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Autore: MooseGingerbread    20/04/2015    0 recensioni
Un evaso soggiorna sul vostro divano, mentre la vostra vita è incasinata dal lavoro, dagli impegni del matrimonio, da una suocera assilante e da genitori iperprotettivi. Bhè, non lamentatevi, per Jade questo è all'ordine del giorno e deve farcela perché tutto ciò che ha creato è appeso ad un filo, o meglio ad uno stupidissimo ricatto.
"Bennett dovresti aggiustare l'antenna del televisore, non posso passare la mia giornata a vedere svendite"
***
"Non voglio mai più rivederti, mi riporti alla mente tutti quei ricordi che cercavo di dimenticare. Ma a te non è bastato rovinarmi la vita una volta"
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Merry you


 It's a beautiful night,
We're looking for something dumb to do.
Hey baby,
I think I wanna marry you.

Is it the look in your eyes,
Or is it this dancing juice?
Who cares baby,
I think I wanna marry you.






 

Venice Beach non poteva essere più bella di quella serata. Le luci proiettate dalla città erano quasi impercettibili e gli unici rumori erano il cullante suono delle onde e i gruppi di adolescenti che passavano, ubriachi reduci da una serata in qualche club della zona.

La sabbia fresca e pulita emanava l'odore della salsedine e sulla sdraio malridotta numero 34 del bagno Albatros io e Liam eravamo accoccolati.

La cena dal suo amico, uno dei tanti che aveva in zona, aveva superato le mie aspettative, forse per il semplice fatto che negli ultimi due mesi avevamo trascorso le serate fuori con Hanna, Mark e altri amici o colleghi del mio ragazzo. Parlare di politica, delle cene di Hanna o dei magnifici investimenti di Mark non erano i miei argomenti preferiti, dato che la maggior parte delle volte restavo in silenzio, annuendo di tanto in tanto, fingendomi partecipe dei loro lunghi discorsi e evitando le occhiatine critiche nei miei confronti.

D'altronde non potevo aspettarmi che Liam lasciasse baracca e burattini per vivere nel mio appartamento bilocale con vista sul supermercato Dizzy's, scordandosi dei suoi superficiali e arroganti amici ricconi. Ma averli sempre intorno mi faceva sentire estranea a quel mondo così pieno di cose futili ed apparenza, in cui ero entrata una volta trasferita qui.

Quella sera però era diverso. Come se finalmente dopo mesi io e il mio ragazzo ci fossimo concessi qualcosa solo per noi, semplice senza troppi sfarzi.

Quello eravamo noi.

La sua mano scivolò lungo la mia schiena poco sopra le natiche, fissavo ogni centimetro del suo viso, così bello. Mi diede un piccolo bacio sulla fronte, appoggiando poi la guancia sul mio viso.

“Credo di non essere mai stato così bene” sussurrò piano. “Ci conosciamo da due anni e la mia vita ha preso una piega così inaspettata. Quando ti vidi entrare in ufficio con quella camicetta a fiori non vedevo l'ora di conoscerti, la tua intervista è stata fantastica, ma ti ricordi la Signora Rox non pubblicò il tuo articolo?” sorrisi ripensando a qul periodo, ero così impacciata e timida. Ero appena arrivata.

“Poi ti invitai a cena e tu non acettasti, poi ti invitai a fare colazione insieme, ma tu mi dicesti che eri troppo occupata. Ma alla fine quando ti spedii quelle rose cedesti. Non ti presi nemmeno la biga di arrivare in orario”

Intervenii in mia difesa: “Me lo ero completamente scordato!” ridemmo.

“Mi immagino” mi baciò piano “Ma adesso siamo cambiati, siamo cresciuti e tu sei sempe più bella. Questa sera è stata magnifica. Io adoro tutto questo. Ti amo, più di ogni altra cosa. Ti amo perché sei una persona unica e ami la vita. Io la mia la voglio passare con te, perciò Jade Bennet vuoi sposarmi?”

Rimasi scioccata. Insomma una richiesta di matrimonio, non è una cosa da tutti i giorni. Io voglio veramente passare tutta la mia esistenza con Liam? Sarà veramente la scelta giusta? Ci sono così tante cose che ancora dobbiamo scoprire l'uno dell'altro. Queste domande sfociarono nella mia mente in pochi secondi.

La vita è una sola, non hai chance, bisogna osare e in quel momento pensai proprio che io amavo Liam e dovevo osare per lui: “Sì, Liam Payne io voglio sposarti”.

 

 







La sveglia suonò talmente forte che balzai a sedere di scatto. La spensi con fare brusco e mi concessi qualche secono per osservare Liam. Dormiva ancora, a lui le sveglie non facevano alcun effetto, doveva metterne più a ripetizione. Infatti dopo nemmeno un minuto una nuova melodia suonò dal celulare sul comodino.

Mi alzai infilandomi velocemente gli slip scaraventati sul pavimento la notte prima, indossai anche la mia maglia appoggiata sul mobile della camera da letto.

Raggiunsi la cucina con l'intenzione di preparare la colazione.

Appoggiai la mano sullo sportello delle tazze, fermandomi a guardare l'anello, che portavo all'anulare, datomi da Liam la sera prima.

Caspita mi sarei sposata. Adesso. A quest'età. Ammetto che qualche fantasia su me e Liam all'altare o con dei bambini l'avevo avuta, ma non pensavo si fosse realizzata prima dei trent'anni.

Avevo solo vent'un anni e fino a due anni prima o poco più vivevo in una piccola cittadina al nord della Caifornia. Trasferirsi nella grande città era stata una scelta improvvisa, avventata e con poco preavviso. Volevo cambiare vita e fare carriera, ma soprattutto cambiare vita.

Mi accolse zia Carole che mi aiutò in poco tempo a cercare una sistemazione e un buon lavoro per integrarmi. Inizialmente servivo caffé al Mario's, poi feci domanda per una delle più popolari e influnti riviste nel campo della moda, Femele. Propretaria di questo impero era l'intraprendente e ineguagliabile cinquantenne Madeline Rox, tutti la conoscevano, la rispettavano e la temevano. Non capii affondo, finchè non mi assunsero come sua co segretaria e lì iniziarono i primi drammi.

Le cose da fare erano veramente troppe e spesso mi dava una mano il suo desaigner, nonché consigliere, Samuel, anche lui uomo di mezza età ma di tutt'altro stampo. Spesso le chiedevo di dare un'occhiata ad alcuni miei articoli, ma la maggior parte delle volte li ritrovavo in striscioline di carta quando svuotavo il suo cestino.

Con una buona parola di Samuel mi concesse un solo articolo, riguardo gli uomini in carriera e possibili icone di moda della città, ovviamente non tutti, ma tre nomi sulla sua lista li aveva assegnati a me. Tra questi anche quello di Liam naturalmente.

Pessimo. Poco accurato, quasi spoglio di tutti i veri interessi delle donne abbonate al gionale, perciò la carriera di giornalista era stata rimasta sepolta per molti mesi, nei quali invece un'insistente architetto aveva riuscito ad ottenere una serie di appuntamenti con me. Liam era sempre stato dolce e mi diede perfino una mano col lavoro, che spesso mi portavo a casa. Era un ragazzo generoso e cordiale, anche di buona famiglia: sua madre era il sindaco di Los Angeles.

Adesso mi trovavo in buoni rapporti con lei, o almeno così per dire, il lavoro dei miei sogni era ancora abbastanza lontano, ma almeno ero diventata prima assistente.

Si credeva che la prima avesse avuto una ispiegabile crisi isterica, che in fondo era gemellata col fatto che la Rox la tormentasse giorno e notte con spesso richieste del tutto impossibili.

Neanche io potevo lamentarmi però: trovare il manoscritto inedito di Jemie Frotterman entro Luglio non era stato affatto semplice, se non fosse stato per Samuel ed il suo “amico” Lewis, conoscente dello scrittore in questione.

Due mani calde mi cinsero improvvisamente i fianchi, facendomi tornare alla realtà.

“Se vuoi fare il caffé ti consiglio di darti una mossa, sono già le nove” mi sussurrò all'orecchio Liam, dandomi poi un bacio sul collo.

 

 

 






 

“Ciao Taison due caffè doppio macchiato con gjinseng e cannella” ordinai al bancone del Mario's velocemente.

Ero in ritardo anche quella mattina, ma in questo momento ero troppo felice per avere preoccupazioni, insomma stavo per sposarmi e la mia mente doveva essere impegnata nella scelta dell'abito, del ristorante, della chiesa e quant'altro.

Apparve il mio ex collega porgendomi due bricchi di caffè fumante: “Ecco a te bambolina, attenta a non scottarti”

Ne ordinavo sempre due di quegli intrugli che beveva a colazione, nel caso uno non arrivasse a destinazione, avevo sempre l'altro.

Lo salutai facendo un gesto della mano per poi aprire la porta dell'ingresso e attendere sul ciglio della strada un taxi che mi portasse al numero 23 della ventottesima strada.

Io e Taison eravamo amici, avevamo lavorato insieme per circa due mesi e in quel periodo ci ritrovavamo spesso a casa sua a mangiare cinese e bere una birra dopo il turno serale. Il caffé era un posto piccolo e accogliente, quasi intimo. C'erano pochi clienti affezionati e di tanto in tanto passava qualche uomo d'affari per prendere la colazione. Si trovava proprio sotto il mio appartamento e mi ci ero quasi affezionata.

Dopo pochi minuti un'automobile giallo sgargiante accostò, mostrandomi il viso del conducente sudamericano: “Seniorita?”

Anuii e aprii lo sportello, quando qualcuno mi urtò e uno dei due caffè che avevo in mano mi si rovesciò tutto sul cappotto beige, formando una consistente macchia.

“Ma che modi!” urlai al tipo che ormai si era seduto sul sedile posteriore del taxi, senza degnarmi di uno sguardo.

Bussai al vetro dell'auto, irritata per le scuse mancate.

Il tipo si girò rivelandosi un ragazzo della mia età circa, magro, alto, ma con metà viso coperto dal cappuccio della felpa di qualche taglia in più della sua.

Fu una sensazione di un secondo, ma qualcosa in quella faccia mi sembrò familiare, mi fece ricordare casa mia.

I due nella macchina si scambiarono qualche parola, che non riuscii a sentire, e l'auto sfecciò via, lasciandomi bagnata e completamente in ritardo.

 

 

 

 







 

“Jane tra dieci minuti ho un'assemblea datti una mossa, mia cara!” mi incitò Madeline con voce irritante, continuando a sbagliare il mio nome. Mi trovavo nel suo studio, un ambiente spazioso con le pareti interamente in vetro, emblema della trasparenza dell'azienda, il parques in ebano e una libreria nera, con i suoi libri preferiti e qualche premio relativo al giornale. La sua scrivania era tonda e in cristallo con sopra una pianta dalle foglie verde acceso e larghe, c'erano anche la sua adorata poltrona in pelle bianca e altre due poltroncine in pelle nera, per gli ospiti. Lo studio era al ventunesimo piano di un importante grattacielo della città e c'era una meravigliosa vista mare.

“Mi scusi per il ritardo, tenga il suo caffè Signora Rox” le passai il bricco.

La donna si sedette alla scrivania iniziando a controllare un catalogo che vi era riposto sopra, sorseggiando la bevanda.

Il giorno dell'assemblea era veramente pretenziosa, tutti i dipendenti dovevano entrare minimo un quarto d'ora prima e avere già il lavoro pronto, come grafici, schedari, modelli di copertina e altro. Sembrava un esercito mosso agli ordini del comandante, anzi del dittatore. Tutto era registrato e doveva passare sotto il suo consenso, se qualcosa le sembrava coretto il giorno prima non era detto che quello stesso giorno le sarebbe andato bene.

“Marciare, non marcire!” era la targa che teneva fissata sulla scrivania.

“Qual'è il colore della copertina della settimana, Jashmine?” mi chiese abbandonando il catalogo.

“Giallo e fucsia, signora”

“Ah, carino, e se lo facessimo verde invece che giallo?” si mise una mano sul mento e l'altra sul gomito del braccio, pensando alla soluzione.

“Bhè abbiamo già dato l'ordine in copisteria, saranno già a metà lavoro..” spiegai con in mano il blocchetto degli appunti per vedere le date previste per la pubblicazione del numero.

“Chiamami Samuel, Jenna” mi liquidò con un gesto della mano e fece mezzo giro sulla poltrona dandomi le spalle.

Sospirai e varcai la porta in vetro dell'ufficio del mostro. Era un caso perso con il mio nome, potevo almeno essere soddisfatta del fatto che da qualche mese a questa parte si ricordava che iniziava con la lettera J.

La postazione di Samuel era un vero caos, uomini e donne che correvano da una parte all'altra del corridoio, chi con scartoffie in mano, chi con vestiti, chi con macchine fotografiche. Non potevo immaginare l'organizzazione di quell'uomo. Era un modello per me.

“Dimmi tesoro” una voce alle mie spalle mi fece sobbalzara.

Samuel indossava una giacca color porpora e una cravatta a righe bianco nere, impeccabili abbinamenti che la Rox adorava alla follia.

“Madeline ti aspetta nel suo studio per un consiglio sulla copertina della settimana. Tu dille gialla e fucsia, perfavore, ho già spedito l'ordine e Brad se la rifarà con me se anche questa volta gliele faccio ricambiare” lo pregai, speranzosa della sua influenza sulla Rox.

“Brad mi ha lasciato la settimana scorsa” mi zittì, dirigendosi verso il suo capo.

“Perfavore” mimai con le labbra prima di trovarci faccia a faccia con la donna. Samuel si fermò davanti alla scrivania, poggiandoci le mani sopra.

“Madeline cosa volevi chiedermi?” la donna si girò con un'espressione soddifatta.

“Due parole: la copertina. Scritta fucsia, sfondo giallo o verde?” lo indicò con l'indice.

Ci scambiammo uno sguardo fugace.

“Vediamo...direi assolutamente verde” esordì, sfoderando un largo sorriso “ Ah comunque adoro quel corpetto con il vestito a righe” concluse, ammiccandomi e lasciando la stanza.

Grazie infinite.

“Sentito Jodie. Lo facciamo verde, va da Brad!” mi congedò il mio capo continuando a sorseggiare il caffè che teneva in mano.

Voltai le spalle vinta dalla decisione.

“Scusa Jesie” mi sentii richiamare “Ma perché sul mio caffè un certo Taison mi ha chiesto di chiamarlo con tanto di numero?”

La mia faccia divenne di un rosso vivo.

“Ecco..perché..vede, quello era il mio caffè, il suo si è rovesciato” balbettai, grattandomi la nuca imbarazzata.

Cazzo Taison.

Proprio adesso doveva chiedermi di uscire.

“Certo, vuoi dirmi che anche tu prendi un doppio macchiato con gjinseng e un pizzico di cannella? Hai gusti singolari, Jacki”

 

 

  
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