosa hanno contro un classico Natale in famiglia?

- Beh, tecnicamente parlando è un Natale in famiglia. Una famiglia un po'... numerosa, ecco.

- Direi che “numerosa” è un eufemismo.

Elisa fece un pigro gesto con la mano:- Quanto la fai lunga! Non saranno mica tutti così antipatici i tuoi familiari, no? E poi, guarda il lato positivo: avrai modo di incontrare Elia.

A quel nome, i verdi occhi di Reyna scintillarono:- Sì! Non vedo l'ora!

La bionda sbuffò:- Dire che sei bipolare è riduttivo. Inoltre, sono anni che continui a promettermi di farmelo conoscere, ma io di questo Elia non ho ancora visto neanche l'ombra!

- Lo so, scusa! Solo che non ce n'è mai l'occasione!

- Farò finta di crederti, anche se lo so che sei solo troppo gelosa del tuo cuginetto preferito.

Reyna le diede una piccola spintarella giocosa e poi si fermarono all'incrocio dove si trovava il palazzo nel quale abitava Elisa.

- Bene Eli. Ci si vede fra due settimane, allora.

Elisa l'abbracciò:- Mi mancherai, lupacchiotta.

- Anche tu, pecora.- scherzò l'altra tirando una ciocca dei voluminosi capelli ricci dell'amica.

Quando finalmente si separarono, si sorrisero augurandosi buone vacanze a vicenda, poi ognuna si avviò per la propria strada.

Appena svoltò l'angolo, Reyna affrettò il passo. Se c'era una strada di cui aveva paura, quella era la via che attraversava ogni giorno per andare dall'incrocio fino alla stazione della metro, dove poi avrebbe preso il treno che l'avrebbe ricondotta a casa.

Con il suo piccolo marciapiede sporco e gli enormi palazzi grigi ai lati che impedivano al sole di illuminarla, quella strada era sempre stata fonte di incubi per la quindicenne già dal primo giorno che la aveva percorsa.

Era quasi arrivata alla fine del viale quando ad un tratto, da un traversa buia, era uscito un uomo. Reyna lo aveva guardato inorridita: era magro, troppo magro, e aveva i denti marci. Puzzava ed era lampante che doveva essere ubriaco.

La ragazza indietreggiò intimorita, non sapendo cosa fare: l'altro lato del viale era davvero troppo lontano, ed era risaputo che lei non fosse proprio una velocista. D'altro canto, gridare sarebbe stato inutile, in una strada deserta come quella.

Facendo appello a tutto il suo coraggio, si voltò e fece per mettersi a correre, ma il tizio fu più veloce e le afferrò saldamente le spalle, facendole sfuggire un gemito: le mani erano ossute e all'apparenza deboli, ma Reyna sentiva chiaramente la presa dolorosa anche da sopra lo strato di maglie e maglioni che indossava per proteggersi dal freddo.

Con un movimento fulmineo, l'uomo la sbatté contro il muro e, bloccandole ogni possibilità di movimento appoggiandosi a lei, fece passare le braccia intorno alla sua vita ed iniziò ad armeggiare con la cintura.

Reyna, il viso premuto contro il freddo muro, cominciò a piangere. Non riusciva a parlare, se solo ci avesse provato si sarebbe scorticata la mascella, e del resto era inutile: nessuno avrebbe sentito la sua richiesta d'aiuto.

Sussultò quando senti le dita sottili dell'uomo abbassarle la cerniera e infilare una mano nei pantaloni, stuzzicandola da sopra le mutandine. Poi, con un gesto deciso le tirò giù i jeans, facendola sussultare. Stava per fare lo stesso con l'intimo, quando un rumore secco risuonò per il vicolo, e Reyna sentì la pressione del corpo dell'uomo su di sé svanire.

Scivolò per terra tremante, e si rannicchiò nascondendo il volto fra le ginocchia, incapace di formulare un qualsiasi pensiero razionale. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta immobile in quella posizione, forse pochi secondi, o forse anni.

Quando, ad un certo punto, qualcuno le posò gentilmente una mano sulla spalla, la ragazza lanciò un grido e provò ad indietreggiare, sbattendo la schiena contro il muro.

Il ragazzo davanti a lei le accarezzò il viso cercando di calmarla:- Ehi, tranquilla. Sono io. Sono Elia.

Reyna lo fissò con gli occhi spalancati. Poi, senza alcun preavviso, si portò le mani al viso e cominciò a singhiozzare. Elia, accovacciato di fronte a lei, la abbracciò dolcemente, cullandola. Poi, quando fu sicuro che la cugina si fosse leggermente calmata, la aiutò a mettersi in piedi e le tirò su i pantaloni, senza malizia e senza fare commenti.

Le passò un braccio sulle spalle e la attirò a sé in un gesto protettivo, e prima di lasciare la strada si assicurò che l'uomo, ora steso per terra, fosse ancora svenuto. Una volta usciti nella piazza brulicante di gente afferrò il cellulare e chiamò la polizia, poi si avviarono verso la metro.

Si rivolsero la parola solo quando furono comodamente seduti in un vagone del treno vuoto, ad eccezione di una vecchietta dall'altro lato che sferruzzava velocemente quello che aveva tutta l'aria di essere un calzino arcobaleno standosene per i fatti suoi.

- Stai bene?

Reyna annuì piano, senza parlare. Era ancora visibilmente shockata dall'accaduto e, in fondo, come darle torto? Rimasero in silenzio per il resto della corsa. Poi, quando stavano per arrivare, la ragazza parlò:- Non glielo dire.

Elia si voltò sorpreso, mentre Reyna ripeteva:- Non dire a mamma e papà quello che è successo. Non lo dire a nessuno. Per favore.

- Ma, Reyna...

- Per favore!- aveva alzato la voce e si era portata le mani al viso, tremando leggermente.

Il ragazzo rimase a guardarla in silenzio e poi, quando si alzarono per scendere dal treno, annuì:- Va bene.

Non ne era sicuro, ma credette di aver sentito un sospiro di sollievo provenire dalla cugina.

 

Quella sera, dopo mangiato, Elia salì in camera di Reyna che, scusandosi con i parenti e dicendo di aver mangiato troppo al buffet della scuola, aveva saltato la cena rinchiudendosi nel suo piccolo regno.

Nel corso del tempo, il padre aveva fatto ristrutturare le vecchie stalle della villa, che ora erano diventate un lungo corridoio sul quale si affacciavano cinque nuove stanze, in una delle quali ora dormivano le cugine di Messina insieme a quelle di Venezia, e questo significava che Reyna non avrebbe più dovuto condividere la camera con nessuno.

Si fermò davanti alla porta della ragazza, dove svettavano in eleganti ghirigori dorati le lettere del suo nome, e bussò. Non provenendo nessuna risposta dall'interno, il ragazzo si arrischiò ad aprire la porta ed entrare nella camera avvolta nel buio.

-Reyna? Sono io.

Nell'oscurità, avanzò a tentoni verso il letto della cugina, e quando lo trovò ci si sedette. Rimasero entrambi in silenzio per un po', poi la ragazza parlò:- Elia?

- Mh?

- Perché ti trovavi lì?

- Così. Pensavo di venirti a prendere, e a quanto pare ho fatto bene.

La castana rimase per un po' in silenzio, poi sussurrò:- Grazie.

Il ragazzo non rispose, limitandosi a stendersi accanto a lei e ad abbracciarla.

- Elia?

- Cosa?

Reyna prese un profondo respiro, poi, con voce tremante, disse:- Mi dai un bacio?

Il ragazzo non si mosse. Poi le fece una leggera carezza sulla guancia, e la castana sospirò, leggermente delusa e sconfitta.

- Reyna, ho fatto l'esame per l'ammissione all'università.

- Davvero? Com'è andata?

Elia sorrise:- Sono passato con il massimo dei voti.

Sentì la risata cristallina della cugina invadere la stanza:- Già, che domanda superflua.

- Dunque, direi che da l'anno prossimo ci vedremo più spesso.

- Che vuoi dire?

- Indovina un po'. Mi sono iscritto alla Sapienza.

Reyna saltò su a sedere:- Quella Sapienza?! Quella di Roma?!

Il ragazzo annuì:- Già. E verrò a stare da voi per un po', almeno fino a che non troverò un'altra sistemazione...

La cugina gli saltò addosso abbracciandolo forte:- No, no! Rimani qui!

Elia rise, ricambiando l'abbraccio:- Devo dedurne che sei felice?

Reyna annuì, nascondendo il volto fra i lunghi capelli neri del cugino:- Sì.

 

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Era passato ormai quasi un anno dal quel brutto giorno che Reyna aveva cercato di dimenticare con tutte le sue forze, ed era con orgoglio che poteva dire di esserci quasi riuscita. Tuttavia, ormai non riusciva più a trovarsi nelle strade deserte o nei vicoletti stretti senza avere una crisi di nervi.

Elia, per evitare che dovesse attraversare la strada in cui era avvenuto l'incidente, aveva preso l'abitudine di accompagnarla in macchina ogni mattina fino all'incrocio dove si vedeva con Elisa, e il pomeriggio la andava a riprendere. A volte si fermavano a mangiare in una piccola pizzeria che avevano scoperto per caso, poco conosciuta ma che faceva dei supplì che erano la fine del mondo.

Prendevano la pizza e si sedevano ad uno dei tavolini, ed ogni tanto il signor Gino, il proprietario che ormai era diventato loro amico, si fermava a chiacchierare con loro.

Era un periodo perfetto per Reyna: aveva una migliore amica fantastica, era popolare fra i suoi compagni di scuola, prendeva sempre ottimi voti e non aveva nessuno dei problemi familiari di cui spesso sentiva lamentarsi le sue compagne.

Avrebbe dovuto essere la persona più felice al mondo, giusto? Sbagliato.

Perché tenere nascosto un segreto della portata di quello che Reyna custodiva era molto difficile e, soprattutto, doloroso. Non se ne era mai accorta, finché non lo aveva avuto sotto il naso.

Ormai, non viveva più con Elia; viveva di Elia.

Ogni volta che gli stava vicino, e cioè per la maggior parte della giornata, sentiva un bisogno irrefrenabile alla bocca dello stomaco. E stava impazzendo.

La sera, quando nessuno vedeva, chiusa nella sua camera faceva avanti e indietro ripetendosi come un mantra: “è sbagliato, è sbagliato, è sbagliato”.

Perché sapeva quanto fossero malati i suoi pensieri; sapeva quanto fossero disgustosi. E si faceva schifo da sola. Si faceva paura da sola.

Come era potuto accadere? Come era potuto succedere che pensieri così insani si facessero strada nella sua testa, rendendola malata, facendola impazzire?

La sera si infilava sotto le coperte sapendo già che non sarebbe riuscita a riposare. Si rotolava per ore nel letto cercando di scacciare dalla mente l'immagine di lei con Elia e quando, finalmente, riusciva ad addormentarsi, poi si svegliava più stanca di prima. E ringraziava con tutto il cuore il genio che aveva inventato il correttore, dato che altrimenti non avrebbe saputo quale scusa usare per spiegare le profonde occhiaie che da mesi, ormai, le deturpavano il bel viso.

Si sorprendeva lei stessa di come riuscisse a fare finta di niente durante la giornata, a sorridere davanti agli amici, a continuare ad essere l'alunna modello che era sempre stata. E tutti la lodavano, guarda che bella guarda che brava, ma non erano a conoscenza degli orribili spettri che le si agitavano dentro.

Suo cugino, per l'amor del cielo! Tra tutti i ragazzi possibili ed immaginabili, proprio di suo cugino si doveva innamorare?

E quando lo accompagnava in palestra, si sedeva in un angolino in contemplazione delle sue possenti braccia e del suo petto largo. Quando parlava, si imbambolava nella contemplazione delle labbra screpolate che tanto avrebbe voluto poter baciare, o anche solo sfiorare, con le proprie.

Si buttò esausta sul letto, nascondendo la testa sotto al cuscino sperando che, anche solo per qualche minuto, i pensieri la lasciassero stare, inutilmente. Lanciò un grido di frustrazione e tirò il cuscino addosso alla parete.

In quel momento, qualcuno bussò:- Rey-rey, sono io. Posso entrare?

Elia! Reyna balzò in piedi e si precipitò alla porta, aprendola di slancio:- Ehi Elia!

Il ragazzo la fissò per alcuni secondi con occhio critico. Secondi in cui la ragazza temette che il cugino potesse leggerle dentro, scoprendo quanto fosse in verità orribile la sua cuginetta. Poi, il moro sospirò ed entrò nella camera, sedendosi sul letto.

- Reyna, senti. Ti dovrei parlare.

La castana annuì titubante e si sedette di fianco a lui:- Cosa c'è?

- Mi sto preoccupando, Reyna. Ho notato che ultimamente mangi poco, e hai sempre delle occhiaie tremende... no, non negarlo. Il correttore le può alleviare, non nascondere- disse, intercettando l'occhiata sorpresa della cugina.

Sospirò, passandosi nervosamente una mano fra i lunghi capelli neri:- Insomma, lo sai che non sono bravo con i discorsi. Solo che sembri... strana, ultimamente. Specialmente quando sei con me. Cosa accade, Rey-rey? Ho fatto qualcosa di sbagliato?

Sollevò lo sguardo preoccupato e colpevole sulla cugina, e Reyna si sentì morire dentro. Sapere che, per colpa sua, Elia ora si sentiva responsabile di qualcosa che non aveva fatto la devastava. Si sentiva così orribile, così marcia dentro. Fece per dire qualcosa, ma le parole le si bloccarono in ola formando un nodo. Boccheggiò un paio di volte, poi non ce la fece più e scoppio in lacrime, voltandosi dall'altro lato per non far vedere il suo volto arrossato al cugino.

Il ragazzo sembrò sorpreso da quella reazione, ma poi la abbracciò dolcemente:- Ehi, mi dispiace. Non volevo. Se non ti va di parlarne non sei obbligata.

Reyna scosse la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli castani:- No, no. Solo che io... io sono un tale mostro! Sono una persona orribile, Elia!

Il ragazzo la guardò confuso:- Reyna, perché dici una cosa del genere? Tu sei una ragazza dolcissima, chiunque pensi il contrario...

- Tutti dovrebbero pensare il contrario!- esclamò allontanandosi da lui. -Io sono malata, deve essere così! Altrimenti, come avrei potuto mai innamorarmi del mio stesso cugino?!

Lo aveva confessato. In un impeto di rabbia, glielo aveva gridato in faccia, e ora era in piedi, i pugni chiusi lungo i fianchi e il volto rigato dalle lacrime abbassato, per non vedere la reazione del ragazzo.

Elia la fissò allibito. Aveva sentito bene? Era uno scherzo o cosa? La guardò e, no, non poteva essere uno scherzo. Reyna non avrebbe avuto un'espressione così tormentata, così colpevole in viso, altrimenti. Fece per dire qualcosa, ma la ragazza lo anticipò:- Faccio schifo, vero?- sussurrò. - Avanti, dillo che faccio schifo. Dillo che sono pazza, malata, orribile. Tanto lo so già da me.

Il ragazzo, però, non si mosse, rimanendo a fissarla in silenzio, con non più l'espressione sorpresa in viso, ma una più grave, seria, eppure, in un certo senso, rilassata. Quando la cugina gli gridò di andarsene, di uscire da quella stanza, di lasciarla sola, lui obbedì senza fiatare. Tuttavia, una volta che Reyna gli sbatté la porta alle spalle, si sedette fuori dalla camera, la schiena contro il muro, ad ascoltare i singhiozzi sommessi della ragazza, con una nuova consapevolezza nel cuore.

Perché lui lo sapeva, lo aveva sempre saputo, fin da quando, la prima volta, l'aveva vista aggirarsi per il salone con sul viso quell'espressione scocciata eppure così carina che solo i bambini possono avere. Lo aveva saputo ancora di più quando le aveva promesso che sarebbero andati insieme alle Hawaii, e lo aveva saputo anche quando, durante tutti i Natali successivi, lei aveva fatto di tutto per farlo uscire dal suo mutismo e farlo integrare con gli altri cugini. E ancora, lo aveva saputo quando l'aveva consolata dagli incubi, quando l'aveva salvata da quel tipo, ogni volta che la abbracciava, lui lo sapeva.

Era solo stato troppo fifone. A differenza di Reyna che lo aveva ammesso a se stessa e aveva convissuto con quella scomoda realtà per chissà quanto tempo, lui lo aveva negato sempre, scacciando il pensiero non appena quello avesse provato ad affiorare.

Perché sì, ora era era pronto ad ammetterlo, lui era pazzamente, incondizionatamente, irreparabilmente innamorato di Reyna.

Si alzò in piedi e spalancò la porta, facendo sussultare la ragazza:- Ti avevo detto di...

- Ti amo.

Secco, chiaro, conciso. La cugina spalancò gli occhi:- Se stai cercando di prenderti gioco di me...

Elia non la lasciò finire e velocemente le si avvicinò, afferrandola per i polsi, ripetendo:- Ti amo. Gli dei dovessero fulminarmi se scherzo.

La ragazza fissò gli occhi verdi arrossati dal pianto in quelli neri del cugino:- Baciami. Se è vero che mi ami, baciami.

Il moro sospirò e si allontanò leggermente:- Tu sai che, anche se ricambio, questo è sbagliato. Non ti puoi accontentare della consapevolezza di quello che provo per te?

Reyna strinse i pugni, ma annuì. E quando, finalmente, Elia l'abbracciò, decise che, sì, per ora poteva ritenersi soddisfatta.

 

Reyna aprì piano la porta della camera di Elia e, silenziosamente, si avvicinò al letto e si infilò sotto le coperte. Il ragazzo aprì lievemente gli occhi e lei sorrise, sussurrando:- Buongiorno amore.

- Mh... che ore sono?

- Le sette.- rispose ridendo mentre Elia la stringeva a sé come se fosse un peluche.

- Ho sonno.- bofonchiò lui sulla sua spalla.

- Colpa tua che ieri hai fatto tardi. Sbrigati o arriverai in ritardo a lavoro.

- Mh...

Reyna sbuffò:- Se non ti sbrighi ad alzarti ti bacio.

Appena disse quelle parole, il ragazzo spalancò gli occhi e si mise a sedere. La ragazza sorrise un po' amaramente: era contenta che la minaccia avesse sortito l'effetto richiesto, tuttavia per un istante aveva sperato che Elia si lasciasse davvero baciare. Stavano segretamente insieme da sei mesi, ormai, e un bacio, anche se a fior di labbra, pensava di meritarselo.

All'inizio credeva che fosse solo un po' di timidezza da parte sua. Dopotutto, fin da piccoli lui evitava di darle i bacetti sulle guance. Ma ormai si rassegnava all'evidenza che il ragazzo non la volesse baciare per sua scelta. Si alzò in fretta dal letto e si avviò verso la porta.

Elia la guardò con un misto di colpevolezza e rassegnazione:- Reyna...

- La colazione sarà pronta fra dieci minuti. Sbrigati.- non gli diede il tempo di dire altro ed uscì.

 

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Non era raro che tra loro ci fossero quotidianamente questi piccoli litigi, ma tutti si risolvevano un paio di ore dopo come se niente fosse accaduto.

Fu per questo che, quel giorno, Elia non si preoccupò quando, mentre guardavano un film romantico comodamente seduti sul divanetto in camera sua, Reyna gli disse:- Sai, a questo punto del film di solito le coppie si baciano.

Lui la guardò divertito:- E tu questo come lo sai, scusa?

- Beh, di solito nei film e nei libri e così.

Il ragazzo fece un mezzo sorriso e poi, tornando a guardare lo schermo, rispose:- Questo non è né un libro né un film.

- Hai intenzione di baciarmi, prima o poi? Anche solo per sbaglio, s'intende.

Elia sospirò:- Reyna, quante volte ne abbiamo parlato? Lo sai che...

A quel punto, la ragazza si alzò di scatto, guardandolo con le lacrime agli occhi:- Io non capisco! Perché fai così? Dici di amarmi, dici che faresti di tutto per me, ma un bacio, uno stupido bacio non me lo vuoi dare! Ho sbagliato qualcosa? Forse non sono abbastanza? Oppure sono solo un gioco?!

- Reyna...

- Non interrompermi! Perché non capisci?! Già è difficile così, perché devi peggiorare tutto?! Ti odio, Elia! Ti odio e mi odio! Perché mai dovevo innamorarmi proprio di te?! Perché quel giorno di undici anni fa mi hai chiamata?! Non sarebbe stato meglio per entrambi rimanere due estranei?!

Il ragazzo si alzò in piedi, allungando una mano per asciugarle le lacrime, ma lei si scostò:- Non toccarmi! Non voglio vederti mai più!

E, detto questo, si fiondò fuori dalla stanza, fuori dalla casa, e si mise a correre per le strade della periferia di Roma.

Teneva lo sguardo basso, senza badare dove andava, con l'unico desiderio di allontanarsi, anche per poco, da quel ragazzo che tanto amava ma che proprio non riusciva a comprendere.

Continuò a correre senza meta. I piedi erano doloranti, le gambe imploravano di potesi fermare, e gli occhi bagnati le impedivano una limpida visuale.

Finalmente si fermò sul ciglio del marciapiede e alzò lo sguardo, e vide dall'altro lato della strada la stazione. Un unico pensiero le attraversò la mente: Elisa.

Lei l'avrebbe ascoltata, con lei avrebbe potuto parlare senza avere paura di venire giudicata.

Con le gambe sul punto di cedere, la schiena dolorante e i pensieri annebbiati scese dal gradino e fece un paio di passi.

Un capogiro la costrinse a fermarsi nel mezzo della strada per recuperare l'equilibrio. Fu un istante.

La ragazza sentì provenire dalla sua destra lo strombazzare di un clacson. Ebbe appena il tempo di voltarsi e di inquadrare un tir.

Poi il buio.

 

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Elia non riusciva più a sopportare il pianto sottomesso di sua zia e il ticchettio delle scarpe dello zio che faceva aventi e indietro nel lungo corridoio bianco. Si alzò di scatto, facendo spaventare gli zii, e fece per andarsene, quando la porta bianca che si trovava davanti a loro si spalancò e ne uscì un uomo basso vestito di bianco.

Suo zio gli si avvicinò ansioso e, con voce tremante, gli chiese:- Allora?

L'uomo lo guardò mortificato e scosse la testa:- Non c'è stato niente che abbiamo potuto fare. La ragazza è in coma, ma non durerà a lungo. Mi spiace dirvelo, ma le probabilità che superi la notte sono pressoché inesistenti.

La donna si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato mentre il marito, ancora sotto shock, non sapeva cosa dire.

Elia strinse forte i pugni, sentendo le unghie penetrare la carne, e guardando per terra disse:- Possiamo vederla?

Il medico annuì mesto:- Venite, da questa parte.

 

Li lasciò davanti ad una porta azzurra, con la raccomandazione di entrare uno alla volta.

La prima fu la zia. Cercando di mostrarsi forte attraversò la soglia e si richiuse la porta alle spalle. Elia non era sicuro di cosa la donna stesse facendo, ma la sentiva parlare. Ogni tanto la sentiva emettere un verso soffocato, a metà fra un singhiozzo e la risata più triste che avesse mai sentito.

Era forte, sua zia. Lo era sempre stata, se lo ricordava bene. Era stata proprio lei a consolarlo al funerale del nonno. Mentre sua madre piangeva, la zia lo aveva stretto forte a sé e gli aveva sussurrato: “Non piangere, okay? Il nonno sarebbe triste. Non vorrebbe mai sapere che per colpa sua uno dei suoi nipotini preferiti si sia messo a pingere.”

E così Elia, a soli sei anni, si era asciugato le lacrime e aveva annuito con decisione.

Dopo un quarto d'ora circa la donna uscì. Aveva gli occhi gonfi e sembrava che fosse invecchiata di colpo. Il marito le strinse forte le mani e le diede un bacio sulla tempia, poi entrò.

Rimase solo cinque minuti, e quando uscì aveva l'aria sconvolta. Era impallidito, e barcollando leggermente si avvicinò ad una sedia e vi si lasciò cadere. Era come se tutta la consapevolezza gli fosse caduta addosso di colpo.

Il ragazzo avvicinò una mano tremante alla maniglia della porta. A pochi millimetri da essa si fermò, esitante.

Chiuse gli occhi per un istante, prendendo un bel respiro. Poi, racimolando tutto il coraggio che aveva abbassò la maniglia ed entrò.

Era un stanzetta piccola, con un letto bianco al centro, nel quale lei era adagiata come una bellissima principessa addormentata in attesa del bacio magico che avrebbe rotto l'incantesimo.

Un bacio...

Il ragazzo serrò i pugni, sentendo il senso di colpa cominciare ad invaderlo. Era colpa sua, tutta colpa sua.

Per un solo, stupido bacio che le aveva sempre negato aveva perso tutto. E pensare che aveva fatto tutto ciò, che aveva resistito all'impulso di imprigionare le labbra della cugina con le sue proprio per paura di perderla.

Una paura irrazionale (ora lo sapeva; lo aveva sempre saputo), ma che gli aveva attorcigliato le viscere e la notte non lo aveva fatto dormire.

Si avvicinò lentamente, quasi titubante al lettino candido e piano accarezzò la guancia della ragazza. La osservò: il suo corpo, collegato ad una moltitudine di tubicini e macchinari, sembrava troppo minuto e pallido.

Il suon petto si alzava ed abbassava lentamente. Troppo lentamente.

Senza battere ciglio, Elia si chinò su di lei e finalmente poggiò delicatamente le labbra sopra quelle della ragazza, in un bacio casto e pure che lei aveva sempre bramato e che lui non era mai riuscito a donarle.

Rimase così per qualche istante, poi lentamente si staccò da lei sussurrando:- Questo è per il tuo compleanno.

Poi gliene diede un altro:- Questo per il dieci a scienze.

Un'altro:- Questo per tutti i film che abbiamo visto insieme.

E ancora un'altro:- Questo per le patatine che ti ho rubato la prima volta.

E gliene diede molti altri, di baci. Tutti quelli che avrebbe dovuto darle quando ancora lei avrebbe potuto spalancare gli occhi sorpresa per poi, dolcemente, allacciargli le braccia dietro al collo per approfondire il contatto.

- E infine- la baciò di nuovo – questo è perché mi dispiace. Per tutte le cose che avrei voluto dirti ma che non ho detto. Per tutte le cose che avrei voluto fare e non ho fatto. Insomma, questo è per il semplice motivo che ti amo.

Lentamente si allontanò dal suo volto. Poi, senza dire nient'altro, si voltò ed uscì dalla stanza.

Lo sentiva, quel rumore. Quel biiip acuto e prolungato che aveva appena fatto scattare il finimondo.

Sentiva le infermiere correre per il corridoio entrando precipitosamente nella camera di Reyna, sentiva i singhiozzi dello zio e le urla strazianti di sua zia.

Sentiva, ma non si fermò. Attraversò il corridoio bianco, scese le scale e finalmente uscì dall'asfissiante struttura dell'ospedale.

 

Reyna aveva diciassette anni. Era una bella ragazza dai capelli castani e scintillanti occhi verdi. Era allegra, gentile e leggermente territoriale. I suoi piani per il futuro? Viaggiare per il mondo come il padre, diventare una giornalista di successo e vivere in una bellissima casa alle Hawaii nel tempo libero. Ma, come tutte le ragazze intelligenti, aveva anche un piano B: le sarebbe piaciuto avere una villa piena di animali, diventare un'attrice e visitare in ogni caso le Hawaii.

Elia sollevò lo sguardo al cielo e sospirò lasciando che un'unica, calda lacrima gli solcasse il viso.

Niente più viaggi, per Reyna. Niente più Hawaii, niente più villa e animali.

 

Reyna aveva diciassette anni ed era morta.

  
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