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Autore: M4RT1    26/04/2015    1 recensioni
56th Hunger Games | Distric 8 | OC!Characters
Leandro "Tim" Tiraz ha diciotto anni e si prepara per l'ultima Mietitura della sua vita, in piedi sotto il cielo plumbeo del suo Distretto. Non sa che una minuscola possibilità in quel mare di bigliettini può togliergli anche il diritto di guardare le nuvole.
Dal II Capitolo:
Tributo, già. [...] Come Teseo. Lui combatté contro il Minotauro, io soccomberò sotto i miei coetanei. Lui uccise un mostro, io non sono riuscito neppure a guardare il mio migliore amico negli occhi.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Altri tributi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avviso ai lettori: i personaggi presenti in questa storia sono stati creati da me e restano di mia proprietà, così come l'Arena. Non mi appartiene invece il contesto generale, di proprietà di Susanne Collins, autrice della saga "Hunger Games". ©

 

E se il cielo scompare

 
To be hurt, to feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel you've been pushed around
To be on the on the edge of breaking down
And no one's there to save you

["Welcome to my like" - Simple Plan]


Per tre giorni quasi dimentico che morirò. Lascio che l'addestramento mi assorba completamente, mi renda un manichino che obbedisce ai comandi degli istruttori: colpisci, affonda, impara a mimetizzarti, sutura questa ferita; ci sono cose in cui riesco bene - la corsa, ad esempio, e l'arrampicata - altre in cui sono una frana - e ovviamente tra queste c'è il combattere, con la spada o con l'arco o con i pugni è indifferente. 

Il terzo giorno ci esaminano uno per uno. Quando chiamano me, la ragazza del Sette è appena uscita, tremando leggermente. Subito dopo di me entra Rym. Quella sera stessa, scopriamo di aver conseguito entrambi un otto pieno - otto come il nostro distretto e come le ore che mancano all'intervista. 

E dopo l'intervista, allora comincerà tutto sul serio.

E' per questo che nel momento stesso i cui Caesar Flickerman, allegro e frizzante nella sua capigliatura color prugna, saluta il pubblico, il mio cuore comincia a battere all'impazzata. Ci vuole del tempo prima che chiamino me e la cosa non mi tranquillizza affatto, anzi: preferirei essere il primo, sfilare su quel palco al posto del Tributo maschio dell'Uno e del suo elegante vestito verde bottiglia; si chiama Silver, se non sbaglio, ha sedici anni e un'abilità incredibile nel maneggiare la lancia. Quando fa il suo ingresso, gli spettatori applaudono con foga: è bravo anche a parlare - si presenta, racconta qualche divertente aneddoto sulla sua vita al Centro d'Addestramento e poi conclude con un disgustoso occhiolino alla telecamera. A lui segue la ragazza del suo Distretto, una certa Jew - capelli biondi, occhi celesti, vestito stretto e provocante. Nonostante voglia sembrare semplicemente bella, nei suoi occhi leggo intelligenza e cattiveria.

Le interviste continuano: i Tributi del Due compaiono in semplici abiti neri, eleganti e seri; lui mostra i muscoli, l'aria da duro, sfoggia addirittura un paio di mosse di difesa contro Cesar. Lei si mantiene tranquilla. Dopo l'applauso riservato alla ragazza, mi perdo. Non voglio vedere, non voglio ascoltare, non voglio che mi siano sbattute in faccia tutte le qualità che non ho, che non avrà mai, tutti i motivi per cui perderò. Un paio di Tributi, però, mi restano comunque impressi: il ragazzino del Cinque che non ha più di tredici anni, le cui gambe sono così corte che non tocca terra con i piedi; un ragazzo, forse del Tre, dalla voce particolare; la ragazza del Quattro che si liscia nervosamente i capelli rossi. 

Noi veniamo dopo il Sette. Prima salgo io, poi Rym. Nel momento stesso in cui la ragazza del Sette torna dietro le quinte, le mie gambe cominciano a muoversi verso il sipario, in attesa. Un addetto alla sicurezza mi sussurra di aspettare il mio nome prima di entrare e io lo faccio; alla fine, quando sto per vomitare e scappare contemporaneamente, finalmente Flickerman si decide a chiamarmi: la sua voce pronuncia il mio nome, il mio cognome, il mio Distretto - e anche se sono io, se quella è la mia identità e quelli i miei dati, è come se avesse chiamato un estraneo. Come se io fossi un estraneo.

Cammino. Un passo, due, tre. C'è più folla del giorno della Sfilata e tutti applaudono quando faccio la mia comparsa: capelli pettinati all'indietro, camicia bianca, cravatta nera, pantaloni scuri. Sono elegante, molto più di quanto sia mai stato in vita mia e, per la prima volta, le scarpe non mi vanno né strette né larghe. Nonostante muoia dalla voglia di mettermi le mani in tasca e stringerle a pugno, mi sforzo di tenere le braccia molleggiate sui fianchi e di mostrarmi a mio agio. Alla fine arrivo alla poltrona e, finalmente, mi siedo. Cesar mi guarda - è molto più brutto visto da vicino, tirato e grottesco.

"Allora, Leandro" comincia, avvicinando la bocca al microfono. "Come ti trovi qui da noi?"
E' una delle domande che fa a tutti, quindi sono preparato - Holland ha insistito affinché io e Rym preparassimo un prospetto con risposte standard in caso di domande semplici.
"Bene" dico quindi, la voce un po' fioca. "Sono sorpreso da quanto sia bella questa città."
Non è una bugia, questa, non tutta: la città è veramente bellissima, è solo che avrei sostituito sorpreso con schifato, dato che un po' di questa bellezza potrebbero darla anche ai Distretti.
"Bella, vero?" calca il presentatore. "Molto diversa dal tuo Distretto, immagino" osserva poi. "C'è qualcosa che ti manca di casa tua, invece?"
Potrei rispondere con una lista infinita di cose: l'appartamento all'Isolato sei, il Capannone, Sam, le ore di scuola, quelle di lavoro, i pasti attorno al vecchio tavolo con i miei, perfino gli spifferi delle persiane. Ma preferisco che nessuno si intrometta nella mia vita, che quei ricordi siano miei e basta. Così rispondo: "Le stelle."

Il pubblico sospira: forse per loro ho detto qualcosa di romantico. Io, invece, ho semplicemente detto la verità: a Capitol City non ci sono stelle, non quante all'Otto, comunque. Un giorno ho sentito Kriss parlarne con Rym, le ha spiegato che le luci forti della città le offuscano - io, invece, credo sia una vendetta. Come se l'universo si fosse ribellato allo strapotere dei capitolini e abbia deciso di concederci qualcosa che a loro è stato vietato: gli astri.

"Le stelle" sta ripetendo Cesar. Annuisce teatralmente e mi prende la mano - la sua è calda e morbida, liscia delle ore di nullafacenza dei capitolini. "Ti piacerebbe rivederle?" mi chiede.
Non riesco a parlare. Ripenso a quando, sdraiati sulla vecchia tovaglia, mio padre e io le fissavamo per tutta la notte, accampati in periferia. Ripenso alle costellazioni e ai loro nomi. Ripenso a quel giorno d'estate in cui molte di loro cadono e al fatto che io sarò già morto quando succederà - non potrò più esprimere desideri. 
Non riesco a parlare, così annuisco. Sento Flickerman tirarmi in piedi.

"Ti auguro con tutto il cuore di rivederle ancora" mormora e giuro che sembra dispiaciuto sul serio. Poi, però, torna a sfoggiare il suo sorrisone rifatto e mi strattona un braccio all'insù. "Leandro Tiraz, Distretto Otto!" esclama, mentre la folla esplode in un altro applauso.

 
***

Sarei un bugiardo se dicessi di aver seguito l'intervista di Rym, perché la verità è che, una volta sceso dal palco, tutto quello che ho fatto è stato sospirare di sollievo e ascoltare passivamente i complimenti di un'Holland troppo su di giri. So per certo, però, che è andata bene anche a lei: quando è tornata giù, bellissima nel suo abito bianco, sembrava parecchio sollevata. Poi è tutto finito: in un attimo siamo stati accompagnati al nostro piano, l'ottavo, e Holland ci ha spinti in camera per prepararci per la cena.

E' un momento importante: è l'ultima cena che facciamo insieme, quella delle somme e dei consigli finali. E io odio gli addii, li odio davvero.
Eppure, mezz'ora dopo sono a tavola, come sempre. Ci sono tutti, oggi: Rym, naturalmente, i Mentori, Holland e perfino i nostri stilisti. Lauren annuisce con decisione quando mi vede e, per un momento, mi ritrovo a sperare che questa sera duri in eterno - se così fosse avrei cibo, amici e speranza. Invece non ho nulla se non una decina di ore.

"Allora, ragazzi" comincia Woof non appena ho preso posto. Un Senzavoce, a occhio e croce della mia età, ci sta servendo una zuppa calda e dolciastra. "Siete stati bravi" continua. Prende un pezzo di pane e, nella pausa che fa per mandarlo giù, scorgo Kriss che rotea gli occhi - è palesemente in disaccordo. "Domani, nel momento stesso in cui partirete con l'hovercraft, io e il mio collega cominceremo a cercarvi sponsor."

Vuole consolarci, darci altra speranza e mi sorprendo a non esserne infastidito, anzi: ne ho bisogno. E' come se il mio corpo volesse così tanto credere a quello che il vecchio sta dicendo da farmi immaginare lo scenario - noi nell'Arena, magari nascosti al sicuro, e loro che ci inviano tutto ciò che ci serve. E' possibile, in effetti, succede tutti gli anni che alcuni Tributi vengano soccorsi e salvati da quei paracadute lucenti. Li produciamo noi, insieme alle divise dei Pacificatori e a quelle che i Tributi indossano anno dopo anno, nell'Arena - solo che i possibili partecipanti ai Giochi vengono esclusi da quel settore: è una delle poche regole veramente ferree del nostro Distretto; perché se conosci le divise puoi immaginare l'Arena e partire avvantaggiato. E nessuno dei Distretti Remoti può essere avvantaggiato, agli Hunger Games, così ti uccidono.

"Tutte stronzate!"

Non so se sia il termine o Holland che trattiene rumorosamente il fiato, ma qualcosa mi riscuote. Mi rendo conto di essere a tavola e di aver perso metà del discorso di Woof che, in questo momento, fissa Kriss con sguardo truce. Il ragazzo però non sembra particolarmente scosso: se ne sta seduto scompostamente, le gambe divaricate e la forchetta che gratta sul fondo del piatto. "Stronzate" ripete. "Nessuno si salva senza uccidere."

Mentre lo dice, mi rendo conto di non sapere niente di lui. Non ho idea di come abbia vinto, di come si sia procurato quella cicatrice che ha in faccia, di quante altre ne abbia. Non so nemmeno il suo cognome. Ma una cosa è certa: lui sa come si vince, lo sa meglio di chiunque altro. Ed è sincero. Quindi mi volto verso i suoi capelli rossi e gli chiedo: "E allora qual è la verità?"

Per un momento, Kriss sta zitto. Mi guarda solo, come valutando se sia pronto per il suo segreto. Poi, dopo un interminabile minuto durante il quale gli altri hanno ripreso a mangiare, si tira su una manica: la pelle è chiara, pochi peli gli ricoprono il braccio; e al centro, esattamente dove si trova una vena spessa, una cicatrice fa bella mostra di sé: bianca, lucida, frastagliata, doppia e storta.
"Vuoi la verità?" mi chiede. Io annuisco, anche se non sono più così convinto. "Questa cicatrice è stata l'ultima che mi sono fatto. Eravamo rimasti in due: io e la ragazza del Distretto Uno. Entrambi armati, ovviamente. Solo che io l'ho disarmata, le ho dato un calcio proprio qui" racconta, poggiandomi un dito tra il naso e la bocca. "L'ho disarmata, già. Lei aveva una bottiglia in mano - stava bevendo quando l'ho trovata - ormai rotta. L'ha presa e me l'ha conficcata nel braccio, sperando che morissi dissanguato, o forse solo di farmi cadere il coltello. L'ho fatto, ma sai cosa? Lei non era brava, a usarlo. E' sopravvissuta grazie agli sponsor e al fatto che i suoi compagni Favoriti sono stati uccisi da una valanga e lei ha potuto prendere tutte le loro cose. Così, appena si è distratta, le ho ripreso il coltello e gliel'ho infilato in gola."

Nessuno mangia più, adesso. Holland si è portata una mano alla bocca, sicuramente trovando disdicevole quel racconto, mentre Woof tiene gli occhi bassi; Rym, accanto a me, stringe la tovaglia tra le mani. Io me ne sto fermo a fissargli ancora il braccio, la cicatrice, i peli e il sangue ormai sparito.
"La verità è che c'è un solo modo per vincere, Leandro" conclude Kriss. "E non è farsi aiutare dagli sponsor, mi dispiace dirvelo. E' uccidere."

Si alza e sparisce oltre la porta.

 
***

Non ho dormito, ovviamente. Per tutta la notte, le parole di Kriss mi hanno infestato il cervello come acari; ho provato a calmarmi, immaginare cose tipo prati e acqua scrosciante, prendere in giro mentalmente le acconciature di Holland - ma la mia mente tornava sempre a quel fottuto orologio e ai suoi numeri troppo veloci e alle stelle che non si vedono dalla finestra.

Così mi sono alzato alle sei e ora sono qui, sulla pista di decollo dell'hovercraft, abbracciato stretto a Woof. E poi - ma come ci sono arrivato? - sono nell'aereomobile e qualcuno mi cala un'imbracatura di ferro sul petto. Accanto a me c'è Rym, sembra pensierosa; dall'altro lato c'è il ragazzino del Cinque, lo sguardo spento. Ed è allora, mentre un Pacificatore ci inietta un Localizzatore doloroso nel braccio, che capisco che siamo già morti. Siamo morti quando ci hanno chiamati alla Mietitura. O forse anche prima, forse è successo quando abbiamo compiuto dodici anni in un Distretto e non alla Capitale, quando il nostro nome è finito in quella boccia, in quell'assurda lotteria della morte.

"Pronti al decollo."

E poi sto volando verso l'Arena.




 
  
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