Film > L'innocenza del diavolo.
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Autore: Ink_    27/04/2015    0 recensioni
[Prompt #62 Mistranslation]
"Sotto sotto Henry aveva sempre desiderato un fratellino"
{hinted!Henry/Mark ♥ }
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: quest’opera di fantasia di cui - l’autrice ( Ink_ © ) detiene ogni diritto - ispirata a L’innocenza del diavolo (The Good Son, 1990) ha come scopo il diletto dei lettori
 
Note: ambientata in un momento non preciso del film, ma comunque prima che i comportamenti strani di Henry diventassero troppo strani
 
Prompt: #62 Mistranslation ( 101_kisses theme )



 
 
 
 
 
I bambini cattivi non esistono
 


 
Sotto sotto Henry aveva sempre desiderato un fratellino, qualcuno di più piccolo di cui prendersi cura, come il pesce rosso che gli avevano regalato a Natale, quello che aveva gettato nello scarico.
Lo aveva sempre elettrizzato il pensiero di poter avere qualcuno a cui insegnare a scalare gli alberi e a tirare con la fionda; ci aveva provato per un po’ con Connie, ma Connie era una femmina e Le femminucce non fanno queste cose da maschiacci Henry! Lo dico alla mamma! Così Henry poco dopo la rovinosa caduta di Connie dal ramo più basso dell’albero che aveva scelto per il suo apprendistato, ci aveva rinunciato.
La comparsa che fece Mark nella sua vita venne accolta come un dono di Natale, qualcosa di nuovo ed eccitante da rigirarsi tra le dita fino a stancarsene; anche se in segreto Henry sperava che Mark potesse rivelarsi una continua fonte di intrattenimento e che non l’avrebbe annoiato o irritato come finivano per fare tutti quanti.
 
 
Seduto con la schiena rivolta verso il vecchio pozzo Henry cercava di accendere una sigaretta inumidita dalla neve, sbuffava dense nuvole di condensa nel tentativo di asciugarne l’involucro, la condensa però pareva appiccicarsi alla cartina come il sudore sulla fronte febbricitante di Mark, accasciato sulla neve al suo fianco.
Con un gesto stizzito accartocciò la sigaretta nel pugno e la scagliò a qualche metro di distanza da loro. Sfregò le mani guantate per togliere i rimasugli di tabacco, piccoli trucioli dall’odore acre a contrasto con il candore della neve
«Non mi sento troppo bene» gemette Mark, Henry sbuffò infastidito: «L’hai già detto. Tre volte»
«Credo di avere la febbre …»
Il ragazzino biondo gli mise una mano dietro la nuca coperta da un grigio cappellino lanuginoso, traendolo a sé.
La fronte di Mark era rovente ma umida sotto le sue labbra seccate dal freddo; dopo un primo momento di sorpreso irrigidirsi Mark si rilassò sotto le mani guantate di Henry e le sue labbra screpolate.
Era da tempo che Mark non godeva di un contatto intimo come quello che Henry gli stava forse inconsciamente offrendo; lo zio Wallace e la zia Susan facevano del loro meglio perché si sentisse parte della famiglia, ma occasionali pacche sulle spalle o scompigliate di capelli accompagnati da sorrisi bonari e fugaci occhiate compassionevoli non combaciavano con la definizione di “affetto” che aveva in mente il dodicenne: con rammarico pensò che l’ultima volta che aveva ricevuto una vera dimostrazione d’affetto era stato sul capezzale della madre.
Papà ci aveva provato qualche volta, ma i suoi abbracci erano diventati sempre più freddi e impersonali, meccanici.  Le labbra sottili si increspavano in una smorfia di velata soddisfazione quando le braccia di Mark si scioglievano la loro presa ferrea intorno al suo collo o ai suoi fianchi, come se avesse adempito con successo ad un compito che lui stesso credeva impossibile, come se avesse appena concluso con successo l’ennesimo affare.
«Scotti» annunciò Henry umettandosi le labbra, ancora troppo vicino a Mark per non catturare una perla salata di sudore con la punta della lingua.
«Dovrei portarti a casa …» mormorò ancora, con voce fievole e Mark ebbe la sensazione che il pensiero non fosse rivolto a lui, che Henry stesse seriamente rimuginando se lasciarlo solo e febbricitante nel bel mezzo di un cimitero innevato, come se fosse soltanto un’opzione quella di riportarlo a casa nel grande schema che doveva essere la mente del cugino.
Alzando di poco lo sguardo Mark notò che quello del bambino era rivolto ai rimasugli di tabacco della sigaretta che aveva gettato poco prima; aveva quell’espressione lontana, come se non fosse veramente lì con lui e in momenti come quello – perché accedeva spesso che Henry spaziasse così all’improvviso, lasciandosi dietro un involucro assente ed un sorriso appena accennato ad accarezzargli le labbra socchiuse – Mark si sentiva terribilmente solo. Aveva l’impressione che un giorno Henry non sarebbe più tornato nel suo corpo, che sarebbe rimasto per sempre sospeso in un limbo e che i suoi occhi si sarebbero fatti opachi, come quelli della mamma.
Aveva il presentimento, come un Grillo Parlante che gli sussurrava insistentemente che Henry non avrebbe dovuto fare le cose che faceva, che non avrebbe dovuto sparare con una balestra vera e che non doveva prendere in considerazione l’idea di abbandonarlo come un cucciolo troppo cresciuto: brividi gelati presero a corrergli lungo la schiena, come minuscole formiche dalle zampette ghiacciate che gli facevano rizzare i capelli al fondo della nuca e quelli sporadici peletti che gli erano cresciuti sulle braccia. Si ritrovò a stringersi nel suo giaccone e non per il freddo; si avvicinò ad Henry un altro po’, contro ogni logica, nel tentativo di ricevere un po’ di tepore.
Henry tornava poi, così come se n’era andato: «Ti porto a casa» disse e il piccolo Evans sentì la tensione scivolargli giù dalle spalle come una carezza.
«Sul serio?»
Era una domanda sciocca: si morse la lingua come ad impedirsi di aprire le bocca e ricacciarci dentro le parole che erano rimaste sospese nell’aria, come nebbia.
Henry inclinò la testa di lato come faceva un’instante prima di andarsene, solo che questa volta i suoi vispi occhi grigi non si annuvolarono, sembrarono animarsi anzi, come grosse nubi temporalesche
«Certo. Non ti lascerei mai qui -»
Il resto della risposta di Henry si perse tra la sua stessa nuvola di condensa e quella carica come sollievo di Mark.
Mentre attraversavano il cimitero innevato, il braccio del moro intorno appoggiato sulle spalle del cugino per sostenersi, Henry non poté non pensare a come le sue labbra si fossero schiuse perfettamente intorno a quell’ultima parola; Mark non aveva reagito, gli era sembrato quasi sollevato anzi ed Henry non poteva esserne più estasiato.
Lasciò scivolare gli angoli della bocca verso l’alto, le labbra si separarono in un sorriso quasi incontrollato mentre Mark si lasciava andare ancora po’ contro il suo fianco, come se avesse fatto di Henry la sua colonna portante, il suo punto di riferimento.
Godendo di quell’appena acquisito ruolo lasciò che quelle squisite quattro sillabe gli scivolassero sulla lingua, lentamente, impercettibilmente perché Mark non lo sentisse, era un istante in cui voleva crogiolarsi da solo, godendo di come quella parola alleggiava nell’aria gelida intorno a loro, di quanto fosse dolce il suo sapore nella sua bocca, di come suonasse – fosse – perfetta:
fra-tel-li-no




 
   
 
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