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Autore: AnyaTheThief    25/04/2015    1 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mentre suo padre la abbracciava non poteva far altro che pensare al fatto che anche Ben la faceva sentire in quel modo. La faceva sentire al sicuro, e questo era l'ennesima riprova che non si sbagliava riguardo i loro sentimenti reciproci, e che suo padre doveva capirlo.

“Mi spiace, Vicky.” le disse commosso, accarezzandole la testa.

“Scusa, papà.” gemette lei tra le lacrime. “Ma è tutto vero, te lo posso giurare. Io...” si scostò leggermente dalla presa, per poterlo guardare in faccia. “Io l'ho saputo dal primo momento in cui l'ho visto.”

Il viso del signor Haas si contrasse dapprima in un'espressione sofferente, che si sforzò di trasformare in un sorriso. In quell'istante riuscì a vedere finalmente sua figlia come una donna adulta, e non più come la bambina che lo pregava di prenderla in spalla quando era troppo stanca per camminare. Doveva lasciarla andare sulle proprie gambe adesso.

“Ho una cosa per te.” annunciò. La baciò in fronte e la lasciò ad attendere nell'anticamera, sparendo per alcuni secondi. Quando tornò teneva in mano un grande foglio ingiallito dal tempo, arrotolato su se stesso. Lo porse a Viktoria, che a quel punto aveva già capito di cosa si trattava; quando lo aprì velocemente, riconobbe il suo profilo in un dipinto ad acquerelli così sfumato che le parve di essere entrata direttamente nel sogno di Ben, la cui firma a matita si nascondeva in un angolo.

“L'ho trovato solo alcuni anni fa... Doveva averlo comprato tua madre.” disse il signor Haas. “E mi sono sempre chiesto come il signor Keller abbia potuto riprodurti così bene senza averti mai visto.”

Viktoria alzò lo sguardo su suo padre e aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a trovare nessuna scusa plausibile. Per fortuna il signor Haas non sembrava intenzionato a saperne di più.

“Allora vai. Sarà in pensiero per te.” cercò di ricomporre la voce rotta per sembrare sicuro della sua decisione. Dopotutto quel giorno, Viktoria aveva dovuto fare una scelta importante nel tornare sui suoi passi per chiedergli scusa. Era venuto il suo turno di mettere da parte l'orgoglio.

Viktoria arrotolò di nuovo il foglio e lo appoggiò il tavolo; era incapace di proferire parola senza scoppiare in lacrime in quel momento.

Gli sorrise e lo abbracciò un'ultima volta, prima di correre via nuovamente. Il signor Haas poteva vedere la sua coscienza svolazzare più leggera tra le pieghe del vestito mentre si allontanava.

 

Ben era rimasto tutto il giorno in ansia. Incapace di dormire nonostante la stanchezza estrema, si era tormentato per tutte quelle ore chiedendosi cosa stesse facendo Viktoria nel frattempo: stava cercando una prova del fatto che si sbagliasse? O magari l'aveva spaventata così tanto che non si sarebbe fatta vedere?

Il sole iniziò a tramontare e temette seriamente di non vederla più. Non si rendeva conto di quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a fare avanti e indietro per la stanza, percorrendo quei pochi passi che lo spazio ridotto consentiva, rimuginando e ripetendo nella sua testa le ultime parole che si erano scambiati.

E cercando di ricordare cosa fosse successo durante la notte. I suoi ricordi erano confusi. Dei flash disordinati e rapidi gli suggerivano che dovevano aver passato dei gran bei momenti assieme, ma dopo il forte mal di testa non riusciva a ricordare molto. O meglio, non riusciva a ricordare quali fossero state le sue azioni. La pelle chiara e liscia di Viktoria, quella la ricorda benissimo. Il sapore dei suoi baci, i suoi movimenti lenti ma per nulla impacciati, il suo sguardo sognante e i suoi gemiti...

Ebbe un brivido. Non gli sembrò quasi vero che fosse stato proprio lui a provocarle tutte quelle sensazioni che sembravano farla impazzire. Cosa aveva fatto di così speciale per dipingerle in viso quell'espressione estasiata? Ricordava solo di essere crollato esausto e di aver fatto molta fatica a risvegliarsi al mattino.

Ma fortunatamente lo aveva fatto in tempo per evitare a Viktoria di aprire quel cassetto. Pensò che non le avrebbe fatto molto piacere vedere cosa c'era dentro.

D'un tratto sentì dei passi leggeri correre al piano superiore: era lei, lo sapeva. Guardò in direzione della botola entusiasta, in attesa che questa venisse aperta.

Gli si fiondò tra le braccia. Ben la strinse a sé, con la paura di poterla perdere di nuovo anche se ormai era lì. Viktoria lasciò cadere gli stivali infangati che teneva in mano ed iniziò a parlare.

Non poteva credere alle sue orecchie. Se non l'avesse sentita direttamente dalla voce di Viktoria, avrebbe detto che fosse tutta una grandissima presa in giro.

Ma allora non stava diventando pazzo chiuso tra quelle quattro mura...! La sua ipotesi non era tanto assurda. Si era sentito un po' stupido dopo aver visto la reazione della ragazza quando le aveva esposto la sua teoria e per tutto il giorno si era chiesto se avesse fatto meglio a starsene zitto e rifletterci meglio, cercando un'altra spiegazione possibile.

Era così sollevato che avrebbe voluto trasmettere anche a lei la sua soddisfazione e la sua gratitudine per aver parlato a suo padre di un argomento tanto delicato. Lui stesso non avrebbe saputo come affrontarlo, probabilmente lo avrebbe evitato finché fosse stato possibile.

Le baciò il dorso della mano, e poi le labbra. Quando si allontanò le vide un sorrisetto malizioso che gli suscitò un vago ricordo della sera precedente.

“Sai...” iniziò, tirando fuori dalla camicetta quel ciondolo che la sera precedente gli aveva provocato quell'orrendo mal di testa e, apparentemente, anche la conseguente piccola amnesia. “Mia nonna sul suo diario ha scritto che quando mio nonno ha sfiorato questo crocefisso.... Era come se fosse diventato un'altra persona.” glielo fece penzolare davanti alla faccia.

Ma lui scosse il capo. Finalmente aveva capito, e per quanto assurda fosse anche quell'ipotesi, sapeva che ormai le coincidenze non avevano più nulla a che fare con quella storia.

“Non abbiamo bisogno di essere altre persone, Vicky.”

La baciò nuovamente in maniera più decisa e la sentì gemere per la sorpresa. A quanto pare il suo vecchio se stesso l'aveva fatta divertire la notte precedente, ma anche lui poteva esserne all'altezza. Dopotutto sempre di se stesso si trattava: credeva a tutto quello che era successo, tranne che allo sdoppiamento di personalità.

Aramis, o come aveva detto che si chiamava, era parte di lui, non sarebbe potuto esistere senza Ben Keller.

Con determinazione la spinse verso il letto, costringendola ad indietreggiare. Ma non appena si sedette, accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. La botola si aprì di scatto, facendoli sussultare. Sentì le unghie di Viktoria aggrapparsi al suo braccio come se stesse per essere risucchiata da un vortice che la trascinava lontana da lui.

Terrorizzato riconobbe una divisa militare. Era finita. Era tutto finito.

Non poté nulla contro la paura, lo sgomento. Era immobilizzato. E non temeva il campo di concentramento, il duro lavoro, le botte, la malattia, nemmeno la morte. Aveva paura per Viktoria, la sua dolce, piccola Vicky, la cui voce ovattata che urlava il suo nome faceva di sottofondo ai mille pensieri: scattò in piedi, ma subito si vide puntata contro una pistola.

“Fermo! Non fare un altro passo!” il tedesco scese le scale, spostando il bersaglio da lui a Viktoria, rannicchiata e singhiozzante sul letto.

Ben andò nel panico. Aveva sempre pensato che in una situazione del genere si sarebbe semplicemente rassegnato al suo destino, senza tentare gesti folli e disperati, ma tutto era cambiato da quando quella biondina sperduta era entrata nella sua vita. Si chiese quali sarebbero state le conseguenze per la sua famiglia, ma nemmeno una volta gli venne in mente di incolparla per ciò che era accaduto.

Cadde semplicemente in ginocchio.

“La prego.” disse, chinando il capo. “La prego non le faccia del male... La scongiuro, lei...”

“Ben!!” un grido straziante e se la ritrovò di fianco, in ginocchio con lui. Avvolse la sua testa in un abbraccio e sentì le sue lacrime bagnargli il collo, o forse era di nuovo il neo che aveva ripreso a sanguinare.

“La prego... La prego, non lo porti via!” supplicò il soldato, in una preghiera straziante che gli fece versare a sua volta alcune lacrime. Ricambiò il suo abbraccio passandole un braccio dietro la schiena.

Il tedesco non si muoveva.

“Dovete seguirmi.” decretò. Ma Ben si accorse che il suo tono di voce non era così autoritario come si aspettava, e uno spiraglio di luce gli riaccese la speranza.

“Se ha un cuore... Se ha una famiglia, una donna che ama, che vorrebbe sposare... Allora non lo faccia, la prego. Nessuno verrà mai a saperlo e pregheremo per lei tutti i giorni che ci restano da vivere.”

“Pe- Per favore...” balbettò Viktoria, alzandosi in piedi. Mosse un passo verso il ragazzo biondo.

“Vicky.” la richiamò Ben, per fermarla, ma lei pareva determinata. Guardava il soldato negli occhi con il viso arrossato e umido. Non abbassò mai lo sguardo sull'arma puntata ora verso di lei.

“La prego...” mormorò di nuovo, muovendo un altro passo.

“Vicky, fermati!” le ordinò più fermamente Ben, che aveva visto sì dell'esitazione nelle azioni del nazista, ma non così tante da poter azzardare una mossa del genere.

Ma lei non si fermò.

Lentamente la vide allungare una mano tremante verso l'uomo. Pensava che lo avrebbe disarmato. In quel momento gli sembrò di rivedere la sua cara amica Marlene nel momento in cui le aveva salvato la vita. Solo sua figlia avrebbe potuto fare una cosa tanto avventata.

Il tedesco tremava, la pistola quasi gli cadde di mano ad un certo punto, ma lui rinsaldò la presa, stringendo il calco, e con un dito sul grilletto non la spostava dal suo obiettivo.

Scosse la testa.

“Non posso.” borbottò confuso.

Viktoria gli sorrise tra le lacrime e sollevò ancora la mano. Col capo inclinato lo guardava come si guarda alla tenerezza di un bambino o al viso di un amante.

Ben aveva smesso persino di respirare. Non voleva fare niente che potesse provocare reazioni istintive nel soldato.

Quando le dita di Viktoria gli sfiorarono lo zigomo, il tedesco ebbe uno scossone e per un attimo Ben temette veramente che fosse tutto finito. Ma l'uomo non sparò. Guardava Viktoria come un essere venuto da un altro pianeta, come se gli avesse appena aperto gli occhi su una verità che non aveva mai preso in considerazione.

Lei appoggiò la mano sul suo volto con una naturalezza di cui nessun altro sarebbe stato capace con una pistola a pochi centimetri dalla pancia.  

  
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