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Autore: She loves you    25/04/2015    0 recensioni
Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da quando ti conosco cerco di convincermi che le distanze siano una cosa bellissima. Che tanto poi in un modo o nell'altro ci rivediamo. Ed è così, di sicuro. Ma vaffanculo. Tra di noi chi è stato il primo a decidere che gli abbracci erano solo un bisogno fisiologico? Ogni mattina mi sveglio con calma, pensando che sarebbe bello parlare al plurale e dire che andiamo a vedere insieme cosa c'è in cucina. Che nonostante i disordini alimentari, il vomito e le lacrime, io vorrei tanto arrivare a farmi male per ascoltare il tuo respiro tranquillo alle sei del mattino. E invece mi giro e mi cade l'occhio sul mio riflesso allo specchio, mi dico che in effetti sono sostanzialmente sola e con poca fame. Mi chiedo come ci sono finita io qui dentro. Era bello. Era bello svegliarsi insieme in quella stanza e scendere le scale per pulire il salone dai resti delle nostre sbronze. Era bello aprire gli occhi e fissare il soffitto bianco, con il tuo braccio destro poggiato sulle ossa sporgenti. A volte mi chiedevo da dove cazzo provenissero tutti i tuoi pensieri astratti, e se ero io che non riuscivo a capirti o solo tu che non riuscivi a capirti. E tutte quelle volte che ti ho chiesto se quelle parole in tedesco esistevano davvero o te le eri inventate solo per stupirmi. Ed era bello anche sentirti leggere alcune pagine di certi libri, ascoltarti pronunciare quelle parole di cui non conoscevi neanche il significato e che ti facevano sembrare uno straniero trapiantato. Guardarti mentre ti metti i vestiti per andare a lavoro, immaginarti mentre li togli per venirmi incontro. Chissà perché non riesco mai a parlarti. Devi andare a lavoro, devi andare a lavoro, devi andare a lavoro. Però poi promettimi che quelle bottiglie di alcol che abbiamo nascosto nall'armadio andranno a finire in mille pezzi nel salone, e che ci alzeremo di mattina presto per far sparire tutto e far finta che ieri sera ci siamo addormentati presto perché eravamo stanchi. Torniamo a bagnare il letto di lacrime e sudore, che tanto poi parti per altre tremila settimane per la Russia e io non avrò neanche più il diritto di pensarti ad una distanza attraversabile con i frecciarossa e gli eurostar mentre leggo riviste. La stazione di Milano centrale che sembra reduce da una lotta armata tra immigrati clandestini. Le pagine strappate dai libri di Baudelaire. Le nostre foto sparse nella vasca da bagno. Ti prego, arriva. La tua mancanza pesa anche quando siamo lontani quattro piastrelle del pavimento. Chissà come starai tra il freddo e la transiberiana. Chissà se penserai al fatto che da una parte gli abbracci sono solo un bisogno fisiologico. Io intanto comincio a scriverti la lettera che forse ti invierò tra cinque mesi e che ti arriverà tra altrettanti cinque mesi. E tu perché non mi hai mai chiesto di sorvolare insieme sulle luci di questa Europa patetica? E di passare un po' di tempo insieme nel quale avremmo potuto andare a letto presto e sforzarci di mangiare con le posate? Vorrei che i tuoi genitori non avessero preteso così tanto da te. Cos'è che ti fa sentire sempre come se tu fossi troppo poco. Mi dici a bassa voce che ti senti un po' triste, e immagino le tue corde vocali che sforzo stanno facendo nel pronunciare queste parole. Ti bacio sulle lacrime e spero che tu possa trovare il modo di non pensare per un secondo. Io mi sento così impotente. Chissà perché non riesco a trovare nessun modo per consolarti. Ti dico torna presto, che poi quando ci vediamo saremo felici da far schifo e andremo a prendere tutti i treni alla stazione di Genova. Ti dico anche di non preoccuparti, nel frattempo io sono quasi invulnerabile e non mi manca niente, solo a volte, tu.
  
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