Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: DeadlyPain    25/04/2015    4 recensioni
Un ragazzo si sveglia sentendo le urla della madre che, sotto forti allucinazioni, crede che non sia lui e, nel tentare di ucciderlo, si getta dalla finestra. Parte quindi alla ricerca del professor Oak verso Lavandonia, ma i pokemon che incontra sono tutt'altro che normali
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Abbiamo fatto i test, comandante. Ancora nessun segno di spettro.”
“Nemmeno i Clefable? Hanno un articolare predisposizione a diventare spettri”
“Nemmeno. Pare che gli spettri si attivino solo nel momento in cui il tester fa tutto da solo, pare che l'intervento umano non produca effetti”
“Quindi dobbiamo aspettare che facciano tutto da soli. Interessante.”
“Il problema è come indurli a tanto”
“Questo non sarà un problema...”

Un urlo mi riporta dal mondo dei sogni. Mia madre, un bicchiere d'acqua a terra. Lei urla, mi urla contro, mi chiede cosa ne ho fatto di suo figlio, mi urla che mi ucciderà per quello che ho fatto a suo figlio.
Cercò di fare un passo verso di me, ma cadde a terra ferendosi con i cocci di vetro del bicchiere. Cercò di rialzarsi con la schiuma alla bocca, come se fosse affetta da rabbia. Io, troppo spaventato per capire cosa diavolo stesse succedendo.
Mi urlava contro l'odio, come se non mi riconoscesse.
Mi indicò un angolo, vuoto, urlando che me l'avrebbe fatta pagare per aver ridotto suo figlio così. Si lanciò violentemente contro di me, le mani protese e contrite, pronte per afferrarmi la gola e strangolarmi. Mi scostai all'ultimo momento e lei si scagliò contro la finestra, traballò un poco e poi cadde. Si schiantò al suolo e io rimasi ancora fermo, pietrificato dal vedere mia madre, in quel lago di sangue, distesa al suolo con l'erba che diventa sempre più rosso cremisi.
È ancora notte fonda, e in camera mia l'odore acre e dolciastro dell'acqua del rubinetto è forte.
Scendo le scale, velocemente, ed esco di casa. Il corpo di mia madre è ancora lì, fermo, immobile, assottigliato dalla rottura delle ossa nel colpo ricevuto con il suolo. Non avrei mai creduto che un salto di un solo piano potesse rompere così tanto il corpo di qualcuno. È ancora notte ma le urla hanno svegliato i vicini, alcuni di loro guardano assenti la scena, altri sono già in strada con la pala, pronti a seppellire mia madre, altri annoiati da questa morbosa routine sono già tornati a letto.
Mi dirigo dal professor Oak, da Smeraldopoli sono poche ore di viaggio, arriverò nella tarda mattinata. Devo chiedere il suo permesso per poter dare una tomba a mia madre, altrimenti il suo corpo verrà gettato in una fossa comune e poi ricoperto di terra.
È come la peste. Gli untori e i medici. Gli appestati e la morte.

BANDO UFFICILALE! È SEVERAMENTE E RISTRITTIVAMENTE VIETATO BERE ACQUA DA FONTI NON CONTROLLATE, QUALI RUBINETTI O FIUMI.

È questo che è appeso su ogni casa, albero, palo o paletto. Quando sono nato c'era già quest'ordinanza, eppure, in 13 anni di vita ho dovuto seppellire mio padre, mia sorella minore e adesso anche mia madre.
In 13 anni di vita ho visto morire 23 persone.
E non mi sono mai mosso da Smeraldopoli.
Spero solo che Oak sia ancora vivo. Ho bisogno del suo permesso per poter seppellire degnamente almeno mia madre. Almeno lei.

“Ragazzo mio! Come posso aiutarti?”
“Signore, mia madre è morta stanotte. Ho bisogno del su permesso per poterle dare una degna sepoltura”
“Mio caro, io sono solo l'assistente. Il professore è andato a Lavandonia per le ricerche e capire queste morti inspiegabili.”
“Lavandonia?”
“Ti darò una mappa. Pare abbia scoperto che i maggiori fiumi della regione e da cui viene presa l'acqua anche per la rete di tubature e fognaria di Kanto partano da un monte a est di Lavandonia. Ecco la mappa... Ti conviene aspettare il suo rientro.”
“Ora del suo rientro mia madre si starà già decomponendo in giardino o sarà gettata nella fossa”
“Anche ora che ritorni tu. Ci vogliono giorni di viaggio, ma dimmi.. com'è morta tua madre?”
“In casa non c'era più acqua in bottiglia. Avrà bevuto dell'acqua dal rubinetto”
“Allora non avrai mai il permesso, sarà considerata infetta e verrà gettata nella fossa”

Ormai ero già tornato a casa e la sera stava volgendo al termine. Attaccato alla porta di casa ancora uno di quei bandi.
Tutti che stanno lontani dall'acqua, tutti che studiano quest'acqua.
Mi avvicinai a mia madre e sarà stata la stanchezza o il trambusto della giornata ma mi sembò che qualcosa di nero e opaco, come il fumo, si levò lento dal suo corpo. Per un attimo sembrò un Gastly, poi Misdreavus, poi tornò indefinito.
“Lavandonia” risuonò nell'aria intorno a me.
Poi vidi luci e ombre. Occhi, mani e artigli. Urla e grida. Ossa spezzate e lacrime di dolore. Vidi il viola e il grigio. Vidi tombe e gradini. E poi una piccola candela.
“Vai a Lavandonia”
Poi, anche quella nube sparì.
Ormai era chiaro. Se dovevo e volevo capirci qualcosa dovevo andare alla fonte. Lavandonia.

Erano giorni che camminavo, e le gambe cominciavano a cedere sotto il peso dello zaino, carico d'acqua e viveri. La mia meta, ora, era Zafferanopoli. Da lì sarebbe stato semplice raggiungere Lavandonia.
Mano a mano che attraversavo la regione la nebbia diventava più fosca, le nuvole, in cielo, più spesse e grigie, come cariche d'acqua, pronte per un temporale che forse non arriverà mai. Lo spero. I temporali sono pericolosi, l'acqua scende e cade sopra e dentro di noi assorbita vorace dalla pelle secca. Quando piove corriamo in casa, stiamo al riparo, ecco perchè ci muoviamo con riluttanza dalla nostra piccola e cupa cittadella natale.
Il percorso 5 è molto ripido e in discesa, e pieno di prati.
Non mi preoccupano più i pokèmon selvatici, sebbene non ne abbia di miei. Si diceva che erano pericolosi e che all'età di 10 anni ti consegnavano un pokèmon per partire all'avventura. Da 15 anni, invece, non è più così. Con la scoperta delle nuove regioni, Johto e Hoenn l'acqua diventò imbevibile. Umani e pokèmon addomesticati bevevano solo dalle bottiglie, gli altri, quelli selvatici erano costretti ad abbeversi ai fiumi.
Ben presto i pochi sopravvissuti vennero catturati e messi nelle riserve delle zone safari di Fucsiapoli. In molti lasciarono Kanto per trasferirsi nella più vicina Johto, o nella marittima Hoenn. A Kanto rimasero in pochi e le uniche città disponibili alla vita era proprio Fucsiapoli e Smeraldopoli. La prima attira tutt'ora un gran quantitativo di turisti, la seconda, così vicina alla lega è spesso meta di giovani allenatori che vogliono allenarsi prima della grande prova dei SuperQuattro.
Spesso incoscienti, li ho visti morire come foglie, lanciandosi da burroni o tagliandosi la gola o colpendosi ripetutamente con qualsiasi oggetto contundente, non appena ebbero messo piede nella mia piccola città. A Biancavilla, invece, è rimasto solo il vecchio laboratorio di analisi di Oak, ma ben presto, temo che queste due piccole e felici città diventeranno sempre più cupe e tristi fino a scomparire anche dalla memoria delle persone.

Ero a metà del percorso 5 quando il cielo divenne ancora più cupo e carico di pioggia. Temevo il peggio, a fortunatamente o sfortunatamente trovai una casa in cima ad un piccolo monte. Ero debole e affamato e cominciai a scalare quella roccia mentre le prime gocce d'acqua bagnavano il mio viso.
La differenza è che ora, il colore dell'acqua, è viola.
Sono quasi in cima, ma la roccia, bagnata, mi fa scivolare. Cado a terra, per fortuna non mi faccio molto male, il terreno brullo e bagnato attutisce la caduta, forse mi sarò incrinato solo qualche costola.
La cosa che più mi preoccupa è questa pioggia violacea che scende sopra di me bagnandomi completamente. Mi penetra nella pelle, negli occhi e nelle fessure delle labbra.
Ormai non ho più scampo. Non all'acqua.
È incredibile, penso, come questa continua morte sopra di noi ci porti ad essere così apatici. La mia famiglia è morta, io, forse, sto per morire, e di certo mi sono spezzato qualcosa nella caduta, eppure, eppure rimango qui, immobile e pensare all'acqua.
All'orrore ci si abitua, ora capisco questa frase riferita alle guerre.

Rimasi disteso, bocca aperta a bere quell'acqua dolciastra, occhi chiusi, in attesa del prossimo raggio di sole. Rimasi così per qualche ora, poi il sole decise di filtrare attraverso quelle nubi.
Ma quando riaprii gli occhi, il mondo intorno a me era cambiato.
Era sempre stato scuro e opaco, come coperto di nebbia e vernice grigia, ma in quel momento mi sembrò che il nero si fosse acuito, le ombre più intense e cosa ancor più strana, mi sembrava che dentro quelle ombre si muovesse qualcosa.
Tremavo e avevo paura ma ero ancora lucido, insomma... era solo acqua no?
Cominciai a correre ma avevo la sensazione che i miei piedi affondassero nel terreno, tutto era morbido e molle, tutto ovattato e scuro.
Inciampai più volte e ogni volta mi tornava in mente la figura di mia madre, impazzita che prima di lanciarsi dalla finestra è inciampata ferendosi con i vetri di un bicchiere.
Ben presto raggiunsi Zafferanopoli.
Non avevo mai visitato quella città sebbene si raccontasse fosse fiorente ma oscura, causa anche dei problemi alla Sliph.S.p.a. avvenuti anni fa.
Quello che avevo davanti agli occhi era uno scenario apocalittico.
I muri erano neri e cadevano a pezzi, pezzi di cemento e mattoni costellavano le strade e la polvere si alzava da ogni folata di vento.
L'aria era acre e pestilenziale e ogni cosa sapeva e dava l'idea di marcio e corrotto.
Mentre mi muovevo tra quelle vie capii che dovevo starvi ben poco in quella città, ormai, fantasma.
Camminavo veloce, quando improvvisamente sentii qualcosa muoversi alle mie spalle e intorno a me, nascosto dagli angoli bui e dalle vie cieche della grande città.
Ombre nell'oscurità si muovevano e mi spiavano.

Eccola, davanti a me vedo muoversi dall'ombra.. qualcosa. Vedo braccia e gambe, vedo denti e artigli, vedo una figura canina, come un Arcanine, senza pelo, senza occhi, senza bocca, solo due grandi zanne, nere come la pece e gocciolanti di qualcosa di melmoso e viola. Cammina a fatica e ciondola, ha una figura eretta, come umana, anche le articolazioni sono quelle umane.
Sono paralizzato di fronte a quella creatura, gli occhi sbarrati ed il cervello come spento, non riuscivo a scappare, correre, urlare o altro. Lo vedevo muoversi, venire verso di me e sapevo che mi avrebbe ucciso, eppure non riuscivo a muovere un muscolo. Respiravo e guardavo, nulla.
Un rumore di ossa spezzate alle mie spalle mi ridestò da quella sorta di apatia in cui ero caduto.
Un mostro, formato da metà Umbreon e metà Espeon si trascinava verso di me, la sue zampe anteriori affusolate dovevano sorreggere l'intera massa, non aveva le zampe posteriori, solo un'enorme coda nera e affusolata e biforcuta, ritorta su se stessa in modo da strozzare le due teste.
Piangeva quella creatura e urlava, urlava un dolore immane mentre strisciava verso di me corrodendo pelo e pelle tanto da mostrare sangue e carne viva là dove si trascinava a fatica.
Un misto tra orrore e pietà mi muovevano quelle due creature, chiaramente intenzionate a far di me il loro pranzo.
La seconda urlò, e il suo stridolio era acutissimo. Appena chiuse le fauci sentii dei movimenti nelle ombre intorno a me, dovevo scappare, e in fretta prima che ne arrivassero altri.
Cominciai a correre a perdifiato verso la parte est della città, passando davanti a tutte quelle case abbandonate, con i vetri neri e rotti. Qualcosa mi stava spiando al loro interno. Qualcosa mi stava osservando e pregustando con gli occhi.

Smise di piovere, ed io riuscii ad arrivare sano e salvo dentro la dogana. Percorso 8, e poi sarei arrivato a Lavandonia, una città che incuteva timore già prima che tutto questo accadesse, ora desideroso più che mai di scoprire la verità, sono anche terrorizzato.
Fuori il cielo è grigio, presto ricomincerà a piovere e voglio raggiungere la città Viola prima dell'acquazzone.
Non avevo più fiato e forza per correre verso Lavandonia, inoltre la voglia stava cominciando ad affievolirsi. Finchè ne ero lontano ero convinto e sicuro di me, ma man mano che mi ci avvicinavo più temevo per la mia incolumità, sopratutto ora che avevo incontrato quelle strane creature.
Cos'erano poi?
Mostri?
Esperimenti... genetici?
Camminavo lento, le gambe bruciavano dal dolore, inabituato a muovermi com'ero quei 10 giorni di viaggio e dormire all'addiaccio era una vera tortura.
Il giorno volgeva al termine, le nubi che sempre ricoprono il cielo da plumbee e violacee diventarono rossiccie, tipico segno che il sole stava tramontando. Ero a metà strada, là dove la strada si snoda per lasciar spazio ad una piccola porzione di terreno erboso, fortunatamente per me, racchiuso tra piccoli alberelli, niente di che, un tempo, ora, con il degrado e abbandono di Kanto, era diventato una vera gabbia.
Quando la notte cominciò a scendere e il mondo farsi ancora più scuro ebbi davvero paura.
Qualcosa dietro quegli alberi si stava muovendo. Vedevo unghie e denti, tentacoli e occhi iniettati di sangue. Qualcosa mi afferrò la gamba, mi girai e li vidi. Non erano due, nemmeno tre, erano centinaia, centinaia di corpi, umani, pokèmon a volte fusi insieme, a volte no, storpi, senza occhi, legati tra loro da carne, ossa e pelle, o corde o capelli o peli. Le fauci aperte, ed i denti aguzzi e appuntiti, schiumavano liquido nero e denso come catrame, urlavano e gemevano. Calcia con forza ma le loro braccia erano pi forti, più dure e mi trascinavano, più cercavo di liberarmene pi loro mi afferravano, le loro unghie mi graffiavano la pelle e i loro tentacoli mi ungevano la pelle, che mi si scioglieva sotto quelle pestilenziali punte velenose, forse di ex tentacruel.
Inciampavo e incespicavo, crollavo e urlavo come se qualcuno in quel posto desolato potesse sentirmi. Ovviamente non è arrivato nessuno, eppure urlavo, urlavo mentre loro cercavano di trascinarmi oltre quegli alberi, fortunatamente per me, erano abbastanza spessi da far si che ne' il mio corpo ne' il loro riuscisse a passare dall'altra parte.
Sentivo il loro liquido nero caldo scorrermi addosso, mischiandosi con il mio sangue che fuoriusciva dalle ferite provocate dai graffi e morsi.
Urlavo e mi dimenavo e già era chiaro come avrei finito i miei giorni.
“Morirai” sentivo risuonare nell'aria “e nessuno piangerà la tua morte. Sei da solo, sei inutile e piccolo e incapace”.
“Morirai, e a nessuno importa”
“Morirai, e nessuno piangerà la tua morte, il tuo cadavere non verrà trovato e farai da cibo a questi mostri”
Parole, parole dentro la mia testa, sentivo voci e vedevo volti, forse solo nella mia testa. Vedevo mia madre tra quei corpi, la vedevo strisciare e urlarmi il suo odio di come non mi avesse mai amato come figlio, che ero solo un errore. Vedevo mia sorella, morta a 3 anni, che piangeva urlando che dovevo morire io al posto suo, che non sarebbe mai stata così stupida e che la sua vita vale molto di più della mia, vedevo mio padre, vedevo i miei amici, tutti morti, sanguinanti e urlanti, mentre si uccidevano a vicenda in un costante crescendo di suicidi eterni fino alla fine dell'eternità.
I loro tentacoli mi prendevano e le loro bocche mi graffiavano, ma nulla faceva più male delle loro parole, mi girai verso di loro e allungai più che potei il mio braccio dentro quelle sbarre per afferrarle, volevo un abbraccio, dimmi, ditemi che mi volete bene e ditemi che sono importante.
“Non lo sei, sei inesistente per il mondo, tu già non esisti”
“muori”
“Muori, tanto sei già morto per il mondo”
Piangevo, piangevo e volevo che quella massa di esseri e corpi smettessero di rantolare e cercare bramosamente un pezzo della mia carne.
Poi venne il giorno, e li vidi ritirarsi, velocemente, come temendo la luce, dentro quei piccoli cespugli e zolle erbose, urlando e gemendo mentre lasciavano cadere sul terreno acido, veleno, sangue e quella melma nera che con la luce assumeva una colorazione violacea.
Mi rialzai stanco e assetato, una pozza d'acqua a pochi metri da me, mi accovacciai e bevvi avidamente quell'acqua viola, dolce e rinfrescante.
Ora è il momento di raggiungere Lavandonia, il prima possibile.

Ero arrivato alle porte della città, e tutto intorno a me era desolato e devastato, melma violacea e nera scorreva dalle pareti e dalle macerie affondando nel terreno secco. Ariados correvano sulle pareti di mattoni, i loro corpi erano girati sottosopra e delle costole uscivano dal torace molle, aperto e grondante di quel sangue nero e melmoso mentre le loro stridule urla risuonavano nell'aria.
Mi avviai verso la torre Pokèmon, famosa per essere un enorme cimitero.
La torre si erigeva verso il cielo, ma l'unica porta accessibile, sul retro scendeva verso il basso. Scesi quelle scale e l'odore di detersivi, polvere, cenere e medicine diventò sempre più forte e pungente.
Piccoli paras e spinarak correvano intorno a me nella tromba delle scale, neri e striscianti al suolo, piccoli e rantolanti, a volte senza zampe, altri senza volto.
Poi ancora, ancora quelle voci.
“sei inutile, muori, fai schifo, perchè non muori? Perchè non muori? È semplice, sai? Tutto questo finirebbe”
Tossivo e inciampavo, sentivo i gradini di pietra sciogliersi sotto i miei piedi e affondare. Sentivo il mio peso aumentare come fossi fatto di piombo, il respiro affannoso e la testa girare, la vista mi si stava appannando e mi sentivo da vomitare.
Ma continuai a scendere le scale.
“Muori. Dai.. È semplice. Devi morire. Fai schifo. Sei una nullità. Cadrai qui sulle scale e nessuno ti verrà a prendere. Muori, sei solo un peso.”
Volevo che smettessero, volevo che stessero zitte, ma intorno a me nessuno parlava.
Creature si muovevano in quell'ombra intorno a me, io con un mano una piccola candela rossa a cercare di illuminare quell'oscurità così spessa.
Arrivato verso la fine della scala sentii delle voci, di nuovo, ma stavolta dicevano qualcosa che non riuscivo a capire, e forse le altre voci che cercavano di istigarmi al suicidio coprivano quei suoni.
Ogni volta che chiudevo gli occhi mi vedevo.
Me impiccato.
Me con un coltello nel torace.
Me carbonizzato.
Me gettato dal 5 piano.
Me. Morto. Con un bellissimo sorriso stampato in volto.
Mancai l'ultimo gradino e affondai il volto pesantemente sulle frette mattonelle polverose.
“Bene, bene... chi abbiamo qua?”
Alzai lo sguardo, un camice bianco e un pokèdex in mano, un maglione nero, infeltrito.
Mi afferrò per un braccio e mi trascinò in uno stanzino ben illuminato. Pareti bianche pulite, ripulite visto lo straccio sporco di sangue ad un lato.
Un lettino e nessun legaccio, solo qualche strumento di tortura, lame e siringhe varie.
Di fronte a me il professor Oak.
“Fuji... ha bevuto l'acqua. Si nota tantissimo, guarda le vene violacee”
“Mi chiedo come non sia già morto”
Chiesi cosa stava succedendo. Gli chiesi di salvarmi se avevano una cura. I loro volti, mentre parlavo si scioglievano, decomponevano davanti ai miei occhi mostrando denti aguzzi, occhi rossi e putridume che colava dalla pelle scoperta.
“Salvarti?” disse Oak “ahahahaha non ci pensiamo neanche. È strano come tu sia resistito tanto a lungo, ma vedrai che tra poco anche tu smetterai”
“Muori”
“Sai cosa facciamo qui?”
Me che puntavo una pistola in gola
“Qui creiamo, noi creiamo pokèmon! Due nuove regioni, due nuove regione da rimpolpare di pokèmon”
“Fai schifo, sei un peso per il mondo”
“Oh ma i pokèmon esistono. Quelli vivi. Non gli spettri, loro si creano con il tempo, portando anime a vagare nel mondo o a inserirsi in oggetti”
Me che premo il grilletto
“Qui abbiamo creato ogni pokèmon spettro! Siamo dei geni!”
“Scappa da questo schifo, muori, è l'unica via!”
“Ma se uccidevano noi i pokèmon nulla si creava, solo se compievano un suicidio spontaneo si creava l'alone di spettro da creare e plasmare. Allora... sai cosa abbiamo fatto? Per tenderli al suicidio li abbiamo drogati. Abbiamo versato nella fonte del fiume pillole depressive. Allucinazioni, voci, incubi. Tutti morivano, incapaci di sopportare un peso così grande, incapaci di sopportare questa vita. Centinaia, centinaia di pokèmon spettro da far vivere in altre regioni. Noi siamo Dio!”
“Ucciditi. Sarà veloce!”
“E ora tocca a te. Noi usciamo. Qui c'è ogni materiale per farti finire”
Me spappolato al suolo.
Caddi a terra, troppe, troppe informazioni.
La luce, pian piano diventò sempre più scura, sempre più fievole.
Dei Vaporeon con gli occhi neri e la bocca spalancata, colanti di quel sangue nero arrancavano verso di me, con le loro due zampe che sorreggevano la testa direttamente attaccata a quella coda che scandiva ogni secondo sbattendo nervosamente sulla fredda pietra. Poliwag dalle quattro braccia correvano sulle pareti come dei piccoli ragni aprendo la loro bocca dentata, messa lì, grossa, spalancata e piena di denti al posto della piccola spirale. Piccoli pikachu e pichu, dilaniati in due sbattevano ossessivamente le ali di Golbat per riuscire a sollevarsi nell'aria, senz'occhi e senza bocca urlavano il loro straziante dolore con il loro corpo contorto e rachitico.
E io disteso al suolo, ormai incapace di muovermi con la testa che pulsava, la vista appannata ed il buoi che si stava prendendo gioco di me e delle mie paure. E quelle voci, quelle voci che mi urlavano che nessuno potrà più farmi del male, nessuno potrà più insultarmi se smettessi di sentire, se smettessi di mangiare, se smettessi di respirare.
Sono inutile.
Sono patetico.
Tutta questa strada per essere dilaniato da mostri che forse esistono solo nell'oscurità della mia testa.
Si avvicinano sempre di più e mi afferrano le gambe e le braccia con denti e zampe. Le loro unghie mi feriscono ed il mio sangue è nero, scuro e denso come la pece.
“Sei uno di loro. Sei un mostro. Muori. Devi morire”
Allungai un braccio e afferrai la prima cosa che le mie dita toccarono. Una fredda e lunga lama.
“Passala sui polsi”
Ed il sangue comincia a raggrumarsi.
“Passala più a fondo”
Ed il sangue comincia a uscire copioso.
“Fallo un'altra volta”
E dalla ferita, insieme alla pece, escono minuscoli vermi che strisciano intorno al mio corpo
Le voci cominciano a perdere d'intensità, anche i morsi di quegli orrendi pokèmon cominciano a fare meno male.
Ma il buio aumenta.
Sempre di più.
E loro si avvicinano.
Sempre di più.
Fino alla fine.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: DeadlyPain