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Autore: AkelRulez    30/04/2015    1 recensioni
Buona lettura
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Filo rosso. 


 


La luce filtrava dalle tapparelle abbassate, scaldando appena il viso del ragazzo che, beatamente, dormiva.
Il lenzuolo di seta azzurro copriva la sua vita sfiorandone, delicatamente, la pelle nuda.

I capelli castani si tingevano di sfumature color grano, quando la luce li accarezzava.
Aprì lentamente un occhio, per poi richiuderlo poco dopo. Si girò dall'altra parte mettendosi il cuscino sulla testa, mentre un soffio freddo gli sfiorò la schiena, provocandogli un brivido.

- Coraggio, Arden, ce la puoi fare! - disse mormorando tra sé e sé, mentre scalciava il lenzuolo ai piedi del letto. Allungò una mano verso la sveglia digitale, l'afferrò e la portò davanti agli occhi. Osservò i numeri rossi, sfocati, senza capire quali fossero.

Rassegnato, si alzò dal letto. I piedi sfiorarono il pavimento freddo, provocandogli un brivido diverso ad ogni passo.
Aprì lo zaino di scuola e prese una custodia per occhiali nera. Lentamente, tirò la cerniera fino ad aprirla completamente, poi ne estrasse un paio di occhiali da vista, anch'essi neri. - La mamma ha ragione. - borbottò - dovrei usarli.

Se li calò sul naso, seppur contrariato. Dal mucchio di vestiti che regnava sovrano sulla scrivania in legno, Arden prese una maglietta ed un paio di jeans. Con la coda dell'occhio, notò un esile filo rosso pendere dalla

maglietta bianca ma, quando provò a strapparlo, notò che partiva dal suo mignolo sinistro.
Spaventato, lo tirò con i denti, senza ottenere alcun risultato.

Aprì un cassetto della scrivania e prese delle forbici. Il filo passava tra le lame affilate ma, quando provò a congiungerle, si spezzarono. Con gli occhi fuori dalle orbite dallo stupore, provò a bruciarlo, ma la fiamma dell'accendino si spense poco prima di toccarlo.

Esasperato, si lasciò cadere a peso morto sulla sedia della scrivania.
- Proviamo cosi, chiudo gli occhi, conto fino a tre e poi tu sparisci, ci stai?- disse rivolto al filo.

E cosi fece. Chiuse gli occhi, respirò a fondo ed iniziò a contare.
- Uno.
Respiro.

- Due.
Respiro.
- Tre.
Aprì un occhio, che subito cadde sul dito, dove il cordoncino albergava impassibile.

Un urlo di frustrazione prese vita nella gola del ragazzo. Si passò le mani tra i capelli castani, lisci.
Guardò nuovamente l'ora sulla sveglia: 08:32, decisamente tardi.

Si infilò velocemente i pantaloni e le scarpe, afferrò lo zaino e la maglietta. Uscendo, ingoio una brioche e afferrò il panino per il pranzo. Indossò la maglietta e si mise lo

zaino sulle spalle, poi salì sulla sua vecchia bicicletta e pedalò fino a scuola, dove le lezioni erano già iniziate. Una volta arrivato, legò la bicicletta ad un palo e si fiondò all'interno di quella prigione. Si accucciò per non farsi vedere dal bidello che pisolava alla sua scrivania dove c'era scritto “Ufficio del bidello”.

Corse fino alla sua classe dove il professore di inglese stava tenendo la lezione.
Aprì lentamente la porta, per non farla cigolare.
Il professore interruppe la frase per guardare nella sua direzione, poi riprese a parlare a degli studenti disinteressati.

Arden percorse le scale fino alla sua fila, poi strisciò dietro due alunni. Finalmente aveva raggiunto il suo banco, dove si gettò sulla sedia, riprendendo fiato.
Le lancette dell'orologio correvano da un numero all'altro, le ore passavano ovattate nella mente del ragazzo, che era concentrato sul filo.

Finalmente arrivò l'ora del pranzo la quale, abitualmente, Arden la passava in compagnia dei suoi amici.
Nel gruppo, erano cinque.
C'era Scotch, un ragazzo dai capelli rossi e ricci, il volto ricoperto di lentiggini. Era basso e diversamente magro, odiava lo sport ed amava i modellini, di ogni tipo. Da quello deriva il suo nomignolo, Scotch, perché, anziché mettere i pezzi ad incastro, lui li attaccava insieme con quintali di nastro adesivo, e, così, aveva fatto anche con i suoi occhiali.

Poi c'era Giotto, un ragazzo asiatico alto e magro. Il suo soprannome è deducibile. Come Giotto, il pittore, lui

passava tre quarti delle sue giornate a disegnare.
Da poco, nel gruppo, c'era Joy, e quello non era il suo nome, bensì il diminutivo di Joystick, per la sua mania per i videogames.
Il migliore amico di Arden era Reflex, ed è chiaro il motivo.
In fine, c'era Arden, soprannominato dal gruppo Smart e non perché intelligente ma perché lui ed il suo nuovissimo smartphone erano inseparabili: se avevi un dubbio o non sapevi qualcosa, lui te la trovava in meno di un minuto.
Da tempo, ormai, loro cinque pranzavano insieme alla mensa della scuola, sempre allo stesso tavolo.
Ma quel giorno, c'era qualcosa che non andava.
Arden arrivò al tavolo con il suo panino integrale, si sedette al suo posto ed iniziò a mangiarlo, mentre faceva correre le dita sul display touch del telefono, cercando rimedi per il filo.
Gli altri, però, erano insolitamente silenziosi.
Arden aveva provato ad avviare diversi discorsi ma non ottenne nessuno stimolo dalla loro parte.
Il ragazzo si preoccupò davvero quando Scotch allontanò il vassoio, ancora pieno.
- Ragazzi, io non ce la faccio a star qui facendo finta di niente. Vado a casa. -
Gli altri non alzarono il capo dal loro pranzo, e lui guardò l'amico andare via.
- Cosa gli prende? - chiese Arden al gruppo, ma ancora nessuna risposta.
- Se il problema sono io, se ho fatto qualcosa, ditemelo! - sbottò alzandosi in piedi, i pugni serrati sul tavolo. Gli

occhi del ragazzo viaggiavano frenetici da una testa all'altra, sperando di incrociare quelli di qualcuno.
Un silenzio insolito aleggiava tra i tavoli della mensa. Arden era esausto di quella giornata che pareva non finire mai, così, dopo aver preso lo zaino, si avviò verso l'uscita del locale senza proferire ulteriori parole.

Al termine delle lezioni, il ragazzo tornò a casa accompagnando la bicicletta a piedi.
Aprì lentamente il cancelletto di casa, lasciò cadere la bici sul prato incolto e rientrò nel nido.

Uno strano odore di fiori freschi e candele invase le sue narici provocandogli un senso di nausea.
- Mamma, sono tornato!- disse a voce alta, lanciando lo zaino sul divano di velluto blu.

Incurante della risposta della donna, si precipitò in camera sua, bramando il comodo materasso ad acqua.
Il pomeriggio trascorse così, sdraiato sul letto, abbandonato a quel dondolio ipnotico.

Di tanto in tanto, il filo rosso gli sfiorava qualche altro dito, dandogli un lieve solletichino.
Le sue dita, così, si andavano a legare con il suo incubo, che non gli dava pace.

Nella mente del ragazzo correvano frenetiche numerose domande, alle quali, però, non riusciva a trovare risposte. Sdraiato su un fianco, il telefono nella tasca dei jeans lo infastidiva, così lo sfilò poggiandolo sul cuscino. Poi, si illuminò. Tra le varie notifiche dei social network a cui era iscritto, un'icona attirò la sua attenzione, costringendolo ad aprirla.

Una vecchia leggenda cinese prese vita sullo schermo del telefono, le lettere si susseguivano formando un treno di parole.
L'immagine di un filo rosso si ergeva in mezzo al brano, obbligando il ragazzo a guardarlo.

I suoi occhi scorsero il testo, ispezionandolo.

Il filo rosso del destino è una leggenda popolare di origine cinese. Secondo la tradizione, ogni persona, già dalla nascita, porta un invisibile filo rosso legato al mignolo della sua mano sinistra, che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la caratteristica di essere indistruttibile. Se le persone sono destinate a conoscersi, in un modo o nell'altro, lo faranno.

Un'altra voce, invece, raccontava la leggenda del filo, ma Arden era troppo spaventato per essere curioso.
Si alzò dal letto lasciando il telefono mostrare immagini di mani legate da un filamento rosso, come il suo. Disperato, corse in cucina. Aprì il cassetto dove la madre teneva i coltelli e cercò quello con la lama più grande. Quello che stava vivendo era un incubo ed era disposto a tutto pur di tornare alla sua vecchia vita. Impugnò il coltellaccio saldamente e lo alzò sopra la mano sinistra, poi lo scagliò violentemente sul dito mignolo.

Del sangue fuoriuscì dal profondo taglio che si era procurato ma, con suo grande stupore, avanzò a ritroso tornando al suo posto, poi la ferita si richiuse.
Strabuzzò gli occhi incredulo a quello che aveva visto; era scientificamente ed umanamente impossibile una cosa del

genere.
Si sedette, rassegnato, sul divano e cercò di far luce sulla vicenda.
- Okay, ammettendo che questo filo mi leghi alla mia anima gemella, mi basterebbe seguirlo, giusto?
Non si aspettava una risposta, non dal filo. Arden credette di essere impazzito! Insomma, era in casa da solo e parlava con se stesso, ad alta voce, per giunta.
Passandosi una mano tra i capelli, prese la giacca ed uscì di casa.
La temperatura si era abbassata rispetto a qualche ora prima, un vento freddo soffiava graffiandogli il viso.
Il ragazzo si strinse nel piumino ed avanzò verso la bicicletta.
Dopo qualche minuto, pedalava per le strade poco affollate, le guance rosse e gli occhi che bruciavano.
Stringeva il manubrio a tal punto che le nocche gli divennero bianche ed il filo svolazzava allegro spinto dal vento.
Quando arrivò ad un incrocio, il cordoncino si drizzò puntando una strada poco assestata.
Arden roteò gli occhi, mai avrebbe pensato di avere un filo rosso come navigatore per la sua bicicletta.
Pedalò, dunque, evitando le buche e le varie bottiglie di vetro vuote.
Pensò che la sua mente gli stesse giocando un brutto scherzo, che stesse immaginando tutto.
Arrivato alla fine della strada, il cordino di cotone gli indicò, nuovamente, la direzione.
E fecero cosi per almeno un'ora, il ragazzo che seguiva il

filo ed il filo che svolazzava tranquillo, quasi a prendersi gioco di lui.
Pedalò per un lasso di tempo che gli parve infinito, le guance rosse spiccavano nel freddo della città.

Col fiato corto, giunse davanti ad un cancello arrugginito, indicatogli dal suo GPS personale.
Lasciò la bicicletta accanto ad un muretto pieno di crepe, scostò un'anta dell'ingresso, provocandone un cigolio tetro. Il luogo era ricoperto da una folta coltre di nebbia bianca, impedendo al ragazzo di capire dove si trovasse.

A tentoni, vagò barcollando ora a destra, ora sinistra, a seconda di dove puntasse il filo, che sembrava disorientato. Camminò sulla ghiaia scricchiolante per diversi minuti, avanzando nella foschia, fin quando il filo non divenne più lungo, ricadendo al suolo allentato.

Poco più avanti, la caligine sembrava disperdersi, liberando un tratto di visuale.
Avanzò con le mani protese in avanti, seguendo il percorso che il filo tracciava sul suolo umido.

Una grossa lastra di marmo bianco indicava la fine del suo strano percorso.
Il ragazzo era frastornato, non capiva dove si trovasse, né perché il filo lo avesse condotto fin lì.

Passò la manica della giacca sulla pietra fredda, scoprendone delle incisioni.
- Lei era Logan, avrebbe la tua età ora.
Arden si voltò spaventato, credeva di essere solo!

Una sagoma scura si avvicinò al giovane: era leggermente ricurva su se stessa, aggrappata ad un bastone da passeggio, dei baffi pendevano dal suo viso come serpentelli. Pareva

indossare una lunga tunica, poiché non gli vedeva i piedi. Il ragazzo cercò di indietreggiare ma la lapide della ragazza gli bloccò la strada. Il marmo freddo attraversava il tessuto del giubbetto, attorcigliandogli le ossa.
Deglutì in preda al panico, mentre l'uomo si avvicinava. Aveva una veste lunga, decorata con pietre che splendevano di colori caldi e brillanti.
Gli occhi dell'uomo erano tirati, tra le rughe che tradivano il suo aspetto.
- Chi è lei? - chiese Arden – Se è il padre, mi dispiace per sua figlia, non volevo disturbarvi.
Da dove si trovava, poté notare un sorriso sulle labbra dell'anziano cinese.
- No, Arden, non era mia figlia. Io sono Tihao, al tempo Fuxi. Non sai di me poiché non hai peccato di curiosità. Ebbene, io sono il dio dei matrimoni, colui che lega le persone con un filo rosso, proprio come il tuo.
Arden era incredulo, aveva letto qualche parola al riguardo sul suo telefono, quel pomeriggio, ma credeva si trattasse solo di una vecchia leggenda!
- Non capisco – disse confuso – perché il filo mi ha condotto fino a qui?
L'uomo fece un gesto vago con la mano. Dalle spalle del ragazzo, qualcosa avanzò verso di lui, fino ad affiancare il dio.
- Vedi, Arden, lei è Logan. E' morta due anni fa per una brutta malattia. Sognava l'amore come tutte le ragazze, alla sua età. Mi dispiacque per lei, ancora non ti aveva incontrato.
- Incontrato... me? Perché, continuo a non capire!

Il vecchio passò una mano attorno alle spalle della ragazza che pareva corporea, viva. Lei gli sorrise, poi piantò i suoi occhi verdi in quelli del ragazzo, facendogli venire un sussulto al cuore.

- “Se le persone sono destinate a conoscersi, in un modo o nell'altro, lo faranno.” non recitava cosi la storiella sul tuo aggeggio? Ragazzo, voi siete destinati!
Arden ripensò a ciò che aveva letto, cercando di ricordare tutte le nozioni.

- Se cosi fosse, non dovrebbe avere l'altro capo del filo legato al dito?
Il dio spostò la nebbia che giaceva davanti ai loro busti, scoprendo un filo di un rosso intenso, teso, che legava impaziente i due ragazzi.

- Ma... lei è morta, quindi salta tutto, giusto? - chiese nella speranza di liberarsi da quella storia.
Il vecchio, spazientito, gli picchiò il suo bastone sulla testa.

- Ma allora sei testardo! Arden, ripensa alle tue ultime ore, da quando ti sei svegliato. Non hai notato nulla di strano?
Il ragazzo ripercorse tutta la sua giornata. Si era svegliato con quel fastidioso filo attaccato al dito, ma si era svegliato da solo: la madre non lo aveva chiamato prima di andare al lavoro.

A scuola, nessun professore aveva richiamato la sua attenzione, non era nemmeno stato sgridato per il suo ritardo.
Poi, a mensa, erano tutti in silenzio.

Infine, al suo ritorno, la casa era vuota, se non per

quell'odore nauseante di fiori e candele.
Delle lacrime iniziarono a rigargli le guance mentre ogni tessera del puzzle accorreva al suo posto.
- Quando è successo? - chiese dopo qualche minuto di pausa. - Un mese fa. - gli rispose il dio. - Un uomo ubriaco ti ha preso in pieno mentre andavi a scuola, in bicicletta. E' successo tutto velocemente, la polizia lo sta ancora cercando. Ma, vedi, ragazzo, non è tutto finito. Hai scoperto cosa c'è dopo la morte! Puoi continuare a vivere, nell'ombra, ma puoi stare nella tua città, con la tua famiglia ed i tuoi amici. E poi, Arden, non sarai solo. Hai una nuova amica, ora.
Il ragazzo spostò lo sguardo lucido dai suoi piedi alla ragazza che, gentilmente gli sorrideva.
Arden annuì, pur avendo voglia di urlare e scappare.
- Suppongo non ci sia nulla da fare, non è vero?
- Vero.
Si passò una mano tra i capelli, capelli che non sarebbero cresciuti mai più.
La sua mente era uno schedario di volti: passò a rassegna il viso di sua madre, quello di suo padre, i suoi amici, i professori ed anche i nemici.
Si sentiva in colpa per averli abbandonati così, senza averli salutati per l'ultima volta.
Ma lui li poteva vedere, seguire e aiutare, in qualche modo. Annuì alla ragazza tendendogli la mano sinistra. Logan la strinse a sua volta, i due capi estremi del filo si congiunsero per la prima volta. Una luce abbagliante sciolse i nodi, liberando le loro dita.
- Vi siete incontrati, come doveva essere. Ora, dipende

tutto da voi. - disse il dio, indietreggiando nella nebbia, fino a scomparire.
Arden alzò lo sguardo dalle mani ancora unite, rivolgendolo alla ragazza.

- Io sono Arden. - disse sorridendole, mentre le ultime lacrime gli morivano sul mento.
- Io sono Logan. - rispose lei, comprensiva.
E Arden capì che quella non era la fine, era l'inizio.



 
   
 
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