Broken Rose
Ripenso
spesso a quel momento.
In
quell’istante ero quasi convinta di vivere un deja vu, di vivere un momento già
successo e in qualche modo, lo era davvero, solo, stavolta c’eri tu nei miei
pensieri. Tu e le tue parole.
“Non puoi prenderti la
colpa di tutto”.
Una
cosa che tendevo fare spesso all’epoca. Credevo che il mondo girasse intorno a
me e che ogni evento fosse direttamente legato a me. Che ipocrita che ero,
eppure non ero certo una che tendeva a mettersi in mostra, o forse si. Forse lo
facevo davvero.
Magari
è questo che ti ha fatto attrarre a me, così uguali e così diversi.
Quell’istante
in cui allungasti la tua mano, quando ormai sapevo che la morte sarebbe
arrivata, lo capimmo entrambi, quello che ci legava era amore.
Vero
amore.
“Ehi,
vecchio!”
Dissi
con molta ‘educazione’ al mio mentore, mentre lo raggiungevo alla nostra solita
ora di allenamenti.
Lui
stava in piedi all’entrata della palestra, con la solita postura che
caratterizzava tutti i guardiani, la sua forse era più rigida. La sua
espressione poteva lasciar intendere che fosse abbastanza sull’incazzato, ma la
scintilla divertita nei suoi occhi indicava che non se l’era presa per il modo
in cui lo avevo chiamato, ormai c’era abituato o rassegnato, dipendeva dai
punti di vista. Certo, di fronte ad altra gente non mi permettevo tale
espansività, perché se c’era una cosa che avevo imparato, era che non importava tu fossi un umano, un vampiro o un
dhampir, perché se eri un adolescente al 99%, spettegolavi su tutto ciò che ti
arrivava a tiro. Inoltre, se vivevi dentro quattro mura come me, le notizie facevano
presto a correre e ad arrivare all’orecchio degli insegnanti e soprattutto del
preside Thompson, il quale (sue testuali
parole) era stufo di vedermi e darmi punizioni.
Forse
vi starete chiedendo su cosa sto farneticando, scusate, mi presento.
Sono
Rose Hathaway ho 17 anni e vivo nell’accademia St. Thomas, in Atlanta. Questa
accademia è un po’ speciale, perché come accennavo prima, è frequentata da
vampiri e dhampir. Non stiamo certo parlando di vampiri alla twilight (magari… ), perché questi, a differenza
del bello e dannato Edward Cullen, nascono da genitori vampiri e vivono una
vita lunga quanto un uomo umano può sperare. Non sono immortali, ma non si
ammalano praticamente quasi mai, hanno dei sensi un po’ più sviluppati e alcuni
di loro sono specializzati in qualche potere che varia tra l’aria, l’acqua, il
fuoco e la terra. E poi ci sono i dhampir, ovvero quelli come me, che nascono dall’unione
tra un umano e un moroi, come noi
chiamiamo i vampiri. Possiamo nascere anche da un moroi e un dhampir, ma mai da
due della nostra specie. Bah, va capire tu la selezione naturale. Pace Darwin.
Noi
dhampir non abbiamo poteri, però siamo forti e veloci, abbiamo la parte
migliore dei moroi e quella degli umani, il sole ci abbronza e il sangue non ci
tocca, a parte ai deboli di stomaco; è questo che ci permette di svolgere al
meglio il nostro lavoro, quello per cui io ora sto studiando in questa accademia,
ovvero diventare guardiano, al fine di proteggere loro, i moroi. Vi starete
chiedendo: proteggere da chi. Dai strigoi.
Un
umano, un dhampir o un moroi possono divenire uno strigoi in seguito ad una
trasformazione dettata da un singolo morso, oppure un moroi affascinato
dall’idea di immortalità potrebbe trasformarsi volontariamente, uccidendo una
persona nutrendosene.
Lo
strigoi è un mostro che uccide e purtroppo a differenza dei moroi, è immortale
e doppiamente più forte, ma non invincibile. Il sole lo incenerisce, come il
fuoco, la decapitazione lo uccide e un paletto d’argento forgiato dai quattro
poteri dei moroi lo annienta. Per fortuna lui non possiede i poteri dei moroi,
ci mancherebbe altro, tuttavia solo i guardiani riescono a tenergli testa, grazie
alla nostra predisposizione genetica al combattimento e alla preparazione che
riceviamo in queste accademie. Proteggere i moroi è fondamentale, soprattutto
per preservare la nostra specie.
Non
tutti i dhampir però diventano guardiani, alcuni scelgono di ritirarsi, di
vivere tra gli umani, troppo codardi per vivere questa vita penso io, ma
ammetto che sono pochi i maschi che lo fanno. Al contrario le donne. Poiché i
dhampir possono procreare altri dhampir solo con un moroi, si penserebbe che la
cosa non sia molto un problema. Sbagliato. Le moroi non si darebbero mai solo
per riproduzione, loro si sentono di essere superiori, ciò non sfiora i moroi
maschi, che se la spassano alla grande, ma nessuna moroi si preoccupa, perché
sa che nessuno di loro sosterrà mai un relazione lunga con noi. Così ne esce un
elevato numero di madri single che si allontanano da questo mondo e
preferiscono allevare i loro figli tra gli umani, o in comunità. Quest’ultime
però non godono di buona reputazione.
Come
avrete ben capito non è quello che è capitato a me. Mia madre è un guardiano
popolare, uccide a dritta e manca, vive per il suo lavoro. Non ricordo
perfettamente il suo viso, è un po’ che non la vedo. L’indifferenza nei suoi
confronti regna sovrana, anche se a volte mi chiedo se non avesse potuto
cercare di creare un legame tra noi.
Come
non detto, non voglio pensarci, già il solo fatto che sia quasi una celebrità
mi irrita all’inverosimile, poiché sono più che certa che tutti si aspettino
che sia una buona erede delle sue capacità. Vedo gli insegnanti guardarmi
delusi quando non mi comporto come loro desidererebbero e questo mi fa
incavolare il doppio, e ne combino di
peggio.
Ecco
perché mi sono ritrovata con un mentore, l’accademia spera che io cambi, ma
credo che anche il vecchio stia per perdere le staffe.
Il
vecchio in questione è un russo, Nikolai Lazar, nella sua giovinezza è stato
uno dei guardiani più temuti, ora ha 60 anni e fa da istruttore in questa
accademia e devo ammettere che mi da tanto filo da torcere, sarà vecchio, ma
non riesco mai a batterlo in combattimento, maledetto!
“Quale
onore, pensavo non saresti venuta!” mi dice lui con serietà e il suo accento
marcato russo.
“Stavo
per prendere a pugni un reale dalle mani lunghe, ma poi ho visto l’ora e sono
corsa qui!” gli dico angelicamente.
I
suoi occhi si chiusero in segno di disperazione.
I
moroi non sono tutti uguali, o meglio, sono divisi in casate e una decina di
queste hanno origini così vecchie, che oggi vengono considerate reali. Sono più
ricchi degli altri, e di conseguenza pretendono di fare tutto ciò che vogliono.
Motivo per cui si avvalgono di più guardiani che li proteggano. Leggende
metropolitane narrano di moroi che con i loro poteri si battevano a fianco dei
guardiani contro gli strigoi, ma se così fosse, si tratterebbe di un bel po’ di
tempo fa.
Le
ragazze dhampir, che in questa accademia sono ben poche, sono un po’ diverse
dalle ragazze moroi. Queste ultime sono bellissime da togliere il fiato, sembrano
modelle, ma sono così magre da non avere molte curve, quello che invece non si
può dire per le dhmapir. Siamo magre si, ma abbiamo tutte la curve al posto
giusto, cosa che fa girare la testa ai moroi più del dovuto. Ecco perché tanti
moroi non hanno problemi a fare figli con le dhampir, ma i moroi, soprattutto i
reali, non possono abbassarsi ad una vita con loro, sarebbe ad oltre modo
scandaloso.
Ed
ecco perché quel Ivashkov dalle mani lunghe aveva provato a palpeggiarmi,
perché lui, come tanti stupidi di questa scuola, pensa che mi sarei gettata fra
le sue braccia solo per il fatto di essere un reale. Ammetto che sia stato
coraggioso, non godo certo di buona reputazione qui, non che io abbia cercato
di essere mai amichevole vero, però di amici ne ho ben pochi. Con i moroi ambo i sessi tengo le distanze. Agli
occhi dei maschi sono tipo “bella impossibile”
e quindi chi di loro riuscirebbe nell’impossibile, sarebbe un dio.
Patetico! Agli occhi delle moroi sono una minaccia. Mah!
Loro
saranno la mia priorità un giorno, lo so, ma per il momento con questi idioti,
non voglio avere niente a che fare.
Per
quanto riguarda gli altri novizi, ovvero dhampir che studiano a diventare
guardiani, bè con la scusa di ‘allontaniamo
la fama di mamma’, non ho creato buoni rapporti con alcuni di loro, poiché
tutti volevano sapere le storie delle battaglie del guardiano Janine Hathaway,
ma come spiegare che neanche io conosco quella donna? E poi in un posto in cui
ti vedono crescere fin da quando avevi 4 anni, se si fanno un’idea di te, non
la potrai più cambiare.
“Rose,
Rose, tante volte mi ricordi Dimka.”
Ritorno
al vecchio che mi guardava esasperato, ma a mio parere divertito.
“Dim..
chi? Ah, si. L’altro suo allievo. È poi mai riuscito a raddrizzarlo?”
Nikolai
in alcune situazione esasperanti mi diceva che gli ricordavo un dhampir a cui
aveva fatto da mentore anni prima in Siberia, sembrava fosse un caso perso come
me.
“Oh,
si. È stata una delle mie più grandi soddisfazioni.”
Gli
si leggeva orgoglio negli occhi.
Cercavo
di immaginare questo Dimka come una versione più giovanile del vecchiaccio, ma
continuavo a vedere un Nikolai dai capelli grigi e al massimo senza qualche
ruga, era orripilante. Certo il vecchiaccio se li portava bene i suoi anni, ma
nella mia mente contorta avevo creato un mostro.
“Non
ci riuscirai con me vecchio!” gli dissi con sfida.
“Vedremo!
Ora muoviti!”
Sbuffai
e iniziai i miei allenamenti con la solita corsa intorno all’accademia. La
prima lezione, ricordo ancora, era stata: se sei di fronte a uno e più strigoi
e non hai armi a tua disposizione, corri! Io avevo riso, me lo ricordo bene, ma
lui aveva sbraitato per una buona mezz’ora che loro sono veloci e neanche
correndo mi sarei salvata. Così zitta e mosca per tre settimane non avevo fatto
altro che correre come un ghepardo. Ero più che certa, che sarei stata in grado
di fare un solco tutto intorno all’edificio a furia di correre
Dopo
un paio di giri sentii un movimento fugace al mio fianco e notai Nikolai.
“Sicuro
di farcela a starmi dietro?” lo rimbeccai.
Lui
in tutta risposta mi fece un ghigno e mi sferrò un pugno, che ovviamente non
avevo previsto. Mi prese su una costola e mi fece deragliare.
“Accidenti
a te!” riuscii a dire tra un affanno e l’altro.
Ultimamente
aveva iniziato a farmi attacchi a sorpresa, ma mai mentre correvo. Dannato.
Mi
rialzai sbuffando.
“Oggi
dovevamo iniziare con i paletti!” gli dissi in tono da bambina capricciosa.
Lui
rise ironico.
“Se
avessi parato quel pugno, forse!”.
Lo
guardai sbalordita.
“Ma…
mi hai preso alla sprovvista!”.
Camminò
avanti e indietro con le mani dietro la schiena, per poi fermarsi e con scatto
teatrale della testa, la girò verso di me disse: “Imparerai mai che qui si
parla di combattere con degli strigoi? Con loro niente è preparato, niente è
facile. Mettitelo in testa!”
Non
riuscii a controbattere, perché quella era una di quelle rare volte che potevo
ammettere almeno a me stessa che avesse ragione e che io avevo sbagliato.
Abbassai
lo sguardo e lui mi mandò nella sala dei manichini finti strigoi a combattere
contro di loro con mosse base. Come dire: umiliante.
Mentre
tenevo su la guardia e sferravo pugni e calci, ripensai a mia madre. Non amavo
parlare di lei, perché era quello che era. Ma cosa era? Una madre mancata o un
guardiano fantastico? Odiavo quello aveva fatto o quello che avrei voluto essere?
Invidiavo a quanto pare un po’ la sua fama, perché la mia allo stato apparente
delle cose era pessima: attacca brighe e irresponsabile; di certo doti poco ben
viste in un futuro guardiano.
Presi
ad arrabbiarmi così tanto che tirai un pugno al manichino al punto da farlo
saltare via dalla sua base e che andò a
sbattere contro un paio di sacche facendo tintinnare qualcosa a terra. I miei
occhi parvero scorgere il gioiello più bello che avessi mai visto, un paletto.
Mi
avvicinai lentamente e lo presi con mani tremanti, era la prima volta che ne
vedevo uno così da vicino, figuriamoci prenderlo in mano. Era lungo come un
avambraccio, appuntito da una parte e con un’elsa di pugnale dall’altra. Era
leggero eppure sentivo il peso di quello che avevo in mano, o meglio del suo
significato.
Mi
avvicinai sognante ad un manichino e provai ad infilzarlo, ma con mio stupore
non ci riuscii.
“La
cosa più brutta che abbia mai visto fare!”
Mi
voltai di scatto e vidi il vecchio guardarmi dall’ingresso della sala. Da quanto
era li? Giusto in tempo per la mia figuraccia o da prima? Dubito che mi avesse
lasciato prendere in mano il paletto se fosse così.
“Non
so di cosa parli, stavo solo… solo…”
Solo
cosa? Provando ad infilzare un stupido fantoccio strigoi, fallendo amaramente?
Sbuffai
a braccia curve. Lui si avvicinò.
“Dov’è
il cuore Rose?”
Volevo
rispondergli che era un fantoccio, ma mi morsi la lingua, oggi l’avevo già
combinata grande.
“Il
cuore è qui, ci si passa attraverso lo sterno e le costole.”
Lessi
una scintilla di approvazione nel suo sguardo serio. Le lezioni scolastiche,
quelle scritte soprattutto come la matematica, le seguivo a giorni alterni, ma
chissà perché tutto ciò che poteva riguardare anche solo lontanamente gli
strigoi, mi interessava. A volte perfino andavo in biblioteca a leggermi libri
enormi, e cavoli mi stupivo di me stessa quando lo facevo, perché non mi pesava
quanto invece leggere una mezza pagina di numeri.
“Nelle
lezioni pratiche dovreste già avere iniziato con il paletto!”
La
mia risposta lo stupì.
“A
dire il vero si, ma in realtà no. Albert, cioè… il Guardiano Hanson…” A volte i
guardiani come Hanson, quelli so tutto io, li chiamavo per nome giusto per
sbeffeggiarli un po’. Con Nikolai il rapporto era diverso, ma per lui a
differenza degli altri, provavo rispetto. “… continua a dilungarsi sulla
teoria, perché dice che è più importante e poi sarà più facile farlo nella
pratica.”
Sbuffò.
“Si,
si vede!”
Gli
scoccai un’occhiataccia, ma a ripensarci aveva ragione, era da poco iniziato
l’ultimo anno e questo avrebbe dovuto avere la priorità da subito.
“Rose!
L’anno prossimo tu e la tua classe dovreste diplomarvi e non sai neanche
maneggiare un paletto, ti sembra sensato?”.
Continuò
poi il suo discorso in russo, dal quale capivo solo il nome di Hanson o un Roza
ogni tanto. Gli capitava a volte chiamarmi così in questi discorsi chiari.
Lo
guardai con un sopracciglio alzato.
“Non
fa una piega quello che hai detto, compagno!” dissi ironica.
Lui
mi guardò un po’ divertito. “ Abitudine, mi è più facile dire le cose nella mia
lingua!”.
“Dovresti
insegnarmela!”.
Lui
mi guardò incredulo.
“Tu
vuoi solo imparare le parolacce!”
Ah!
Colpita e affondata.
Sogghignai
e gli tirai una linguaccia.
Esasperato
ancora per un secondo, tornò a farsi serio.
“E’
solo che non ho mai approvato i metodi del guardiano Hanson. Quindi, Rose…”
disse cambiando palesemente discorso, “…abbiamo dieci minuti ancora. Che ne
dici se proviamo a insegnarti manualmente a passare tra lo sterno e le
costole?”
E
così passammo il restò della lezione con il vecchio che mi insegnava le varie
angolazioni di trapasso e la giusta forza da metterci. Risultato? Non era un
cazzo facile!