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Autore: Sophie_moore    23/04/2015    1 recensioni
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-Dopo vedi, ti faccio sentire come non avrei potuto ignorarlo. Non chiuderai occhio.
-Oh sì, ti prego.- Pete si sporse sul bancone, appoggiato sui gomiti, facendo un'espressione languida e passandosi la lingua sulle labbra lentamente, come se aspettasse che l'altro la recuperasse. -Piangi per me, Tomi...
[...]La ragazza presentata era piccolina e paffuta, maglione multicolore e pantaloni che sembravano essere stati di un qualche parente più grande e sicuramente del sesso opposto. Ma la cosa che Tom non riusciva proprio a smettere di fissare era quell'ammasso informe di capelli biondi, una criniera fitta e apparentemente crespa di ricci stretti.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~La vergine e il leone

Il pub Golden Lion era raro, nel suo genere. A nessuno importava chi ci entrava o chi lo frequentava, ogni cliente era il benvenuto purché pagasse. Le pareti in lavagna nera decorate con le scritte più oscene e divertenti mai inventate, opera spesso e volentieri di ubriachi improvvisati artisti. Non c'era bisogno di musica alta, gli schiamazzi e le urla facevano perfettamente da sottofondo alla conversazione che si stava tenendo al bancone tra Pete Hall ed il suo migliore amico, Tom Wilson.

-Quindi mi stai dicendo che non hai mai scopato in un bagno con una sconosciuta?- quasi gli era andato di traverso il cocktail dopo aver sentito la risposta angelicamente negativa, era talmente incredulo che aveva dovuto ripetere la domanda.

-No, non mi interessa.- in ogni caso, la risposta da parte del suo migliore amico non era cambiata.

Pete alzò gli occhi chiari al soffitto, accasciandosi sul bancone in mogano scuro del pub. Come ogni mercoledì era lì a far compagnia al suo amico d'infanzia Tom, il barista che sembrava aver interesse solo nella profonda pulizia dei bicchieri. -Non capisco quale sia il tuo problema.- brontolò e sorseggiò il suo cocktail fluorescente, giocando con l'oliva infilzata nello stuzzicadenti.

-Io non capisco quale sia il tuo, invece.- rispose Tom con tono pacato, mentre rimetteva al proprio posto il bicchiere perfettamente asciutto e senza macchie. Se ce ne fossero state, il suo capo l'avrebbe tormentato per qualche giorno e lui non aveva assolutamente voglia di starlo ad ascoltare. -Che te ne frega se o con chi scopo, scusa? Non è che vorresti scoparmi tu, piuttosto?- ridacchiò leggermente e scosse piano la testa. Prese un altro bicchiere, lo guardò alla luce soffusa della birreria e poi lo riempì di gin liscio, senza ghiaccio, facendolo scivolare verso un vecchio omone barbuto, ormai quasi al proprio limite.

-Dio grazie, l'hai capito!- gli occhi cerulei di Pete si spostarono avidamente sul fisico tonico e snello di Tom, come se avessero voluto mangiarlo. -Potrei essere io il tuo primo uomo.- si alzò in piedi e si indicò, sorridendo ammiccante.

Il barista rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi sospirò, gli sorrise in modo seducente – perché sì, sapeva di saper essere seducente se solo avesse voluto – e gli lanciò in faccia lo strofinaccio umido. -Se continui a ripetermelo un giorno ti crederò.- lo avvisò, indicandolo e andando a recuperare un altro straccio. Sperava che il suo amico non facesse altre battute del genere o avrebbe dovuto raffreddare i suoi bollenti spiriti con qualcosa di più sostanzioso di un lembo di stoffa.

-Sei crudele, sai che sono follemente innamorato di te.- Pete rise e tornò a sedersi al suo posto, piegando educatamente lo strofinaccio e appoggiandolo alla sua destra, di fianco al bicchiere ormai semivuoto. -Comunque, non sai cosa ti perdi.- gli disse riferito al discorso precedente, scrollando le spalle.

-Oh, lo so invece. Malattie veneree ed un mal di testa da dopo sbronza da stendere un cavallo, perché puoi scordarti che io faccia una roba del genere senza aver bevuto come un animale.-

.Lo vedi perché sei ancora single? -> lo indicò con lo stuzzicadenti e lo guardò in modo truce, come se avesse potuto convincerlo solo con quell'occhiata.

-Sei single anche tu, imbecille.-

-Ma la mia vita sessuale è particolarmente attiva, ultimamente.- sorrise sghembo e si stiracchiò le braccia prima a destra e poi a sinistra, in modo che si vedesse chiaramente il succhiotto che troneggiava sul suo collo latteo.

-Dio quanto sei schifoso, copri quella roba. Sembra che abbia cercato di ucciderti! Sei sicuro che non lo stesse facendo sul serio?- fece una smorfia schifata e tornò a dedicarsi ai suoi compiti da barman, cioè ricevere comande e dare ai camerieri quello che i clienti ordinavano. -Anzi, non dirmelo, non voglio saperlo.- si corresse, scuotendo la testa subito dopo.

-Sei peggio di mia madre.-

-Lascia stare quella povera donna, per cortesia. L'unica goccia di sanità in quella casa.-

-Già, santa donna la mia mamma.-

-Perchè qualsiasi suono che esca dalla tua bocca sembra abbia un che di perverso?- sbottò, rabbrividendo. Le perversioni sessuali del suo migliore amico erano pressoché leggendarie, si vociferava delle sue imprese in qualsiasi angolo angusto e privo di occhi ed orecchie indiscrete. Quasi nessuno avrebbe disdegnato le sue attenzioni, persino uomini che decantavano la loro virilità erano curiosi di sapere cosa si provasse a stare con il mitico Pete Hall.

-Perché lo ha.- fece una smorfia che doveva essere sensuale, o almeno che così pareva a tutto il resto del mondo, ma Tom gli scoppiò a ridere in faccia, facendolo sbuffare sonoramente. -Con te non è divertente.-

-Per questo siamo amici e non amanti, suppongo.-

-Non che mi dispiacerebbe, comunque...- brontolò, appena prima di beccarsi uno scappellotto sulla nuca. -Oh! Ho un'idea.-

-Non mi piace.-

-Ma neanche l'hai sentita.- si imbronciò il ragazzo dalla dubbia sessualità, rimettendosi a sedere quasi compostamente sullo sgabello.

-Non ce n'è bisogno, ti conosco e so che sarà una cazzata.- il barista gli lanciò un'occhiata di ghiaccio, ringhiando anche leggermente. -Se viene da te è sempre una pessima idea.- continuò, annuendo gravemente.

-Ehi, guarda che il tatuaggio che hai sulla schiena è stata una mia idea.- Pete sorrise luminoso al ricordo del grande leone che troneggiava indisturbato su tutta la parte alta della schiena dell'amico.

-Sempre una pessima idea.- ribattè, calcando per bene la parola “sempre” come a volerla imprimere a forza nella testa del suo migliore amico. Gli voleva un bene dell'anima, questo era poco ma sicuro, probabilmente avrebbe dato la vita per lui, ma non poteva negare che avesse delle idee quantomeno bizzarre, per usare un eufemismo.

-E il piercing?-

-L'idea più pessima della storia delle idee pessime.-

-Quanto sei stronzo.- commentò Pete, ingoiando l'ultimo sorso di liquido fluorescente e facendo smorfie contrariate. Eppure lui si era divertito così tanto... -Tanto figo, ma decisamente troppo stronzo.-

-Ecco perché sono ancora single, bla bla, lo so.- Tom gli fece il verso e ridacchiò, afferrando il bicchiere e iniziando a pulirlo sotto l'acqua fresca.

-Ti sfido.-

-A duello?-

Pete lo gelò con lo sguardo, zittendolo immediatamente. -Dovrai fare sesso con la prima ragazza che entrerà in questo pub.- sorrise in un modo inquietante, un modo che non ammetteva nessuna replica.

-Non ci penso neanche.-

-Come no??- si lagnò, spiaccicandosi sul bancone ormai appiccicaticcio.

-Se entra un mostro? O una donna sposata? Sarei responsabile dello sfascio di una famiglia.-

-Sei l'antidivertimento per eccellenza, non capisco perché siamo ancora amici.-

-Senza di me probabilmente saresti morto anni fa, con tutte le cazzate che fai.-

Pete ridacchiò colpevole ed abbassò leggermente lo sguardo. Era vero, dopo tutto. Se solo non ci fosse stato Tom, con tutta probabilità sarebbe morto nel giro di qualche anno dall'inizio delle superiori. Il suo carattere calmo e pacato era perfetto per rimettere in ordine i casini che combinava invece lui, che aveva sempre una risposta pronta e spesso volgare. -Comunque, adesso giochiamo. Se riesci a farti la prima ragazza che entra, non sposata e non terribile, allora ti darò cento dollari.-

-E se non riesco?-

-Me li darai tu.-

-Neanche morto.-

-Oppure puoi darmi un bacio.- Pete mosse la bocca a mo' di baci, perfettamente conscio che il suo amico mai e poi mai avrebbe accettato quella condizione.

Tom fece una smorfia schifata, rabbrividì e tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans sdruciti, poggiandolo con fervore sul bancone. -Cento dollari saranno perfetti.- affermò, mentre un secondo brivido gli percorreva la schiena.

-Come sei prevedibile.- lo imitò poco dopo, posizionando il proprio portafoglio esattamente di fianco a quello del suo amico. -La prima ragazza che entra.-

-Continuo a chiedermi perché ti importi così tanto della mia vita sessuale...- sbuffò Tom, passandosi una mano tra i capelli corvini e smuovendoli. Non l'avrebbe mai ammesso, ma sapeva benissimo di avere una certa schiera di ammiratrici, sapeva che se avesse voluto avere una vita sessuale più attiva avrebbe potuto averla tranquillamente, senza sforzarsi troppo. Era quasi convinto che un paio di ragazze non avrebbero avuto nulla da ridire se lui avesse avuto più storie contemporaneamente. Semplicemente non era il tipo di ragazzo che non riusciva a tenersi il cazzo nei pantaloni, era più il tipo da cercare di calmare un ragazzo in preda ad una crisi di panico perché Pete non l'aveva più richiamato.

-Tu non ti interessi della mia?-

-Preferirei non interessarmene, ma visto che appena ieri quel tizio, Max?-

-Cazzo ne so.- scrollò le spalle Pete, senza neanche far finta di dispiacersi di essersi dimenticato il nome.

-Boh, quello, è venuto a piangere a casa mia a causa tua.-

-Ehi, io l'avevo avvisato che non sarebbe andato oltre il sesso.-

-Se ti tenessi il cazzo nelle mutande, sarebbe tutto più facile, soprattutto per me.-

-Avresti potuto ignorarlo.-

-Dopo vedi, ti faccio sentire come non avrei potuto ignorarlo. Non chiuderai occhio.-

-Oh sì, ti prego.- Pete si sporse sul bancone, appoggiato sui gomiti, facendo un'espressione languida e passandosi la lingua sulle labbra lentamente, come se aspettasse che l'altro la recuperasse. -Piangi per me, Tomi...-

-Ma la smetti? Sei disgustoso.-

-Mai! Prima o poi sarai mio.-

-Tom? Pete?-

Una terza voce si presentò nel loro campo uditivo con una prepotenza degna di un temporale estivo. Smisero di battibeccare come due coniugi alle nozze d'argento e si voltarono verso l'entrata del pub, stessa espressione sconvolta in viso, di chi aveva appena visto un fantasma. Ed in effetti era così.

-CLEO?- strillarono in coro. E qui le loro reazioni si divisero drasticamente: Pete scoppiò a ridere in modo sguaiato, a squarcia gola, gesticolando e ondeggiando, quasi rischiando di crollare a terra dallo sgabello; Tom invece boccheggiò, impallidì, iniziò a sudare freddo.


Tom cercava in tutti i modi di svegliare Pete con scossoni, schiaffetti e sussurri decisi, ma niente: il suo migliore amico sembrava essere praticamente morto accasciato sul banco.
Decise quindi di ignorarlo, visto che alla fine non era lui che rischiava la bocciatura per le troppe assenze e per il comportamento da semi delinquente; tornò a guardare fuori dalla finestra, totalmente disinteressato alla lezione del professor Longman, il pancione di biologia che stava spiegando.. qualcosa. Non era mai stato così assente e poco concentrato, ma non era riuscito a dormire per niente quella notte a causa di un affollamento disordinato di pensieri. 
Longman si schiarì la voce con prepotenza, batté forte il libro di testo sulla cattedra e richiamò l'attenzione di tutti gli studenti. Soddisfatto e compiaciuto, soprattutto di aver fatto prendere qualche colpo ai suoi ragazzi così disattenti, fece un annuncio che li zittì definitivamente. -Lei è Cleo Dekkers, starà con noi quest'anno. Viene dall'Olanda, cerchiamo di aiutarla a migliorare il suo inglese.-
La ragazza presentata era piccolina e paffuta, maglione multicolore e pantaloni che sembravano essere stati di un qualche parente più grande e sicuramente del sesso opposto. Ma la cosa che Tom non riusciva proprio a smettere di fissare era quell'ammasso informe di capelli biondi, una criniera fitta e apparentemente crespa di ricci stretti. Cleo incrociò lo sguardo col suo, fece un piccolo sorriso e mosse la mano per salutarlo. Grandi occhi celesti e una spessa linea di matita nera a contornarli, chiaro segno di una ragazza che voleva truccarsi ma non era in grado di farlo come le altre persone.
-Ciao, sono Cleo e vi farò compagnia! Ho 17 anni e mi piacciono i film horror.-
Tom si chiese perché avesse detto una cosa del genere. Istintivamente si voltò verso Pete, che si era incredibilmente svegliato al suono del nome straniero della nuova compagna di classe. -Ti sei svegliato.-
-Potevi anche svegliarmi tu, eh..- brontolò, per poi sbadigliare e appoggiarsi allo schienale della sedia.
-Ma fottiti.- Tom scrollò le spalle e tornò a fissare la ragazza. Non gli importava molto di apparire maleducato, ma doveva capire per quale motivo ne era così attratto.
-La stai fissando.-
-E tu stai fissando me.-
-Sei più interessante.-
-E che cazzo, la smetti?-
Iniziarono a battibeccare, alzando il volume ad ogni battuta e attirando progressivamente l'attenzione di tutti gli altri compagni di classi, facendo immediatamente scoppiare a ridere Cleo Dekkers.
In quel momento preciso, mentre tutti quanti si spalmavano le mani in faccia esasperati e per nulla divertiti, i due ragazzi si resero conto che Cleo non era una ragazza come le altre, o per lo meno come quelle che conoscevano, per cui smisero di litigare e si lanciarono uno sguardo che la diceva lunga. -Vieni a sederti qui?- domandò ad un certo punto Pete, chiamando Cleo a sedersi nel posto di fianco a lui, lasciato vuoto da Blair, una ragazza assente.
Con un cenno del capo, Cleo li raggiunse, facendo saltare leggermente lo zaino sulle spalle.


-Sei davvero tu? >> mormorò il barista, non appena ebbe riacquistato quel minimo di contegno che gli avrebbe permesso di uscire di casa il giorno dopo. Ancora faceva fatica a credere che Cleo, la sua Cleo, fosse tornata.

-Sì, beh, sono passati cinque anni, non credo di essere cambiata così tanto.- la ragazza sorrise intenerita, aggiustandosi una ciocca di capelli rosso fuoco. Aveva sempre avuto una criniera particolarmente folta e riccia, ma mai rossa così.

-Eri bionda.-

Cleo arricciò la bocca ed inclinò la testa di lato. -Dopo tutto questo tempo sai solo obiettare il mio colore di capelli?- lo rimbeccò, facendolo leggermente arrossire.

-Sai che è un idiota.- sopraggiunse allora Pete, ripresa la sua normale andatura polmonare. -Ben tornata!- si alzò dallo sgabello e la corse ad abbracciare, alzandola leggermente da terra.

-Non ricordavo quanto lo fosse.- scherzò la ragazza, nascondendosi nell'incavo tra la spalla ed il collo del suo amico. Gli anni erano passati inesorabili per tutti e tre, ma il rapporto non era cambiato: Cleo si sentiva sempre a casa tra le braccia di Pete, al sicuro e protetta.

-Scusa, scusa.- Tom scosse piano la testa ed uscì da dietro al bancone, dal suo porto sicuro, per andare a salutare quella ragazza straniera e tutta particolare. La abbracciò, le diede un bacio sulla testa, sprofondando nella massa informe di ricci morbidi e soffici. Probabilmente ci avrebbe potuto dormire sopra. -Ben tornata.- le disse, prima di ritornare al suo posto. Se solo il capo l'avesse visto avrebbe continuato a gracchiare e rompere le scatole per giorni e giorni.

-Grazie.- Cleo Dekkers sbattè le ciglia civettuola e si piazzò sullo sgabello di fianco a quello dell'amico, appoggiando un braccio al bancone.

-Mi hai fatto vincere cento dollari, se ti stessi per caso chiedendo perché ridevo prima.- la ragguagliò Pete, sedendosi come un sacco di patate e sorridendo completamente compiaciuto. Il destino doveva divertirsi proprio in quelle situazioni imbarazzanti e particolari. Sempre se fosse effettivamente esistito un destino.

-Ah sì? Una scommessa?- passò gli occhi del colore del mare più profondo dal barista al cliente, con quella luce di curiosità che le brillava nella pupilla.

-Come al solito. Chi si aspettava che entrassi tu...- brontolò Tom: aveva perso senza neanche partecipare. Non che gli fosse importato in modo particolare, certo, ma si stava quasi abituando all'idea di fare qualcosa al di fuori della sua routine. Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, forse si era fatto convincere a partecipare di proposito.

-Su cos'era? Se fosse entrato un uomo o una donna?- continuò Cleo il suo interrogatorio, nel modo più innocente possibile. Ordinò una birra fredda e appena dopo le venne servita in un altissimo bicchiere a forma di clessidra.

-Il tuo inglese è migliorato tantissimo! Se non ti conoscessi, non crederei che non sei anglofona!- si complimentò Pete, sorseggiando poi il secondo cocktail della serata, o forse era il terzo, come se stesse cercando di deviare la sua attenzione.

-Stai cercando di cambiare discorso.-

Beccato, pensò. -Io? Figurati! Era solo un complimento innocente.- tossicchiò, pulendosi dalla bocca l'alcolico che aveva sbordato a causa del movimento brusco della mano.

-La parola “innocente” detta da te è talmente poco credibile che se fossi ubriaco riderei.- Tom gli lanciò un'occhiataccia, prontamente ricambiata dall'altro.

-Sei proprio uno stronzo.- commentò, stizzito.

-Sempre a bisticciare come una coppia sposata, vedo.- Cleo li osservò punzecchiarsi e non riuscì a trattenere una risatina divertita, che catturò l'attenzione di entrambi. -È bello sapere che certe cose non cambiano mai, nonostante il tempo...- sospirò piano, bevve un sorso della sua birra, commentò con un poco sorpreso “fa schifo” e poi continuò il suo discorso iniziale. -Su cos'era la scommessa?-

-Il tuo amico, qui – indicò con un cenno del capo Pete, che fece spudoratamente finta di niente guardando da un'altra parte – insiste perché io faccia cose da lui. Voleva che facessi sesso con la prima bella ragazza fosse entrata...-

-E sono entrata io.- lo interruppe lei, un'espressione seria in volto.

-Esatto, sei arrivata tu.-

-I cento dollari più facili e meno impegnativi della mia vita.- commentò Pete, appoggiando la mano sul portafoglio in pelle di Tom, che ringhiò quasi a quella vista.

-Aspetta... chi ti dice che non ci riuscirà?-

Tom Wilson e Pete Hall non poterono fare a meno di sgranare gli occhi nella direzione della ragazza, che in tutta risposta sorrideva compiaciuta e con una punta di malizia. -Cosa?- mormorò alla fine Pete, il primo dei due ad essersi riscosso dal “trauma”. E dire che la conoscevano  bene, sapevano che faceva cose strane – come, ad esempio, accettare la scommessa di versarsi il punch sul vestito del ballo alla fine dell'anno per cinquanta dollari, oppure nascondere una bottiglia di Whisky nello zaino durante l'uscita scolastica di inizio maggio e offrirne ai compagni di classe più saggi e poco affini a questo tipo di cose – ma era riuscita a sconvolgerli. Ancora.

-Tu... eh? Vuoi fare sesso con me?- boccheggiò Tom, terribilmente confuso.

-Beh, non così dal nulla, ma se mi convinci può darsi. E, per la cronaca, l'alcol non vale.- sogghignò Cleo, soddisfatta di aver messo un po' di divertimento in una scommessa altrimenti troppo semplice da vincere per Pete.

-Mi stai prendendo per il culo?- il barista inarcò un sopracciglio, precisamente quello destro, con il piercing a bastoncino che brillava e riluceva, come se fosse divertito anche lui.

-Affatto.-

-Ma non dovevi... sposarti, tipo? Coso, l'hai visto tu su Instagram, no?- si ricordava di quel giorno: Pete non aveva neanche avuto la decenza di avvertire, che si era presentato a casa sua con il cellulare già sul profilo di Instagram di Cleo e con tutte le foto salvate da fargli vedere una dopo l'altra.

-Coso? Addirittura? Non ti sembra di esagerare un pochino? Insomma, alla fine -

-Piantala, me l'avevi fatto vedere tu.- Pete sbuffò e roteò gli occhi al soffitto, ma poi annuì a confermare la versione dell'amico.

-Sono scappata.- Cleo alzò le spalle, totalmente indifferente.

-Porca puttana. E perché?- Pete si lasciò cadere sullo sgabello, in una posa talmente ammollata che pareva uno straccio bagnato e lanciato in un angolo.

Cleo prese un profondo respiro ed iniziò a raccontare nel dettaglio tutto quello che l'aveva portata a scappare appena un mese prima di sposarsi. -Praticamente, avevo deciso di fare l'anno all'estero per migliorare il mio inglese e per vedere come avremmo reagito alla distanza e a tutte le cose che questa comporta...-

-E non avete resistito.- la interruppe praticamente subito Pete, con un'espressione di chi già sapeva come sarebbe andata a finire. Era chiaro, non ce l'avevano fatta e lei era scappata prima da un matrimonio combinato.

-Ma stai zitto? Le hai chiesto tu di spiegare.- lo rimproverò l'altro, dandogli una manata sulla nuca.

-No, no... – Cleo sorrise divertita – è andata sorprendentemente bene, in realtà! Per questo non ho accettato il tuo appuntamento... non potevo fargli del male...-

-Lo so, lo ricordo.- Tom accennò ad un sorriso e poi la incitò ad andare avanti col racconto con un'occhiata eloquente.

-Comunque, quando sono tornata in Olanda, lui era leggermente diverso dal solito, più apprensivo... sono sicura che non lo faceva apposta, comunque.-

-Ti picchiava?- Pete era già pronto per uscire dal pub e andarlo a picchiare ovunque si fosse trovato. Chi diceva che i gay erano mezze calzette? Lui aveva dovuto imparare a difendersi e sapeva darle tanto quanto un eterosessuale, per cui se quell'Irwin aveva toccato Cleo anche solo con un fiore lo avrebbe appeso al muro e gli avrebbe fatto sputare i polmoni a suon di pugni.

-Per carità!!! No, assolutamente no!- rispose immediatamente lei, scuotendo la testa per dar forza a quella frase.

-Cretino, secondo te sta con uno che la mena?- ringhiò allora Tom, dandogli un altro scappellotto in testa, per calmare i suoi bollenti spiriti. Sempre così: si infervorava per supposizioni e poi toccava a lui mettere a posto i pasticci che combinava.

-Ragazzi...-

-Lo sai che uno non conosce mai una persona al cento per cento.-

-Che cazzata.-

-Basta una lavaggio del cervello e sei fottuto, eh!-

-Ma secondo te -

-RAGAZZI!- i due litiganti si zittirono immediatamente, tornando a guardare l'amica che si stava sbracciando per attirare la loro attenzione. Lei sbuffò, si portò una ciocca fiammeggiante dietro all'orecchio e scosse la testa esasperata. -Dicevo... non vedeva di buon occhio l'America, diceva cose strane, come “Come fai a fidarti, mangiano con le pistole sul tavolo!” e altre scemenze del genere...-

-Non mangiamo con le pistole sul tavolo... ma io ne ho una nei pantaloni.- commentò Pete, mettendosi le mani sulla cintura e allargando leggermente, mentre in volto si faceva largo un'espressione da classico allupato.

-Dio santo, sei sempre più ripugnante.- borbottò il barista, rabbrividendo schifato.

-Beh, era prevedibile... gliel'abbiamo servita su un piatto d'argento.- lo difese Cleo, annuendo. Doveva aspettarsela una battuta del genere da Pete, l'uomo dei doppi sensi neanche troppo doppi.

-Grazie, grazie.- il ragazzo in questione fece dei piccoli inchini col capo, fiero di se stesso per non aver deluso le aspettative del suo pubblico.

-Che schifo.- Tom, giusto per sicurezza, diede uno spintone al suo amico in modo da allontanarlo da lui il più possibile. Inutile, comunque, visto che l'altro si avvicinò al bancone come se nulla fosse successo. Stava diventando pressoché insensibile alle sue botte, non andava bene per niente.

-Continua, continua, scusaci.- Pete fece un sorriso e si appoggiò con i gomiti al bancone per mettersi comodo e lasciarla finire di parlare.

-Grazie – la ragazza rise e sospirò: avrebbe mai finito di raccontare quella storia? Non ne era così sicura –, litigavamo quasi tutti i giorni, per un anno ci siamo lasciati e rimessi insieme un sacco di volte, sempre sulle stesse cose... sull'America, su di voi, su di Amber, su quello che avevo fato, quello che non avevo fatto...-

-Su di noi?- mormorò colpevole Tom, inclinando la testa di lato. Sapeva di aver sbagliato a chiedere di uscire ad una ragazza fidanzata, ma addirittura farli litigare per un anno gli sembrava esagerato.

-Soprattutto su di voi, continuava a chiedere cose ed era una rottura... poi ha iniziato a controllarmi sempre, il cellulare, le amiche, gli amici... era geloso, insomma. Neanche il KGB, cazzo, era pieno di spie e informatori che lo avvertivano qualsiasi cosa facessi...-

-Dici le parolacce.- la interruppe Pete, sgranando gli occhi e fissandola sconvolto, come se non avesse mai sentito la parola “cazzo” in tutta la sua vita.

-Le ho sempre dette...-

-No! Sono sicuro!-

-Sì…-

-Ignoralo, sai che è il solito imbecille.- berciò Tom, ficcando lo straccio in bocca all'amico per farlo star zitto.

-Beh... credevo solo che ci tenesse troppo a me, pensavo non volesse che mi facessi male in qualche modo, sapete che sono sbadata... in ogni caso, poi un giorno di un paio d'anni fa mi ha chiesto di sposarlo ad Amsterdam... spumante, vista mozzafiato sulla città, cioccolato bianco, frutta fresca... era tutto perfetto, come potevo dirgli di no?- a ripensarci, era convinta che in quel momento fosse il suo Irwin, non quello che sarebbe diventato una sottospecie di mostro.

-Dicendo di no, suppongo.- la voce di Tom la riportò alla realtà, a quel momento presente in cui stava spiegando le ragioni per cui era scappata.

-Idiota.- Pete lo insultò, freddandolo con un'occhiata. Possibile che non avesse idea di cosa fosse il tatto? A questo punto tanto valeva prenderla a schiaffi.

-Ha ragione.. dopo avergli detto di sì, comunque, è diventato... ossessionato. Terribile. Mi sminuiva, cercava di distruggere la mia autostima, mi faceva sentire stupida a fare le cose che ho sempre fatto solo perché a lui non piacevano...-

-Terribile.- commentò Tom, provando ad immedesimarsi. Sicuramente non avrebbe resistito molto con una persona che cercava di distruggerlo psicologicamente, poteva solo immaginare come si fosse sentita lei.

-Lo era, sì... quindi sono scappata, sto di nuovo da Amber.- concluse, con un sorriso talmente angelico e sereno che i due non poterono far altro che non preoccuparsi troppo. La abbracciarono di nuovo, comunque, le offrirono un'altra birra, la rassicurarono, le dissero che quell'altro avrebbe solo dovuto provarci a venirla a prendere che ci avrebbero pensato loro (in un certo senso, Pete si era offerto di malmenarlo a sangue in un vicolo buio con spranghe di ferro, Tom semplicemente di allontanarlo e, nel caso, qualche pugno).

-Tom vive da solo, per esempio.- strillò ad un certo punto Pete, scattando in piedi come una molla. -Puoi andare da lui.-

-Anche tu abiti da solo!-

-Ma io non sono mai solo.- Pete fece un sorriso enigmatico, ma neanche troppo, dato che gli interlocutori avevano perfettamente chiaro cos'avesse in mente.

-Sei sempre peggio.- bofonchiò Tom, facendo una smorfia. Era sorprendentemente disgustoso, come faceva ad attirare a sé tutti quei ragazzini confusi e disperati?

-Per ora sono da lei, vedremo come va la scommessa.- ammiccò Cleo, maliziosa come poche. Nuovo stato, nuova vita, nuova Cleo, ecco la sua filosofia.

-Molto bene. Vi lascio soli.- Pete diede un bacio sulla guancia a Cleo e salutò Tom con una stretta di mano poderosa, un incoraggiamento a non arrendersi e riuscire a vincere quella scommessa. -A mercoledì, Tom.-

-Ma anche no.-

-Fottiti.-

-Fottiti tu.-

-Con molto piacere.- fece un inchino sulla porta del locale e poi uscì, ridacchiando di gusto.

-Non ti fa senso?- domandò allora Tom alla ragazza, visto che erano rimasti solo loro due.

-Chi, Pete? No, mi fa morir dal ridere.- confessò, sorridendo allegra. Essere tornata in quel posto la portava indietro a tutti i ricordi di quell'ultimo anno di liceo, gli scherzi, le risate, i compiti di inglese, le lezioni di biologia, la sua amica Amber che ancora non aveva abbandonato il suo stile da gothic lolita e andava a dire per la scuola di essere un vampiro assetato di sangue, quando Tom e Pete litigavano per una qualsiasi cosa, pur coprendosi le spalle a vicenda. -Siete sempre uguali, voi due.-

-In effetti non è cambiato molto da quando andavamo a scuola.- A parte che lui non deve più nascondersi nei bagni per flirtare con dei ragazzi in santa pace, o io non devo fare finta di essere un gran playboy, continuò mentalmente. Ci ridevano e scherzavano su, ma la sessualità di Pete era stato un gran problema a scuola: piena di conservatori e persone mentalmente chiuse, non potevano sopportare che ci provasse con qualsiasi ragazzo e la passasse liscia. Quando era arrivata Cleo, però, erano riusciti ad appianare le divergenze e ad acquietare gli animi bollenti, facendo credere ai gran sapientoni che lei era diventata la sua ragazza, aumentando la stima che il resto degli studenti aveva di lui.

-Ed è un bene, no?-

Tom annuì, pensieroso. Appese lo strofinaccio al laccio del grembiule che aveva indosso e si poggiò le mani sui fianchi, assumendo la posa di una massaia che stava per rimproverare il figlio per un motivo ancora sconosciuto. -Tu invece sei cambiata parecchio, sai?-

-Dici?-

-Sei più alta e decisamente più formosa... sei sempre bellissima, eh.-

Cleo scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con le mani per non fare troppo rumore, visto che la sua risata era nota per essere spaccatimpani. -Continui a non sapere come si parla ad una ragazza.-

-Erano complimenti!-

-Ricorda qual è il tuo obiettivo, scemo.-

-Tu non sei a posto. Non sei per niente a posto!- cantilenò il ragazzo, gesticolando convulsamente. Già, mancava solo che tornasse lei ad incasinargli la vita, non bastava già quell'altro ed i suoi stramaledettissimi amanti?

-Mia nonna mi ha raccontato una storia, una volta. Vuoi sentirla?-

-Ho alternative?-

-Credo di no.- gli fece la lingua e si alzò dallo sgabello, sedendosi sul bancone con le gambe accavallate. -C'era una volta, in un paese molto lontano, un piccolo villaggio nel deserto. Per quietare il Dio Leone, il piccolo villaggio decise di dargli in sposa la vergine più bella ancora non promessa a nessun uomo. La ragazza era piccola, spaurita, ma per il bene del villaggio andò nella tana del Dio Leone, una grotta buia e profonda.-

-Ha ragione il cretino, il tuo inglese è splendido.- Tom sorrise e si appoggiò al bancone, per poterla guardare dal basso e godere della sua infinita bellezza. Non era una di quelle ragazze con l'aspetto sempre curato, sempre in ordine, quanto più una ragazza alla mano, tranquilla, con la testa tra le nuvole e innumerevoli sogni nel cassetto.

Cleo alzò appena un angolo della bocca, giocò con una ciocca di capelli e non combatté quel leggero rossore che le imporporò le guance. La verità era che non era entrata nel Golden Lion per caso. Sapeva che il mercoledì avrebbe trovato i due ragazzi a bisticciare, sapeva che Tom la pensava, perché ogni tanto Pete le mandava delle mail su quell'argomento. E dopo aver lasciato Irwin, aveva capito tutto, come un fulmine a ciel sereno. -Il Dio Leone sembrava spaventoso e burbero, la ragazzina aveva così paura che piangeva e piangeva... finché un giorno non decise di provare a parlare col Dio Leone.-

-E cosa disse il Dio Leone?- Tom cominciava a sentire la testa che gli girava, il sangue che invertiva la direzione di circolo ed iniziava a rendersi conto di quanto l'influenza di Pete fosse dannosa. Si allontanò di scatto col cuore che gli martellava in petto, sbattè una serie di volte le palpebre. O lei era una strega e gli aveva lanciato un incantesimo, o lui aveva estremamente bisogno di sfogare la sua sessualità evidentemente repressa. O, più semplicemente, non aveva mai sentito il bisogno di sfogarsi fino a quando non era tornata Cleo. -Stiamo... per chiudere. Credo.- la frase che gli uscì fu roca, poco convinta, che voleva significare tutt'altro. Non poteva però permettersi di rimanere deluso di nuovo, di partire alla conquista di un pianeta perso in partenza.

-Oh... va bene. Allora... io me ne vado. Quanto ti devo?- Cleo scese dal bancone con un piccolo salto elegante, si mise a posto la gonnellina celeste e tirò fuori il portafoglio dalla borsa, pronta a pagare le birre che aveva bevuto.

-No, no. Offro io.- Tom provò a sorridere ma il risultato fu solo una smorfia totalmente falsa e confusa.

-Va bene, grazie.- si sporse e gli scoccò un bacio sulla guancia, per poi salutarlo con la mano. -Non sono da Amber comunque, volevo evitare che Pete pensasse male. Ho il fuso orario ancora sballato, non mi addormento prima delle tre... se vuoi prendere un caffè quando finisci, sono nell'hotel qui vicino.- aveva pensato bene di dire che era da Amber perché voleva evitare le battutine, cercava di salvaguardarsi la prima sera in America da proposte indecenti da tutte le persone che aveva incontrato dopo tanti anni. Si era sentita di dire la verità solo a lui, e per un motivo ben preciso.

-Ci penserò.- il ragazzo annuì e la salutò. Si stava comportando in un modo irrispettoso e maleducato, probabilmente il giorno dopo avrebbe dovuto chiederle scusa. Ma perché pensava che l'avrebbe rivista?

Domanda stupida, voleva rivederla e basta, non poteva smettere di pensare alla bella sorpresa che Cleo gli aveva fatto. Avrebbe mentito anche a se stesso se avesse detto che non gliene fregava nulla, che l'aveva dimenticata. Certo, non era innamorato, per carità, ma l'attrazione era forte e si era reso conto che cinque anni non l'avevano né cancellata né smorzata. Lo aveva ipnotizzato allora e lo stava ipnotizzando anche in quel momento, mentre puliva i bicchieri e quasi non li appoggiava troppo sul bordo tanto era distratto.

Per non parlare della storia del leone... era davvero una storia che le aveva raccontato la nonna? O se l'era inventata lei per stregarlo e sedurlo? Come se ce ne fosse stato bisogno, poi. Solo in quel momento si era accorto di quanto Cleo somigliasse ad un leone, un fiero felino con una folta criniera ed un potere sessuale forte e deciso. Per assurdo, nella storia doveva essere lui la vergine?

Non sapeva se esserne infastidito o lusingato, sotto un certo punto di vista. Chissà come finiva quella storia, l'aveva praticamente scacciata prima di arrivare al dunque.


Chissà che diavolo gli era preso. Chiedere a Cleo un appuntamento. E chiederglielo a scuola, dopo la fine delle lezioni, nascosti da tutti gli sguardi indiscreti, dopo solo un paio di mesi.
Lui. Lui non chiedeva mai niente, accettava le uscite che gli venivano proposte solo per passare il tempo, non era così interessato nel trovare la persona della sua vita.
-Eccomi!- Cleo arrivò col fiatone e trafelata, con la massa di ricci che dondolava da una parte all'altra. -Scusa, mi ha fermato Longman per... mhm.. non importa. Volevi dirmi qualcosa?- domandò, sorridendo tranquilla.
-Ecco...- Tom sbuffò, si spettinò i capelli e la prese a braccetto, portandola attraverso il cortile prendendo tempo. Non sapeva come cominciare.
-Ti sei innamorato di me, eh? Lo sapevo, nessuno mi resiste.- lo prese in giro lei, spintonandolo leggermente.
-Non mi sono innamorato. Però vorrei chiederti...-
-Un appuntamento?-
-Un appuntamento-MA PUOI LASCIARMI FINIRE UNA FRASE?- strillò il ragazzo, gesticolando e mettendosi di fronte a lei.
Cleo fece un sorrisetto enigmatico e si aggiustò i capelli. -Non sei capace a parlare alle ragazze...- commentò, col tono decisamente intenerito. Sembrava si stesse riferendo ad un cucciolo. -Comunque... non posso.-
-Oh...-
-Irwin. Non fraintendermi... mi piaci, mi diverte torturarti così... ma non posso.- gli diede una carezza sulla guancia e gli sorrise, nel modo più innocente possibile. -Spero potrei capirmi.-
Tom sospirò, le prese la mano e la guardò negli occhi, intensamente. -Lo immaginavo. È solo che non potevo lasciarti andare senza avertelo chiesto.-
Cleo lo guardò confusa, inclinando la testa di lato. -Non ho capito.- mormorò. D'altronde non poteva capire tutto quello che le veniva detto dopo solo pochi mesi. Era una delle migliori della sua classe, in Olanda, ma sentire parlare persone vere era tutta un'altra faccenda.
-Non importa. Irwin è fortunato.- riassunse brevemente lui, alzando le spalle.
-Sei arrabbiato..?-
-Sei stata sincera, questo mi basta.- la rassicurò. Alla fine sapeva di essere “l'altro”, non poteva essere il suo fidanzato; gli sembrava solo uno speco lasciarla andare via senza aver tentato qualcosa. Andava bene così, comunque, l'importante era che non si allontanasse.


A stento riuscì a far passare quell'ultima ora e mezza di servizio, passò brevemente lo straccio, diede un'ennesima occhiata perché tutto fosse in ordine, all'incirca, e scappò dal locale. Sapeva benissimo che il capo l'avrebbe sgridato per bene il giorno dopo, ma non gli importava affatto

Trovare l'hotel di Cleo era stato facilissimo: il Virgo, l'unico hotel nei dintorni.

Parcheggiò, scese, guardò a lungo la facciata dell'edificio, come se stesse avendo un'illuminazione celestiale. Un albergo che si chiamava “Virgo”, vergine, un pub che si chiamava “Golden Lion”, un leone, Cleo che pareva il re della savana e lui che si comportava come una verginella. L'universo, il destino, qualsiasi cosa ci fosse (perché a quel punto Tom era convinto che qualcosa c'era, sicuramente) stava cercando di dirgli qualcosa. Neanche in modi troppo velati e misteriosi, a dire la verità. Quel qualcosa voleva che lui e Cleo stessero insieme e gli stava dando una seconda possibilità, stava dando a lui una nuova occasione per rendere il tutto possibile.

Era inutile provare a mentire: lui sapeva e l'aveva sempre saputo, solo che non l'aveva mai capito. Era assurdo, comunque, che Tom pensasse di aver trovato la persona giusta, quella con cui avrebbe anche potuto passare il resto della sua vita: lui, che cercava di fare il disilluso ogni volta che Pete gli raccontava di aver visto un uomo di cui si era innamorato, che cercava di fargli tenere i piedi incollati al terreno per non prendersi delusioni cocenti, che non cercava donne solo per non rimanere deluso. Lui, il ragazzo di ghiaccio del liceo, il freddo “Jack Forst” del locale, così soprannominato dalle cameriere per i suoi occhi sempre distanti e spenti, aveva davvero creduto di essersi innamorato. Forse lo era sempre stato e non se n'era mai accorto, o semplicemente non ci aveva mai pensato così seriamente da capirlo e poter fare effettivamente qualcosa. Stava di fatto che, comunque, a fissare l'entrata del Virgo non avrebbe risolto nulla: il suo viaggio sarebbe stato inutile, il viaggio di Cleo Dekkers sarebbe stato inutile – gli piaceva pensare di essere stato una delle ragioni che l'avevano spinta a tornare in America –, anche la scommessa con Pete lo sarebbe stata. Doveva concretizzare.

Entrò spalancando le porte, come se fosse un re che faceva il suo ingresso nella grande sala del trono dopo aver vinto una battaglia, e si fiondò alla reception; chiese di Cleo, della straniera dai capelli rossi e in un attimo gli fu indicata la stanza senza troppe smancerie: la receptionist aveva intuito tutto, le sue soap opera le avevano insegnato che quando un ragazzo arrivava in un albergo trafelato e col fiatone, con gli occhi sgranati e allucinati, era solo per raggiungere la donna della sua vita. Che cosa romantica, era sicuramente la cosa più emozionante che le fosse successa dopo il matrimonio di sua sorella, circa un decennio prima.

Tom rimase fermo a fissare la porta bianca con sopra il numero 79 placcato in oro senza fare nulla. Dopo tutti i pensieri, le immagini di come sarebbe potuta andare a finire se solo si fosse fatto vedere, dopo l'emozione di aver finalmente compreso, era immobile. Voleva bussare ma aveva il corpo bloccato. Sperava quasi che lei uscisse per caso e lo vedesse lì e facesse tutto lei.. ma non poteva. Non poteva lasciar tutto nelle sue mani, insomma, era lui l'uomo. E se fosse stata in compagnia? Se si fosse stancata di aspettarlo? Se stesse dormendo? Se fosse stato tutto uno scherzo crudele?

Prese un respiro, chiuse la mano in un pugno, la alzò e bussò, scacciando tutti quanti i pensieri che gli rimbombavano nella mente, sciolti e amalgamati a quelli in cui l'esito sarebbe stato positivo.

-Sì?- Cleo aprì subito, come se stesse aspettando lui. O almeno era quello che Tom voleva credere disperatamente.
-Come finisce la storia?-

-La... storia? Quella della vergine e del leone?- Cleo sorrise e lo fece entrare, provando a sistemarsi i capelli come meglio poteva. -Non lo so, la nonna non me l'ha mai raccontato.- era in pigiama, la camicetta sbottonata di un rosa cipria del tutto differente dai colori che usava portare, i pantaloni color della notte più nera con qualche nuvoletta bianca. Era ovvio che avesse mischiato i completi dei pigiami.

-Oh... non ho fatto grandi danni, allora.- sospirò.

-Tom...- lei lo abbracciò da dietro, stringendosi alla sua camicia e appoggiando la fronte alla sua schiena, respirando lentamente. -Sono in ritardo di cinque anni, ma puoi... possiamo decidere noi come finisce la storia, no?- mormorò, mordicchiandosi il labbro.

-Adesso sei tu che sembri una verginella, sai?- lui si girò e le prese il viso tra le mani. -O meglio, un leoncino sperduto.-

-Sei sempre più simpatico.- lei sbuffò e gonfiò le guance, falsamente offesa.

-E tu sei splendida.- si tuffò sulle sue labbra, assaggiandole e assaporandole, come se non avesse aspettato altro. -Allora?-

Cleo fece un sorriso malizioso e diede uno sguardo al letto. -La verginella venne mangiata dal Dio Leone.- sussurrò, appena prima di spingerlo indietro, lentamente, sbottonandogli la camicia e e facendolo cadere sul morbido piumone.

-Sei crudele... mi piace.-

Le parole non ebbero più posto in quella stanza, le bocche schiuse ad esplorarsi, le lingue impegnate in una danza vorticosa e senza esclusione di colpi.

Non ci fu spazio per le parole, solo per una passione bruciante e due amanti che si erano attesi troppo a lungo.

  
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