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Autore: Psyche07    24/04/2015    3 recensioni
Salve popolo di EFP!
Questa one shot richiama particolari inerenti ai capitoli 7 e 8 ( quest’ultimo non ancora pubblicato) de “Il segreto di Naruto Uzumaki”, tuttavia può essere letta anche da chi non segue la storia.
Bisogna, però, possedere una se pur minima conoscenza del manga o dell’anime per comprendere i sottointesi che nasconde questa favola, immaginariamente scritta da Sasuke Uchiha.
Non posso aggiungere altro, perciò, nella speranza che possa piacervi, vi lascio alla lettura del racconto.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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   C’erano una volta, in una vasta e rigogliosa foresta, due usignoli.
 
Ogni animale, grande o piccolo, rimaneva incantato dalla bellezza del loro canto e spesso interrompeva le proprie attività per restare ad ascoltarli.
 
Quando i due usignoli ebbero il loro primo uovo, tutti si rallegrarono pensando che, molto presto, avrebbero potuto godere del magnifico canto del piccolo uccellino.
 
Il momento della schiusa arrivò rapidamente e ancor più breve fu il tempo in cui il nuovo nato fece udire il delicato e armonioso suono della sua voce.
 
I suoi genitori erano tanto orgogliosi di lui, soprattutto il suo papà che, nelle lunghe ore impiegate a cercare il cibo per la sua famiglia, riceveva la maggior parte dei complimenti degli altri animali.
 
La vita per i tre uccellini scorreva felice e, un bel giorno, la loro gioia raggiunse il culmine: mamma usignolo era in attesa di un altro uovo.
 
Tutti si rallegrarono enormemente alla notizia ed erano impazienti di fare la conoscenza del piccolo della nidiata, ma mai nessuno quanto suo fratello.
 
Questi sembrava sprizzare allegria da ogni singola piuma, mentre, senza abbandonare per un solo secondo l’intricato intreccio di rami e foglie in cui giaceva l’ovetto, cantava con voce squillante incantevoli nuove melodie.
 
Quando il guscio si ruppe, rivelò la piccola e spelacchiata figura di un altro maschietto, assai simile al fratello nel momento in cui questi venne al mondo o almeno questo era ciò che dicevano gli altri animali.
 
I genitori ascoltavano in silenzio le felicitazioni e le considerazioni di tutti, mentre, nel loro intimo, speravano che l’uccellino non somigliasse al loro primogenito solo nell’aspetto, ma che avesse anche la stessa splendida voce capace di incantare.
 
Grazie al costante affetto ed incoraggiamento del fratello, il piccolo usignolo fece udire il suo canto assai prima di quanto suo padre e sua madre si aspettassero, ma questa non fu l’unica sorpresa che riservò loro: la sua voce non assomigliava affatto a quella del più grande.
 
Era bella, su questo non c’erano dubbi, e il suono che produceva era incredibilmente soave, ma nessuno poteva affermare che fosse uguale a quella del loro primo genito.
 
Mentre sua madre accolse questa diversità con orgoglio, suo padre non riusciva a spiegarsene la ragione e sempre più spesso iniziò a dire al figlio:
 
“Esercitati, piccolo, così, quando sarai più grande, raggiungerai sicuramente la stessa bravura che tuo fratello ha nel canto.”
 
L’usignolo faceva il possibile per non deludere il suo papà, ma, per quanto passasse ogni veglia a cantare, non riusciva proprio a farlo come il suo amato nii-san.
 
Un giorno come tanti altri, mentre era intento, come al solito, a fischiettare qualche allegra melodia, proprio questi venne a distrarlo dicendo:
 
“Otouto per oggi basta cantare: è arrivato il momento che tu impari a volare.”
 
“Non credo di esserne capace.”, replicò intimorito il piccolo usignolo.
 
“Tutti gli uccelli sanno volare.”, disse incoraggiante l’altro.
 
“E se dovessi cadere?”, chiese l’uccellino con voce fievole.
 
“In quel caso ci sarò io ad aiutarti: non permetterei mai che ti accadesse niente di brutto.”, ribatté seriamente il maggiore.
 
Convinto dalle rassicurazioni del fratello, l’uccellino saltò fuori dal comodo nido e si preparò a spiccare il volo.
 
Quando le sue piccole zampe abbandonarono la sicurezza del ramo su cui erano poggiate, l’usignolo si sentì precipitare nel vuoto.
 
In quel momento ebbe davvero paura che non ce l’avrebbe fatta, che qualcosa avrebbe potuto impedire al fratello di correre ad aiutarlo.
 
Sentì la voce dell’altro dirgli di aprire le ali e, anche se non capiva bene come questo avrebbe potuto salvarlo, fece esattamente quello che essa diceva.
 
La sua caduta si arrestò come per incanto e, sorpreso di trovarsi come sospeso nell’aria, si accorse che non solo aveva spalancato i suoi piccoli arti, ma che li stava anche muovendo in un lento ritmo ipnotico.
 
L’usignolo non aveva certo voluto compiere quegli strani movimenti, ma si rendeva conto che erano questi a permettergli di non riprendere a precipitare, così, continuando a sbattere le ali, provò a raggiungere il punto in cui suo fratello si era fermato a guardarlo.
 
Quando si posò sullo stesso ramo su cui l’altro stava appollaiato, questi gli disse felice:
 
“Bravissimo, fratellino, sono molto fiero di te.” e gli arruffò le penne col becco.
 
Da quel giorno il piccolo usignolo iniziò a trascorrere ogni attimo del suo tempo a volare: amava sentire l’aria tra le piume, attraversare la soffice morbidezza delle nuvole e perdersi nella vasta immensità del cielo così tanto, da non riuscire proprio a farne a meno.
 
Suo padre, però, non era affatto contento che lui trascurasse i suoi esercizi di canto per andarsene in giro a svolacchiare nella foresta, perciò gli vietò categoricamente di abbandonare il nido.
 
L’uccellino, non desiderando contraddire il suo papà, fece come gli era stato ordinato e riprese a passare le sue giornate cantando melodie un po’ malinconiche.
 
Passarono i mesi e l’autunno arrivò a tingere di rosso, giallo e arancione gli alberi della foresta. Mentre tutti gli animali si affaccendavano a raccogliere provviste per sopravvivere durante l’inverno,  l’usignolo sembrava non accorgersi dello scorrere del tempo e continuava a far udire il suo triste canto.
 
Un cacciatore che passava da quelle parti lo sentì cantare e rimase talmente sorpreso dalla soave armonia di quel verso, da decidere di catturarlo e regalarlo al suo amato figliolo.
 
L’uccellino non si rese nemmeno conto del pericolo e, con una rapidità sorprendente, si ritrovò intrappolato senza alcuna via di fuga nella rete dell’uomo.
 
Chiese aiuto tante volte, ma la sua famiglia era impegnata a procurarsi il cibo lontana dal nido e, purtroppo, non poteva sentirlo, né, tanto meno, correre in suo soccorso.
 
Quando, giunto nella sua baita, il cacciatore mostrò il suo dono al figlio, il bambino sembrò sprizzare gioia da ogni singolo poro e, dopo aver sentito il racconto del padre sul suo bellissimo canto, scelse di dargli il nome di Cip.
 
Portava il piccolo volatile sempre con se e ogni giorno gli raccontava i tanti sogni che aveva sul suo futuro, come immaginava che fosse, le cose che gli piacevano o che avrebbe voluto poter fare anche se gli erano vietate perché non aveva ancora l’età giusta.
 
Spesso gli chiedeva di cantargli qualcosa e l’usignolo sarebbe stato ben felice di accontentare quel piccolo umano tanto gentile, ma ogni volta che apriva il becco nessun suono ne usciva.
 
Si era, ormai, convinto di aver perso la voce e il cacciatore era del suo stesso avviso, tanto che consigliò al figlio di liberarlo e gli promise che gliene avrebbe catturato un altro capace di cantare.
 
Il bambino si arrabbiò tantissimo e disse al suo papà che mai avrebbe potuto amare un altro uccellino come il suo Cip.
 
L’usignolo che aveva sentito ogni cosa, avvertì il cuore battergli forte al pensiero di quel ragazzino che lo accettava anche se non aveva più la sua bella voce imperfetta.
 
Decise, perciò, che non lo avrebbe mai più abbandonato e, quando per la prima volta il piccolo lo fece uscire dalla sua gabbietta, anziché scappar via gli rimase appollaiato sulla spalla.
 
L’uccellino non rivide più la sua famiglia e spesso il suo amato fratello gli mancava parecchio, ma la nostalgia scompariva al pensiero che adesso era quel piccolo umano la sua nuova casa.
 
Non poté più cantare: la sua voce era andata persa, forse a causa degli interrotti esercizi che il padre gli aveva imposto. Spesso si rattristava al pensiero di non poter far udire il suo canto al suo padroncino, ma a questi sembrava non importare ed essere semplicemente contento di averlo affianco.
 
Non volò mai più, del resto aveva promesso a se stesso che non si sarebbe mai allontanato dal suo piccolo umano, ma la fortuna gli aveva concesso un altro grande dono: gli occhi del suo bambino avevano lo stesso colore del cielo che tanto amava. Ogni giorno, perciò, quando incontrava quegli occhi allegri e luminosi si perdeva nella loro profondità e gli sembrava quasi di essere tornato a volteggiare tra le nuvole soffici e bianche.
 
E fu così che il piccolo umano e l’usignolo vissero per sempre insieme, felici e contenti.
 
 
 
 
 
NA: Salve carissimi,
eccovi la favola scritta dal nostro Sasuke, una volta tanto pubblicata esattamente quando avevo promesso.
Spero davvero che possa piacervi e che vorrete lasciarmi un piccolo segno del vostro passaggio: come molti di voi già sanno, ci tengo davvero a conoscere la vostra opinione in merito ai miei lavori.
Beh che altro aggiungere? Spero di riuscire ad aggiornare presto Il segreto di Naruto Uzumaki e fare contenti quanti aspettavano da tempo un chiarimento tra i due protagonisti della storia!
Un bacio,
Psyche
  
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