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Autore: scarlett_carson    29/04/2015    13 recensioni
"Il professor Augusto Fermi era ancora giovane, non era neppure vicino ai 50, un uomo affabile e disponibile, appassionato alla sua materia e insolitamente gentile con i suoi alunni. [...]
Questo almeno è quello che avreste sentito dire, se aveste chiesto di lui, subito dopo la sua morte".
L'intera comunità universitaria si dichiara a lutto, la verità però è un'altra.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Give me all your love

Cause for all we know

We might be dead by tomorrow.

So let's love fully

Let's love loud

Let's love now

Cause soon enough we'll die"

 

 






La notizia della prematura dipartita del Professor Fermi, docente di Botanica, fu accolta con “estremo dolore” dal consiglio didattico della facoltà di Biologia, oltre che da tutta la popolazione studentesca.


Il professor Augusto Fermi era ancora giovane, non era neppure vicino ai 50, un uomo affabile e disponibile, appassionato alla sua materia e insolitamente gentile con i suoi alunni. Bocciare un studente rappresentava sempre un dolore, ma consapevole dell’importanza del suo ruolo, egli non si sottraeva all’ ingrato compito quando necessario.

Questo almeno è quello che avreste sentito dire, se aveste chiesto di lui, subito dopo la sua morte.

La verità è che il professor Augusto Fermi era uno stronzo con la s maiuscola. Sempre incazzato, viveva nel terrore che gli studenti delle ultime file lo stessero prendendo in giro. Paranoico fino all’osso, si legava al dito tutto e ricordava i volti dei presunti maleducati all’esame. Le bocciature sembravano dargli nuovo vigore e non si limitava a rispedire a casa il malcapitato, ma si accertava che oltre ad un libretto spoglio portasse con sé anche una bella dose di umiliazione. In tanti aspettavano solo che andasse in pensione per riprendere i libri in mano e discutere finalmente la tesi. Qualche audace suggerì che forse Fermi era schiattato perché all’ultima sessione di esami avevano studiato tutti e non essendo riuscito a bocciare, come di consueto, l’80% degli esaminati, avrebbe avuto una crisi.


Nessuno osava dire ad alta voce quello che l’intera università pensava. Il Karma doveva aver fatto una visitina al suo studio al terzo piano, interno C, dove “Il diavolo verde” come lo chiamavano tutti, aveva tirato le cuoia. 


Neppure tra i colleghi c’era una sincera sofferenza per il recente lutto. Certo, ai funerali che ci sarebbero stati due giorni dopo, avreste visto gli assistenti Cataldi e Russo in lacrime, ma nessuno seppe mai dell’agitata telefonata tra i due, in piena notte, nella quale si discuteva sul come poter condividere la cattedra e diventare professori associati.

 

Anche il dolore della ex moglie del professore, Marina Rospi, era molto più contenuto di quanto si potesse pensare. Gli alimenti che ogni mese le mandava l’ex consorte erano una piacevole aggiunta alle sue finanze, ma era convinta che fossero il giusto compenso per quei mesi terribili che aveva passato con lui. Era sempre stato un uomo brusco e fondamentalmente cattivo, eppure lei da giovane perse la testa. Era il periodo in cui nei film Hollywoodiani andava forte la parte del bello e dannato, e sebbene Augusto non fosse il più bello tra i suoi conoscenti, era di sicuro il più affascinante. Marina scoprì solo dopo quanto la vita coniugale con un uomo così tanto dannato sarebbe stata difficile, e dopo pochi mesi fece le valigie e se ne andò verso nuove mete e nuovi amori. Erano passati venticinque anni da quando lo aveva lasciato incredulo sul divano di casa, e mai una volta se ne era pentita. 

 

Se ci fosse stata una classifica degli uomini più disprezzati del mondo ad Augusto Fermi sarebbe spettata sicuramente una posizione nella top ten. Eppure la Chiesa, in quel primo pomeriggio di Giugno, era gremita di persone in lacrime. 


Alcuni si lasciavano semplicemente trasportare dall’ atmosfera, altri si sforzavano di pensare ad un ricordo triste così da apparire preda di un’emozione autentica. La sua segretaria, in seconda fila, si focalizzò sul finale di un film che aveva visto il giorno prima, quello dei due ragazzini malati di cancro che vanno in viaggio in Europa e poi, alla fine,  proprio lui che sembrava stare meglio muore. Il rettore dell’Università invece cercò di ricordarsi quanto era bello giocare con Freddie, il cane che aveva da bambino, erano passati secoli da quando il povero bastardino era stato investito, il rettore aveva quindi avuto decenni per abituarsi all’ idea, ed infatti non mirava ad un pianto disperato come quello della Professoressa Esposito due posti più in là, ma ad un semplice arrossamento degli occhi, che lo avrebbe reso più umano durante il suo discorso.


In questo sforzo collettivo c’era una sola reale emozione di dispiacere. Non proveniva dai membri della famiglia Fermi, né dal corpo docente e neanche dai vecchi compagni di scuola di Augusto, ma da Celeste, studentessa di Biologia del terzo anno. Celeste non aveva bisogno di pensare a qualcosa di deprimente, era sinceramente affranta per la morte del professore. Tutti la conoscevano come una ragazza dolce e gentile, sempre pronta a passare gli appunti a qualche amico in difficoltà. Perciò i suoi compagni non si stupirono della sua espressione triste e del silenzio durante la funzione. Quando cominciò a singhiozzare sommessamente però, le compagne di corso cominciarono a preoccuparsi.


« Celeste, ma che hai?» Chiese una.

« Lasciala stare» s’intromise l’altra « gli aveva chiesto la tesi».


La prima annuì perplessa, perché nessuno sano di mente avrebbe mai chiesto la tesi a Fermi, poi entrambe ripresero a fingere di prestare attenzione alle parole del prete.

Quello che non sapevano è che Celeste non era preoccupata del destino della sua laurea, né dalla sfida di cercare un nuovo relatore. Continuava a sfiorare la sua mano destra, per qualche motivo più calda dell’altra ed ebbe l’istinto irrefrenabile di portarsela al petto, ma resistette e piuttosto che ascoltare il discorso del rettore, chiuse gli occhi e tornò con la mente al 2 Febbraio scorso.


In quel giorno di quattro mesi prima, Celeste aveva preso il coraggio a due mani e aveva deciso di andare al terzo piano dell’edificio di Biologia, interno C e chiedere al professore Fermi di seguirla come relatore. Tutti gliel’avevano sconsigliato, ma Celeste aveva una sincera passione per la Botanica e non capiva per quale motivo tutti avessero il terrore di quel professore che non faceva altro che il suo lavoro. In più aveva già in testa l’argomento, avrebbe parlato dell’ Euphorbia milii, meglio conosciuta come la “Spina di Cristo”, una pianta che l’affascinava non solo per la leggenda che la circondava, quella di essere stata utilizzata per creare la corona di spine posta sulla fronte di Gesù (ora sapeva bene che non sarebbe stato possibile, i climi caldi della regione mediorientale non ne avrebbero mai consentito lo sviluppo), ma perché era colorata e pericolosa con il suo stelo costellato di spuntoni. 


Quando entrò nello studio, inaspettatamente verde e luminoso, Celeste sentì riaffiorare gli avvertimenti di amici e parenti. Il temuto professor Fermi era dietro la scrivania con il suo classico cipiglio e l’aria annoiata. Neppure ascoltò le idee che la ragazza aveva per la tesi, non era molto abituato a ricevere questo tipo di richieste. 

Per un secondo, mentre spegneva il sigaro nel posacenere, si accorse della luce negli occhi di quella ragazza un po’ strana che aveva di fronte. Mai in tutta la sua carriera uno studente aveva parlato delle sue piante con così tanto trasporto, spesso lui stesso era stato sul punto di buttare tutto all’aria e insegnare qualcos’altro, qualcosa che non prevedesse catalogare e analizzare esseri inanimati. Non ci era mai riuscito perché era da sempre destinato ad essere vicino a quel mondo bizzarro, colorato e altrettanto crudele che riguardava i vegetali. Per la prima volta in tutta la sua carriera, Augusto sentì dentro di sé la felicità di essere al posto giusto nel momento giusto e con la persona giusta. Quella ragazzina proveniva dal suo stesso mondo e sembrava capirlo. Cominciò finalmente a prestarle ascolto, interruppe spesso il suo monologo con domande attinenti. Si sorrisero e lui le promise di mandarle presto del materiale utile. 


Gli incontri cadevano ogni settimana, sempre di Martedì, e andavano avanti per ore. All’inizio discutevano solo dell’argomento della tesi, parlavano di come strutturare il lavoro, dove trovare documentazione utile, poi la discussione si aprì a temi totalmente diversi, giunsero persino a parlare della catalogazione dei crostacei. Augusto non aveva mai sorriso tanto come durante quelle ore il Martedì pomeriggio. Le aspettava tutta la settimana. Celeste, dal canto suo, scriveva con diligenza i capitoli assegnati ed era così felice di aver trovato un docente appassionato come lei.

Proprio la settimana prima della morte del professore, mentre Celeste discuteva sull’agricoltura biologica, Augusto istintivamente stese il braccio e le sfiorò la mano, cogliendola impreparata. Lei non la ritirò, rimase immobile incerta sul da farsi e piacevolmente disorientata da quel gesto così umano. Rimasero per molto tempo in quella posizione e continuarono a discutere come se niente fosse stato, come se non stesse succedendo qualcosa di straordinario a pochi centimetri dai loro nasi. Fu Celeste allora ad aumentare la pressione della mano e stringere quella del suo insegnante. Si guardarono in silenzio, intensamente, per un secondo che sembrò non finire mai. Poi un cellulare suonò e tornarono ad assumere un atteggiamento formale. Si salutarono con la promessa di rivedersi sette giorni dopo, alla stessa ora, per correggere un nuovo, come sempre impeccabile, capitolo della tesi.


Quel Martedì mattina però, Augusto avvertì un pizzicore al braccio sinistro, una cosa da niente. Dopo un momento di incertezza si rimise al lavoro. Quando arrivò il dolore vero e proprio, come un vuoto al petto, capì che sarebbe morto lì, al terzo piano, interno C. Ebbe un momento di totale disperazione, poi sempre accovacciato a terra alzò lo sguardo, vide il crocifisso sulla parete e si soffermò sulla corona di spine, fu allora che sentì un calore piacevole alla mano sinistra, la pressione di un angelo che sembrava volerlo confortare in quel momento di paura.

 

Nessuno seppe spiegarsi il sorriso sulle labbra del professor Fermi quando fu trovato il suo corpo, ore dopo, in quell’ufficio al terzo piano.

Ma nessuno si preoccupò troppo di comprenderne il motivo.

 


Note:
Questa
storia prende parte alla sfida "Una idea, più storie" indetta dal gruppo Facebook "EFP recensioni,consigli e discussioni".

 

Io, Liz BrielBalder Moon abbiamo avuto la seguente consegna:

"Storia che tratti la morte di una persona. Lo scenario lo potete scegliere, in quale modo morire. Nella storia ci devono essere presenti i sentimenti della persona che muore oppure di qualcuno che le voleva bene".

 

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!
Alla
prossima.

 

   
 
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