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Autore: Shainareth    28/04/2015    3 recensioni
Molto diversa dalle mie solite shot, questa song-fic introspettiva è un semplice esperimento per indagare non più il POV della Dolcetta (che in questo caso non è neanche la mia), ma quello di tre dei ragazzi del gioco e i loro sentimenti passati e presenti.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Kentin, Nathaniel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LO STRANO PERCORSO




La prima volta che ti vidi pensai che fossi carina, nulla di più.
   All’epoca ero un ragazzino piccolo e mingherlino, molto diverso da quello che sono diventato crescendo. Avrei voluto poter essere alto e robusto come gli altri miei coetanei, che agli occhi delle ragazze apparivano belli e virili. Per me, invece, lo sviluppo non era ancora arrivato e perciò solitamente la maggior parte delle nostre compagne di scuola mi derideva. Quando si accorgeva di me. Il più delle volte, infatti, passavo del tutto inosservato e persino i professori tendevano a dimenticarsi della mia esistenza. Non era bello. Non lo era per niente.
   Ciò nonostante, cercavo lo stesso di sorridere alla vita. Dopotutto, anche se per molti avevo un aspetto piuttosto insignificante, ero pur sempre una persona come tutte le altre, sano e intelligente. Perché mai avrei dovuto curarmi dei giudizi altrui? Andavo perciò avanti per la mia strada, giorno dopo giorno, senza badare a ciò che dicevano di me.
   Poi ho conosciuto te. Eri diversa da tutti gli altri, perché non ti eri mai fermata alle apparenze e, anzi, ti eri realmente interessata a me. Mi rivolgevi dei sorrisi sinceri e delle parole gentili, mi confortavi. Come potevo rimanere indifferente?
   La tua sola presenza mi rasserenava. Il tuo sguardo buono, i tuoi occhi profondi, il tuo viso dolce… Tutto, di te, iniziò a farmi impazzire, al punto che diventasti la mia unica ragione di vita. Ogni cosa aveva senso solo se tu eri con me. E quando un giorno, così di punto in bianco, mi dicesti che avresti dovuto cambiare scuola, ti seguii. Fu, per il mio cuore innamorato, la conseguenza più logica, l’unica soluzione per continuare a vederti tutti i giorni.
   Quei sentimenti, tuttavia, crescevano sempre più, iniziando a divenire incontenibili e, a tratti, persino incontrollabili. Non esitai a condividerli con te. Se dapprima mi fissasti stupita, come se non ti fossi aspettata una dichiarazione del genere da parte mia, che pure non avevo mai cercato di nasconderti nulla, in seguito, superato il più che giustificato imbarazzo iniziale, accettasti quello stato di cose e tornasti a sorridermi come avevi sempre fatto. Dopotutto, non ti avevo chiesto niente né mi aspettavo altro. Volevo solo che sapessi ciò che provavo. Non volevo farmi illusioni. Andava bene così.
   Eppure, più ti guardavo, più passavo del tempo con te, più mi innamoravo.

C’è un tempo per i baci sperati, desiderati,
tra i banchi della 1^B.
Occhiali grandi, sempre gli stessi, un po’ troppo spessi
per piacere ad una così.
Nell’ora di lettere,
guardandola riflettere
sulle domande tranello della prof…
Non cascarci, amore, no!




Forse quegli strizzacervelli che ne sanno più di me potrebbero affermare che il mio modo di affrontare le relazioni non è altro che la naturale conseguenza di ciò che mi è accaduto in passato. Probabilmente avrebbero ragione. Eppure, non esiterei a negare ogni cosa, perché odio che mi si prenda per un debole. Non lo sono. Per niente.
   Ormai ho superato tutto. Ho dimenticato quella maledetta stronza che, con i suoi occhi blu come il mare ed il suo corpo sinuoso ed elegante come quello di una gatta, era stata capace di ottenebrarmi del tutto la ragione. Mi aveva stregato. Non soltanto con il suo aspetto e le sue moine, ma anche con la sua voce, bella, pulita, melodiosa. Quando cantava sulle note che nascevano dalle corde della mia chitarra, avevo quasi la sensazione di essere assorbito dalla sua esuberanza, da quella malia che sembrava sprizzare da ogni suo gesto e che mi irretiva come se fossi stato un bambino alle prese con i primi batticuori.
   Aveva argomenti convincenti, bisogna dargliene atto. Sapeva rigirare le persone come più le pareva, riempiendole di lusinghe ed elogi, mostrandosi amichevole e gentile, intavolando discorsi talmente credibili che non avresti potuto far altro che rimanere disarmato davanti alle sue smancerie. Per non parlare delle sue doti fisiche. Quelle, per i miei ormoni di adolescente, erano ancora più letali. Era perfettamente consapevole del proprio corpo, sapeva come muoverlo per attirare la mia attenzione, per istigarmi, circuirmi, lasciarmi inerme, indifeso. Fu quello a fregarmi, insieme ai suoi occhi e alle sue lacrime, alle sue parole d’amore, false e bugiarde quanto lei.
   La colpa era anche mia, perché a quel tempo ero ancora condizionato dall’ingenuità delle prime esperienze. Ero consapevole del fatto che le sarebbero bastati un sorriso malizioso, uno sguardo dispettoso o un sospiro ostentato per farmi perdere la ragione; eppure, mai una volta mi era passato per la mente di mettere un freno a quel suo potere smisurato. Mi aveva in pugno, letteralmente. Ma ero perso di lei e potevo farci ben poco. Le avrei dato l’anima e, in un certo senso, probabilmente fu questo che pensai di aver fatto la prima volta che l’amai.

C’è un tempo per i primi sospiri tesi, insicuri
finché l’imbarazzo va via,
col sincronismo dei movimenti, coi gesti lenti
conosciuti solo in teoria.
Come nelle favole,
fin sopra alle nuvole,
convinti che quell’istante durerà
da lì all’eternità...



E poi… la partenza, la separazione, forse persino la dimenticanza. Non mia, però. Ti avevo promesso che sarei tornato e l’avevo fatto. Non più come un bambino, bensì come un uomo, questa volta, rinnovato nel fisico e, soprattutto, nello spirito. A tratti, forse, persino irriconoscibile. Pur con l’incognita che i miei sentimenti per te fossero cambiati, non mi sarei più accontentato di rimanere in disparte.

E poi… il bivio, la scelta, la separazione, forse persino la dimenticanza. Non mia, però, per quanto mi sarebbe piaciuto che accadesse. Avrei voluto convincermi che era giusto così: aveva anteposto la carriera a me, non era un discorso egoistico. Eppure, quando ero riuscito ad aprire gli occhi, mi ero reso conto di una cosa: avevo il cuore in frantumi, che grondava sangue. Non potevo accettare l’idea di aver creduto in un amore che non era mai esistito. Non da parte sua.

Lo strano percorso
di ognuno di noi,
che neanche un grande libro, un grande film
potrebbero descrivere mai,
per quanto è complicato
e imprevedibile,
per quanto in un secondo tutto può cambiare
niente resta com’è.



Se avessi saputo che sarebbe andata a finire così, probabilmente non ci avrei mai creduto.
   Per carità, non sono un idiota e so che non è affatto detto che una coppia possa riuscire fino in fondo. Ciò nonostante, non mi sarei mai aspettato che le cose sarebbero andate in quel modo. Niente litigi, niente fraintendimenti, niente tradimenti, niente incomprensioni di alcun genere. Qualcuno avrebbe potuto trovarlo positivo, un rapporto ideale; io, invece, lo trovavo ancora più triste. Grigio. Piatto. Squallido.
   Mi chiedevo e richiedevo se non fosse colpa mia, se non avessi spremuto tutto ciò che c’era da spremere in quella relazione, se non avessimo bruciato tappe che avrebbero richiesto maggior tempo, se non avessimo sottovalutato la serietà che comporta invece un rapporto di questo tipo. Forse ero stato semplicemente ingenuo a crederci. Oppure avevo fatto un errore di valutazione, credendo che lei fosse la ragazza giusta per me.
   Deluso dall’indolenza con cui si stava trascinando la cosa, avevo persino provato ad interrogarmi se non sarebbe stato meglio scegliere qualcun’altra, magari quella mia compagna di classe che avevo già rifiutato perché convinto che non fosse il mio tipo. Di questo ne ero ancora certo, eppure non potevo fare a meno di domandarmi se con lei sarebbe capitata la stessa cosa. Mi convinsi di sì: se già una relazione in cui avevo speso tempo, sentimenti ed energie stava andando a rotoli in quel modo, quanto avrebbe potuto reggere, invece, una relazione nata senza reale interesse da parte mia? Troppo poco. Mi sviliva soltanto l’idea.
   Più ci riflettevo, più la fiacchezza si faceva sentire. Ero stanco, sfiduciato, sempre più propenso a credere che non ci sarebbe stato alcun futuro e che, ormai, sarebbe stata solo questione di tempo prima di giungere ad un punto di rottura. Sarebbe stato meglio per entrambi. Avevo la sensazione che anche lei lo avesse capito, che condividesse questa convinzione. Eppure nessuno di noi due aveva il coraggio di chiudere per primo. E più passavano i giorni, più quel prolungarsi dei tempi diventava deleterio, rendendoci insoddisfatti e nervosi, giorno dopo giorno, logorandoci dentro, fino a che tutto sarebbe esploso e le nostre strade si sarebbero divise per sempre.

C’è un tempo per il silenzio-assenso, solido e denso,
di chi argomenti ormai non ne ha più.
Frasi già dette, già riascoltate in mille puntate
di una soap-opera alla TV.
Sarà l’abitudine,
sarà che sembra inutile
cercare tanto e alla fine è tutto qui,
per tutti è tutto qui...



E poi… la rottura, la separazione, forse persino il desiderio di dimenticare. Non sarebbe stata una grande perdita, mi ripetevo, benché con lei avessi potuto sperimentare le basi dell’amore, capire come gestire un rapporto, gli errori da non ripetere in futuro. Soprattutto quelli di valutazione. Avevo bisogno di una persona capace di stimolarmi soprattutto intellettualmente, che potesse capirmi per davvero, e con la quale avrei potuto condividere le mie angosce quotidiane.


Lo strano percorso
di ognuno di noi,
che neanche un grande libro, un grande film
potrebbero descrivere mai,
per quanto è complicato
e imprevedibile,
per quanto in un secondo tutto può cambiare
niente resta com’è.



E poi, quando meno me l’aspettavo, ho ritrovato la voglia di lottare. Ho capito che avrei dovuto tornare a sperare. Per te. Con te.
   Perché tu mi hai ridato fiducia.
   Perché tu sei diversa da chiunque altra.
   Perché sei tu. E non ho bisogno di nient’altro.

C’è un tempo per qualcosa sul viso, come un sorriso,
che non c’era ieri e oggi c’è.
Sembrava ormai lontano e distante, perso per sempre,
invece è ritornato con te,
con te che fai battere
il cuore, che fai vivere
il tempo, per tutto il tempo che verrà,
nel tempo che verrà...

Lo strano percorso
di ognuno di noi,
che neanche un grande libro, un grande film
potrebbero descrivere mai,
per quanto è complicato
e imprevedibile,
per quanto in un secondo tutto può cambiare
niente resta com’è.












Confesso che questa idea ce l'avevo in testa da giorni, ma non ero settata nella modalità storia seria, né tanto meno nella modalità song-fic. In verità, le song-fic non le amo particolarmente, non so neanche perché. Forse è dovuto al fatto che le trovo difficili da scrivere.
Ad ogni modo, non so in quanti l'avranno riconosciuta, ma la canzone in esame è un vecchio successo degli 883, datata 2004. Credevo fosse più vecchia, devo ammetterlo. In ogni caso, ascoltandola a distanza di tempo, qualche giorno fa, mi sono resa conto di come si adattasse bene almeno a due dei tre ragazzi che incontriamo all'inizio del gioco. Il terzo, Nathaniel, l'ho un po' tirato per i capelli, lo confesso: sappiamo che ha avuto una ex-ragazza, ma non sappiamo nulla di lei e della loro relazione, che ho prontamente inventato cogliendo la palla al balzo concessami dal testo della canzone. Spero sia abbastanza plausibile, come cosa.
Insomma... esperimento riuscito? Sappiatemi dire, se vi va.
Grazie a tutti i lettori e buona serata!
Shainareth





  
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