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Autore: thugswearuggs    26/04/2015    3 recensioni
«Hai il terrore di voltarti, di scoprire che lui non è davvero lì perché in realtà non vuole essere lì con te. Non più.»
[what if e missing moment della 5x08]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fiona Gallagher, Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Phillip 'Lip' Gallagher
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce entra pallida dalle grate della finestra, illuminando la stanza che condividi con altri tre uomini. Dormono, immobili nei rispettivi lettini della clinica. Tu non sei stato in grado di riposare. Le pillole che ti fanno mandare giù ti rendono stanco, ma quando ti addormenti è come se non lo facessi veramente. La stanchezza ti penetra nelle ossa, scavando e non lasciando spazio per nessuna attività. A volte è dura riuscire anche solo a tenere le palpebre aperte.

Ma ora sei sveglio e guardi i pallidi raggi di sole che ti feriscono gli occhi e pensi che sei davvero un cazzo di scherzo della natura. Se quel fantomatico Dio di cui tutti parlano esistesse, non ti avrebbe fatto nascere omosessuale in un quartiere come il South Side e, soprattutto, non ti avrebbe impiantato questo cazzo di gene nel cervello. Le parole “bipolare”, “mania” e “depressione” si rincorrono nella tua mente, nella tua mente spezzata, e tu ti rendi conto che non riesci a respirare.
Buffo come la vita può fotterti nel peggiore dei modi. Un minuto prima, sei un ragazzo che convive con la persona che ama e si prende cura di suo figlio; quello dopo, sei in un cazzo di ospedale psichiatrico. Sei pazzo. Le voci nella tua testa continuano a ripeterti che dopo tutto quello che hai fatto non c’è alcuna possibilità che Mickey ti vorrà con sé di nuovo. Non puoi davvero biasimarlo. Vorresti provare a metterti nei suoi panni, ma ora come ora non riesci a stare nemmeno nei tuoi. È tutto sbagliato e ti senti di voler strisciare fuori dalla tua stessa pelle, scappare a gambe lavate dalla tua mente danneggiata.

«Gallagher?» un’infermiera ti chiama, il suono della sua voce ovattato come provenisse da un’altra stanza. Ti volti, la guardi. È la stessa infermiera che ti ha portato all’interno della struttura, ti ricordi vagamente i suoi capelli corti e la sua corporatura minuta.
«Le settantadue ore sono concluse, la tua famiglia verrà a prenderti alle dieci.» ti informa la donna. Ti fa cenno di seguirla verso le docce dove, su una panca all’angolo, ti aspettano i tuoi vestiti puliti. Sono gli stessi vestiti con cui ti sei presentato, lavati con qualche detergente generico inodore.

L’infermiera ti lascia solo. Ti togli quegli stupidi pantaloncini e maglia bianchi e li getti a terra con un gesto brusco, come se ti avessero recato danno. L’acqua calda ti colpisce la pelle, il getto è forse troppo forte perché vedi dei segni rossi sulle tue braccia. L’acqua è troppo calda, ma la senti. Ti ricopre interamente, ti colpisce, incurante del dolore, della pressione. Per un minuto navighi nella sensazione e ti chiedi se sarà sempre così ora. Se sarai costretto a gesti estremi o a sottoporti a shock fisici forti pur di sentire. Scuoti la testa, schizzando acqua sulle pareti bianche e sulla tenda. Passi le dita tra i capelli e ti accorgi che sono troppo lunghi. Quando sono diventati così? Non te ne eri reso conto, non davvero. Sentivi le dita di Mickey che ci si aggrappavano e per te finiva lì, davvero. Il mondo finiva ed iniziava lì, con lui, con le dita pressate sulla tua testa ed andava bene così. Era perfetto così.
Senti gli occhi bruciare e sai che vorresti piangere ma, al contempo, senti un blocco che ti impedisce di farlo. Un peso come piombo al centro del petto che ti fa stare ancorato a terra ma che frena le tue emozioni. Hai ricordi, hai memoria delle emozioni che sentivi e dovresti sentire, ma sei incapacitato nel farlo. Odi le medicine. Vorresti rivivere i tuoi giorni trascorsi con Mickey, le mattine in cui ti svegliavi accanto al suo corpo caldo pressato contro il tuo, i pomeriggi passati sul divano a guardare stupidi film, le gambe intrecciate inumanamente. Vorresti sorridere al ricordo.
Ti chiedi se sarai in grado di sorridere ancora.


***


Indossare i tuoi jeans dopo tre giorni è una sensazione familiare. Sono stretti al punto giusto, spessi, ti avvolgono le gambe come quegli anonimi pantaloni grigi dell’ospedale non facevano. Stranamente, ti senti protetto. L’infermiera ti cede un sacchetto di plastica con il tuo cellulare all’interno e qualche soldo che, forse, ti era rimasto in tasca nel momento in cui sei entrato. La guardi, annuisci e ti allontani, camminando lentamente verso la porta che ti era stata indicata.
Quando la apri, all’interno della stanza trovi Lip e Fiona. Una sensazione di vuoto e una nausea incontrollabile ti fanno girare la testa, ma ti sforzi di guardarli negli occhi quando si avvicinano a te. Fiona ti abbraccia, ti appoggi a lei nella speranza di sentire qualcosa ma, senza sorpresa, non accade. La stringi a te con il braccio destro, accetti il leggero bacio sulla guancia e rimani così, immobile. Lip è il prossimo, ti stringe con più vigore. Riesci a vedere gli occhi lucidi e ti senti dannatamente in colpa. Tuo fratello è uno stronzo egoista, ma sai che quando si tratta di te fuoriesce tutta la vulnerabilità e sensibilità che tiene nascoste. Vi siete allontanati in questo ultimo anno: lui con il college e le sue conquiste e tu con la tua vita con Mickey.

Mickey. L’angoscia fa capolino nuovamente, i tuoi pensieri sembrano sempre tornare a lui, come fosse il centro della tua vita. “Lo è”, ti correggi.

«Non pensavo di rivederti.» dice Fiona. Non capisci con chi stia parlando, ma noti che la presa di Lip si fa poco più stretta prima di lasciarti andare del tutto. Il respiro ti si blocca in gola, la paura di essere deluso ti divora lentamente.
«Ian.»
Quella voce. Hai il terrore di voltarti, di scoprire che lui non è davvero lì perché in realtà non vuole essere lì con te. Non più.
Una mano si poggia esitante sulla spalla destra e rimane lì, ferma. Prendi un respiro profondo e abbassi lo sguardo. La vista si riempie di dita corte e tatuate e sei certo di aver sentito un singhiozzo farsi strada nella tua gola. Ti volti, la mano sulla spalla scivola e tu tremi al pensiero di perdere nuovamente quel contatto.

Eppure, straordinariamente, non lo perdi perché Mickey ti stringe in una presa soffocante. Preme sulle spalle e sei certo che se non avessi la felpa, avrebbe già scavato la pelle con le unghie. Spinge le dita sempre più, sempre più forte e a fondo e dovrebbe far male ma quel che senti è solo calore. Un calore che sboccia dallo stomaco e si espande per tutto il corpo. Sei così grato nei confronti di questo ragazzo che non hai parole per dirlo e forse non ne avrai mai. Vorresti ingabbiarlo, farlo vivere in te. Rinchiuderlo tra le costole e sentirlo lì, ogni secondo, che pressa e spinge e vive. Vive con te.

La presa si allenta, il viso di Mickey che era sepolto nel tuo petto è ora rivolto a te. Ti guarda negli occhi in un modo in cui forse non ti eri mai realmente reso conto.
“Ha quello sguardo negli occhi quando è con te?” la voce di Mandy è sottile, sussurrata ma chiara. Tempo prima, non capivi affatto a cosa si riferisse. Ora, guardando negli occhi blu del tuo ragazzo, ti chiedi come hai fatto ad essere così cieco. È tutto lì, è tutto scritto nelle iridi blu che sanno di casa e ti trasmettono una calma che non provavi da giorni, forse mesi.

Lip si schiarisce la gola, interrompendo il momento e guardandosi attorno leggermente a disagio. Ti viene quasi da sorridere sarcastico, perché sai che tuo fratello non capisce la vostra storia. Non ci ha mai davvero provato, nonostante sia l’unico a conoscere alcuni particolari di cui altri ignorano l’esistenza.
«Andiamo a casa, okay?»
Fiona ha gli occhi stanchi e rossi, come se avesse pianto da poco. Forse lo ha fatto, forse Mickey le ha ricordato qualcosa che lei credeva di avere ma che non è mai stata realmente sua fin dal principio.

Lip e Fiona camminano davanti a te, Mickey al tuo fianco. Sempre al tuo fianco, nonostante tutto, nonostante l’inferno. Una mano struscia contro la tua, pensi sia un tocco casuale ma poi delle dita si intrecciano alle tue e stringono. La stretta è sempre troppo forte e ruvida ed è così da Mickey che ti senti esplodere. Non avete parlato, probabilmente dovrete farlo, ma per ora ti lasci trascinare da lui, ti lasci salvare e tenere a galla da quella stretta che manda elettricità su per il braccio e ti fa sentire ancorato al suolo.


***


Il viaggio in macchina è completamente sfocato. Non ricordi di essere salito nei sedili posteriori con Mickey, non ricordi di esserti addormentato con la testa sulla sua spalla e una mano stretta tra le sue. Non lo ricordi, ma è esattamente così che ti svegli.
Mickey non ti lascia andare mai, tutt’altro. Supporta il tuo peso stoicamente, nonostante tu sia più alto di lui. Quando entri in casa, Debbie corre ad abbracciarti mentre Liam si aggrappa alla tua gamba. Ti è mancato il calore della tua famiglia, ma a volte ti chiedi se a loro è mancato il tuo. Non vedi Carl, e una punta di tristezza ti invade. Hai sempre avuto un rapporto particolare con Carl, lui non ti ha mai giudicato e sempre difeso, ed avresti davvero bisogno di qualcuno come lui ora.

Ti scuoti dal tuo momento di trance e ti osservi attorno. La casa è sempre la stessa ma è quello che rimane: una casa. C’è Sammi, c’è Frank e ci sono i tuoi fratelli e le tue sorelle ma non è qui che vorresti essere. Non è la tua casa, non più. Guardi alla tua destra e trovi senza alcuna fatica gli occhi di Mickey, un suo sopracciglio che si alza, interrogativo.
«Sono stanco.»
Ti rendi conto che sono le prime parole che gli rivolgi dopo circa quattro giorni e lo trovi completamente sbagliato. Ma lui annuisce e, insieme, vi trascinate al piano di sopra nella tua vecchia camera. Una parte del tuo cervello registra la familiarità, il senso di appartenenza. Qui hai passato la tua intera vita, una vita in cui ora non ti rispecchi più.

Sei stanco e vorresti gettarti nel letto e non alzarti per i prossimi due giorni.
«Che ne dici se prima ti togli quella roba di dosso?»
Mickey si avvicina ed inizia a spogliarti, facendo scivolare lentamente ogni capo dal tuo corpo tranne i boxer. Non c’è niente di sessuale in tutto questo, si tratta più di una rassicurazione. Un prendersi cura l’uno dell’altro. Con uno sforzo disumano lo aiuti a svestirsi, facendogli capire a gesti che non vuoi che vada via, non vuoi che si allontani da te.

Ti stendi sul tuo letto singolo vicino al muro e sollevi le lenzuola in un invito silenzioso. Lui ti guarda ma non dice nulla e si stende accanto a te. Una mano ti accarezza i capelli e tu chiudi gli occhi, cercando di sentire di più, perché non è mai abbastanza.

Labbra premono forti sulle tue, in un disperato tentativo di capire cosa è reale e cosa non lo è. Le labbra di Mickey sono un contrasto acuto con l’immagine che presenta all’esterno. Rosee, piene. Ti ricordi di tutte le volte in cui lo sorprendevi e gliele sfioravi delicatamente con le tue. Una leggera pressione, un piccolo gesto diventato routine col passare dei giorni. Vuoi ritornare a quella routine, vuoi tornare a sentirti leggero e preghi di riuscire a vincere questa battaglia, indipendentemente da quanto tempo ci vorrà.

La realizzazione fa sì che si formino parole sulla punta della lingua, parole che hai paura di gettare nel silenzio della stanza. Parole pesanti, vere, spesse. Parole che potrebbero cambiare tutto.
«Ti amo.»
Credi di aver dato voce ai tuoi pensieri, ma ti rendi conto che la voce non è la tua. La voce è del ragazzo al tuo fianco che, imperterrito, continua ad accarezzarti la tempia, come se conoscesse perfettamente i tuoi bisogni.
Non rispondi, non riesci a farlo. Lo guardi: le guance rosse, imbarazzo e certezze dipinti sul viso. Non si tira indietro, i Milkovich sanno scegliere le loro battaglie e Mickey ha scelto te. Ha scelto la tua battaglia.

Le tue labbra formano un sorriso privato, il sorriso che eravate soliti scambiarvi prima, quando tutto era semplice. Ti avvicini e lasci un bacio sulla sua fronte e sai che, nonostante tutto, riuscirete a superare anche questo disastro.

Quella notte, ti addormenti stretto dalle sue braccia. I pensieri rallentano il loro corso, un rumore bianco si fa strada nella tua mente e, finalmente, riesci a riposare.




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Note: 
Sono in completa negazione, mi scuso enormemente se questa piccola fic non abbia reso giustizia allo show. 
Regalo cupcakes a chi mi lascia un parere o una critica costruttiva, a presto 




 
   
 
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