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Autore: Juu_Nana    26/12/2008    6 recensioni
Una volta l’anno, la notte di Natale, un signore vestito di rosso monterà sulla sua slitta incantata piena fino all’orlo di regali e prima che spunti l’alba li avrà distribuiti a ogni bambino buono del mondo passando per i camini senza far rumore e aver mangiato lo spuntino che gli si lasciava per ringraziarlo.
Bla bla bla.
La prima volta che gli avevano parlato di questa cosiddetta festa denominata natale aveva storto il naso e ghignato in modo sarcastico.
Un umano che distribuisce migliaia, no, milioni di regali in una notte?
E lui era un chihuahua rosa con le meches.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Batuffoli Bianchi

Una volta l’anno, la notte di Natale, un signore vestito di rosso monterà sulla sua slitta incantata piena fino all’orlo di regali e prima che spunti l’alba li avrà distribuiti a ogni bambino buono del mondo passando per i camini senza far rumore e aver mangiato lo spuntino che gli si lasciava per ringraziarlo.
Bla bla bla.
La prima volta che gli avevano parlato di questa cosiddetta festa denominata natale aveva storto il naso e ghignato in modo sarcastico.
Un umano che distribuisce migliaia, no, milioni di regali in una notte?
E lui era un chihuahua rosa con le meches.
Andiamo...
Come poteva esistere un vecchiardo ciccione che vive nei ghiacci perenni del polo nord (o polo sud, a seconda delle versioni) e che passa l’esistenza a fabbricare doni da portare ai bambini?
Però suo figlio ci credeva. Eccome, se ci credeva.
Ogni venticinque dicembre rischiava di rompersi l’osso del collo saltando giù dal letto trascinando dietro cuscino e coperte per poi sfrecciare lungo i corridoi e gettarsi con foga sui pacchi luccicanti posti sotto l’albero, ringraziando al settimo cielo questo fantomatico Babbo Natale ogni volta che una sorpresa nuova faceva capolino dalla carta decorata con agrifoglio, papaline rosse o fiocchi di neve. E guai anche solo provare a deriderlo per la sua quasi venerazione nei confronti al barbuto vecchio, o rischiava di essere messo in quarantena dalla moglie, particolarmente accanita su quanto Trunks fosse libero di credere a quelle favole, finché era ancora un bambino.
Così, anno dopo anno, mentre suo figlio da infante diventava un bambino, aveva imparato a convivere con il rituale annuale del frusciare della carta e dall’allegro scambio di regali.
Qualcosa per lui arrivava sempre e lui da parte sua sempre ricambiava, anche se faceva in modo che il tutto fosse così velato che non se ne accorgesse nessuno.
Come quell’anno in cui era ricomparsa sul ripiano di lavoro di Bulma quella serie in edizione limitata di duecentotrenta microviti in acciaio cromato super rinforzato indispensabili per un nuovo elicottero più potente che era stata inghiottita dal caos che regnava nel laboratorio di casa Brief nonostante gli sforzi di Bulma.
O sul fatto che ogni anno, la vigilia di Natale si offriva addirittura di trascorrere l’intera giornata col giovane rampollo, anche se non uscivano dalla gravity room.
Ma con l’arrivo del natale, arrivava puntualmente un altro problema.
La neve.
E la neve per suo figlio Trunks era vitale, era l’anima stessa dell’inverno e del Natale.
I primi anni, lui, il Principe dei saiyan, aveva disprezzato questo attaccamento del figlio verso quei cristalli anche di più del suo attaccamento verso il fittizio padre del natale.
Dopotutto, la neve era solo una forma di precipitazione nella forma di acqua ghiacciata cristallina, consistente in una moltitudine di minuscoli cristalli di ghiaccio tutti aventi di base la forma esagonale ma ognuno di tipo diverso.
Questo era per lui la neve. Nient’altro che una definizione da vocabolario.
Per Trunks invece, era vitale.
Ogni anno, se quella capricciosa birichina non si degnava di cadere, almeno tre giorni prima della magica festa il piccolo monello dai capelli lavanda si appostava sul divano, incrociava le braccia sullo schienale e dopo averci infossato la testa fissava con aria truce il pallido sole invernale come se volesse scacciarlo con lo sguardo oppure fulminava le nuvole chiare che coprivano il cielo come a incolpare loro se la neve non cadeva. E passava i pomeriggi in questo modo.
Ma non appena vedeva una scintilla candida volteggiare nel cielo si tirava su di scatto e saltava in piedi mentre l’espressione di angosciosa attesa veniva completamente lavata via dal suo volto come solo quei batuffoli bianchi sapevano fare.
Allora si armava di sciapa, guanti e cappotto e si fiondava fuori, ad ammirare con la bocca aperta il cielo plumbeo punteggiato di chicchi brillanti. La prima volta che Vegeta lo aveva visto con il naso per aria, quando ancora il piccolo arrivava a malapena alla maniglia della porta, si era chiesto sconvolto se poteva davvero essere figlio suo un bambino che andava in brodo di giuggiole per uno stupido fenomeno atmosferico.
Ma poi, anno dopo anno, vedendo l’allegria costante del ragazzino quando trotterellava per il prato spoglio e coperto di brina catturando fiocchi di neve con la lingua o sentendolo ridere sommessamente quando da dentro casa scoccava occhiate ansiose sullo strato nevoso che cresceva imbiancando la città come fosse zucchero a velo, si era sorpreso più volte ad aspettare la neve a sua volta, quasi con la stessa ansia di Trunks.
Perché gli piaceva.
Non che lo ammettesse o che lo avrebbe mai fatto, figuriamoci, ma lo metteva stranamente di buon umore fissare di nascosto il suo ragazzo così contento.
E aveva infine imparato anche lui a godersi l’attesa del Natale, man mano che il suo Trunks diventava lentamente un ragazzo, sua moglie perdeva anche le ultime tracce di infantilismo dal viso rimanendo comunque la creatura più bella che avesse mai visto e i suoi suoceri rimanevano sempre e comunque inspiegabilmente uguali.
E man mano che gli anni si accavallavano, il suo piccolo monello si lasciava alle spalle le elementari, iniziava studi specializzati per volere della madre e perdeva poco alla volta il suo carattere da brigantello per farsi più silenzioso e timido, fino a ricordargli sempre più spesso quel figlio venuto dal futuro che gli aveva scaldato il cuore la prima volta, quasi vent’anni prima.
E più il ragazzo si avvicinava all’età adulta, più il “rituale della neve” perdeva valore e interesse, dopo gli otto anni smise di aspettare per ore quei cristalli dispettosi davanti alla finestra, sebbene di tanto in tanto rivolgesse un’occhiata d’attesa alle nuvole grigie, ma nulla di più.
Però, ogni volta che scorgeva uno scintillio, si interrompeva da qualunque cosa stesse facendo e tornava al centro del giardino a fissare il lento cadere, anche se la fretta con cui lo faceva scemava di anno in anno. E la cosa gli dava un inspiegabile, sottile dispiacere.
Ma quasi non ebbe il tempo di sentire la mancanza della sensazione che dettava il vedere quella luce brillante negli occhi del figlioletto sotto il cielo macchiato di bianco che un evento travolgente gli sconvolse nuovamente la vita.
Trunks aveva da poco compiuto i suoi tredici anni quando Bulma iniziò ad essere colpita sempre più frequentemente da malesseri e conati di vomito. Nel giro di un paio di settimane venne a sapere che sarebbe diventato padre una seconda volta.
E quell’inverno non ebbe il tempo di preoccuparsi della neve che sembrava quasi aver deciso di non cadere quell’anno, impegnato com’era nel tentativo di trattenersi dal passeggiare avanti e indietro per il corridoio dell’ospedale, mentre sentiva di tanto in tanto i gemiti di dolore di sua moglie durante il travaglio. E quando infine, dopo un tempo che gli era parso un’eternità, gli fu concesso di entrare nella stanza e venne praticamente costretto a tenere in braccia la sua figlioletta appena nata (non che non morisse dalla voglia di farlo, ma doveva salvare le apparenza per quanto poteva), un batuffolo bianco prese a volteggiare nel cielo.

***

Erano passate quattro ore da quando era entrato, non ce la faceva davvero più e le sue gambe iniziavano a dare cenni di sfinimento. Ma non poteva concedersi di fermarsi a pensare e difatti dovette saltare di lato una, due, tre volte nel tentativo di schivare una miriade di ki-blast azzurri lanciati in sua direzione. Ma ecco, la fatalità...
Un passo falso, un’ istantanea perdita di equilibrio e a malapena il tempo di coprirsi il volto incrociando le braccia che un violento destro lo centrò in pieno, facendolo volare all’indietro.
Riuscì a riassettare la traiettoria con un paio di capriole all’indietro e infine atterrò con tutti e quattro gli altri, frenando per un metro scarso. Quando fu finalmente fermo ed ebbe assorbito completamente il colpo ricevuto, prese ad ansimare pesantemente, mentre gocce di sudore scorrevano sulla sua fronte già madida e sulle sue guance.
- Papà...? Non ce la faccio più. Non è che potremmo finirla qui per oggi? - chiese con tono stanco Trunks rimettendosi in piedi con qualche difficoltà.
Per tutta risposta, Vegeta incrociò le braccia con uno “uh” di sufficienza prendendo a squadrare il figlio con una certa delusione.
- Tsk, quando avevi sette anni praticamente mi pregavi in ginocchio di allenarti con me e adesso mi chiedi addirittura di smettere - commentò irritato il Principe.
- ... era circa dieci anni fa - obbiettò con voce tenue il ragazzo prendendo a massaggiarsi una spalla indolenzita. Ma Vegeta non sentì o più probabilmente fece finta di non sentire e continuò.
- Sei decisamente giù di forma, Trunks. Non posso permettere che il figlio del Principe dei saiyan, il mio erede, sia ridotto a una femminuccia mollacciona come te. Preparati a passare qua dentro almeno due ore al giorno, d’ora in poi - disse con un tono lapidario che non ammetteva repliche.
- Ma... ma...- cercò di opporsi debolmente il povero ragazzo, ma era decisamente troppo stanco anche solo per provare a iniziare una discussione col padre.
Anche perché in quella si sentì bussare alla pesante porta blindata della gravity room.
- Oniichan!* - nonostante fosse soffocata dall’entrata chiusa, la voce squillante e infantile era chiaramente quella della piccola Bra.
L’interpellato andò ad aprire la porta e chiese con un tenue sorriso cosa c’era, chinandosi ad appoggiare una mano sulla testa della piccola e accarezzandola un paio di volte.
- Nevica, oniichan, nevica! - rispose lei tutta eccitata prendendo a fissare il fratellone con due occhioni luccicanti.
- Davvero? Allora che ne dici se adesso mi faccio una doccia e poi andiamo fuori a combattere a palle di neve? - domandò allora dolcemente il ragazzo alzandosi nuovamente in piedi e avviandosi verso il bagno dopo aver scoccato un’occhiata di congedo al padre e con la sorellina che lo strattonava per una mano chiedendo, o meglio ordinando, di fare in fretta.
E Vegeta rimase solo.
E siccome sentiva anche lui il bisogno di fermarsi e di fare una doccia, riportò la gravità da +200 a quella normale e dopo aver preso un asciugamano appeso accanto alla porta ed esserselo messo intorno alle spalle, uscì dalla stanza d’allenamento chiudendosi l’uscio alle spalle con un clangore metallico.
Si avviò verso la cucina per prendere qualcosa da bere mentre si detergeva il sudore dalla faccia e dal torace. Facendo ciò, passò per il salotto, accanto a quell’immensa finestra davanti la quale anni prima suo figlio che ora era il giovane uomo si appostava per ore.
Nevicava davvero fitto...
Fiocchi di neve danzavano alla luce dei lampioni accesi, ipnotici, come se non dovessero finire mai.
Il Principe si perse a guardarli, dimenticando per un momento per quale motivo stava passando davanti alla finestra.
Doveva riconoscere che dopotutto la neve era davvero bella...
- Papà, cosa stai facendo? -
La vocetta inquisitoria lo riportò bruscamente alla realtà e dalla sorpresa fece un salto indietro con un mezzo urlo.
- B-bra! Cosa ti salta in testa?! mi hai fatto prendere un colpo! - strillò il saiyan dopo un paio di secondi che gli servirono per tornare del tutto con i piedi per terra, in senso figurato e non.
Si pentì subito del tono troppo alto che aveva usato.
Difatti l’espressione della piccola si incrinò seduta stante e le sue labbra curvarono pericolosamente verso il basso mentre mordeva il labbro inferiore con gli occhioni lucidi.
Bisogna tenere conto che aveva appena tre anni, poverina...
- S-scusa papà. Ma... ma ti eri bloccato senza motivo e... e... - non finì nemmeno la frase che si portò una mano vicino all’occhio per poi esplodere in lacrime e singhiozzi.
“Dannazione!” imprecò mentalmente il padre prima di girarsi nervosamente intorno se per caso ci fosse stato qualcuno a cui poter scaricare il problema, ma ricordò con disappunto che il figlio era sotto la doccia e che la moglie era uscita a comprare i regali di natale.
E non prese nemmeno in considerazione l’idea di rivolgersi alla suocera.
Così si dovette arrangiare.
- D-dai Bra, non fare così... Papà non voleva... - cercò di usare un tono che sembrasse più rassicurante possibile, ma evidentemente la cosa non funzionò perché la bambina continuò a piangere imperterrita.
- Non volevo farti spaventare. Ecco, non urlo più. Asciuga quelle lacrime, ok? -
Qualche ora dopo l’episodio, rendendosi conto di cosa effettivamente avesse detto, Vegeta sarebbe stato tentato dal prendersi a sberle, ma non c’era niente da fare: non riusciva a mantenere il sangue freddo davanti alle lacrime della figlia.
Mostri, conquistatori fuori di testa o scienziati pazzi, tutto, ma non il visino rigato di lacrime della sua figlioletta.
- Bra, ti prego... -
Il principe dei saiyan era chiaramente disperato, talmente tanto che non si accorse della luce malefica che si era accesa negli occhi della bambina, quando questa aveva abbassato gli occhi.
- Se smetto di piangere tu mi fai un regalo? - propose con tono fermo, come se l’argomento fosse saltato fuori in una normale conversazione.
Vegeta la fissò basito e dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di raccapezzarsi dalla sorpresa. E stava già per rispondere con un “Te lo scordi” quando la figlia reclinò la testa all’indietro e prese a urlare, mentre le lacrime ricominciavano a scorrere come un fiume in piena.
- Sei un papà cattivo! -
- Va bene! Va bene! Adesso però smettila! - urlò Vegeta a sua volta portando le mani avanti a sé, come per schermarsi dalla disperazione di Bra.
- Allora vieni fuori a giocare con la neve anche tu -il mutamento di voce ed espressione fu identico a pochi secondi prima.
Vegeta pensò subito sarebbe diventata un’ottima attrice teatrale.
Poi, senza nemmeno aspettare una risposta, afferrò una mano del padre con le sue piccole piccole e lo trascinò letteralmente all’ingresso, dove regnavano incontrastati sciarpe, guanti, stivali e soprattutto cappotti foderati e prese a indossare il suo giaccone chiaro un secondo dopo aver lanciato addosso al padre il suo.
In gamba la bambina, ne?
E così, Vegeta si ritrovò costretto a uscire nel giardino, mentre le lancette dell’orologio annunciavano le cinque pomeridiane, obbligato a costruire un fortino di neve e ad ammucchiare decine di palle bianche e soffici. Pochi minuti dopo, uscì anche Trunks e, coalizzato con la piccola di casa, ingaggiò con il padre la più furiosa e vissuta battaglia di palle di neve della storia.
E il Principe rifletté che quello stupido fenomeno atmosferico denominato “nevicata”, alla fine lo aveva involontariamente unito una volta ancora al suo amato Trunks.
E che tante, tante altre volte ancora lo avrebbe visto unito anche a Bra, che, dopo quel pomeriggio, iniziò anche lei a trovare magici quei piccoli cristalli.

Owari



*Oniichan = Fratellone

  
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