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Autore: Anonimadelirante    01/05/2015    2 recensioni
“Forse in un'altra vita – o in una vita prima, che ovviamente non hanno vissuto, ma pazienza: l'occasione è passata – forse a casa sua, su un prato ai confini del Paradiso.
Forse, mentre lei accarezza i cavalli e lui può finalmente sentirla ridere.
Forse.
[...] Le stelle sono belle, questa sera.
Magari avrebbe funzionato – in un angolo di Paradiso in cui lei non ha passato cinquecento anni a fuggire dalla vendetta del tempo, e lui centocinquanta ad amare e distruggere. [...] Questa è sempre stata la parte che lo spaventa di più – uccidere è così semplice che mette i brividi.
Non ha mai fatto affidamento su nessuno che si chiamasse Jessica.

Tr-
Sa che lo sta per dire, glielo legge sulle labbra. Ma non glielo lascia fare – non può permetterle di pronunciare la sua condanna a morte. [...]
Rose è stata la persona giusta, in una vita sbagliata.”

(L’agonia di Rose – e quella di Damon, naturalmente, sia mai che lo risparmi | 2x12 | Damon/Rose | Delena sullo sfondo)
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Rose Famil, Stefan Salvatore, Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Declaimer: non sono miei, non mi appartengono, non ci guadagno niente e balle varie. Non scrivo fanfiction per lavoro, altrimenti sarei la persona più fortunata del mondo, dopo la Dobrev.

N/A: Questa cosa sconclusionata che mi ostino a chiamare OS infestava già da un pezzo la mia cartella. È assolutamente senza senso, delirante e folle – me ne rendo conto – e vi supplico di non avere pietà – perché sì, questa è la prima schifezza che pubblico sul fandom, ma non sarà l'ultima se non mi stroncate subito (anche se lo faceste, comunque, dubito che i miei feels sia arrestabili, per la cronaca).

Dedicata ad Angelique, di EvasedaAzkaban_Black.

E niente. Rose rientra in assoluto nella mia top five di pg preferiti (direi che oscilla tra il secondo e il terzo posto a seconda dei momenti), in TVD, mentre Damon è il mio personaggio preferito. E per quanto sia una Delena!Shipper no, non posso esimermi dall'amarli alla follia.

Piccolissima – altra ed inutile – comunicazione di servizio: sì. Lo so. Non ha un finale. E lì sopra c'è scritto 'Completa'. Già, be'. Chi ha la sfortuna di avermi già letto lo saprà, ma, per le nuove vittime, ecco: sembro non essere in grado di raggiungere un buon finale manco a morire.

L'ultimo stralcio può essere quasi per AU!, mi sa. In realtà è più un ricordobarrasogno, ma fate voi.

Quindi, dunque: non c'è un finale, è a cavallo fra sogno e paranoia, c'è angst, è frammentata, non segue alcun ordine cronologico, il titolo è qualcosa di tanto stupido da far male e i personaggi sono complessati da morire.

Well, direi che questo valga più di una firma.

Anon_

 

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Ad Angel

 

 

Mandorle e miele.

(E sogni infranti)

 

 

 

 

(Oh, lui l'aveva detto.
Damon l'aveva detto che – in un modo o nell'altro – sarebbe successo.
Non per questo fa meno male, quando la uccide.
E, Dio, vorrebbe morire.)



 

Forse.

Forse in un'altra vita – o in una vita prima, che ovviamente non hanno vissuto, ma pazienza: l'occasione è passata – forse a casa sua, su un prato ai confini del Paradiso.

Forse, mentre lei accarezza i cavalli e lui può finalmente sentirla ridere.

Forse.

Ha i capelli lunghi e un abito di foggia antica, blu, che combatte, fa a pugni e perde (miseramente, anche, aggiungerebbe, se dovesse scriverlo su un diario; ma fortunatamente non è Stefan) con gli occhi – di quell'azzurro che a Damon fa male solo a guardarlo, eppure non riesce a smettere di fissare – e sorride, estasiata. Sembra incredula e ha una risata cristallina, da ragazzina – ha una risata vera, felice, che Damon non credeva di poter ascoltare; di esserne degno.

Infondo lui è l'intruso, in questo tramonto estivo – che sembrerebbe quasi vero, se non fosse per gli alberi del boschetto sfumati d'autunno, il prato costellato di boccioli e l'aria frizzante che profuma di neve. È lui la macchia nera in quel posto segreto del cuore Rose.

Eppure è solo lui – non la dividerà con nessuno, non deve, non lei – che la può ammirare mentre si solleva le vesti e volteggia sul crinale d'erba verde – e ride, ride, mentre i capelli le turbinano intorno. Damon sa che questo è solo un sogno. Lo sa con assoluta certezza, perché è lui a decidere in che direzione far soffiare il vento (in quel momento le cime degli alberi sono piegate a est ed è solo grazie ad un abnorme sforzo di volontà che Damon si impedisce di sollevarle le gonne con una folata), ed è sempre lui ad impedire ai cavalli di trotterellare troppo lontani, fuori da quell'angolo di Paradiso.

Sta seduto sul crinale erboso, a fissare l'ombra della montagna farsi sempre più lunga e scura – funesto presagio che sta per inghiottirli; lui probabilmente ne fa parte. Anzi, lui è l'ombra che presto farà scomparire il suo bel sorriso.




Stringe le dita intorno al volante, fino a farsi sbiancare le nocche.
Guida a una velocità assolutamente folle. E per un attimo non si ferma – non vuole fermarsi – e per un attimo sogna. Sogna di poterla portare via, di non essere costretto a...
Di essere più veloce della Morte.
Ma la Morte e già arrivata e lui l'ha già-

Frena di botto, stringendo i denti così forte che sente la mascella scricchiolare. Gli pneumatici slittano sull'asfalto bagnato e lui lascia che la macchina prosegua in folle per parecchi metri. Quando si blocca, non resta altro che aspettare.
E lo fa.


Un sorriso amaro gli bagna le labbra, mentre Rose calcia via le scarpette di panno e calpesta l'erba tenera, una farfalla che le danza attorno.
È bella, bella
da morire. Ma non è questo il punto; lei lo capisce – lo realizza solo adesso, e si sente tremendamente stupido, perché, infondo, non ha fatto altro, da quando Trevor è morto.
Non ha fatto altro che
comprenderlo – non giustifica le sue scelte; le capisce, e le accetta per buone anche quando non lo sono.
Tanto ormai il danno è fatto.
Scuote la testa e sorride, Damon, mentre lei sogna.

 

(Dormi, Rose. Dormi, ti prego.)



 

«Chi l'avrebbe mai detto? Infondo sei un bravo ragazzo.»
Chiude gli occhi e appoggia la schiena al legno duro della testiera del letto, mentre si sistema meglio Rose fra le braccia.
Maledizione, lui fa schifo, in queste cose.
«No.» Lui non è buono. Quello è Stefan. «Non sono bravo. Sono cattivo – e mi piace.» aggiunge, prima che lei possa commentare.
Sta sorridendo, lo sa anche se non la vede perché ha le palpebre socchiuse e il mento appoggiato ai suoi capelli.
«Menti.»

Non risponde, perché è stanco di fare la parte dell'antagonista, dopotutto.

 


«Ma come hai fatto?»
Già, come ho-
«Non è importante, Liz. Tu pensa a insabbiare le morti – mi occupo io del corpo.»
Lo sceriffo annuisce seccamente, mentre fa segno all'agente di risalire sulla volante.
Damon la guarda sgommare via. E la invidia da morire.
Lei non sa. Non sa niente.
Si costringe a non abbassare lo sguardo – no, non vuole vederla; non vuole vederlo, il suo cadavere – e sbatte con violenza il cofano.
Quando si siede di nuovo al posto del guidatore ha di nuovo quel bisogno impellente di scappare da sé stesso e dal resto dell'universo – non che sia una così grande novità, alla fine, per lui.
Non fa neppure lo sforzo di fingere che ci sia qualcosa che abbia anche solo la vaga parvenza di giusto. Preme sull'acceleratore e basta.
Fugge – solo per poco, solo per poco, per favore, per favore – e basta.


 

(«Shh, dormi. Dormi e basta.»)



 

Rose si lascia cadere vicino a lui – e Damon la sbircia con la coda dell'occhio, assecondando il timore di non poter guardare quel sorriso bellissimo direttamente senza guastarlo. Ma lei comincia a parlare come se niente fosse, ed è impossibile non cercarla con lo sguardo – non anelare che quegli occhi brillanti si specchino nei suoi.
«Questo era il mio posto preferito da ragazzina.
Come lo sapevi?»
Lui sorride appena, aggrottando le sopracciglia: «Le voci girano.»
Lei le inarca – Damon scrolla le spalle: «L'hai detto ad Elena.»
Rose alza gli occhi verso la montagna e sospira. Poi, un po' stupita: «Sto sognando?»
Non serve risposta, perché Rose sa riconosce sogno e realtà, ma lui fa spallucce comunque – e quasi sorride, mentre lei ridacchia.

 

 


Il boschetto gli è diventato fin troppo familiare – di questi tempi non fa che seppellirci cadaveri. Però, quando si ferma al centro, l'odore di muschio e foglie cadute nella notte che gli riempie le narici, non può fare a meno di fermarsi. C'è qualcosa che non va – non sa bene cosa, è più una sensazione, che altro.
Se non fosse per il magone che tenta di sfondargli il petto, probabilmente, la ignorerebbe.
Ma ha un bisogno disperato di distrarsi – ed è allora che capisce.
Qualunque posto è inadatto.
Rose è troppo bella, fresca e buona, per finire così. Si meriterebbe il prato che ha sognato, o qualcosa di altrettanto splendido e maestoso.
Si lascia scivolare in ginocchio, deglutendo a vuoto. È finita.
Finita. Ora può tornare a fare il fratello cattivo – quello che desidera la ragazza di suo fratello, quello che non merita affatto di essere amato come lo ha amato lei.
È finita.
Ma il sollievo che dovrebbe provare si perde in un singhiozzo soffocato da un pugno, mentre i denti si stringono attorno all'anello solare.
È finita – non c'è motivo di urlare.

 

 

 


Sospirano entrambi, all'unisono.
«Il sole è così caldo. Mi manca. Mi manca essere umana»
Questa l'ha già sentita.
Forse è una mania dei buoni, quella di voler tornare umani.
C'è stato un tempo –
c'è stato un tempo un cui anche Damon avrebbe fatto carte false per non essere un vampiro.
C'è stato un tempo in cui era Stefan, quello che lo costringeva a sbandare pericolosamente, per proseguire a piedi su strade asfaltate di sangue.

C'è stato un tempo.
Adesso non lo sa neppure lui; adesso ogni sua convinzione è andata rotoli.
Adesso, forse, essere un vampiro è l'unica cosa accettabile – in un mondo in cui Katherine è dieci volte più stronza di quello che credeva ed Elena e Stefan stanno insieme; ed Elena e Stefan sono felici.
È un vampiro,
l'unica cosa che non gli manca è il tempo – il tempo per accettare. Per rimettere a posto i tasselli. E ricominciare.
«Essere umani non è così divertente.» si risolve a borbottare. Ma Rose scuote la testa – scuote la testa e gli rivolge un sorriso, perché lei sa: «Avevo degli amici. Avevo una famiglia.» lui sta per ribattere, ma lei lo prende in contro piede: «Ero importante per gli altri.»
«Lo sei ancora.» bisbiglia Damon, sporgendosi verso di lei con un sussulto.
«No.»
Sì.
Sì, che lo sei Rose.
Più di quanto tu possa immaginare.
«Ma tu lo sei.»
Cos-
Alza gli occhi incredulo, non riesce neppure a chiudere la bocca – figurarsi mettere insieme una risposta.
«Ti sei costruito una vita, che tu lo voglia ammettere o no.»
Damon abbassa le palpebre
: il discorso "famiglia" evitatelo, Rose, non attacca. E poi...
«Io ho passato cinquecento anni solo ad esistere
«
Non avevi scelta, scappavi da Klaus!» sbotta Damon, voltandosi del tutto verso di lei.
Che razza di idiota potrebbe mettere le cose in questo modo?
Rose non ha fatto altro che tentare di sopravvivere, non è una colpa. No?
«C'è sempre una scelta.»
Damon non vuole farsi fare il paternale – è decisamente
l'ultima cosa che dovrebbe fare Rose, quella di preoccuparsi per lui, in un frangente del genere. Lui, d'altronde, si farebbe sgridare alla stessa maniera in cui Lexi faceva con Stefan – quel ragazzo non ha proprio dignità, eh – piuttosto che lasciarla andare.
Non puoi, Rose; non puo-
Da quando è diventata così indispensabile, per lui? Infondo doveva solo trovare un modo per non far ammazzare quella scema di Elena – invece s'è scoperto con un amica che gli ha fregato impunemente un pezzetto di cuore.
Rose, diamine, no. Non-
E poi, quella frase. Quella risposta così dannatamente da Stefan, che lo fa rabbrividire – quasi. Quasi.

No-

«Sai, stai rovinando il nostro giorno perfetto, con questo tuo strano borbottare filosofico.» biascica, meno convinto di quello che vorrebbe sembrare.
Rose gli allunga una mano dietro il collo, ma invece che tirargli una sberla lo stringe a sé, ridacchiando contro la sua spalla.


Rose sa, Rose capisce.
Rose ha un sesto senso, per
quelli come lui, evidentemente.
«Mi piacerebbe godermi l'aria fresca. Lo faresti con me?»
Damon la guarda. Lei gli sorride.

Forse.
Forse il sogno non è solo per lei, fors- Damon non può accettarlo, non può. Perché è colpa sua – e Rose lo sa, e Rose non è arrabbiata; Rose lo consola.
«Per un po'.» acconsente, sentendosi un bambino che prega la madre per un ultimo bacio, prima della buonanotte.
Rose gli si sistema fra le braccia e gli stringe una mano.

Non preoccuparti, Damon, andrà tutto bene.


 

(Perdonami, Rose, era me che cercava)


 

Rose è fatta d'aria e vento, non si può fermare.
Ha gli occhi azzurri, la copia esatta del laghetto sulle cui rive giocava da piccolo.
Rose è la madre morbida di abbracci che a mala pena ricorda, è la sorella che mai ha avuto. L'amante dal sorriso di mandorle e miele.
Rose è di vento e tempesta, si può rincorrere, ma mai raggiungere – sono cinquecento anni che fa pratica di fuga, infondo.
Rose è lago calmo, acqua che scorre sulla sua pelle che scotta.
Rose è giunta inaspettata – e assolutamente non richiesta – ma il vuoto che lascia è quello della montagna che guardano insieme.

 


Ammirano l'ombra farsi più lunga, Damon osserva impotente la minaccia scura avvicinarsi, Rose quasi l'aspetta.
«Grazie.» forse è il sussurro del vento, forse è il cuore di Damon che batte troppo forte.

Fors-
«Per cosa?» è lei che ringrazia, è lei che rassicura, è lei la più calma fra i due – perché Rose è il mondo che gira al contrario, e Damon è sempre stato bravo, a lasciar condurre le sue dame.
«Il dolore è andato via.»
Sorride appena, mentre distoglie gli occhi dai suoi. «Ne sono felice.»
Rose esista, ed è
strano – Rose non è una che tentenna, dopo tutto quello che ha passato.
Forse vorrebbe dire qualcosa, forse vorrebbe solo che lui sorridesse per davvero – o magari è un'illusione, un sogno nel sogno, magari vorrebbe solo star zitta.
«Pensi che li vedrò di nuovo? La mia famiglia...» precisa.

Vorrei solo che tu stessi con me; non lasciarmi, devi aiutarmi, devi- me l'hai promesso, ricordi?
Ma Damon stira le labbra in un sorriso: «Penso che vedrai chiunque tu voglia vedere.»
«Sarebbe bello.» concordano.

 

(Sarà bello, Rose, te lo prometto)


 

Chiude gli occhi e passa le dita fra i capelli di Rose, mentre lei respira piano.
“Non ho più paura.”
Che equivale a è il momento – lo sanno entrambi.
La sua mano corre al comodino, il paletto già pronto.
È un attimo – un attimo solo, mentre i suoi polpastrelli accarezzano la pelle morbida del suo braccio; è in quell'attimo che esita.
(Aveva giurato che non avrebbe esitato mai.)
Esita perché non può, non può, non vuole farlo.
Oh, Rose.

 


Forse.
Forse in un altro mondo, in un mondo dove Elena non è un sogno e un incubo – un universo in cui Stefan non c'è e Katherine non è mai esistita.
Forse. Chissà.

Forse –
forse, mentre lasciano che l'ombra si allunghi su di loro e contemplano la montagna, abbracciati.
Forse, se quegli attimi fossero una vita intera e non una manciata di briciole strappate alla Morte.

Forse – ecco, sì, forse. La sicurezza non è nulla di indispensabile, con Rose fra le braccia.
Non è necessario che Stefan ed Elena spariscano, a ben pensarci – e neanche quel Trevor; senza Elena, non c'è nessun posto e nessun Paradiso – basta che stiano sullo sfondo ancora per poco – ancora qualche raggio di sole, poi tutto tornerà come al solito.

Basterebbe questo. E fingono entrambi che basti.
Fingono d'illudersi che quel tramonto durerà in eterno, e non ancora solo pochi battiti di una farfalla sognata.
Va bene così, in fondo: la vita non è altro che un'illusione ben congegnata – un sogno composto dal collage paranoico dei loro incubi peggiori.


 

Deve farlo. E deve farlo subito.

 


Una parte di lui tornerebbe a casa subito, di filato. Ma prevale l'insana abitudine di fuggire, ancora una volta, dai problemi.
Infondo, che male c'è?
Infondo, non sarebbe meglio se se ne andasse? Per Elena, per Stefan. Per lui.

Le stelle sono belle, questa sera.
Sono luminose come il suo sorriso e ammiccano nel buio – salvifiche come il sapore di miele dei suoi baci. Si sdraia sull'asfalto, in un automatismo, che, francamente, lo inquieta un po'.
Ricorda di aver riso con Katherine, una sera come quella. Ricorda di averle baciato le labbra gonfie di sangue non suo. Ricorda – ricorda e sogna, una Rose che lo accarezza.


 

(Rose è stata la persona giusta, in una vita sbagliata.)


 

Il cielo di Mystic Falls ha assistito, muto, a tutte le sue sconfitte. Tacito testimone di un'infinita lista di cose incompiute, lascia che Damon vi imprechi contro senza cedere di un passo.
È strano come la mente del ragazzo si sia svuotata così d'improvviso – dei flash sconclusionati che gli si paravano davanti, scherzi di cattivo gusto dello sceneggiatore dannato della sua vita, ora non c'è che un vago ricordo, nebuloso, quasi, come se Rose fosse già lontana.
Una cosa, però, rimane. Rimane, a sovrastare l'odore degli alberi e quello della notte.
Rimane, ad infestare la testa di Damon.
È odore di mandorle tostate e miele – e lui sa perfettamente dove l'ha sentito.


 

 

Socchiude gli occhi, sperando disperatamente nell'intervento del destino – qualunque cosa, qualunque cosa, purché qualcuno lo fermi.


 

Rose salta su, trascinandolo per un polso.
«Facciamo una gara fino agli alberi!» esclama.
«Be', perderai.» ribatte sicuro, mentre sorride.

 

 

Stefan – Stefan, per favore, fa qualche cazzata da martire delle tue.
Per favore, fa che ti debba venire a salvare.

Ora.

 


Si guardano negli occhi, sfidandosi come farebbero due fratelli.
Ed è allora, che Damon capisce:
Rose sa, Rose glielo sta chiedendo.
«Sono più vecchia e più veloce.»
È lei che conduce il gioco, anche se – più per salvare le apparenze che per altro – Damon ghigna: «Lo pensi davvero? Be', sono io a creare il sogno. Magari barerò.»


 

 

L'ha amata solo un po', non del tutto e non bene – per amarla come avrebbe meritato avrebbe dovuto ammettere, prima di tutto con se stesso, che provava qualcosa. E no, grazie, non ci teneva.
Però l'ha amata. Di notte, sul divano e sul suo letto. Davanti al camino, con un buon bicchiere di b accanto e mille parole non dette a far loro compagnia.
L'ha amata come non aveva mai amato nessuno, per poco e più intensamente di quanto mai ammetterà.


 


«Al tre.»
 

E sanno entrambi che Rose tiene il tempo per qualcosa di molto più grande che una semplice gara di corsa.

 


«Uno.»
Rose annuisce e sorride estasiata; e Damon capisce che il solo ad avere paura è lui.
China la testa in silenzio, e quando la rialza ha una smorfia sul volto che lei sembra decisa a interpretare come un sorriso
.

 

«Due.»
Damon dovrebbe aspettare tre, lo sa.
Ma non ha idea di quello che succederebbe se non lo fa subito – non sa fin quanto potrà reggere.

 


Tr-
Sa che lo sta per dire, glielo legge sulle labbra. Ma non glielo lascia fare – non può permetterle di pronunciare la sua condanna a morte.

 

(Questa è sempre stata la parte che lo spaventa di più. Fa scattare il polso e la sente sussultare contro il petto – poi più niente.
Questa è sempre stata la parte che lo spaventa di più – uccidere è così semplice che mette i brividi.)



 

La tipa che si ferma a vedere se si è sentito male dice di chiamarsi Jessica.
È un nome come un altro, non ha mai fatto affidamento su nessuno che si chiamasse così.
E lei stessa è una come un'altra – come ce ne sono fin troppe.
Le sorride, mentre affonda i denti nella sua carne e lascia che l'odore del sangue copra quello di toast bruciato, mandorle, miele e caffellatte, che gli impesta la mente.

 


È più una sensazione, che una scena vissuta realmente.
Il sole s'impiglia nei capelli fatti di spighe di Rose, che sta canticchiando a voce bassa, in un dialetto straniero.
La maglia che le scivola sui fianchi non è assolutamente sua, come non sue sono le tazze con cui sta armeggiando.
«È la mia t-shirt, quella?» e dietro la domanda c'è un chiaro
"cosa diamine stai facendo?"
Ma Rose scrolla appena le spalle, mentre imburra il pane: «Sì.»
Non fa niente per bloccarla, o magari farsi restituire gli indumenti. La lascia trafficare con il caffè – e quella che
spera essere marmellata.
«Cos'è questa puzza?»
Lo sguardo allarmato di Rose sarebbe quasi comico, se non fosse che gli occhi di Damon sono irrimediabilmente attratti dalle ombre che giocano sul suo collo, i capelli corti che si arricciano contro la pelli chiara dell'incavo poco prima delle spalle.
«I toast!»
La colazione va in fumo, come tutti i buoni propositi della sera precedente. Si ritrovano sul letto di lui, attorcigliarti in lenzuola che sanno di lei, ancora prima di dire "bah".
La mente di Damon gli giocherà brutti scherzi per sempre, forse, perché improvvisamente il fumo dei toast bruciati, mischiato alle mandorle amare e al calore tiepido del corpo di Rose, diventa la cosa più sensuale che abbia mai sentito in vita sua.
(La sua bocca sa di miele, e le sue labbra sono morbide.)

  
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