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Autore: Biszderdrix    26/04/2015    1 recensioni
Come possiamo sapere se siamo pronti per le sfide del mondo? Come possiamo sapere se saremo all'altezza di ogni nemico? Ma soprattutto... se fossi tu stesso il tuo nemico?
L'intera saga di Dragon Ball e degli eroi che tutti amiamo riscritta dalle origini del suo stesso universo, per intrecciarsi a quella di un giovane guerriero, che porta dentro sé un potere tanto grande quanto terribile, dai suoi esordi fino alle sfide con i più grandi nemici, e la sua continua lotta contro... sé stesso.
Se non vi piace, non fatevi alcun problema a muovere critiche: ogni recensione è gradita, e se avete critiche/consigli mi farebbe piacere leggerli, siate comunque educati nel farlo.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO VENTUNESIMO- ISOLAMENTO

Anno 769- Due anni dalla sconfitta di Cell

Sfogliò il suo vecchio album di foto, finché non si soffermò su una foto in particolare: in una grande tavolata, ben assortita, sedeva la sua famiglia mescolata alla famiglia Ryder. C’erano solo sorrisi e tanta allegria in quella foto: guardò suo padre Mark, un braccio attorno al collo di Damon Ryder, una grande risata sul volto di entrambi.

Kira Ryder era in primo piano, su un lato, a far intendere che stava scattando lei quella foto: dietro di lei, le mamme, anch’esse con un sorriso di serenità sul volto.

E poi, uno a fianco dell’altra, lei e Daniel: lui un po’ dimesso, con un sorriso imbarazzato, mentre lei teneva il gomito appoggiato sui suoi capelli disordinati, un sorriso che mostrava tutta la dentatura stampato in volto, l’altro braccio disteso, rivolto verso la macchina fotografica, con due dita alzate a formare una V.

Pamela Ikeda continuò a fissare la foto, le lacrime che cominciavano piano a formarsi nei suoi occhi: non tanto perché ora entrambe le famiglie erano sparite, per sempre, per colpa di uno scienziato pazzo e del suo mostro.

Il suo sguardo si era soffermato sulle figure degli unici due superstiti: quei due bambini, oggi due ragazzi costretti a crescere in fretta. Pensò soprattutto a quel bambino, a come a nemmeno vent’anni si ritrovasse a confrontarsi con forze più grandi di lui stesso.

Quel bambino, poi quel ragazzo, che una cosa aveva sempre avuto: il sorriso sulle labbra.

Ora, si erano entrambi trasferiti nella villetta di nonna Amy, completamente dalla parte opposta rispetto a dove vivevano prima: la casa dell’anziana signora era semplice, e per dare una stanza anche a Pamela aveva dovuto rinunciare al suo piccolo studio.

Proprio in quel momento, mentre era seduta sul divano del piccolo salotto, con il vecchio album di foto che era riuscita a recuperare nella distruzione che si era creata anche in casa sua per l’arrivo di Cell, il campanello suonò.

«Cara, per cortesia, puoi andare alla porta?» disse una voce da una delle camere da letto.

«Certo, nonna Amy.»

Pamela si avvicinò allo spioncino, e non appena vide chi c’era dall’altra parte, si affrettò ad aprire la porta.

«Ciao ragazzi! Cosa vi porta qui?»

Davanti a lei, sulla soglia, stava Bulma, e ditero di lei Crilin e C-18, che si frequentavano ormai da qualche mese ed erano ormai prossimi a sposarsi. Pamela non poté non notare come i capelli crescessero ora copiosi sulla testa dell’ex monaco, ma non era già più una sorpresa per lei.

«Una ragazza non può visitare una vecchia amica?» disse l’azzurra, ridacchiando.

«Oh, ma certo! Entrate pure, mettetevi comodi!» disse, indicandogli il divano e la poltrona.

«Nonna, abbiamo ospiti!» urlò. Dopo di che si recò nella piccola cucina, dove mise su un vassoio qualche bicchiere d’acqua e una piccola ciotola con delle patatine.

Ritornò in salotto per vedere che anche l’anziana padrona di casa era entrata in salotto, a salutare i nuovi arrivati. Poi si rivolse a Pamela «Cara, io vado a fare la spesa, ricordati di sistemare anche la sua camera, nel caso si faccia vivo…»

Pamela annuì, e nonna Amy uscì dall’appartamento. Poi posò il vassoio sul tavolino del soggiorno.

«Certo che per avere settant’anni, li porta veramente benissimo!» disse Bulma, mentre prese uno dei bicchieri dal vassoio.

«Oh si, le piace mantenersi in forma… Spero vi vada bene quello che ho portato, non c’è molto altro in casa.»

«Oh figurati, non c’è problema Pamela.» disse Crilin, sgranocchiando una manciata di patatine «Più che altro, puoi immaginare perché siamo qui.»

Pamela affondò nella poltrona, lo sguardo basso mentre si massaggiava le tempie con la mano destra.

«Lo posso eccome, ragazzi... il fatto è che… io non so più cosa fare…»

«Lo sappiamo. Per questo vogliamo provare a farlo ragionare.» disse nuovamente Crilin «In più, lui ancora non sa di me e C-18. Oltretutto eri desiderosa anche tu di conoscerlo, vero tesoro?»

Il cyborg gli fece un mezzo sorriso.

«Si… Mi era parso un tipo simpatico.» rispose la cyborg con il suo consueto tono freddo.

«Si… lo era.» disse Pamela «Ma Cell e il dottor Gelo ce lo hanno portato via. Quello che da due anni sta facendo la vita dell’eremita, non è il Daniel che mi ricordo io… e che rivoglio.»

«Lo rivogliamo tutti, Pamela. Noi non lo vediamo da ben due anni: ha perso quel gran casino con quel Bojack, ma soprattutto non si è presentato al MIO MATRIMONIO!» gridò improvvisamente Bulma.

Pamela sorrise: il Daniel che si ricordava avrebbe riso di gusto quella giornata a veder Vegeta profondamente in imbarazzo, in uno smoking bianco del quale si era lamentato tutto il tempo, e di vederlo togliersi con irritazione ogni singolo chicco di riso dai capelli.

«Guarda, perfino Vegeta è preoccupato… a modo suo. Ad ogni modo, devi dirci dov’è, vogliamo assolutamente parlargli.»

Pamela la guardò, leggermente indecisa. «Non lo so ragazzi, potrebbe essere una grande delusione…»

«Senti, noi sappiamo che non lo sta facendo perché, all’improvviso, ha deciso che ci odia tutti, anzi...» disse Crilin «Sappiamo di cosa si porta dentro, e della sua paura di non poterlo gestire. Ma siamo qui oggi, noi che lo abbiamo visto crescere come guerriero e come uomo, per dirgli che non può insistere su questa via. Non può vivere in questo modo, pensando che il mondo debba temerlo, nella paura di fare del male ai propri cari.»

Pamela lo guardò dritto negli occhi: era, evidentemente, una decisione che non poteva essere cambiata. Ma sapeva in cuor suo che sarebbe stato difficile ottenere dei risultati…

«Ok, vi accompagnerò da lui… ma non è il caso che ci arriviamo in volo. Credo sia meglio mantenere le nostre aure basse, in modo che lo si prenda di sorpresa.» disse la rossa, facendo l’occhiolino «Sempre che non stia meditando.»

Li accompagnò fuori dal condomino: poiché ora vivevano dall’altra parte della città, il sentiero che portava al piccolo villaggio di montagna non era distante.

«Faremo un salto da Takeshi: vedrete, vi starà simpatico. È un nostro caro amico, e fa del ramen veramente squisito ad un prezzo stracciato, in più potrà darci qualche informazione su come si sta comportando in quest’ultimo periodo.»

«Si, ma… è ancora lunga?» chiese Bulma, ansimando leggermente.

«Beh, ringrazia che hai messo le scarpe da ginnastica e non i tacchi, ragazza!» le disse Pamela, scherzosa «Manca ancora un po’, ma non è ripido: è una passeggiata piacevole.»

Dopo un po’ giunsero nel piccolo villaggio sulla montagna. Pamela scambiò qualche saluto, poi il gruppetto si diresse ad una locanda che la rossa conosceva piuttosto bene.

«Pamela! Che bello rivederti!» disse la voce calda e amichevole di Takeshi, sul quale l’età iniziava a farsi sentire, visti gli ormai inequivocabili capelli bianchi.

«Anche per me, Takeshi! Questi sono degli amici!»

«Buongiorno anche a voi! Posso prepararvi qualcosa?» chiese il venditore.

«No…» Pamela cambiò radicalmente espressione, per dare enfasi alla serietà del momento «In realtà, siamo qui per lui.»

«Oh…» l’allegria sparì immediatamente dagli occhi del venditore.

«Appunto… ha combinato qualcosa in questi giorni?»

«Si… scende spesso per andare alla taverna qua di fronte, a bere. Saké, vino, birra… basta che sia alcolico.» disse il ristoratore, sospirando. Poi riprese: «Io non ce la faccio più Pamela: possa accettare che beva, che abbia iniziato a fumare, ma non a non vederlo più sorridere, scherzare e divertirsi come un tempo. Mi fa stare male.»

«Ti capisco, amico mio… Adesso abbiamo intenzione di andare lassù, vediamo se con i rinforzi riusciamo ad ottenere qualche risultato...»

«Buona fortuna, allora.» disse, senza aggiungere altro.

Il gruppetto uscì, e prese la direzione del sentiero, che li avrebbe portati al laghetto.

«Bere… Ci mancava solo l’alcol, dannazione!» gridò improvvisamente Pamela, irritata.

«Non ci avevi detto nemmeno che aveva iniziato a fumare…» disse Bulma.

«Per un hatwa, fumare non è nocivo, da quel che ho scoperto grazie a Piccolo: i prodotti della bruciatura, anche della carta che avvolge il tabacco, non intaccano le nostre cellule. La carta è creata dalla cellulosa, e il tabacco è una pianta: così per un Hatwa diventa un modo come un altro di rilassare i nervi. Anche suo padre fumava, non ti ricordi?» gli rispose.

«E per quanto riguarda l’alcol?»

«Quello è il vero problema.»

Le due donne si scambiarono degli sguardi preoccupati. C-18, invece, si rivolse al compagno: «E questo sarebbe la stessa persona che passava le giornate ad allenarsi, quello che prendeva in giro Vegeta, lo stesso disposto a perdonare me e mio fratello fin dal principio?»

«Si tesoro…» gli rispose Crilin, in un tono che pareva quasi irritato.

«Sei preoccupato?»

«Eccome: sono stato tra i primi ad insegnargli qualcosa nelle arti marziali, anche se non sono mai stato effettivamente il suo maestro, nonostante gli abbia anche insegnato a volare. È diventato uno dei miei migliori amici, e francamente non permetterò che Cell me lo porti via come ha fatto con un altro mio caro amico…» disse, facendo un chiaro riferimento a Goku.

Le tre donne si fermarono per un istante, sorprese dalla fermezza e dalla decisione di Crilin, che non era solito essere così duro.

Quando furono passati almeno tre quarti d’ora da quando avevano lasciato Pepper Town, Pamela alzò lo sguardo e sorrise.

«Siamo arrivati.» disse, mostrando al gruppo lo scenario che si apriva dopo una strettoia nella roccia.

“WOW…” fu tutto ciò che uscì dalle bocche degli altri tre membri.

Pamela ormai conosceva bene quel luogo: la piccola foresta, il laghetto, le montagne intorno.

«Vi piace?»

«È bellissimo…» disse Bulma.

«Questo è sempre stato il nostro luogo di allenamento da quando il Supremo lo lasciò andare.» sospirò all’idea che erano già passati sette anni da quel giorno.

«Lui dov’è?» chiese C-18, rovinando l’atmosfera agli altri due.

Pamela sapeva benissimo dove andare. Ma prima ancora che potessero fare un passo, nel centro del lago comparve una piccola luce, che immediatamente si separò in tante altre, che si separarono ulteriormente nel giro di un istante, generando quello che pareva un grande stormo di lucciole, che poi si trasformò in una serie di esplosioni potentissime.

«Fantastico. Si sta allenando.» disse Pamela.

«C-Cos’era quella?» chiese Crilin.

«Quella era la Tempesta Mortale. Per me resta un nome stupido, ma come tecnica non è niente male, ora che l’ha perfezionata.» commentò la giovane hatwa, come fosse la cosa più normale del mondo.

Scesero verso il lago, fortunatamente senza udire altre esplosioni, finché non raggiunsero la riva.  E lì lo videro.

In volo sopra la superficie, in una tuta sportiva scura, c’era Daniel Ryder: aveva in bocca una sigaretta, che a quanto pare aveva terminato, visto che la gettò via in quell’istante. Non aveva un’aria trasandata, ne pareva non si curasse, ciò nonostante pare che passasse in quel luogo più tempo che in casa.

«Ehi, fenomeno!» gli gridò Pamela «Hai visite!»

Lui si voltò, per un istante: la sua espressione pareva priva di ogni sentimento. Si girò nuovamente e iniziò a combattere contro l’aria.

«SENTIMI UN PO’, GIOVANOTTO!» gridò improvvisamente Bulma «ABBI UN PO’ DI RISPETTO ALMENO PER CHI SI PREOCCUPA PER TE! NON TI SEI NEMMENO CURATO DI PRESENTARTI AL MIO MATRIMONIO! VEDI DI SCENDERE IMMEDIATAMENTE!»

A quel punto il guerriero interruppe i suoi esercizi.

«Calmati, Bulma…» gli disse Pamela, stringendole i polsi.

In quel momento, Daniel discese lentamente, atterrando a riva. Guardò i nuovi arrivati, uno per uno.

«Ciao, ragazzi.» disse, freddo.

«Daniel, perdona lo sfogo di Bulma…» gli disse Crilin «Ma non ti fai vedere da due anni! Siamo tutti preoccupati per te!»

Il giovane hatwa lo guardò indifferente.

«Non puoi rinunciare alla tua vita!» riprese Crilin.

Frugò nella tasca della tuta, estrasse un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Fece un tiro deciso, guardando negli occhi il suo vecchio amico.

«Tu non puoi capire Crilin.»

«Non è vero! Sei tu che non VUOI capire, che questa non è la strada giusta. Anche io credevo tempo fa che non avrei mai raggiunto certi traguardi, ed ora sono qui a presentarti la mia ragazza. Che peraltro, credo tu conosca già… Tra qualche mese ci sposeremo, e mi piacerebbe tu venissi.»

C-18 e Daniel si scambiarono uno sguardo: per una volta la cyborg rivide gli occhi vuoti e privi di emozioni di C-16. C’era però un’unica differenza fondamentale: C-16 era una macchina.

«Molto piacere. Crilin mi ha parlato molto bene di te.» gli disse la cyborg, tendendo poi la mano.

Daniel tirò nuovamente dalla sigaretta, fissando la cyborg negli occhi. Poi gliela strinse, in un gesto che non faceva trasparire alcuna emozione.

«Sono felice per voi.» disse freddo.

Crilin a quel punto non ci vide più: «Perché fai così eh? PERCHÉ TI SEI ARRESO, ECCO PERCHÉ!»

Lo sguardo di Daniel si fece più cattivo: «Andate via…»

«Dov’è finito il mio amico? Quello che aveva sempre la battuta pronta! Quello che non si arrendeva mai? Quello che ha voluto provare la kamehameha a 6 anni, svenendo, e che ci ha provato finché non è riuscito! Quello che non si abbattuto di fronte all’idea di non poter aiutare i propri amici, ma ha saputo trarne forza! Quello che ha spudoratamente sfidato il dottor Gelo, e insultato C-17 pur sapendo di rischiare la vita! Quello, le cui parole mi hanno ispirato e mi hanno aiutato a trovare l’amore!»

Il piccolo terrestre era madido di sudore dallo sfogo.

Negli occhi di Daniel c’era ora quella che pareva una furia incontenibile. Ma C-18, fredda come al solito, vide qualcos’altro, prima che il ragazzo urlasse: «Andate… VIA!»

In quel momento la terra tremò, e il vento iniziò a soffiare più intensamente per qualche istante. L’aura di Daniel, in quel breve attimo, crebbe a dismisura.

Quando poi si placò, anche la terra e il vento si fermarono.

«Va bene, fenomeno, abbiamo capito.» disse Pamela «Andiamo via ragazzi.»

Daniel si alzò nuovamente in volo, tornando nel centro del laghetto, continuando a fumare la sua sigaretta.

Il gruppetto si allontanò, ripercorrendo la stessa strada di prima. Crilin però, si fermò un istante, guardando ancora verso la figura al centro del laghetto.

«VA BENE, PROSEGUI PURE SU QUESTA STRADA! MA SE UN GIORNO, PER CASO, DOVESSI RIACCENDERE IL CERVELLO, NOI CI SAREMO COMUNQUE! PERCHÉ NOI ABBIAMO SEMPRE CREDUTO IN TE! SEI TU QUELLO INCAPACE DI CREDERE IN SÉ STESSO!» gli gridò.

Come prevedibile, non ottenne reazione alcuna dall’amico. Scosse la testa, e si riunì al gruppo.

«Mi dispiace ragazzi, ci avete provato, ma avete visto… non è più lui.» disse Pamela.

«Lui vuole solamente evitare di rivivere il Cell Game, senza un Cell. È chiaro ed evidente.» disse Crilin «Ma finché continuerà su questa strada, rischia di perdere solo sé stesso, e la cosa mi fa star male.»

Nel gruppo calò il silenzio, mentre proseguivano a ritroso lungo il sentiero percorso non troppo tempo fa.

C-18 prese per un istante il fidanzato in disparte, e gli sussurrò all’orecchio: «Sei stato bravo, laggiù. Mi sei piaciuto.»

«Dici?» gli rispose, sul volto un mezzo sorriso di compiacimento.

«Eccome: lo hai commosso.»

«E come fai a dirlo?»

«Glielo ho visto negli occhi.» gli rispose la bionda.

«Se lo dici tu…» fu allora che la prese per mano, sorridendo, e proseguirono insieme.

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Non potevo negare che mi avesse fatto piacere la loro visita: era veramente da troppo tempo che non li vedevo.

Avrei voluto dire a Crilin che quei capelli gli stavano bene; avrei voluto essere entusiasta per lui e C-18; avrei voluto esserci al matrimonio di Bulma…

Soprattutto, non avrei voluto lasciare gli altri soli contro quel Bojack: ma la ferita era ancora troppo fresca, e poi, Gohan se l’era cavata, ancora una volta, egregiamente. Pamela provò, uno dei pochi giorni che passavo da casa, che sia Gohan che Chichi erano passati, chiedendo di me: volevano anche loro farmi conoscere il nuovo arrivato in casa Son, Goten. Pamela li aveva dissuasi, cosa che non gli era riuscita, oggi, con quei tre…

Io vorrei poter tornare alla vita di prima, ma non posso: corrono un pericolo troppo grande vicino a me.

Era da un po’ che la voce di quel mostro nella mia testa si era placata: ogni tanto si faceva sentire, come un pensiero che compariva improvvisamente nella mia testa, portando sempre solo malvagità.

Li guardai mentre imboccavano la strettoia tra le montagne che li avrebbe condotti fuori dalla conca, e pensai a come si fossero prodigati solo per venirmi a trovare.

Le parole di Crilin poi, mi avevano quasi commosso: erano state comunque le parole più forti che avessi mai potuto ricevere, cariche di affetto e preoccupazione. Era un vero amico.

Ma non dovevo dare a vedere che mi aveva commosso: non dovevo cedere.

Aveva ragione, comunque: si, mi sono arreso. Mi sono arreso al fatto di essere un debole, di non poter controllare il mostro dentro di me. Perché viene facile a loro, parlare: non devono conviverci tutti i giorni. Non devono convivere con il dramma di poter essere la causa della loro morte.

Fumare e bere, mi aiutano a distendermi, a rilassarmi: anche se devo iniziare a dosarmi con l’alcol, purtroppo a quello sono sensibile come un essere umano…

Anche se non lo sono: la mia famiglia, quella di Pamela, e a quanto pare molti altri nel mondo, siamo dei fottuti extraterrestri, e a quanto sembra extraterrestri molto intelligenti. Una delle tante cose che mi sono state tenute nascoste, e per la quale io oggi pago questo prezzo salatissimo.

MORIRANNO TUTTI…

Eccola, ancora una volta: ormai non si sentiva più così spesso, e non riusciva neanche più a mandare messaggi logici. Sembrava più l’eco di qualcosa di molto lontano: la dimostrazione che quantomeno riuscivo a reprimerla. Ma a che prezzo?

Ancora una volta, compresi che aveva ancora ragione Crilin: stavo perdendo me stesso. Ma era l’unico modo per tenere a bada quella cosa.

Non andavo quasi più a casa: queste mie paure mi stavano facendo dimenticare il calore e l’affetto di mia nonna e dalla mia migliore amica, tutto ciò che mi rimaneva da chiamare famiglia.

Tutto questo, per colpa di quel figlio di puttana del dottor Gelo e di quel bastardo di Cell…

UCCIDI, DISTRUGGI…

“NO!”

Dovetti immediatamente soffocare quei pensieri: la rabbia e la brama di vendetta erano le sue principali valvole di sfogo.

Mi guardai intorno, stralunato: non mi accorsi che erano passate delle ore, ed era già calata la notte. Ero rimasto immobile, sul lago, a pensare, per delle ore.

Decisi di andare al villaggio, a bere qualcosa: ero ben consapevole di come sarebbe finita. Fortunatamente, avevo fatto una bella scorta di zeni l’ultima volta che ero passato da casa: come sperperare un’eredità.

Atterai di fronte alla locanda, sorprendendo qualche avventore: alcuni fecero dei cenni di saluti, ai quali risposi freddamente. Mi sedetti al bancone, notando comunque come la gente che vi aveva già preso posto si stesse lentamente spostando, una volta capito che mi stavo dirigendo lì: non gli diedi troppo peso.

«Buonasera, Daniel.»

«Buonasera, Yuto. Sai che ore sono?»

«Non avevi un cellulare?»

«Lasciato a casa…»

«Beh ti converrebbe tornarci… comunque sono le dieci e un quarto. Cosa ti servo stasera?»

«Sakè. E lascia la bottiglia, per favore.»

«Ai suoi ordini!» disse, con uno smorzato entusiasmo, prima di posare davanti a me una bottiglia aperta e un bicchierino, che mi affrettai a riempire.

Sentii immediatamente l’alcol scaldarmi l’esofago mentre lo bevevo, provando immediatamente una sensazione di maggiore leggerezza: mi annebbiava la mente, e quindi ogni brutto pensiero.

Non attesi molto prima di versarmi un altro bicchiere, e poi un altro, un altro e un altro…

Al decimo bicchiere, mi interruppi per un istante: ormai avevo perso completamente la concezione del tempo, e la visione era già mezza offuscata.

Mi sentii poi, toccare diverse volte sul braccio, come se qualcuno volesse attirare la mia attenzione.

«Ghe sciè?» biascicai, sorpreso. Feci fatica a riconoscere la figura di Yuto, il locandiere.

«Ragazzo, c’è qui uno che ti cerca: ha l’aria piuttosto arrabbiata…»

«Digli, ghe deve *hic* prendere appuntamento dalla mia sciegretaria…»

A quel punto mi sentii sollevato di peso e caricato sulle spalle da qualcuno…

«Ehi am-ico, aspeeeetta… devo *hic* p-pagare… Yuto! YUUUUUUTOOOO! Aha, che bello d-dondolare…»

«T-Tranquillo ragazzo, offre la casa stasera…» disse quella che riconobbi essere la voce di Yuto.

Tutto successe così in fretta, vidi la porta della taverna e poi la piazza, con quelli che mi parvero dieci, o forse venti, quindici persone che diventavano sempre più piccole.

«Wooooooooow… guarda come diventa tut-to più piccolo *hic* SCIAOOOOOO!!!»

«Guarda cosa mi sono ridotto a fare…» disse la voce di quello che mi aveva caricato in spalla.

«Ehi ammico… dov-ve mi p-porti? *hic*»

Lui non rispose, mentre le montagne si facevano sempre più vicine. In quel momento, le palpebre mi crollarono definitivamente, e mi addormentai.

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«Ugh…»

Il sole dell’alba mi svegliò, colpendomi direttamente negli occhi. Avevo un gran mal di testa: quello che mi meritavo dopo aver voluto esagerare, per l’ennesima volta.

Poi mi tornarono immediatamente in testa, molto confusi, i ricordi della sera precedente: chi era il tipo che mi aveva portato via dalla locanda? E soprattutto, dove mi aveva portato?

Mi fu facile rispondere alla seconda domanda: una rapida occhiata al paesaggio, e capì che mi trovavo nei pressi dell’ormai familiare laghetto di montagna in cui ero solito allenarmi.

«C-come diavolo ci sono arrivato qui?»

«Ah, ti sei deciso a svegliarti, finalmente.» disse una voce potente e autoritaria.

Una voce che non sentivo da parecchio tempo.

«Cosa ci fai qui, Vegeta?» dissi, mentre già sentivo il mal di testa diminuire d’intensità: quello era uno dei vantaggi di avere cellule come le mie, nonostante gli effetti dell’alcol si facessero comunque sentire.

Lui mi dava le spalle, e fissava il laghetto.

«Bulma ieri sera mi ha detto quello che è successo. Sai, moccioso, non me n’è mai importato un fico secco di te e di tutti gli altri.» disse, graffiante.

«Ma oltre che parecchia insolenza, in te comunque ho visto abbastanza potenziale perché tu possa diventare qualcosa degno di essere definito un guerriero. Eppure, tu preferisci umiliare te stesso e la tua vita per paura di sfruttarlo: questa cosa non è accettabile.»

“Ecco, un altro che non capisce” pensai, una volta che ebbe finito il suo discorso.

Almeno, io credevo fosse finito. «Allora ho pensato che forse un metodo più rigido sarebbe stato più efficace.» disse, girandosi verso di me.

Mi rialzai in piedi, ancora, piuttosto scosso: «Senti, non so cosa tu abbia in mente ma-»

Non feci in tempo a completare la frase che un pugno mi spedì lontano, spezzando il tronco di qualche albero.

«Se credi di essere veramente un pericolo per noi, allora combatti con me, dimostramelo. Oppure smettila con questa pagliacciata.»

Lo guardai, mentre la sua espressione seriosa si tramutava in un ghigno: «Anche se fare il pagliaccio è la cosa che ti riesce meglio.»

A quel punto allora colsi la sfida: in un attimo, mi potenziai, sfruttando la fusione con il flusso di energia vitale, e gli fui addosso.

Lui parò facilmente il mio primo colpo.

«Niente male, ma non credo sia sufficiente, pivello…» disse, pronto a colpirmi con un calcio.

Ma per sua sorpresa, mi proiettai dietro di lui, e con un colpo a mani unite lo scaraventai a terra.

“Mantieni il controllo…” mi dissi “Cerca di rimanere in te.”

«Ah, è così, eh? Vediamo allora come ti confronti con questo!»

E con un piccolo grido, aumentò la sua aura e si trasformò in super saiyan.

“No, Vegeta, ti prego…” pensai, consapevole che se mi avesse spinto al limite avrei veramente potuto farlo uscire.

Ma proprio mentre ero fermo a riflettere, lui fu immediatamente davanti a me, e con un pugno mi scagliò via, facendomi sfiorare la superficie del lago. Fui comunque rapido a rimettermi in sesto, e con una capriola fui nuovamente in piedi, levitando sull’acqua.

Non feci comunque in tempo a guardare dove fosse, che fu subito sopra di me, pronto a colpirmi con un calcio al volto.

Glielo parai con l’avambraccio, mentre col pugno sinistro provai a colpirlo a mia volta, centrando in pieno la sua bianca armatura, costringendolo ad arretrare.

«Veramente niente male, pivello… ma ti servirà ben altro, anche solo per sperare di raggiungere il mio livello.» lo guardai negli occhi, ora di un intenso azzurro, poi notai l’ennesimo ghigno di arroganza stampato sul suo volto.

Uccidilo…

Sentii la mia aura aumentare di molto, e lo attaccai: questa volta riuscii a colpirlo bene sul mento, scagliandolo lontano. Lui riprese equilibrio quasi subito, solo che, invertendo la situazione precedente, fu lui a dover parare un mio calcio proveniente dall’alto.

Allora iniziammo a scontrarci fisicamente, con una continua serie di pugni e di calci che ci spinse sempre più in altro, finché non fummo quasi all’altezza delle cime delle montagne. Finché ad un certo punto non ci ritrovammo a scontrarci, viso a viso, spingendoci a vicenda caricando le nostre aure.

L’onda d’urto che si venne a creare distrusse alcune delle cime delle montagne, che franarono a valle.

A quel punto ci separammo, e il principe dei saiyan caricò un altro pugno, molto potente.

Distuggilo…

Afferrai il suo pugno nel mio palmo, non accorgendomi di quanto stesse pericolosamente aumentando la mia aura. Allora lo colpì a mia volta, con l’altro pugno, e sfruttando il movimento mi piegai in avanti e con un calcio lo lanciai in basso, verso il lago.

UCCIDILO!

A quel punto stavo per perdere completamente il controllo delle mie azioni, quando caricai la sfera di ki nella mia mano, con la chiara intenzione di testarla su di lui.

«TEMPESTA MORTALE!» gridai a pieni polmoni.

Vidi che aveva appena recuperato l’equilibrio quando il gigantesco stormo di piccole sfere lo raggiunse. Ci fu un’esplosione enorme.

A quel punto però, mi resi conto che ero andato troppo oltre. Cercai immediatamente di calmarmi, ero andato troppo vicino al limite consentito.

«Bella mossa, pivello.»

Mi voltai, e vidi che dalla coltre di fumo che si era creata, con solo qualche graffio sulle placche dell’armatura, stava un illeso Vegeta.

«Ma non ti basterà.»

«Senti Vegeta, io non-» dissi, tentando di scusarmi, prima di ritrovarmelo nuovamente addosso.

Mi rifilò una serie di calci e di pugni che mi parve infinita: io non feci niente per fermarlo, mentre mi parve di sentire dolore in ogni parte del mio corpo.

Finché non mi scagliò a terra con un colpo a mani unite, ed iniziai a cadere verso il basso ad incredibile velocità.

Lo guardai mentre diventava sempre più piccolo alla mia vista, finché non scomparve nuovamente.

Credevo che avrei toccato terra da un momento all’altro, finché non avvertii un dolore atroce sulla schiena: che fortuna che ci fosse il suo ginocchio ad impedirmi di andare a sbattere a terra.

Caddi, rantolando. Mi poggiai sui palmi, sputando un po’ di sangue, e mi voltai a guardarlo.

«Intendi metterci molto a rimetterti in piedi?» mi disse, non guardandomi più con la sua solita espressione spavalda, ma quella seria e fiera del principe dei saiyan, mentre teneva le braccia conserte come suo solito.

Io mi misi seduto sulle ginocchia, e mi voltai dall’altro lato per sputare ancora qualche goccia di sangue. Poi, lo guardai negli occhi per qualche istante, e chinai la testa: no, non volevo continuare quella lotta.

«Come immaginavo: hai deciso per l’umiliazione suprema.»

Mi aspettavo che proseguisse la sua tortura, e invece rimase fermo dov’era, ritornando normale, ma senza smettere di guardarmi con un’espressione che, ora, faceva trasparire del disgusto.

«Avevano ragione quando dicevano che non eri più lo stesso: fosse solo per il tuo stare zitto, mi andrebbe bene. Ma non riesco a sopportare la gente che si arrende. Per un guerriero con un minimo di dignità la sconfitta non è contemplabile, se non si è fatto tutto il possibile per evitarla: non so come ti abbiano insegnato le cose qui, ma sul mio pianeta uno che si arrende è considerato peggio di un saiyan nato inadatto al combattimento! E tu, in questo momento, ti sei arreso al tuo avversario, e sai benissimo che non sto parlando di me!»

Lo guardai fisso nei suoi profondi occhi neri, ricolmi di rabbia: non credevo che proprio Vegeta potesse avere tanto a cuore il mio problema.

«Ti rifiuti di affrontarlo a prescindere, perché ancora contempli la PAURA: tu hai paura a pensare di potercela fare. E se fosse così, sappi che ti disprezzerei più di quanto non facessi già.»

A quel puntosi girò, dandomi nuovamente le spalle.

«È stato comunque un riscaldamento soddisfacente, sei migliorato. E vedi di riflettere su ciò che ti ho detto.»

A quel punto, prese il volo, e si allontanò a grandissima velocità: io rimasi per terra, fissando il cielo.

Guardai in che stato ero ridotto: non avevo ferite, ma tanti lividi e dolori in ogni dove. Ma la cosa più dolorosa, quella mattina, furono le sue parole: si era preoccupato, nella sua maniera, della mia situazione, e quando aveva parlato del disprezzo, capivo che, in realtà, prima doveva provare una sorta di rispetto per me. Anche perché, per sue parole, lui disprezzava praticamente tutti: il suo modo per dire che si trovava bene.

In quel momento però, mi ritrovai con ancora più pensieri di prima.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera gente! Dopo questo breve ponte del 25 Aprile, rieccoci con la nostra storia: in questo capitolo avete visto Daniel fare cose decisamente deplorevoli: eppure, lo fa a fin di bene. Però, potrebbe non bastare… che abbia ragione Vegeta?

Venendo a noi, gli aggiornamenti saranno molto frequenti d’ora in avanti: questo perché il dovere chiama, e mi dispiacerebbe lasciarvi per mesi con dei buchi…

Ogni recensione è gradita, anche critica, purché educata. Se avete dei suggerimenti, fatevi pure avanti!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!
   
 
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