Three
is better then two
Bellissima.
Mitsuki
era sempre bellissima alla fine dei concerti. Così solare e allegra che mai
avresti pensato ai periodi bui e terribili che aveva dovuto passare. E ai tre
anni di solitudine. Non avrei mai smesso di ringraziare Meroko
e Izumi per esserle stati vicini in quel periodo.
Però…
Però magari adesso era il caso di smammare!
Perché dovevano starle sempre così appiccicati?
Sembrava che dovesse morire da un momento all’altro – di nuovo – e io ne aveva abbastanza di shinigami.
E non era tanto Meroko, per assurdo. Bensì Izumi. E certo,
chi altro poteva odiarmi a tal punto da impedirmi ogni minimo attimo di
intimità? Maledetto cane sadico…
Venni riscosso dai miei pensieri quando l’immagine
di Mitsuki scese con eleganza dalle quinte del palco.
Indossava jeans semplici, e una maglietta talmente tanto elaborata che io non
sarei nemmeno riuscito a capire come si infilava. In compenso, su di lei stava
d’incanto.
“Bravissima Mitsuki!”, la
aggredì la Oshige prima di me, “anche questo concerto
è stato un successo! Abbiamo fatto incassi da record”. L’altra annuì, cercando
di liberarsi dalla presa di ferro della manager, e lanciando a me dolci
occhiate. Ovvio, era sempre felice quando andavo ai suoi concerti. Le ricordava
quando ero tornato. Che poi io andassi ad ogni suo singolo concerto era un
dettaglio. Mi passai una mano sul collo, lasciando scivolare via il codino che
avevo fatto ricrescere, e mi avvicinai alle due, un po’ per salvare Mitsuki, un po’ perché volevo abbracciarla anch’io.
“Takuto”, mormorò lei con
il fiato corto, “non… non respiro”. Alzai gli occhi
al cielo. Perché lo diceva a me e non a lei? Subito dopo, mi accorsi che la
manager era ubriaca. Di nuovo.
Sbuffai, liberando Mitsuki dalla presa di ferro della
donna, la quale mi fissò con sguardo non troppo sveglio.
“Takuto! Quanto tempo!”,
esclamò abbracciandomi. Roteai gli occhi. Sì, come no, ieri è davvero tanto tempo! La staccai, e lei mi guardò
interdetta. “Sei rozzo, Takuto”, sbuffò, mandandomi
sul volto una zaffata di ‘Eau de Sakè’. “E tu sei ubriaca”, rispose io a tono,
spingendola verso i tecnici, sperando in un loro aiuto. “Sei solo un ragazzino
che si crede chissà chi! Anche io sono stata una idol,
che ti credi?”. La ignorai nuovamente. Ragazzino a trent’anni era decisamente
restrittivo. Santo cielo, ero così vecchio
rispetto a Mitsuki. Mi domandai come faceva a
sopportarmi. La mano santa di Wakaoji mi liberò dal
peso della Oshige ubriaca fradicia, e tornai indietro
da Mitsuki, che mi aspettava sbuffante. Ecco. Si era
arrabbiata. E anche se non era colpa mia, ero sicuro che se la sarebbe presa
con me. Come sempre.
“Allora? Hai finito?”, domandò tutta scocciata,
avviandosi verso i camerini a passo svelto. La seguii senza fatica, annuendo
alla sua domanda senza ribattere. Tanto era inutile. Eravamo destinati ad
essere disturbati in eterno, e lo sapevamo. Le passai un braccio sulle spalle,
per calmarla, e sembrò funzionare, perché si rilassò. Cominciai a farle domande
sul concerto, per distrarla, e anche questo funzionò. Si mise a raccontare di
come stava per inciampare sul gradino del palco durante Smile.
“Ah, e ho visto Meroko e Izumi sopra la folla!”, esclamò tutta felice. Mi raggelai.
Di nuovo. Ecco, perché quando ero io a distrarmi era una crisi, mentre quando
lei decideva che doveva vedere Izumi e Meroko andava tutto bene? “Sono nel camerino?”, domandai
trattenendo il mio fastidio. Lei scosse la testa, sorprendendomi. “No, sono
andati via alla fine”.
Incredibile! Magari il lavoro li aveva richiamati, o
avevano avuto qualche problema con quel comitato che avevano fondato per
convincere gli shinigami che in realtà erano angeli. Bè, non avevo mai amato quel comitato come adesso. Potevo
finalmente avere cinque minuti da solo con Mitsuki!
Entrammo nel camerino, dove lei si mise a districare
la complicata acconciatura che le stava tirando i capelli. La fissai. Ero
troppo dispettoso per resistere alla tentazione di arruffarglieli. Mentre era
distratta, e non guardava lo specchio, mi avvicinai lentamente, e rapidamente
mischiai tra loro i boccoli scuri.
“Takuto!”, si lamentò lei,
alzandosi e sedendosi su un divanetto, “Smettila con queste bambinate, non sei
grande per questi giochi?”. Mi fece una linguaccia, cercando di togliere una
forcina incastrata. Io sbuffai, sedendomi accanto a lei e fingendomi offeso.
“Mi adeguo alla tua età, mocciosa”. “Bè, cerca di essere un po’ più maturo, vecchiaccio”, ribatté lei subito. La frecciatina mi colpì e, dato
che ero un pessimo attore, se ne accorse, scoppiando a ridere. Io misi il muso,
come mio solito, e subito mi venne da piangere. Ma perché le mie ghiandole
lacrimali e le offese a me rivolte erano direttamente collegate? Insomma, che
un ragazzo trentenne pianga per ogni cavolata è assurdo! Lei decise di ignorare
la forcina, impossibile da districare, e si concentrò su di me. Io la guardai
bieco, allontanandomi sul divanetto, con gli occhi ancora lucidi. La vidi
sorridere – mi conosceva troppo bene – e si avvicinò, prendendomi la mano. “Non
è giusto che tu ti adegui a una mocciosa”,
sbuffò, gonfiando le guance in modo adorabile. Inarcai un sopracciglio,
perplesso. Si avvicinò ancora, e allacciò le braccia attorno al mio collo.
“Dovrei essere io a maturare”.
Oh.
Oh. Oh. Oh. Mitsuki doveva
avere la febbre, non c’erano altre spiegazioni. Ero io quello intraprendente e,
secondo Meroko, maniaco-pedofilo-stupratore –
quest’ultima non l’ho ancora capita, ma Mitsuki
annuisce quando lei mi chiama così – quindi le presi le mani, e la guardai con
sospetto.
“Cosa stai facendo?”, domandai serio con tutto
l’autocontrollo che avevo – pochissimo per mia sfortuna, altrimenti non
piangerei per ogni cavolata – e cercando di suonare severo in qualche modo.
Peccato che mi riusciva solo quando si parlava di morte, suicidi, coma e
simili. Lei sembrò contraddetta. Si sedette sulle mie gambe, lasciando
scivolare le braccia sul mio petto, e sbuffò infastidita.
“Che sto facendo? Semplice, tu non fai mai nulla!
C’è sempre qualcuno in mezzo che ci disturba. Non riusciamo neppure a parlare
della nostra giornata. Tu hai registrato un nuovo singolo e io non sono neppure
ancora riuscita a sentirlo. Ecco cosa c’è!”, si sfogò tutta d’un fiato. Non
potei evitare di sorridere. Era proprio una mocciosa.
Non che non infastidisse anche me, ma certo non ero in crisi come lei. O forse
era proprio perché era lei che era
normale essere in crisi. Aveva paura di rimanere sola? Mi guardò con i grandi
occhi grigi, dove lessi lo spavento. Mi pentii nuovamente, come anche tempo
prima era successo, di non averle fatto sapere il prima possibile che ero
ancora vivo. Adesso mi rendevo conto di quanto fossi stato crudele.
“Bè, ora siamo soli”,
sussurrai carezzandole una guancia, lei sorrise, allacciando nuovamente le
braccia attorno al mio collo. La strinsi a me, e lei emise un gridolino di
protesta per la mia poca delicatezza, prima di sfiorare con il suo respiro le
mie labbra.
“Ci diamo da fare”.
“ARGH!”, urlammo entrambi. Mitsuki
scattò in piedi, mentre io caddi direttamente dal divano – a forza di
allontanarmi ero arrivato sul pizzo.
“I-Izumi”, balbettò Mitsuki – l’unica persona che riuscivo a vedere dalla mia
posizione scomposta – rossa come un pomodoro, “pensavo foste andati via”.
Ringhiai, scattando in piedi e additando il mio peggior nemico.
“Izumi, vai all’Inferno!”.
Il biondo mi sorrise, il suo solito sorriso da sadico. “Takkun,
sono appena venuto da lì e già mi rimandi indietro?”. Scorsi dietro di lui Meroko, evidentemente imbarazzata per il suo partner, il quale non provava il minimo senso di
colpa. Mitsuki cominciò a cercare di districare la
pettinatura davanti allo specchio, ignorandoci, e Meroko
la seguì per aiutarla. Ecco. Di nuovo arrabbiata. E stavolta non sarebbe stato
così facile calmarla.
“Ero tornato per fare i complimenti a Mikki”, si giustificò Izumi,
mentre la ragazza sorrideva per ringraziarlo. Perché lei non riusciva ad
arrabbiarsi con Izumi. Ma con me ci sarebbe riuscita benissimo.
“Izumi, buttati sotto a un
treno e sparisci!”, urlai scocciato. Ok, ammetto che avrei dovuto pensarci
prima di dire una frase simile. Non l’avevo fatto apposta. Peccato che Izumi si pietrificò, prima di fissarmi con un ghigno sul
volto.
Ops.
“E dimmi, Takkun”,
cominciò – già mi preparavo a piangere –, “come va il lavoro? Immagino che
avrai già fatto un disco”. “Ehm…”. “Oppure sei
incapace come cantante come lo eri quando eri shinigami?”.
“Non toccare quel tasto!”, strillai già con le lacrime agli occhi. Lui sorrise,
continuando crudelmente la sua vendetta. Scoppiai in lacrime isteriche sul
tavolo. Poi, sentii la sedia su cui stava seduta Mitsuki
strisciare sul pavimento, e alzai gli occhi bagnati su di lei. Mi stava
fulminando. Era furibonda. Aveva finito di sciogliere i capelli, grazie
all’aiuto di Meroko, e teneva il cappotto sul
braccio.
“Io me ne vado”, esordì, avviandosi alla porta.
Spalancai gli occhi incredulo. “Mi-Mitsuki,
aspetta!”. “Ciao Mikki!”, urlò Izumi
sopra di me, sovrastando la mia voce. Mitsuki aprì la
porta, si volto a guardarmi e mi fece la linguaccia.
“Eichi non avrebbe mai
detto una cosa così cattiva ad Izumi! Ti odio!”, e
uscì, sbattendo la porta. Rimasi a fissarla spiazzato. Di. Nuovo. Quel.
Maledetto.
“Maledizione, maledizione, maledizione!”, urlai,
mentre Izumi se la svignava con Meroko.
“Dovresti smetterla di infastidirli in quel modo”,
sbuffò Meroko, osservando il cielo stellato sopra di
loro. Izumi sorrise, il suo solito sorriso.
“Oh no. E’ troppo divertente”.
Vincitrice del concorso indetto da Roro! Terzi Incomodi