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Autore: Artemis00    29/12/2008    8 recensioni
Una recita sgradita, una sparizione, una sgradita reazione. Piccola fanfiction natalizia che vedrà i due maggiori geni della Wammy's House scontrarsi in una sfida senza precedenti. Perché ci vuole sempre un genio, per capire un altro genio.
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi | Personaggi: Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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angeli natalizi
Angeli natalizi


Mello era soddisfatto.
No, soddisfatto è riduttivo.
Mello era intimamente esultante, e lo si poteva notare dalla sua posizione, stravaccata nella sedia, lui, che in genere si sedeva con la schiena inclinata in avanti, in tensione, con aria vigile e tesa.
Stravaccato, le gambe divaricate, un gomito poggiato nel bracciolo e una barretta di cioccolata stretta fra le dita. Non riusciva assolutamente a stare fermo: accavallava le gambe, le divaricava di nuovo, stringeva forte la cioccolata, chiudeva una mano a pugno, scuoteva la testa per togliersi dal viso i ciuffi di ribelli capelli biondi... e la sua espressione era tutta un programma.
Gli occhi azzurri assottigliati, i lineamenti mobili di uno che si trattiene dal ridere, gli angoli della bocca all'insù.
Era in classe, al caldo in quella fredda e nevischiosa sera di dicembre, le luci tutte accese, le finestre addobbate, uno spartano presepe in un angolo.
In mezzo alla stanza, sgombrata dai banchi, Roger faceva provare a Near la parte dell'angelo, mentre Linda gli prendeva le misure per il vestito.
Non che sulle prime si fosse reso conto di quanto potesse essere divertente la cosa.
A fine novembre la maestra di educazione fisica aveva consegnato loro i ruoli, e quando a Near fu data la parte dell'angelo, Mello non l'aveva presa così bene.
- ALTRO CHE ANGELO! QUELLO È UN DEMONIO!
Aveva urlato a Matt, una volta che i due si furono ritirati nei bagni.
A lui avevano proposto di fare la stella cometa, ma vedendo la sua espressione avevano fatto marcia indietro.
Diciamocela tutta, Mello adorava recitare, anzi, era una prima donna; ma non teneva affatto a partecipare a quella tremenda recita natalizia, e non lo potevano costringere: era capace di far andare tutto in rovina il giorno della rappresentazione!
- Io non lavoro coi principianti - aveva detto a Matt, più pacato, in sala mensa. I ragazzi più grandi avrebbero picchiato chiunque si fosse arrischiato a macchiarsi di tale arroganza, ma hey, lui era Mello, il numero due della Wammy in intelligenza e decisamente il numero uno in fatto di aggressività.
E quando aveva scoperto che forse anche L sarebbe andato a vedere la recita, il suo giovane visetto si era storto in un sorriso trionfante: vedere Near recitare assieme a tutti quegli idioti avrebbe certamente messo in luce lui, Mello, la sua serietà.

"E quando la stella cometa
si sarà posata lassù
quella sarà la vostra meta
non dovrete penare più
"

Davvero patetico.
Near, inespressivo, leggeva quei versi a voce bassa, cercando di dare un tono.
Il disegno del vestito che avrebbe dovuto indossare era appeso al muro che dava a nord, ed era un prodigio di lustrini, tulle e fiorellini di pura plastica.
Roger dava un ritmo alle battute, soddisfatto della docilità del numero uno della Wammy, nonché il suo pupillo.
Del resto, con quei riccioli bianchi, quell'aria infantile, era l'unico in grado di fare l'angelo, fra tutti i suoi coetanei, alti, spigolosi e brufolosi.
Mancavano pochissimi giorni alla rappresentazione.
Purtroppo non potè assistere alle prove del vestito, ma decise che quella sarebbe stata una sorpresa. Stava pianificando di sedersi accanto a L per godersi la scena. Chissà com'era, fisicamente! Non fece congetture, non poteva proprio immaginarselo.
Vedeva solo sé stesso accanto ad un uomo adulto, a ridere di un Near che, rosso e umiliato, recitava quei versi orrendi, intrappolato in quell'atroce vestito bianco con le ali di carta stagnola.
Le sue spalle fremettero di gioia mentre, la mattina della rappresentazione, era intento a lavarsi la faccia con urgenza.
Era già un pochino in ritardo.

- Ma dov'è Near?
Nell'aula magna v'era un gran vociare, una grande preoccupazione aleggiava nell'aria.
Le maestre correvano da una parte all'altra, Roger si torceva le dita, preoccupato. I ragazzi più grandi vigilavano.
- Mello!
Urlò Roger dopo averlo visto. Lo prese saldamente per le spalle.
- Hai visto Near?
Un sacco di volte gli era stata posta quella domanda, specie dopo aver rinchiuso Near in uno sgabuzzino costringendolo a mancare a lezione.
- No.- almeno stavolta Mello era stato sincero. Lui voleva che Near si umiliasse davanti a tutti!
- Cercalo, per favore.
Senza farselo ripetere due volte il biondino prese a correre per i corridoi, lasciando solo un sorpreso Roger.
"Mah, in genere gli si deve promettere la cioccolata."
- Ci vuole un genio per trovare un genio- mormorò Mello, dirigendosi verso la propria stanza.
Sì, stava cercando Near proprio dove nessuno avrebbe immaginato che fosse. "Se io fossi in Near andrei a rifugiarmi dove nessuno penserebbe mai di trovarmi" meditò.
No, nella propria stanza non c'era. Chiuse la porta, senza perdersi d'animo; forse aveva troppa paura di lui, no?
La seconda opzione era la palestra, il luogo meno amato da Near in tutta la Wammy's House, in cui era inevitabilmente vittima delle sue prese in giro.
Perlustrò accuratamente tutti gli spogliatoi, gli armadietti, i bagni, perfino dietro ai materassini. Nessuna traccia di lui.
Mello cominciò a prenderla sul personale: Near lo stava sfidando a trovarlo, e il fallire avrebbe significato un'ulteriore sconfitta. No, non poteva permetterlo!
In ordine di ovvietà, ossia da dove era meno probabile fino al "possibile", perquisì la scuola.
"La camera di Linda!" pensò all'improvviso.
Certo, quella ragazzina era una palla al piede, di sicuro era andato lì!
Entrò senza tante esitazioni nella stanza della bambina, trattenendo il vomito: ovunque c'era un atroce odore di vaniglia, il letto aveva le coperte rosa, la spazzola era rosa, il baule dei vestiti era rosa... tutto di una femminilità sconvolgente.
Aprì l'armadio e trovò solo una lavagnetta su cui stava scritto cento e cento volte "Near". Patetico, pensò, con un moto di disgusto.
Non era lì, comunque.
Cominciava a innervosirsi, e poi a deprimersi. Nulla da fare: era forse così intelligente da batterlo?
Di scatto il biondo si alzò dal letto di Linda e corse fuori, senza neanche chiudere la porta. Corse a perdifiato per i corridoi, fino a spalancare la porta della stanza di Near. Vuota.
"Maledizione!" imprecò mentalmente. Aveva avuto per un attimo l'illusione che Roger si fosse limitato a dare una sommaria occhiata alla stanza, senza guardare negli armadi o sotto al letto, decretando che aveva già controllato lui e che lì non c'era.
Il suo rivale, constatò, era molto ordinato, forse troppo. La stanza non aveva nulla di personale, neanche i giocattoli, dato che erano tutti ordinatamente stipati in un baule accuratamente chiuso a chiave.
Sospirò, mordendosi a sangue le labbra.
- Cazzo- sussurrò, cosciente di non essere molto elegante. Si sdraiò stancamente sul letto del suo rivale, sgualcendo un po' le coperte ben tirate.
Si sentiva profondamente deluso. Aveva pensato a tutto, a come Near potesse essere dove nessuno pensava, ma anche che lui si potesse essere nascosto in un luogo talmente ovvio (la biblioteca) da non essere perlustrato da nessuno. Non l'aveva trovato.
Con uno scatto si portò sdraiato su un lato: muoversi lo aiutava a pensare.
E fu lì che la vide.
La presa dell'aria.
Saltò giù dal letto e guardò bene l'inferriata: era lucida. Possibile che fosse così pignolo da lucidarla? O forse non voleva lasciare impronte nella polvere? La conduttura al di là di essa era abbastanza larga per farci passare un ragazzino minuto come lui, e portava direttamente a...
"La stanza chiusa!" pensò, folgorato "la stanza di cui si è persa la chiave!"
Toccò l'inferriata e si accorse che la cornice era stranamente mobile, e che le viti erano dunque solo posate, non certo girate con un cacciavite. Gli parve quasi di vedere, nella sua mente, le dita sottili di Near porgersi dall'inferriata per poggiare le viti in modo che sembrasse chiusa.
Un lavoro di grande precisione e delicatezza: un solo movimento falso, e l'avrebbe spinta giù con un grande fracasso metallico.
Doveva essere nell'altra stanza, di sicuro. Avrebbe fatto mostra anche della propria delicatezza, aprendo la conduttura e passandoci attraverso senza fare alcun rumore. Ma anche se l'avesse fatto? Near era in trappola e quella era la sola via di fuga.
Con lentezza sfilò una ad una le viti dai fori, poi prese con entrambe le mani il freddo quadro metallico dell'inferriata, staccandolo e posandolo sul letto.
A quel punto posò un piede su una sedia e, dopo aver fatto entrare prima il busto, poi le ginocchia, si ritrovò nella conduttura.
Senza troppa fatica (era anche lui un ragazzo piuttosto magrolino) si fece strada in quella stretta galleria metallica, a gattoni, rimpiangendo la presenza di un Matt che gli dicesse quanto era intelligente. Peccato che il suo amico fosse sequestrato nella propria stanza a provare la sua parte di re Magio.
Soffocò una risata al pensiero.
Ecco, finalmente la via d'uscita, senza alcun ostacolo!
Era aperta, doveva esserci! Doveva esserci lui!
Infatti eccolo lì, seduto a terra col suo puzzle, a guardare la bocca aperta di quella conduttura, conscio di non essere più deliziosamente solo.
Il biondo saltò giù, dopo essersi raccolto in posizione accovacciata, atterrando su un cuscino posto opportunamente lì.
Ebbe pochi secondi per registrare che la stanza era pulita e ordinata, come se il proprio rivale fosse riuscito a trascinarci dentro un aspirapolvere e il necessario per le pulizie. A terra, a guastare l'ordine, vi erano pezzi di lego, tessere del domino, robot e pupazzi vari. Solo i giocattoli più grossi dovevano essere rimasti in quel baule.
Si raddrizzò e guardò il proprio rivale, con un ghigno che gli deformava la faccia.
- Ti ho trovato, alla fine, angioletto- disse beffardo - ora dovrai seguirmi.
Ma dovette ricredersi perché, come gli fece notare Near, non c'era modo di costringerlo ad uscire da quella stanza: non la forza, dato che la conduttura era troppo stretta perché passassero in due, e non la persuasione, dato che era incorruttibile.
Serrò la mascella. Aveva trovato la sua preda, ma non poteva consegnarla alla giustizia. Near era sempre due passi davanti agli altri.
- Credevi davvero che mi sarei prestato a quells stupido gioco?- disse atono il ragazzo, intento a fare un castello di lego, quasi una barriera che lo separasse da Mello - Recitare quei versi ridicoli e di dubbio gusto, magari alla presenza di L?
Il biondo sentì di non poterlo certo biasimare, d'altra parte, però, era proprio quello che voleva: voleva che il proprio rivale si umiliasse.
Non poteva convincerlo.
Gli salì il nervoso, strinse i pugni e con quattro passi lo raggiunse, chinandosi alla sua altezza.
Con una manata mandò a infrangersi contro la parete le costruzioni, poi prese Near per il bavero della camicia, livido in volto.
- Tu, razza di bastardo, ti rendi conto che tutta la scuola ti sta cercando? Stai mandando a monte gli sforzi di tutti!
Con sua sorpresa il ragazzo fece un sorrisetto. Forse era la prima volta che lo vedeva sorridere.
- Come se a te importasse qualcosa degli sforzi altrui...- detto ciò approfittò dello stupore di Mello per sfuggire alla sua presa, con delicatezza.
In quel momento capì, forse dall'inflessione lievemente amara della sua voce.
Lui aveva profanato il suo mondo. Era entrato dove non doveva entrare, aveva infranto abusivamente la tranquillità di quel luogo.
Near si chiudeva lì, ogni volta che Linda chiedeva in giro dove mai potesse essere?
Near si chiudeva lì quando Mello era nervoso e voleva qualcuno con cui sfogarsi?
Near si chiudeva lì il giorno del suo compleanno, per sfuggire alle ipocrisie delle maestre?
Adesso non avrebbe avuto più un posto per stare solo: l'orfanotrofio è così. L'intimità quasi non esiste, le porte non hanno chiavi se non quando non vengono chiuse poiché vuote dello studente che avrebbe dovuto risiedervi. Tutto è comune, studio, cibo, riflessione, lezione, odio, amore.
Era lì dentro con Near, nessuno sapeva dov'erano, erano completamente isolati dall'ambiente esterno.
Erano in una bolla d'aria.
La cosa gli diede un brivido di eccitazione che lo portò a spingere Near sul pavimento, spinto più dalla foga che da vera e propria furia.
- Esatto, non mi interessa affatto. Io voglio soltanto che L noti me.
- Ci noterà, Mello.
Mormorò Near.
- cosa?
- Ci noterà- ripeté, a bassa voce- noi siamo gli unici che mancano all'appello. La recita inizierà senza di noi.
Maledetto! Aveva intuito i suoi piani e li aveva rivolti anche a proprio favore!
Cercò di colpirlo, Near si ritrasse istintivamente, e questo portò i due a rotolare sul pavimento, il biondo che lo marcava troppo stretto perché potesse allontanarsi.
Stavolta il ragazzo sembrava animato da una forza nuova: in genere evitava di reagire a quel che diceva o faceva Mello, si lasciava picchiare, quando non riusciva a evitarlo, senza dire nulla né tentare di fermarlo.
Forse, riflettendoci in futuro, avrebbe preso atto che era stata una mossa stupida, ma abbastanza  imprevista da cogliere in fallo l'altro: cercò di fermare, con tutte le proprie forze, gli avambracci di Mello, fasciati in stoffa nera, stringendoli fra le dita affusolate e bianchissime.
Stupito, il più grande si lasciò spingere sotto di scatto, trovandosi Near, il debole, fragile, docile Near, a cavalcioni del bacino.
In controluce, sembrava avere negli occhi un'incertezza maggiore della sua, non credeva a quello che lui stesso stava facendo.
Bloccato, non che facesse resistenza in qualche modo, contro il parquet, Mello lo fissava, i capelli biondi sparsi. Negli occhi c'era un misto di incredulità e sfida.
"Cosa credi di fare?" sembravano sillabare quelle gocce color azzurro cielo.
Lasciò che lo tenesse lì, lasciò che provasse quella sensazione di potenza che di certo mai più avrebbe assaporato.
Near sembrava di pietra, lo guardava e basta, non faceva nient'altro.
- Sei dannatamente debole, Near- mormorò Mello, senza tuttavia scrollarsi dagli avambracci le sue mani.
Non ricevette risposta, così agì per conto suo. Gli abbrancò la vita e lo portò nuovamente sotto di sé.
- Questo è potere.- sussurrò quasi sulle sue labbra, inconscio, o probabilmente solo dimentico, della sensualità del gesto.
- Sicuro che sia vero potere?- replicò il più piccolo, per nulla impressionato.
- Io dico di sì.
Il biondo ghignò: le domande retoriche allontanavano chi parlava dal fulcro del vero discorso. Forse non aveva argomenti con cui ribattere.
- No- rispose invece Near - non lo è, e tu lo sai.
- Ma ora non m'importa affatto. Tu sei qui, potrei stringere le mie mani attorno al tuo collo e soffocarti. La tua vita è nelle mie mani.
- Dubito che non ti scoprirebbero.
Ma Mello non lo ascoltava più. Era pervaso da quel senso di forza che prendeva il leone quando aveva fra le zampe una cerva sconfitta.
E questo, o forse anche la vicinanza, il calore del corpo di Near contro il proprio, lo portò a reagire dabbasso.
Sgranò gli occhi, era la prima volta che accadeva; arrossì, umiliato, stringendo i pugni e lasciando i suoi polsi.
Il suo rivale se n'era accorto, e lo guardava con una luce interrogativa e ironica negli occhi.
Poi si mosse e con la mano lo afferrò, senza fargli del male, in mezzo alle gambe.
- Questo, è il potere.
Disse divertito.
Mello si scostò da lui come se si fosse scottato.
- Purtroppo- ammise, chinando il viso - temo che anche tu abbia quel tipo di potere su di me.
Il biondo sgranò gli occhi a quella rivelazione.
Lo aveva lasciato senza fiato, senza nulla da ribattere. L'ammissione era stata così spontanea e data con una tale semplicità da non dargli più armi per prenderlo in giro. Near, inespressivo, si alzò in piedi e andò a completare un castello di carte nell'angolo opposto della stanza.
Mello lo guardava, seduto a terra, le ginocchia strette a sé, l'aria umiliata.
- Siamo soli- disse Near, neutro - qui siamo soli, sai?
- Me ne sono accorto- disse acido il biondo.
- Allora perché sei così imbarazzato? Abbiamo avuto le stesse reazioni.
- Non è giusto, non è normale.
Sentì una risatina sommessa - ciò che è normale non lo decidi tu, Mello. Un giorno forse capirai.
Il biondo lo avrebbe picchiato. "Un giorno? Chi si crede di essere?"

***

Un comodo appartamento situato in un lussuoso grattacielo di New York, sede di diversi uffici importanti, fra cui il famigerato e contestato SPK. Mello stava seduto comodamente su una poltrona.
Stravaccato, le gambe divaricate, un gomito poggiato nel bracciolo e una barretta di cioccolata stretta fra le dita.
- A cosa devo questa visita, o per meglio dire intrusione, Mello?- Near si era appena chiuso alle spalle la porta di quello che effettivamente era il proprio appartamento.
Mello si alzò, sogghignando, e lo prese per le spalle, senza che l'altro facesse un solo movimento per allontanarlo. Si chinò verso di lui, tendendosi, facendo alzare lungo i fianchi la propria aderente blusa di pelle nera, dato che si era precedentemente liberato del giaccone stracciato buttandolo sul letto.
Poggiò le labbra sul suo orecchio, sussurrandogli:
- Sai una cosa, Near?
Liberò il letto da quella giacca e spinse il ragazzo sul materasso, senza fargli male.
- Penso proprio di aver capito.
"Meglio tardi che mai" pensò Near.
Ma, per una volta, decise che era buona politica non provocarlo, non mentre era intento a liberarlo dai propri vestiti, perlomeno.
- Buon Natale, angelo.





Buon Natale anche a voi tutti, che seguite Sistemazioni Provvisorie nonostante i miei imperdonabili ritardi di aggiornamento!
E Buon Natale anche a chi è capitato per la prima volta in una mia fanfiction!
Vi ringrazio di aver letto questa mia one shot, e ringrazio anticipatamente anche eventuali ( e graditissime) recensioni.
Dedicata alla mia piccola Yaone16.
  
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