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Autore: Fakir    28/04/2015    5 recensioni
QUESTA FANFICTION HA VINTO IL SEGUENTE CONTEST NATALIZIO
http://icavalieridellozodiaco.myfreeforum.org/Contest_natalizio_del_forum__about6018.html
Il contest, aveva come soggetto la rilettura in chiave personale del primo episodio che si è visto in assoluto dei Cavalieri Dello Zodiaco, nel mio caso l'episodio n° 2, dal titolo “il torneo inizia”.
Questa storia è collocata in un post Tenkai-hen dove ho immaginato Pegasus, in viaggio sull'aereo che lo sta portando in Grecia dove potrà incontrare la sua amata sorella Patricia, riflettere sulla sua vita e sulle sue scelte, sui suoi sentimenti e sulle persone che lo hanno circondato nell'arco della sua storia come Cavaliere di Atena e raccogliere queste sue sensazioni in una lettera indirizzata proprio alla sorella.
I nomi dei luoghi e dei personaggi sono quelli dell' adattamento italiano perchè il primo episodio che ho visto e che mi ha fatto innamorare di questa spendida serie è stato trasmesso molti anni fa su una rete italiana.
Ho in progetto di rimaneggiarla creando una versione più fedele all'originale nei nomi dei personaggi e dei luoghi.
Spero che vi piaccia e buona lettura a tutti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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Dedicata a Tania,

che mi ha pazientemente aiutata a correggere le bozze di questa mia fan-fictions sui CDZ

 

L'episodio che riprendo è il n° 2, dal titolo “Il torneo ha inizio”.

 

 

Quando tutto ebbe inizio...

 

“Patricia, sorella mia! Finalmente potrò riabbracciarti!”

Pensai mentre afferravo il prezioso scrigno che portavo con me, come bagaglio, e me lo mettevo sulle spalle.

Quando scesi dall'aereo venni avvolto da un'aria familiare... l'aria di casa. Erano passati sei anni e finalmente avevo fatto ritorno a Nuova Luxor con l'armatura di Pegasus, il prezzo da pagare alla famiglia Thule, come riscatto per riavere indietro mia sorella maggiore.

 

La residenza Thule, dove ero diretto distava un bel pò di strada che decisi di percorrere a piedi. Superata la zona dell'aereoporto dovetti attraversare il centro cittadino che non era cambiato molto rispetto a sei anni prima, tuttavia mi resi conto che quello che non era più lo stesso ero io. Notai gli sguardi con cui le persone mi fissavano, forse perché portavo uno scrigno da due tonnellate in spalla!?

Dovevo sembrare un barbone o un poco di buono, ai loro occhi, vestito così alla buona e con le braccia muscolose che portavano ancora i segni e i lividi degli ultimi combattimenti che avevo sostenuto in terra di Grecia.

 

Quando giunsi in prossimità del porto l'odore salmastro del mare mi riempì le narici e il cuore mi si inondò di nostalgia; nostalgia per la mia maestra Castalia, che per sei anni mi aveva accompagnato facendo di me un Cavaliere. Ero partito così in fretta dalla Grecia, fuggendo come un ladro nella notte, che avevo avuto a malapena il tempo di ringraziarla. Mi domandai come stesse, a lei dovevo ogni cosa, soprattutto l'armatura di Pegasus che portavo sulle spalle.

 

L'armatura di Pegasus.

 

Improvvisamente la sentii pesante come se da essa dipendesse qualcosa di più del semplice incontro con te, sorella mia.

“Chissà se riuscirai a riconoscermi”. Pensai.

Ora non ero più un bambino come quando gli scagnozzi di Alman di Thule mi strapparono a forza  da te, ora ero un uomo e nessuno mi avrebbe più tenuto lontano dall'affetto più caro che avevo. Rincuorato da questi pensieri avanzai risoluto verso la Residenza Thule che ospitava l'uomo che, sei anni fa mi aveva comprato, per fare di me come di molti altri orfani, un combattente al servizio della sua famiglia.

 

Vincere l''armatura di Pegasus non fu affatto facile, ma alla fine grazie ai preziosi insegnamenti di Castalia ce l'avevo fatta, avevo sconfitto Cassios il gigantesco guerriero greco e conquistato il prezioso trofeo, che fece di me un Cavaliere di Athena. Un' improvvisa fitta al petto mi tolse per un attimo il fiato, mi massaggiai le costole che Tisifone dell'Ofiuco, mi aveva fratturato nel nostro scontro di ieri. Era l'allenatrice di Cassios e non mi aveva perdonato di aver sconfitto il suo allievo.

Tisifone dell'Ofiuco, una Sacerdotessa Guerriero del Grande Tempio.

 

“Donne simili a demoni”, dicevano gli uomini del posto.

 

“Indossano una maschera e se uno sventurato le guarda in volto gli strappano gli occhi con i loro artigli”.

 

Una donna terribile insomma, che si muoveva agile e veloce come una fiera, soffiando come un animale durante lo scontro, ma pur sempre una donna! E io me la ritrovaI come avversaria mentre voleva impedirmi di lasciare la Grecia per tornare a casa, a Nuova Luxor, da te, sorella mia.

Dovetti affrontarla e per farlo indossai l'armatura di Pegasus, il prezzo del tuo riscatto. Sentii fluire dentro di me la forza delle stelle, quello che Castalia chiamava Cosmo, ma non potei combattere contro Tisifone, anche se lei mi stava massacrando di calci, certe cose un uomo non le può fare...

Come potevo combattere contro una donna?

 

“Lei non è una donna!” Mi incitava Castalia. “Devi sconfiggerla se vuoi tornare a Nuova Luxor!”

 

“Già... non è una donna, è un demone...”.

 

Ma il coraggio di levare i pugni contro di lei non veniva... non veniva...! Patricia, perdonami...!

 

Detti con foga un calcio ad un sasso che cadde con un tonfo sordo in acqua, le costole mi dolevano ancora anche se sentivo una fitta più profonda, oltre il costato, come una spina piantata nel cuore... allora non sapevo ch Tisifone per lungo tempo sarebbe stata la mia spina nel fianco, il mio tormento.

 

L'odore salmastro dell'acqua mi riportò, con la mente, sulle scogliere del Mare Egeo. Avevo scaglaito tutta la potenza del mio colpo contro un gruppo di soldati che erano giunti in suo aiuto ed ora eravamo rimasti solo io e lei. La sua maschera si era spezzata ed era caduta a terra con un clangore metallico.

 

“Le Sacerdotesse Guerriero sono donne simili a demoni, ti strappano gli occhi se osi guardarle in volto... fuggi dalle donne come loro!”

 

E invece alzai lo sguardo e osai guardare...

 

Di fronte a me c'era una normale ragazza, il cui abbigliamento non lasciava molto spazio all'immaginazione, rigardo alla sua giovane freschezza. Mi avvicinai a lei lentamente, lasciando scorrere il mio sguardo lungo tutto il suo corpo, dalle caviglie slanciate e le gambe snelle ma ben scolpite, alla vita sottile stretta da una fusciacca color zafferano, che sbatteva rumorosamente sospinta dal vento.

Aveva polsi delicati e mani affusolate sebbene i suoi artigli, laccati di color ametista, fossero letali. Il ventre era piatto ed il morbido seno visibile anche se fasciato di cuoio e metallo, la pelle delle spalle e del collo era resa diafana dalla luce della luna...

E po... poi osai... osai ancora di più... osai quello che nessun uomo, sano di mente, avrebbe mai osato fare... osai e guardai...

 

... il suo volto...

 

I lineamenti erano delicati, come quelli di un angelo, incorniciati da una chioma di riccioli ribelli, le labbra socchiuse luccicavano imperlate di minuscole gocce di sudore e aveva le gote leggermente arrossate. Una folata di vento improvviso le sollevò i capelli dal volto scoprendole la fronte e gli occhi, splendidi occhi verdi, impossibili da scordare, di quelli che ti rimangono dentro. Limpidi come smeraldi e resi ancora più dolci dalle lunghe ciglia scure.

 

Ci guardammo intensamente per un lungo istante. Ora ero giunto di fronte a lei che rimaneva immobile con le mani lungo i fianchi. Una fanciulla, nient'altro che una deliziosa fanciulla... sogghigniai.

 

“Finalmente vedo il tuo volto! E io che ti immaginavo orrenda come il Demonio!”

 

Lei non battè ciglio, gli occhi di smeraldo fissi nei miei. Capii che mi avrebbe fatto passare e le camminai di fianco, ora i capelli le erano nuovamente scivolati sul volto e potevo vederla di profilo a malapena... non so ma qualcosa in lei mi era familiare.

 

“Sei più carina di quanto immaginassi...” le sussurrai, con sincero calore, quando le passai accanto, facendo in modo che Castalia non mi udisse.

 

Lei non mi guardò, ma parlò solo quando mi fui allontanato e la sua voce era leggermente tesa. “La prossima volta Indosserò la mia armatura e tu dovrai batterti per la tua vita.”

 

Non le badai. “Allora spero di non incontrarti mai più”. Risposi con leggerezza, allontanandomi.

 

Stavo per tornare a Nuova Luxor da te, sorella mia, per lasciarmi alle spalle tutto questo e poter tornare a condurre una vita normale al tuo fianco.

Allora non sapevo che un giorno Tisifone mi avrebbe donato il suo tenero cuore di fanciulla innamorata, gelosamente custodito sotto una maschera d'odio, non sapevo che avrei stretto il suo morbido corpo tra le braccia, ma come si stringe una donna e non in una presa di arti marziali, non sapevo che avrei visto i suoi bellissimi occhi verdi brillare e inondarsi di lacrime per me, allora non pensavo... non pensavo che sarebbero accadute molte cose mentre, giunto davanti alla cancellata della residenza Thule, suonavo il campanello per annunciare il mio ritorno.

 

La villa era maestora e dovettero vedere da una telecamera il mio arrivo perché il cancello sia aprì automaticamente permettendomi di attraversare il lungo viale fiorito che conduceva all'entrata principale. Scacciai un paio di farfalle che mi svolazzavano intorno e provai un certo fastidio sentendo l'odore soffocante dei fiori che si ammucchiavano nelle aiuole circostanti.

 

Ero vissuto per sei anni nei pressi del Grande Tempio, sottoposto ad un durissimo allenamento da parte della mia maestra Castalia.

 

“I Cavalieri nascono per proteggere la Dea Athena”. Mi ripeteva spesso.

“Tu sei stato prescelto e Pegasus guiderà il tuo cammino”.

 

Non comprendevo molto quelle parole all'inizio, io mi trovavo lì solo per prendere l'armatura allo scopo di poter rivedere te, sorella mia, ma con il tempo il mio corpo infantile si abituò alla durezza degli allenamenti e si plasmò divenendo quello di un giovane guerriero e divenni assuefatto alle fragranze di quel luogo così lontano dalla società, abbandonato da Dio e considerato terreno consacrato alla Dea Athena.

 

La Dea Athena... se avessi saputo allora che proprio lei mi accingevo ad incontrare...

 

Di nuovo una nauseante folata di vento profumato di fiori mi fece arricciare il naso. In Grecia mi ero abituato a sentire altri odori, quello salmastro del mare misto a quello dolciastro del sangue e a quello più acre del sudore che sempre ricoprivano il mio corpo.
Scacciai un altro paio di fastidiose farfalle quando vidi avanzare verso di me, superando la soglia di un paio di passi, il maggiordomo di casa Thule, Mylock, un uomo orribile e violento che aveva il compito di tenere a bada noi orfani quando giunti, ancora bambini fummo accolti, per così dire, alla residenza Thule.

Si fermò a guardarmi mantenendo una certa distanza. Guardava i muscoli abbronzati delle mie braccia, forgiati sotto sotto il sole di Atene e i pugni che tenevo chiusi mentre lo squadravo con fare arrogante. Ora non ero più un bambino, lo aveva capito anche lui, per cui mi fece strada guardandomi con odio, ma senza osare sfiorarmi.

”Attendi qui, la signorina ti riceverà tra poco”.

Si limitò a dire asciutto.

“La signorina?”, pensai immediatamente. “Ma di chi diavolo parla? Non certo di mia sorella Patricia!”

 

Poi mi sovvenne che il vecchio maiale aveva una nipotina, una graziosa bimba vestita come una bambola che ci presentò il giorno in cui giungemmo a villa Thule, dicendoci che era sola e che avrebbe potuto giocare con noi. Io ero contento perché anche all'orfanotrofio amavo giocare con le bambine, finché non cominciavano a frignare, e quindi le sorrisi, lei mi guardò con sdegno, pensai che fosse timida e che presto avremmo giocato tutti insieme.

 

Certo... giocato...

 

Per la signorina Thule il concetto di giocare consisteva nello scegliere uno di noi per farci eseguire, a comando, i versi e le imitazioni dei più svariati animali: il cammello che sputa, la scimmia, la paperella e così via; era davvero umiliante!

Un giorno si presentò in tenuta da cavallo e con un frustino in mano ma il suo pony non c'era, noi ci guardammo un pò allarmati.

“Tu!”

Mi disse indicandomi col frustino.

”Ti chiami Pegasus vero? Voglio che tu mi faccia da cavallino! Inginocchiati!”, concluse imperiosaI.

“Te lo puoi scordare!”, le risposi mentre mi colpiva alla guancia con il suo frustino.

“Osi disubbidirmi?” disse lei alzando la voce. “Inginocchiati subito e non osare guardarmi con quello sguardo di sfida!”

Stava per colpirmi nuovamente quando fermai la sua mano continuando a sfidarla con lo sguardo.

“Ti prego, Isabel, lascia che sia io a farti da cavallino, ne sarei felice.”

Sentii, in quel momento, dire alle mie spalle.

Era Asher, un ragazzino biondiccio e dal carattere insulso che si mise a terra e lasciò che lei lo cavalcasse e lo frustasse come un cavallo.

“Che rammolito senza palle.” Pensai con disgusto.

 

La sala d'ingresso era molto raffinata, arredata in stile occidentale ed abbellita da piante esotiche. Stavo osservando un imponente mezzobusto che ritraeva il vecchio Alman di Thule, quando una porta si aprì alle mie spalle.

 

“Pegasus, sono felice che tu sia qui”. Sentii dire una voce femminile dal tono leggermente accorato.

 

Al suo richiamo mi voltai. Davanti a me stava, ora, in piedi, una fanciulla dai lunghissimi capelli lisci sciolti sulle spalle. Indossava un abito candido con ampie maniche, stretto all'altezza della vita da un'alta cintura. La lunga gonna orlata di pizzo sfiorava il pavimento nascondendole perfino i piedi, era coperta di gioielli ed aveva il volto truccato con le labbra tinte di color malva che le davano l'aspetto di una bambola, una bambola dai limpidi occhi blu trasparenti come cristallo. Compresi all'istante chi era.

 

Isabel di Thule, la nipote del vecchio demonio.

 

Ma dove si trovava mia sorella e perché non era venuto Alman di Thule in persona a ricevermi?

 

“Adesso riposati, è una dura battaglia quella che ti attende domani.” proseguì lei con tono più dolce.

“Una dura battaglia?!” chiesi io sgranando sorpreso gli occhi; che cosa stava farneticando Isabel di Thule?

 

Notando la mia confusione si rivolse allora al fedele maggiordomo chiedendogli, con tono severo, perché non mi avesse informato di ciò che mi aspettava.

Lui farfugliò qualche parola di scusa e la principessina di casa Thule, guardandomi con quei suoi occhi di cristallo, mi informò del fatto che ero stato invitato a tornare per partecipare alla Guerra Galattica, un torneo cavalleresco durante il quale avrei dovuto esibirmi sfoggiando l'armatura delle stelle, che avevo portato con me dalla Grecia. Addirittura Mylock mi informò su quale fosse il mio primo avversario: un certo Gerki dell'Orsa.

 

“Molto bene.” disse la fanciulla con lieve malizia, “non vedo l'ora di assistere a questo incontro.”

 

Io ridacchiai, e non so cosa mi trattenne dallo sputare ai piedi di quell'arrogante ragazzina viziata.

 

“Non se ne fa nulla”, sibilai, “mi dispiace, Isabel, ma ne ho abbastanza di lottare e non parteciperò ad alcun torneo!”

 

Mylock tentò di punirmi come faceva quando ero bambino: prendendomi a ceffoni. Gli afferrai il polso, storcendoglielo e lo atterrai facilmente avvisandolo di starmi alla larga, ora non avevo più dieci anni! Poi puntai gli occhi in quelli di Isabel di Thule che rimasero freddi e imperscrutabili come specchi.

 

“Voglio parlare con tuo nonno!” le dissi senza tante cerimonie.

 

“Non è possibile!” rispose lei secca, “purtroppo è morto cinque anni fa!”

 

“Che cosa?!”

 

Questa notizia mi lasciò sgomento, come avrei potuto ora riaverti con me, sorella mia, che ne aveva fatto di te la potente Fondazione Thule?

 

C'era solo una cosa che potevo tentare, e lo feci, giocandomi il tutto per tutto. “Tuo nonno mi aveva fatto una promessa.” dissi rivolgendomi direttamente alla signorina Thule.

“Intendi rispettarla Isabel?” Conclusi secco.

 

Dopo un istante di smarrimento lei parve ricordare. Suo nonno, Alman di Thule, mi aveva separato in tenera età da mia sorella per mandarmi in Grecia, ma mi aveva garantito che una volta tornato l'avrei rivista, ed ora spettava a sua nipote mantenere tale impegno.

Isabel di Thule, iniziò a camminare nervosamente con le mani strette in grembo.

 

“Ricordo la promessa...” si affrettò a dire.

 

“Ora eccomi qua e ho vinto! Voglio rivedere mia sorella!” la incalzai io alzando la voce.

 

Ma proprio in quel momento si spalancò una porta di servizio e fece il sue ingresso nel salone un giovane dai capelli biondi.

“Se sei così vigliacco da non vole lottare, Pegasus...” disse di malavoglia “...lascia qui l'armatura e vattene!” concluse con più fermezza.

 

Mi voltai verso di lui, era chiaramente era un lottatore, perché indossava una canottiera senza maniche che ne evidenziava le braccia muscolose.

 

“E tu chi saresti?” gli chiesi.

 

“Come?” disse lui facendo schioccare le dita e sfoggiando i suoi guanti di pelle borchiata.

“Non ti ricordi di me? Sono Asher, ora Cavaliere dell'Unicorno.”

 

Ma certo Asher! il ragazzino insulso che amava farsi cavalcare dalla piccola Isabel; anche lui dunque era diventato un Cavaliere?

 

“E cosa vorresti da me?” gli chiesi.

 

“Darti una bella lezione di bon-ton, devi imparare che non ci si rivolge così ad una signora, ti consiglio di inginocchiarti e chiederle scusa!”

 

“Forse non mi sono spiegato bene!” risposi con foga. “sono tornato per rivedere mia sorella e non per inginocchiarmi davanti a chicchessia! Ditemi dove la tenete nascosta?” conclusi alzando la voce e i pugni contro Isabel di Thule.

 

“Hai bisogno di una bella lezione Pegasus!” disse concitato Asher mentre caricava il destro diretto al mio volto; alzai la gamba e lo parai semplicemente col collo del piede.

 

“Lasciami in pace Aher.” dissi sarcastico. “solitamente non amo battermi con i cagnolini da guardia.”

 

“Maledetto... che cosa?” sibilò lui.

 

Io ridacchiai... “Se ricordo bene ti comportavi così con Lady Isabel anche da bambino, allora facevi il cavallino per lei, che cosa le hai fatto oggi? Il cane? Oppure il maiale?” conclusi sogghignando.

 

Lui alzò i pugni rabbiosamente.”Sono passati sei anni, ma anche tu non sei cambiato! sei rimasto sempre il solito bamboccio stupido e arrogante!”

 

La voce ferma di Isabel di Thule si intromise tra noi. “Finitela!” disse la ragazza con fare seccato, “Asher il tuo comportamento non è degno di un Cavaliere, se proprio volete battervi, sfidatevi a duello!”

 

“Adesso basta con questa storia!” risposi io alzando la voce. “non ho alcuna voglia di fare il gladiatore per te, Isabel! Allora vuoi deciderti a mantenere la parola? Sono qui solo per rivedere mia sorella, vuoi dirmi dove la tenete nascosta?”

 

“Mi dispiace Pegasus”, tagliò corto lei, “ma non so assolutamente nulla di tua sorella, ho sentito dire che è scomparsa dall'orfanotrofio poco dopo la tua partenza per la Grecia e da allora non se ne seppe più nulla.”

 

Una lama, una lama di ghiaccio in quell'istante trafisse il mio cuore, come se dovesse fermarsi per sempre, nemmeno la spada maledetta del Signore degli Inferi mi avrebbe causato tanto dolore. Mia sorella Patricia era scomparsa?

 

Sorella mia adorata... dove sei... dove sei? pensai sgomento, mentre sentii un baratro vuoto aprirsi sotto i miei piedi.

Poi ricordai il Collegio Saint Charles, dove ero vissuto con te, fino a quando non venimmo separati. Forse lì avrei trovato qualcuno che si ricordava ancora di noi... forse... avrei potuto sapere qualcosa di più. Seguii quel barlume di speranza, voltai le spalle a Lady Isabel di Thule e mi avviai verso la porta, quando lei colse l'occasione, per tendermi la mano del ricatto.

 

“Non cercare di rintracciarla da solo, Pegasus, potrebbe trovarsi ovunque. Non sai nemmeno se è ancora viva.” concluse con tono mellifluo.

“Ti faccio una proposta.” aggiunse poi più professionalmente.

 

“Ti ascolto.” sputai d'un fiato.

 

“Partecipa alla Guerra Galattica, vincila e io ti prometto che la Fondazione, che ora dirigo a nome del nonno, ritroverà tua sorella ovunque essa sia”. pronunciò le ultime parole con persuasiva dolcezza.

 

Allora non potevo immaginare che tu, Patricia, ti trovassi nell'unico luogo della Terra dove i tentacoli della Grande Fondazione non potevano affondare i loro artigli.

 

Digrignai i denti per l'indecisione, era una proposta allettante certo, ma non mi sarei mai piegato allo sporco ricatto di quella fanciulla, bella e perfetta come una bambola ed altezzosa come una dea.

 

“No!” sentenziai deciso, ti avrei cercata da solo a costo di setacciare l'intero pianeta.

 

“Se te ne vai, Pegasus, lascia qui l'armatura a cosa ti servirebbe?!” sentii dire Asher, sarcastico, alle mie spalle mentre un potente attacco mentale mi travolgeva strappandomi di dosso lo scrigno di bronzo e gettandolo a terra.

Per tutta risposta caricai il mio colpo e scatenai una raffica di pugni contro il ragazzo, colpendolo di striscio e spaccando la parete, poi affondai le mani nelle tasche e mi allontanai percorrendo il nauseante viale fiorito.

Mentre camminavo udii la voce di Lady Isabel che proferiva parole che mi scivolarono addosso come una profezia.

 

“...Non ha scelta, il suo destino è scritto nelle stelle, Pegasus lo ha preferito ad altri, la sua strada è segnata per sempre...”

 

Giunsi al Collegio Saint Charles, quando ormai il sole volgeva al tramonto. Quel luogo non era minimamente cambiato e restai a guardare il parco oltre la cancellata per alcuni lunghi istanti. Mi pareva si udire le mie risate da bambino mentre, inseguito dagli altri ragazzini, mi nascondevo dietro le tue spalle, Patricia.

Oh sorella mia... dove sei?

 

Gli occhi mi si stavano riempiendo di lacrime quando udii una vocina, ancora un po' infantile pronunciare il mio nome e mi voltai.

 

“Pegasus...” stava sussurrando una ragazzina guardandomi con occhi lucidi. “Sei... sei proprio tu!?” concluse con voce più allegra.

 

Io rimasi a guardarla perplesso, notai un po' di delusione nel suo sguardo, quando si accorse che non l'avevo riconosciuta all'istante.

La osservai meglio. Indossava un semplice abito con la gonna che le copriva appena le ginocchia e teneva i calzini composti come usano le brave ragazze, inoltre aveva un grembiule stretto in vita, che le copriva anche la camicia. Ma furono le due codine arruffate che le conferivano un aspetto un po' buffo a farmi rammentare chi fosse.

 

“Lamia...” sussurrai ricordando la ragazzina ficcanaso che quando eravamo piccoli voleva sempre giocare con noi maschi, per poi fuggire piagnucolando, quando le facevo i più perfidi dispetti e rifugiarsi tra le tue braccia, sorella mia.

Lamia, la fedele amica che si nascondeva nella spazzatura per raggiungermi mentre ero prigioniero nella residenza Thule, solo per portarmi tue notizie, Patricia.

Lamia, che aveva da sempre una cotta per me ma rimase la mia ragazza solo fin quando le ali di Pegasus non mi condussero verso il mio destino di battaglia.

 

“Lamia!” esclamai una seconda volta offrendole il mio miglior sorriso. “che piacere rivederti!”

 

La ragazza, aprì il cancello invitandomi ad entrare nel parco ed io mi guardai intorno trasognato, non era cambiato davvero nulla.

“Non pensavo di ritrovarti qui.” dissi.

“Quando ve ne siete andati tutti, io non sapevo che fare ed ho chiesto al Padre di poter rimanere, intanto sono giunti altri bambini, orfani come noi, che sono diventati la mia famiglia.” concluse lei con voce amorevole.

Mi sentii montare la rabbia. “Lamia!” dissi girandomi di scatto e afferrandola per le spalle. “Sei proprio certa di non sapere dove possa trovarsi mia sorella?!” le chiesi con foga.

“Lasciami, Pegasus, così mi fai male...” piagnucolò lei.

“Scusami...” risposi abbassando le braccia.

Capii che lei non poteva aiutarmi, ma allora... allora dove avrei potuto cercarti sorella mia adorata!

 

“Ascolta una cosa Pegasus.” iniziò lei affabilmente.

 

“Dimmi”.

 

“Perché non partecipi alla Guerra Galattica? È uno spettacolo che verrà visto in mondovisione, ovunque si trovi adesso, sicuramente lo vedrà anche tua sorella Patricia, così saprà che sei tornato e verrà lei da te!”

 

Che idiota! Perché non ci avevo pensato prima!

 

“Grazie Lamia!” dissi di slancio afferrandole le mani tra le mie. Lei mi guardò sorridendo debolmente mentre le guance le diventavano rosse.

Purtroppo Lamia, fa parte ora di un'esistenza che non potrò più riavere, ma non importa... sono felice di saperla lì, all'orfanotrofio con i suoi bambini, come una deliziosa mammina ed è anche per lei, per loro così innocenti e puri che io continuerò a combattere, finché queste ali di Pegasus mi permetteranno di volare.

 

E così, mia adorata sorella Patricia, ebbe inizio la mia vita guerriera, indossai nuovamente l'armatura di Pegasus contro Gerki dell'Orsa e il Cosmo dentro di me era talmente ardente che le bronzee vestigia divennero incandescenti.

 

Fu una lotta dura, aspra, Gerki era un arrogante che faceva affidamento sulla sola forza bruta, ma il desiderio di rivederti era troppo grande e il Cosmo dentro di me esplose... esplose e compì il miracolo!

Avevo vinto!

L'armatura dell' Orsa era in frantumi e le possenti braccia del sue Cavaliere spezzate.

 

Avevo vinto per te, Patricia, avrei sempre vinto per te!

 

In futuro le ali di Pegasus, le ali del destino, mi condussero verso battaglie ancora più feroci e sanguinarie non più per la vittoria in un torneo, ma per la salvezza del Mondo. Morte, dolore, sangue, lotte e ancora lotte fratricide.

Ho visto i miei compagni cadere e cadere più volte per rialzarsi e rialzarsi sempre e nonostante il dolore, nonostante le ferite, abbiamo trovato in noi la forza di continuare a lottare e ci siamo lasciati alle spalle tutto, anche gli affetti più cari e il sangue della nostra giovinezza è stato bruciato nel fuoco della battaglia combattuta per la Giustizia.

 

Poi scoprimmo che Athena, la nostra dea, era tra noi, che era Lady Isabel di Thule e che dalla sua salvezza dipendevano le sorti dell'umanità intera.

 

Ho sfidato il Fato e gli dei stessi, per lei, per riportare la pace nel Mondo, ormai non ero più nemmeno un uomo ma una macchina da guerra, carne da macello da offrire in sacrificio per la salvezza di Lady Isabel, della mia dea. Ho oltrepassato il confine che porta oltre l'umano, con l'armatura rinata dal suo divino sangue, ho affrontato persino Thanatos, la Morte, ma sempre con il pensiero che un giorno ti avrei ritrovata, con la speranza che tutto questo sarebbe finito e che in qualche modo ci saremmo rivisti.

 

Ma proprio quando seppi, finalmente, dov'eri, quando potevo sperare, al termine dello scontro di poterti riabbracciare, calò il sipario sulla mia vita di Cavaliere di Athena.

Quando la spada maledetta del Signore degli Inferi spezzò il mio cuore, il mio ultimo respiro fu per il tuo nome... Patricia!

 

Ora sono guarito sai? Lady Isabel, la mia dea si è presa amorevolmente cura di me, in un luogo pacifico del mondo; forse non voleva che tu mi rivedessi così, un guscio vuoto con solo le fattezze dell'uomo che ero stato. Avrebbe mantenuto, sì, la sua antica promessa, quella che mi fece quando lei era ancora solo l'altezzosa Lady Isabel di Thule e io il suo Cavaliere più ribelle, ma in quale modo?

 

La sentivo sai, la pena e il senso di colpa della mia dea per il nostro destino... Patricia. Ma poi anche lei ha capito, le ali di Pegasus non si possono tarpare, io sono Pegasus, io combatto per il domani, non posso essere altro e voglio continuare a combattere solo nel suo nome, solo per lei, per Lady Isabel che è la dea Athena.

 

Lo ha capito la mia dea sai? Ha capito come siamo fatti noi esseri umani. Non siamo solo un grumo di carne e sangue, impastato come fango dagli dei, ma abbiamo un cuore che batte, dei sentimenti che guidano le nostre azioni, un destino che vogliamo tracciare con le nostre mani, proviamo desiderio e passione e soprattutto sappiamo... amare...

E mi ha liberato anche se avrebbe voluto proteggermi, lo so, tenermi lontano dalla battaglia per sempre.

 

Ma ha ugualmente spezzato il sigillo che Hades aveva posto in me e ha fatto risorgere le mie candide ali!

 

Ancora battaglie, ancora lotte, dolore e sangue, ma è tutto ciò che posso e che voglio fare e voglio farlo nel suo nome.

 

Lei è rimasta in quel luogo di pace, la dolce Isabel, è rimasta con noi, Athena fra gli uomini, la dea della Giustizia.

 

Un po' mi è dispiaciuto lasciarla sola ma io sono Pegasus e volo sulle ali del mio destino.

Ci siamo lasciati con uno sguardo io e la dea Athena. Non c'è bisogno di parole tra noi, lei sa che in qualunque momento, se sarà in pericolo, se l'umanità sarà in pericolo, io sarò nuovamente al suo fianco, pronto a combattere forte delle ali di Pegasus.

 

E, come quando tutto ebbe inizio, mi allontanai sentendo le sue parole scivolarmi addosso come una profezia:

”...Spero che tu possa trovare chi stai cercando...”

 

Ed eccomi qui, ironia della sorte, di nuovo su un aereo che, questa volta, però, da Nuova Luxor mi riporta in Grecia dove ci sei tu, sorella mia, tu che i miei compagni anche Asher dell'Unicorno, hanno difeso strenuamente perché io potessi riabbracciarti. Lo giudicavo inutile Asher un tempo, invece ha mostrato il suo valore diventando un vero amico.

 

Non ho l'armatura di Pegasus con me, questa volta ma un sacco pieno di souvenir e di dolci che sanno il profumo di casa... il profumo di Nuova Luxor.

 

Ecco... vi vedo... ci siete tutti... Sirio, Crystal, Phoenix e Andromeda che si sta sbracciando, perché io vi riconosca tra la folla... e tu sei lì, Asher e Tisifone ti hanno custodita per riconsegnarti a me.

Com'è bella la mia Tisifone con il suo look casual da bad girl e il volto libero dalla maschera!

 

Quanto durerà questa pace? Non lo so, non lo so, Patricia... Un giorno, un mese, un anno? Potrebbe durare per sempre come non iniziare mai.

A me basta che duri un'istante... L'istante che io possa riabbracciarti, tenerti stretta a me, per non lasciarti mai più.


 

Io sono un Cavaliere di Athena, io combatto nel suo nome per il domani, volando sulle ali di Pegasus per sempre.

 

 

   
 
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