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Autore: CrisBo    23/04/2015    5 recensioni
È quando non si ha tempo che si comincia ad apprezzare anche il più piccolo secondo pur di sentire la voce di qualcuno. Dell'unico essere vivente in grado di distruggere ogni piaga di rabbia dentro l'anima. E il dottor Cox lo sa bene.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Percival 'Perry' Cox, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NA.
Partecipo al mio primo-super-primo contest "I'm no superman" indetto da rhys89 sul forum, con questa one-shot molto poco seria.
Essendo un fandom in cui mi sarebbe piaciuto incappare prima o poi (sperando di non aver scritto banalità disumane!) mi sono cimentata in classici pensieri Cox-iani alle prese con un suo "limite", che in questo caso si tratta il voler cercare il tempo per fare una semplicissima telefonata.
Spero che sia di vostro gradimento, grazie mille e buona lettura.



 

.
Il mio tempo

Ed eccomi qua.
Immerso in una conversazione altamente noiosa con una persona altamente noiosa che non fa altro che annoiarmi all'infinito con la sua miserabile parlantina da show-girl di un programma noioso che non guarderei neanche se fosse l'ultimo in diretta dell'intero universo trasmissibile su tutti i canali satellitari esistenti.
Forse questa cosa dovrei dirla ad alta voce e interrompere così questo martirio psicologico, ma ho come l'impressione che subirei una punizione divina ancora peggiore.
Il grande capo non prova simpatia per i belli come me.
«...e così sono andata a sbattere contro questo palombaro, dopo due bracciate in mare aperto, ed è allora che ho capito che il mare poteva anche essere
interessante e cominciai a prendere lezioni di sub.»
Barbie si prende una pausa in cui si ricorda di respirare e io sto contando fino a dieci per evitare di strangolarla.
«Ma poi mio zio è morto annegato durante una gita in barca e così ho cominciato a fare escursioni solo in montagna.»
«Oh, ma allora c'è un lieto fine a tutto questo.»
Cinguetto con un sorriso, ma lei mi fissa con quei suoi occhi da cerbiatta e io stringo la cartellina tra le mani. Trovo particolarmente divertente farla parlare fino allo sfinimento per poi distruggere quel complesso di insicurezza e mascara con poche parole studiate, ma il mio tempo è paragonabile al numero di neuroni presenti sotto quella tinta bionda e non ho altro tempo da perdere.
«Senti Sirenetta, perché non scopri come mai il tuo caro paziente ha acqua nei polmoni invece di stare qui a raccontarmi di quanto la tua vita è piena di noia, condita con altra noia e una scorpacciata di “saprò annoiare più di così”? Oh, e se per caso ti ritrovassi nella circostanza di dover nuotare in una pozzanghera piena di squali, mentre ti fermi a raccogliere conchiglie così da prolungare ancora di più l'agonia del povero signor Price, ricordati di compiere ampie bracciate così faciliterai il loro compito di agguantarti e portarti giù nell'abisso.»
«Dottor Cox non intendo più subire le sue...»
«Vai! Ora! Muovi quella pinna Barbie, fuori dalla mia vista. Ora. Subito.»
E così anche la finta bionda esce dalla stanza con uno sbuffo risentito e io, finalmente, riesco a sedermi su quella sottospecie di divano, che è anche l'unica idea decente che la brillantina del dottor Kelso ha instaurato nel suo cervello preistorico.
Afferro il telefono per poter comporre il numero della mia odiata ex-moglie, così da sperare che il suo primo pensiero sia quello di passarmi subito mio figlio, evitandomi di dover perdere altri dieci anni di vita sentendo la sua voce. Da quando Jack ha cominciato a capire alcune parole del linguaggio umano che non fossero “cacca” e “principessa” questo è l'unico modo di comunicare con lui quando l'ospedale mi risucchia tutta l'essenza che mi rimane da vivere.
Dopo ben sette giorni in cui mio figlio è solo un ricordo nella mia mente forse riuscirò a donargli l'attenzione che merita.
Ma, dannazione, sapere di essere l'unico punto di riferimento di tutto l'ospedale è un fattore che mi porta via tempo. Denaro. Tempo.
E anche l'infinita pazienza di cui mi vanto di possedere.
Non perdo le staffe da ben dieci minuti abbondanti, e non ho neanche preso il caffè.
Sento il primo squillo.
Forse – e dico forse – è la volta buona che sentire la voce di Jordan non mi procuri una dissenteria acuta proprio nei bassifondi.
«Dottor Cox, la signora Miller ha avuto il consulto chirurgico che mi ha chiesto. Sarebbe meglio farla operare, ma non vorrei toglierle il piacere di dargli questa favolosa notizia.»
«Senti, testa da cocomero, non vedi che sono estremamente occupato in questo momento?»
«Ma se sta facendo una telefonata.»
«Oh, mi scusi signora del cucito, se sto provando ad avere una conversazione con mio figlio dopo una settimana in cui sono rimasto qui a cercare di non fare crepare quei poveri pazienti che tu – e la tua tribù di macellai – mi rispedite dopo aver tagliuzzato qualche osso. Ma si da il caso che la signora Miller sarà ancora al suo posto tra dieci minuti, a meno che non incappi nella tua persona e decida di togliersi la vita per poter sfuggire alla tua fantastica simpatia elettrizzante
«Ah-ah-ah. Che simpatico. Potrei morire dalle risate.»
E il caro dottore amico del pivello esce dalla stanza, lasciandomi finalmente solo.
Di nuovo ricompongo il numero della mia fetida ex-moglie e sono pronto a ricucirmi un minuto per me, quando sento una presenza alle mie spalle.
«Se c'è bisogno di far avere un “consulto” chirurgico» il Todd palpa l'aria con un sorriso «ci posso pensare io. Dammi il cinque!»
«E va bene. Basta così.»
«Niente cinque del consulto?»
Mi alzo di scatto e faccio per uscire dalla stanza, quando mi ritrovo davanti il dottor Murphy.
Mi chiedo ancora perché quel ragazzo ha deciso di rimanere in questo posto per compiere omicidi su omicidi, forse la sua ambizione era quella di diventare un serial-killer e ha trovato la via spianata in quest'ospedale della morte. La cosa che trovo divertente, e deprimente in egual modo, è che riesce a combinare disastri anche con i suoi pazienti già morti
«Mi...mi scusi dottor Cox ma credo di aver perso la signora Michigan. Mi può aiutare?»
«Ma certo, sono qui per questo.»
«Ahem, ecco, vede credo proprio di averla lasciat-»
«No.»
«Ma-ma non ho ancora detto nien-»
Alzo un indice, fischiando forte. Vedo Doug fare una smorfia ma me ne frego altamente.
«Dico no perché sono sicuro che qualsiasi pensiero tu abbia in mente sia l'idea più sbagliatissima di tutte le idee sbagliatissime. E visto che ci tengo che quella povera signora Michigan, già graziata del fatto che non dovrà più subire le tue cure mediche, stia cercando un angolo di pace per sfuggire alla tua incompetenza anche come patologo, sappi che ti risponderò sempre un secco, forte e portentoso: no. Quindi ora smamma o giuro che il prossimo cadavere che verrà perso in quest'ospedale sarà il tuo.»
E Doug se ne va via balbettando qualcosa, piagnucolando come una ragazzina.
Finalmente di nuovo solo.
Per la terza volta ricompongo il numero di Jordan e aspetto il primo squillo. Comincio a camminare verso qualsiasi altro posto che non sia occupato da gente, cosa del tutto impossibile in questo posto infernale. Sorpasso la zona delle infermiere a grandi falcate.
«Dottor Cox?!»
Ed eccola là.
Carla. Una delle poche persone che sopporto qui dentro.
Avrei preferito che mi ignorasse ma, d'altronde, come posso pretendere questo?
Un po' mi piace il fatto che la gente mi cerchi quando ha bisogno di professionalità nel mio campo medico, non posso mica pretendere che Mulan possa sobbarcarsi tale responsabilità.
Sia mai che interrompo il suo ventesimo tentativo di farsi i bigodini per assomigliare a Marilyn Monroe.
«Carla, ho cinque minuti di tempo per parlare con mio figlio prima che qualche altra maledizione cada sulla mia testa e mi respinga di nuovo tra le fiamme di Satana. Se non è una cosa urgente – ti prego – concedimi cinque minuti soli e poi, giuro, che sarò tutto tuo.»
«Volevo solo dirti che il paziente della stanza sei ha chiesto espressamente di te. Non riesco a trovare Bambi da nessuna parte.»
«Hai provato a cercare dentro la sua casa delle bambole?»
Carla ride, concedendomi la grazia di lasciarmi di nuovo da solo con il mio cellulare.
Sto per comporre il dannato numero per la quarta volta.
«Io una volta ho subito una maledizione. Eravamo in quattro, in una tenda, e una veggente ci disse che uno di noi si sarebbe risvegliato morto.»
L'inserviente. La figura più indigesta e opprimente che potessi trovare in quel momento.
Mi volto verso di lui e lo vedo intento a reggersi sul manico del mocio, guardando in qualche punto lontano, pensieroso.
«E gli altri tre rimasti in vita avrebbero vissuto una vita piena di tormento. Quando ci risvegliammo nessuno di noi era morto ma scoprì che avevamo tutti e quattro degli enormi bubboni sul naso. La nostra vita di tormento era appena iniziata.» Assottiglia gli occhi e abbassa la voce. «Insetti. Insetti ovunque. È stato un delirio ucciderli tutti.»
«Mi dispiace se ti ho fatto pensare che questa storia mi interessasse.»
«Oh non importa, sono abituato alle persone che si preoccupano solo per sé stessi.» Dice lui. «Ma un giorno le pagheranno tutte.»
«Credo che tu passi troppo tempo in mezzo ai detersivi, Lumacone.»
«Oh sì, mi prenda pure un giro. Ma la pagherà. Oh se la pagherà.»
«Certo.»
E lo lascio al suo delirio, cominciando a camminare a perdifiato verso lo stanzino dove Barbie e il Pivello si divertivano a intrecciarsi i capelli e a mettersi il lucidalabbra a vicenda.
Spero con tutto il cuore che non sia occupato da nessuno e comincio a schiacciare i numeri sul telefono con fin troppa foga.
Sento Laverne chiamarmi da lontano ma non ho alcuna intenzione di sobbarcarmi una qualunque parola dalla sua bocca cattolica e così allungo il passo.
Per poco non mi scontro contro il dottor Kelso e la mia voglia di uccidere si alza a livelli disumani.
Mi chiedo come io possa anche solo pensare di respirare quando lavoro qui dentro; dovrei ergere una statua in mio onore da solo e scriverci un bel cartello con “L'uomo dalle mille ore. Esploso come una bomba, distrugge tutto e tutti. Nessun superstite.”
«Vedo che stai andando di fretta, Perry, non vorrei mai interrompere la tua maratona mattutina che ti dirige lontano dai pazienti di cui dovresti prenderti cura.» E il suo sguardo diventa acceso di furore, come al solito. «Diamine, se ti pagassi per mettere fine alle sofferenze dei malati allora saresti addirittura il mio preferito, ma visto che non ho intenzione di premiarti neanche nelle mie fantasie più nascoste ti ordino di tornare al lavoro. C'è un mio carissimo amico che ha deciso di fracassarsi una costola cadendo dal suo go kart e non ho intenzione di lasciarlo nelle mani di quegli assistenti incapaci. Quindi è tutto tuo, Perry.» E mi rifila la sua cartellina.
«Oh Bob, andiamo, non ti ruberei mai il posto come il miglior menefreghista di questo ospedale.» Dissi io sorridendo diabolico. «Ma, ecco, come vedi è un tuo carissimo amico e io non ho abbastanza saliva per leccargli le chiappe come sei solito fare tu, quello è un tuo primato maledizione.»
«Si da il caso che io faccio tutto quello che mi pare, qui dentro, anche rifilarti i miei amici. Quindi occupati di questo paziente o abolirò ogni tuo tentativo di sfuggire al tuo lavoro, o potrei donarti altri doppi turni con il dottor Dorian. Devo ancora pensarci. Ted, andiamo!»
Vedo Ted, di cui mi accorgo solo in quel momento, camminargli dietro come un'anima in pena.
Mi guarda come se stesse camminando verso il patibolo e digrigno i denti, sbuffando.
«Oh sì, bravo, scappa. Non sia mai che i pazienti possano vederti e – addirittura – avere l'ardire di fermarti per comunicare con te.»
«Fiato sprecato, Perry, la mia scorpacciata di muffin mi sta aspettando e non ho intenzione di perdere tempo a capire quello che dici.»
La rabbia mi sta letteralmente accecando.
Voglio solamente sentire la voce di mio figlio, forse l'unico essere vivente al mondo capace di farmi regredire il livello di rabbia da mille a novecentonovantanove.
Devo solamente trovare due minuti liberi senza più incappare in nessuna seccatura.
Decido di cambiare il mio traguardo, giusto per raggiungere l'esterno dell'ospedale.
Ho un millesimo di secondo prima di arrivare alla mia meta senza il rischio di commettere un omicidio.
Mi viene da pensare ad una delle poche cose intelligenti che il pivello una volta mi disse riguardo una corsa che aveva fatto, per perdere quelle fastidiose maniglie dell'amore che stràbordavano dal costumino di pizzo.
Un saggio disse che lo spirito umano può superare ogni ostacolo. Quel saggio non aveva mai fatto Triathlon.
Quel saggio non aveva neanche mai tentato di chiamare il proprio figlio durante un turno di lavoro di cinquanta ore.
Sono sicuro non sia neanche circondato da piccoli microbi virali che lo tormentano notte e giorno con le loro stupide domande.
Stranamente manca giusto il pivello al mio appello di persone indesiderate ma decido di non pensarci troppo; ci manca solo che incappi in...
«...dammi la tua mano / se vuoi davvero divertirti / con me lo puoi fare strano / anche se non riesco a sentirti.»
JD sta cantando, facendo un saltello degno della più brava ballerina de “Il cigno Nero” ma io non ho tempo.
Il pivello è un dottore quasi – pressapoco – competente ma non ho alcuna intenzione di fargli credere che io abbia questi pensieri su di lui.
Mi diverto troppo a tormentarlo fino a fargli credere che, forse, per essere notato da un qualsiasi essere umano anche solo lontanamente passabile dovrebbe pensare di portare la misura del suo seno ad una quinta.
Diciamo che vengo invaso da svariati sensi di colpa quando la mia ira lo avvolge come una spira ma, in questo momento, non c'è niente che potrà ostacolarmi di nuovo.
E se l'unico modo per togliermelo da davanti al naso è distruggerlo, così sia.
«Oh dottor Cox. Non stavo...cantando
«Spostati o giuro che ti disintegro tutte le ossa e le do in pasto ai cani.»
«Ma la stavo cercando. Ho bisogno di un consiglio su questa ragazza che ho conosciuto e-»
Fischio di nuovo. Ho scoperto essere l'unico modo per interrompere il parlare di chiunque.
Dito indice alzato davanti al suo naso.
«Prima di tutto Aurora – sì ho deciso di chiamarti come le principesse della Disney, dopo che la mia ex-moglie ha prontamente deciso di istruire nostro figlio come una dolce bambina delle fate – io non ho nessuna intenzione di ascoltarti blaterare sulla tua nuova conquista incontrata nel club delle giovani marmotte. Sono convinto che sia molto più uomo di te e questo ti renderà gelosa verso tutte le altre ragazze che riuscirà a conquistare, ma sono anche convinto che sarete una perfetta coppia prima che lei deciderà di lasciarti per cercare qualcuno meno fastidioso di te.»
«In verità è lei che mi ha chiesto di uscire, Perry, quindi si sbaglia. Non mi trova affatto fastidioso.»
«Senti Ariel, ho solo cinque minuti di tempo per poter telefonare a mio figlio e sentire la sua voce che, sicuramente, avrà imparato nuove paroline indigeste e sono pronto a scommettere ogni cosa su questo mondo – Cenerentola – che sarà capace di conversare con me in maniera molto più maschia di quello che potresti fare tu durante una conversazione sulle donne.»
«Sa una cosa? Continui pure a darmi della femminuccia ma intanto stasera uscirò con una bomba sexy che non mi trova per niente repellente mentre lei sarà occupato a girovagare per tutto l'ospedale sperando di trovare anche solo cinque minuti per poter andare in bagno. Quindi tutti i suoi insulti mi scivolano addosso come una bellissima doccia calda, non mi fanno alcun effetto.»
«Oh, Raperonzolo, sono davvero contento che non ti facciano alcun effetto, perché – guarda caso – ho deciso che sei finalmente diventata grande ora che ti è arrivato il primo ciclo mestruale, quindi ti farò il dono di darti i miei pazienti di oggi così potrai ancheggiare come una vera bomba-sexy su quel tacco dodici che avevi prontamente comprato per la seratina romantica di stasera.»
E gli sbatto sul petto la mia cartellina. Lo vedo alzare gli occhi al cielo ma non ho intenzione di impietosirmi neanche per errore, ho solo voglia di
telefonare al mio bambino.
Finalmente supero l'ingresso, senza intoppi, e ricompongo il numero.
Sento che la mia mano sarebbe pronta a distruggere quell'aggeggio tecnologico se solo fosse stata interrotta di nuovo.
Mi guardo a destra e poi a sinistra, qualche infermiera mi passa di fianco ma ha il buon gusto di non interrompermi.
Finalmente riesco a sentire il primo squillo. Anche il secondo. E poi il terzo.
«Oh ma eccoti qua, maschione.»
La voce di Jordan mi è mancata. Ma questa non gliela darò mai vinta, neanche se fosse l'ultima volta in cui posso sentirla.
«Oh grazie a Dio non ti sei rintanata nella tua bara.»
«Oh tesoro, ti ho già detto che sei noioso, vero?»
«Me lo dici ogni giorno dopo che facciamo sesso.»
«Quand'è che facciamo sesso, scusa?»
«Okey.» Ringhio senza riuscire più a reggere il telefono. «Mi puoi passare Jack?»
«Jack si è addormentato giusto cinque minuti fa. Non ho intenzione di svegliarlo per sentirlo piangere al telefono con te, quindi aspetta fino a domani.»
«Jordan ma...»
«Ah, e ricordati di chiamarmi prima di entrare in casa. Non si sa mai che ci sia Pablo a darmi una mano con le pulizie
«Ma tu non fai mai le pulizie.»
«Ah già, errore mio. A domani tesoro, ti amo.»
«Ti amo...e salutami Jack se si sveglia.»
Stringo ancora più forte il cellulare quando sento la linea che si interrompe.
La rabbia mi monta da dentro come un vulcano e sono pronto a decapitare chiunque con il solo sguardo.
Non sono riuscito a parlare con mio figlio e ogni speranza di placare la mia ira sta andando letteralmente a puttane.
Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno.
Ho bisogno di prendermela con il primo malcapitato che mi capita davanti così da spolparlo di ogni briciolo di vitalità e dare sollievo a tutto questo.
«Dottor Cox, ha un minuto?»
Mi compare un sorriso sul volto e mi volto, giusto per vedere Keith sorridere tutto contento e aspettare una mia risposta.
«Ma certo, Ken. Certo che ho un minuto





  
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