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Autore: piccolo_uragano_    28/04/2015    1 recensioni
(1992- camera dei segreti)
Oliver Baston, sesto anno, Capitano Grifondoro. Affascinante, coraggioso, fanatico del Quidditch, testardo e dolce. I suoi più cari amici si chiamano Fred e George Weasley, il che è tutto dire. Crede nell'amore ma non di essere in grado di amare.
Jo Wilson, sesto anno, Capitano Serpeverde. Purosangue nobile da generazioni, traditrice del suo sangue, testarda, furba, bellissima e con un passato scomodo e tenuto nascosto, che l'ha portata ad avere paura d'amare. Fragile, ma bravissima nel nasconderlo.
Due mondi paralleli che si incontrano per caso, fondendosi l'uno con l'altro. Come andrà a finire?
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Dal testo:
"Sei mia." sussurrò schiudendo le labbra, allontanandosi leggermente dal suo viso.
Lei sorrise, nella penombra. "Solo se stai zitto e mi baci, Baston." rispose, con un sussurro altrettanto flebile, e lui riprese a baciarla con più foga.
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[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Oliver Wood/Baston
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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(Anche) questo capitolo viene pubblicato nel giorno del mio compleanno e dedicato alla mia dolce Draco394 per ringraziarla, per aver creduto in me fin da subito. 

Due giorni dopo, Jo era in biblioteca a finire quel compito di Storia della Magia che aveva iniziato con Oliver, e pensare a lui fu inevitabile. Per un po’, pensò di scrivere una copia anche per lui per farsi perdonare, ma poi si ricredette subito. Lei non aveva nulla da farsi perdonare, dopotutto. Ammettere di avere sbagliato, se anche fosse successo, non era nelle possibilità.
In quei due giorni, il fatto che Oliver Baston si fosse comportato come se lei non esistesse affatto le aveva dato sorprendentemente fastidio, ed il fatto che le avesse dato così fastidio le dava ancora più fastidio. Indi per cui era arrabbiata con sé stessa, perché non aveva nessun diritto per pensare ad Oliver Baston. Non erano amici, non erano che due vecchi conoscenti, erano due rivali, capitani di squadre avversarie da secoli. Allora perché continuava a pensare a lui?
Chiuse il gigantesco libro decisa ad andarsene, quando sentì dei passi striscianti e fu proprio Oliver Baston a sedersi davanti a lei. “Buongiorno, Jo.” Disse, guardandola.
Lei lo guardò stupita. “Credevo che volessi Cruciarmi.” Rispose, sgranando quegli occhi chiari e bellissimi.
“In effetti ci ho pensato, si. Ma poi ho deciso che potremmo essere amici.”
“Potremmo essere cosa?”
“Amici. Sai, quando si mangia insieme, ci si prende in giro, ci si confida problemi e dubbi, si fanno scherzi a … okay non alle serpi, ma …”
“Oliver so cosa significa essere amici, è solo che …” Si bloccò. È solo che non ne ho mai avuti.
Lui allargò ancora di più il suo sorriso. “Non fare la vittima dicendo che non ne hai mai avuti. Ora hai me e i gemelli. E credevo che tu e la Carrow foste amiche.”
Jo sbuffò. “Amiche mi sembra esagerato come termine. Siamo mezze cugine e vicine di banco.”
“In quanto tuo nuovo amico ho il dovere di dirti che io e i gemelli siamo migliori delle Carrow.” Disse, mordicchiando una matita e roteava su una sedia.
“Ci ero arrivata. Ma non ho detto di volervi come amici.”
Lui fece quella faccia da cucciolo abbandonato che l’aveva fatta ridere meno di una settimana prima, e ebbe lo stesso effetto in quel momento. Vedendo la reazione positiva che quella faccia aveva suscitato nella sua nuova amica, sbatté le palpebre un paio di volte, e a quel punto la (nuova) risata contagiosa di Jo invase la biblioteca, tanto che lei dovette chinare la testa su quel libro chiuso per non guardarlo e non farsi cacciare dalla biblioteca.
Ma tutti la stavano guardando, perché nessuno aveva mai visto Jo Wilson ridere così di gusto.
Quando Oliver ebbe la decenza di ricomporsi e assumere nuovamente la sua faccia da Capitano fissato e tremendamente affascinante, si accorse che persino i libri, in quel momento, lo stavano osservando.
“Jo.” Sussurrò.
Lei alzò lo sguardo. “Che c’è?”
“Ci guardano tutti.”
Lei alzò le spalle. “E chissenefrega.” Poi si alzò, raccolse le sue cose e ripose il libro sullo scaffale. Poi si voltò ad osservare Oliver, che la osservava masticando quella maledetta matita.
“Dove vai?” le chiese.
“A farmi un giro. Vieni con me?”
“Pensavo dovessimo fare Storia della Magia.”
Lei si rimise a sedere e si avvicinò a lui. “Mentre tu mi snobbavi, io l’ho finita.” Sussurrò con una voce da Sherlock Holmes.
“Ma io non sono nemmeno a metà.”  Rispose lui con lo stesso tono.
“Non sono molto esperta in materia, ma … mi risulta che tra amici ci si passino i compiti.”
Oliver sorrise, e qualcosa all’interno dello stomaco di Jo si mise a ballare la samba – ma che diavolo le stava succedendo?



Dieci minuti dopo, Jo Wilson e Oliver Baston erano seduti sulla sponda del Lago Nero, su una panchina vecchia di secoli, e discutevano dell’ultima Coppa del Mondo e della finale che la Germania aveva vinto senza troppi complimenti. Lei aveva un’opinione diversa dalla sua, naturalmente, e la cosa sembrava divertirli moltissimo. Si spintonavano come due bambini, e Jo aveva riscoperto quanto fosse bello ridere. Togliendosi il maglione per il sole inaspettato di metà settembre, Jo mostrò involontariamente quel ciondolo a J, senza farci troppo caso, ma Oliver lo notò.
“Che hai al collo?” le chiese.
Lei sembrò ricordarsene solo in quel momento. Prese la J e la stellina di alluminio riciclato tra le mani e il suo sorriso scomparve. “Un ciondolo.” Rispose.
“È un bel ciondolo.” Le disse.
“Grazie.”
“Non sembra venga da Diagon Alley, però.” Osservò.
Lei incarnò un sopracciglio e lo guardò con un mezzo sorriso. “No, non viene da lì, ma da un mercatino della Londra Babbana.”
“E i tuoi ti lasciano girare per la Londra Babbana?”
“Ero scappata di casa, la scorsa estate.” Rispose, come se fosse assolutamente normale.
“Davvero?”
“Davvero!”
“E perché sei tornata sui tuoi passi?”
 perché lui non mi ha più voluta, suggerì una vocina nella sua testa.  Lui se n’è andato, e io non avevo motivi per continuare a girare per le strade di Londra cercandolo in ogni cosa.  Scacciò il pensiero di quel ragazzo e tornò a guardare Oliver.
“Londra non aveva più niente da offrirmi.” Si limitò a dire, maledicendosi per essersi dimenticata il pacchetto di sigarette nel sotterraneo.
“E quanto sei stata lontana da casa?”
Lei ci mise qualche secondo per decidere che si, ora erano amici, e che si sarebbe potuta fidare. Prese fiato e parlò come una macchinetta, pur di nascondere i suoi sentimenti.
“Dopo i G.U.F.O., sono tornata al castello dei Wilson e  ci sono rimasta per meno di una settimana. Poi sono scappata, ho alloggiato al Paiolo Magico, stretto amicizia con un gruppo di Babbani conosciuti in un pub e avuto una breve storia con uno di loro. Poi, veloce com’era arrivato, se n’è andato. I nostri amici non mi hanno voluto dire dove potessi trovarlo, così me ne sono andata anche io, sono tornata al castello dai miei, per le ultime due settimane. Chiusa parentesi Londra.”
“No.” Rispose lui, secco.
“No?”
“È tutt’altro che chiusa. Come si chiamava lui?”
“Ha importanza?”
Parlare di lui la irritava tremendamente. Forse ne era stata innamorata, forse no. Non aveva importanza. L’unica cosa che importasse era che lui era partito, senza preavviso, senza lasciarle detto niente, lasciandola con un “Ci vediamo stasera, piccola.” E ora, parlare di lui le dava fastidio. Le provocava un tremendo prurito alla bocca dello stomaco e si sentiva il cuore in gola. Per la prima volta si era concessa di amare, di affidare ogni cosa ad una persona al di fuori di lei, e lui era scappato. E forse, non lo avrebbe mai perdonato.
“Si.”
“No.” Ribadì Jo, in modo altrettanto secco.
“Ha importanza perché tu tenevi a lui e perché porti ancora il suo ciondolo.”
“Lo porto perché mi piace come simbolo. E no devo dare spiegazioni a te, Oliver-so-tutto-io-Baston.” Replicò, alzandosi e incrociando le braccia al petto con aria furiosa.
Anche lui si alzò, e alzò anche le braccia, in segno di resa. “Scusami. Non era mia intenzione farti irritare.”
Lei rimase indecisa sul da farsi. Oliver Baston le stava davvero chiedendo scusa? “Non fa niente.” Biascicò. Poi guardò il Lago scurirsi con il crepuscolo. “Forse dovremmo rientrare.” Gli disse, interrompendo il silenzio.
“Forse dovremmo, si. Solo se mi perdoni.”
Non sfoderò la sua faccia da cucciolo, non provò a influenzare quella sua decisione in alcun modo. Voleva essere perdonato in modo sincero, e si mostrò in tutta la sua semplice bellezza, all’ombra di un tramonto che se non si fossero messi a litigare sarebbe risultato estremamente romantico. Lei lo guardò. Gli occhi sinceri, l’uniforme sgualcita, la cravatta slacciata, i capelli scuri e scompigliati. Dovette impiegare gran parte delle sue forse per non ripetersi che era davvero bello.
“Non sono arrabbiata.”
Non stava mentendo. Fino a meno di un minuto prima era furiosa perché era stata costretta a toccare uno degli argomenti che più odiava, ma le era bastato guardarlo per ricredersi. E il sorriso che comparve su quel volto confermò che non era affatto arrabbiata.
“Perfetto.” Rispose. “Allora credo che potremmo raggiungere Fred e George in Sala Comune.”
Jo sorrise leggermente imbarazzata. “Io non posso entrare nella vostra Sala Comune.”
“Sei amica mia, no?”
“Sono Serpeverde.” Ribadì lei con aria scocciata.
“Ma non m’importa.”
Oliver si alzò, le prese un braccio e provò ad alzarla di peso, ma lei non si mosse di mezzo millimetro, anzi, sorrise della sua ingenuità, mentre a malapena sentiva la presa di lui sul suo braccio. “Sei un illuso, Baston.” Disse, come quella notte nel corridoio.
“Si, si, lo hai già detto.” Rispose lui. Si guardò attorno quasi con timore, poi tornò a guardare Jo, e prima che lei potesse interpretare il suo sguardo, lui aveva applicato la sua presa da Portiera sulle sue gambe, prendendola in spalla come fosse un sacco di patate, e scoprendola leggerissima. Lei scoppiò a ridere, aggrappandosi alla sua camicia, protestando con insulti pesanti per quella sorpresa poco gradita.
“Stai un po’ zitta, serpe!” le disse, dopo essere rientrato nel castello.
“Oliver Baston, dannato stupido grifone, mettimi giù immediatamente!” stava urlando lei.
“Almeno se devi insultarmi abbassa la voce, ci guardano tutti!!”
“Guardano il mio culo.” Replicò lei con aria saccente.
“Oh.” Rispose lui, voltando la testa e rendendosi conto che il leggendario fondoschiena di Jo Wilson era esattamente accanto al suo viso. “Bel culo, Wilson.” Ammise poi, fingendo di non averlo mai guardato prima.
“Maniaco.”  Replicò lei, mentre lui sorrideva a Nick-Quasi-Senza-Testa.
“Buongiorno Nicholas! Sa dirmi se Fred e George …”
“In Sala comune con gli altri, signor Baston!” rispose il fantasma. “Chi è la sua nuova amica?” chiese poi con aria curiosa.
Lui si girò perché Jo potesse guardare il fantasma in faccia. “Non siamo amici.” Ribadì la Serpeverde, in un verso molto simile ad un abbaio.
“Oh, Jessica, che piacere!”
“Come non siamo amici?! Mi sembrava di avere deciso che …”
“Signore, la prego, lo convinca a mettermi giù!”
Il fantasma rise. “Oh, no, è così divertente!”
Oliver salutò cordialmente e decise che era ora di raggiungere la meta. Fare le scale non fu altrettanto facile, ma tra la potenza dei suoi muscoli (che Jo sentiva tendersi e stirarsi ad ogni gradino) gli permisero di cavarsela solo con un po’ di fiatone. Arrivati davanti al quadro della Signora Grassa, che lo guardò insospettita, disse la parola d’ordine, senza preoccuparsi della privacy e di tutte le altre cose a cui serviva la parola d’ordine. Attraversò il passaggio, e arrivato in Sala Comune, si trovò davanti ad una riunione della famiglia Weasley: la piccola Ginny aveva sfidato Ron agli scacchi dei maghi, e Harry, Hermione, Fred, George e Percy li osservavano curiosi, ma gli occhi dei gemelli si spostarono immediatamente sul fondoschiena inconfondibile che stava accanto alla faccia soddisfatta del loro amico Oliver.
“Ciao, Jo.” Disse Fred. “Ti prego, entra così anche a Pozioni domani.”
“Idioti!” strillò lei.
“Oh, si, tira un altro po’ d’insulti. Non ne hai già urlati abbastanza dal Lago a qui, no?” la stuzzicò Oliver.
“Deficiente! Fred, ma il mio culo è così riconoscibile?”
“Diciamo che è indimenticabile.” Rispose George.
Una ragazza con l’uniforme stropicciata, i capelli scuri e una frangetta conosciuta in tutta Hogwarts spuntò dal dormitorio femminile. “Che cosa sarebbe indimenticabile?” chiese.
“Il cuo di Jo, Caty.” Rispose Fred, accennando un sorriso alla Grifondoro.
Caty Roxel, stesso anno dei gemelli, osservò Baston ed il fondoschiena di Jo. “Oh, benvenuta, Wilson.” Disse, con tono cordiale ma diffidente, perché, comunque fosse, Jo era una serpe.
“Roxel, ti prego, aiutami a far ragionare questi idioti!” esclamò, in cerca di solidarietà femminile. Caty diffuse la sua inconfondibile risata per tutta la Sala, mentre Fred esclamò “Ti prego, Wilson, ho una così bella visuale!”
“WEASLEY!” urlò la serpe. “Oliver, credo che ora potresti mettermi giù, o potrei vomitare sul tuo, di culo.”
“Ed è altrettanto indimenticabile, aggiungerei.” Rispose il ragazzo, mollando la presa sulle gambe di lei e scostando la spalla per lasciarla cadere. Ma lei fece appello ai suoi riflessi e riuscì a non cadere per terra, mettendosi in piedi e sistemandosi la camicia con aria scocciata, mentre si guardava attorno. “Carino qui. Di sotto è tutto cupo e umido.”
“Siamo meglio noi!” rispose Fred, ma Jo lo ignorò, salutando Hermione che la osservava curiosa.
“Ciao, Jo.” Disse la ragazzina.
“Ciao, Hermione.” Rispose la serpe con aria gentile. “Harry Potter, ciao anche a te.”
Il maghetto sorrise e alzò la mano in segno di saluto, mentre osservava la partita incuriosito. Percy Weasley si fece avanti e porse la mano. “Sono Percy, Prefetto, non abbiamo mai avuto occasione di presentarci.”
Jo sorrise cordialmente e strinse la mano. “Ciao, Percy.” Il Prefetto Weasley si allontanò con aria quasi imbarazzata e Jo tornò a guardare Oliver. “Perché mi hai portato ad una riunione del clan Weasley?”
“Tecnicamente il clan non è al completo.” Rispose Oliver in un bisbiglio. “E poi c’è Caty!” disse, indicando la ragazza.
Jo sembrò notarla solo in quel momento. “Scusa, Caty, non volevo essere maleducata. Sono Jo, solo Jo.” Disse, esibendo un sorriso formale ma luminoso, mentre lei e Caty si stringevano la mano.
“Caty Roxel, molto piacere. Oliver e i gemelli parlano molto di te.”
Jo stava per Cruciare Oliver, Fred e George, quando Caty sembrò accorgersi della gaffe. “Devo andare, Angelina mi aspetta. Jo, a presto, e se hai bisogno mi trovi qui, okay?” Jo sorrise e annuì, mentre Caty Roxel si dileguava e Fred Weasley arrossiva fino alle dita dei piedi, cercando di nascondersi, mentre il suo gemello invitava i due nuovi arrivati a sedersi accanto a loro. Jo si mosse senza il minimo imbarazzo, mostrando interesse per la partita di scacchi, scompigliando i capelli a Ron con aria amichevole, mentre lui sorrideva imbarazzato.
“Regina in L3.” Gli sussurrò, mentre Ginny protestava.
“Ron!” esclamò Harry, guardando spaventato l’orologio a cucù a pochi metri da loro. “Ron, Hermione! Dobbiamo andare alla festa!”
“Festa?” chiesero all’unisono i gemelli.
Ron li guardò con aria annoiata. “La festa di complemorte di Nick-Quasi-Senza-Testa!”
“Oh, ecco perché era così di buon umore, prima!” disse Oliver.
“Festa di complemorte? Che cosa triste!” esclamò Jo.
“Non venite a cena, quindi?” chiese Ginny.
“C’è il pollo!” aggiunse Fred.
I tre si alzarono con aria amareggiata, salutando tutti e con l’umore sotto le scarpe, si avviarono verso il sotterraneo in cui si sarebbe svolta la festa, mentre la Regina Bianca si spostava sulla casella indicata da Jo.
“Giochi tu?” la invitò Ginny.
Jo guardò Oliver e i gemelli, che risposero annuendo. “Sì.” Disse poi la ragazza, sedendosi al posto di Ron.
Jo, in poche mosse, risollevò la situazione disastrose che Ron le aveva lasciato, stracciando Ginny ma sentendosi in colpa, mentre i gemelli se la ridevano.
Poi, affamati, i gemelli dissero che era ora di scendere a cena, e quando tutti si alzarono per seguirli. Ginny rimase seduta al tavolo degli scacchi.
“Ginny, non vieni?” chiese Jo, con una nota di tenerezza nella voce. Quella ragazzina le sembrava tremendamente indifesa.
Lei parve svegliarsi da un sonno profondo. “voi andate, io vi raggiungo.”
Jo sorrise, alzò le spalle e raggiunse gli altri, posando una mano sulla spalla di Oliver, con il quale scambiò uno sguardo d’intesa. Arrivati in Sala Grande, Jo non esitò a sedersi con loro. Come prima cosa, perché non aveva voglia di raggiungere le altre serpi, e poi perché i gemelli glielo avevano praticamente ordinato. La serpe, però, poteva sentire addosso lo sguardo deluso di suo fratello Tomas, che avrebbe riferito tutto a Candida Wilson, convinto che la sincerità avrebbe rimesso tutto a posto, in quella strana famiglia. Paradossalmente, però, Jo si sentiva molto più in famiglia con Oliver ed il clan Weasley che al castello Wilson. Con loro scherzava ed era libera di essere sé stessa, mentre in quel posto grigio e tetro, terribilmente simile ai sotterranei, si sentiva solo in gabbia. La cena passò abbastanza velocemente, mentre i gemelli acclamavano Jo – pareva che nessuno avesse mai battutto Ginny a scacchi. Quando si alzarono, Jo senza rendersene conto si stava avviando con loro alla Torre Grifondoro, ma fu una buona cosa, perché loro cinque (Fred, George, Percy, Oliver e Jo) si trovarono in prima fila davanti ad uno spettacolo tetro e spaventoso.
Harry, Ron ed Hermione stavano davanti a loro con aria spaventata. Sul muro, una scritta rossa recitava LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTE, NEMICI DELL’EREDE TEMETE. Accanto alla scritta, la gatta del custode Argus Gazza era appesa per la cosa come se fosse fatta di stoffa, e non di carne ed ossa.
Rimasero tutti di sasso. Pochi di loro sapevano cosa fosse la Camera dei Segreti in questione, ma tutti capirono cosa sarebbe successo da lì a poco. Jo osservò i tre ragazzini, che la osservarono a loro volta, scuotendo la testa in risposta ad uno sguardo interrogativo. Fece per sussurrare qualcosa ad Oliver, ma qualcuno, in mezzo a loro, urlò.
“Temete, Nemici dell’Erede! Ora tocca a voi, mezzosangue!” Draco Malfoy si fece largo tra la folla, e il suo ghigno fu bloccato dall’espressione furiosa del Capitano della squadra dei Serpeverde. Prima che Jo potesse parlare, fu di nuovo interrotta, questa volta da Gazza, che si avvicinava urlando, fermandosi a mezzo metro da Jo, che si allontanò con aria spaventata.
“Cosa succede? Cosa succede?” poi, vide la gatta e sembrò sul punto di avere un infarto. “La mia gatta! La mia gatta, cosa è successo? Oh, Mrs Purr!” a quel punto, i suoi occhi si posarono su Harry. “Tu! Sei stato tu ad uccidere la mia gatta!”
Jo, per la terza volta, fece per parlare, senza paura di difendere Harry, convinta di quel suo sguardo sincero, ma fu interrotta, questa volta, da Silente. Staccò la gatta, concludendo che non era morta ma pietrificata. Poi parve accorgersi degli alunni dietro di lui. Ordinò loro, in modo freddo, di tornare nei dormitori, trattenendo Harry, Ron ed Hermione. Jo fece appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Hermione, prima di essere trascinata dagli altri studenti. Gli Weasley si erano stranamente zittiti, e la cosa era strana, davvero strana. Jo si fermò.
“Non sono stati loro.” Disse, in un sussurro.
“Abbiamo motivo di crederlo, però.” Replicò Percy.
Oliver e i gemelli lo guardarono dubbiosi, mentre Jo sorrise sarcasticamente. “Non starai puntando il dito contro tuo fratello Ronald, vero, Prefetto Weasley?”
“Io non …” iniziò Percy, ma fu preso sottobraccio dai gemelli che lo portarono via, mentre Oliver rimase con Jo nel corridoio ormai deserto.
“Ti proporrei di accompagnarti giù, ma …”
“So badare a me stessa.”
“Appunto. Buonanotte, Jo.”
Lei piegò le labbra in una smorfia. “Tra i Serpeverde non sarà una buona notte.” sussurrò, fissandosi le scarpe come se ne fosse stata colpevole.
Oliver, in tutta risposta, sorrise. “Ma tu non sei certo una Serpeverde come gli altri.” le premette un polpastrello contro il piccolo naso, mentre lei, sorridendo, si allontanava tornando controvoglia ad indossare la maschera della ragazza senza emozioni per rientrare nei sotterranei, e affrontare quella che (ne era certa) per molti sarebbe stata una notte di febbricitante eccitazione in attesa della ‘vendetta sui nemici dell’erede’, e in attesa dell’erede stesso. Senza badare a nessuno, chiuse le tende del suo baldacchino e cadde in un sonno profondo, sognando di essere nata Weasley con i capelli rossi e nessun obbligo di sentirsi fiera di essere una Purosangue.

 
   
 
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