Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |       
Autore: balakov    30/12/2008    5 recensioni
Questo racconto suddiviso in 3 capitoli, narra le vicende e la vita quotidiana di un investigatore di provincia, immerso tra piccoli casi che non fanno cronaca, questioni di cuore ed un giallo dai mille risvolti imprevedibili. Una storia allegra, che vuole ricordarci di tenere sempre le dovute distanze dall'apparenza, per indagare un po' più a fondo il reale nella sua essenza autentica.
Genere: Commedia, Parodia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A DETECTIVE'S INSIGHT


Cap. I

Il mio sogno, da grande, è quello di fare l’investigatore. Ovviamente l’investigatore privato, dato che ho sempre sofferto un po’ le istituzioni, vista la mia indole focosa ed un po’ anarchica. E per mia grande fortuna ho un maestro da seguire: il grande Alberto Gervasoni. Come “chi è”? È il più grande di tutti gli investigatori privati. Il numero uno indiscusso. Almeno qui a Poggibonsi…
Una volta ha perfino ritrovato il gatto della signora Tancredi, la mia vicina di casa.
Ma del resto che vi aspettate da un investigatore privato che lavora a Poggibonsi?
Qui di casi da risolvere ce ne sono ben pochi, quando va bene. Altrimenti c’è solo da girarsi i pollici seduti in poltrona negli altri giorni oziosi (che rappresentano la maggioranza…). Però vi giuro che Alberto Gervasoni ha un fiuto infallibile. Il problema è che in questa dimensione così ristretta non c’è alcuna eco ad assisterlo, ma meriterebbe di essere conosciuto almeno a livello nazionale. Ogni caso che gli viene affidato lo risolve in un batter d’occhio, con il mio stupore sempre a sottolineare le sue straordinarie imprese. Anche lui, però, ha un nemico impossibile da sconfiggere: sua madre. La signora Gervasoni gli dice sempre che ha sbagliato lavoro, che in questo modo non farà mai nulla di buono nella vita, e lo apostrofa costantemente come “sciagurato d’un figlio!”. Povera donna, anche lei ha le sue ragioni: del resto un figlio così brillante perché si ostina a fare l’investigatore privato a Poggibonsi?
Io invece mi chiamo Giorgio, ma tutti mi chiamano Gino. Sono un ragazzino di tredici anni e faccio l’aiutante di Alberto Gervasoni. Anche la mia mamma non ha parole buone con me, ed una volta ha pure tentato di picchiare selvaggiamente Alberto Gervasoni, accusandolo di avermi plagiato e di portarmi sulla strada sbagliata, facendo diventare anche me un fallito come lui. Ma Alberto Gervasoni non è un fallito. È un genio. Il più grande di tutti. E se il mio papà fosse ancora in vita, senz’altro capirebbe che non mi sto sbagliando.
Del resto un investigatore non è altro che un alchimista di pensieri, un elaboratore di congetture che sfidano le leggi della natura umana. Insomma, per farla breve, un investigatore è sempre il migliore dei maghi: è l’unica persona in grado di svelare i trucchi che stanno dietro ad un mistero che non ha causato lui. E vi assicuro che non c’è cosa più difficile. Voi immaginate che sforzo ha fatto Alberto Gervasoni per ritrovare quella volta il gatto della signora Tancredi: si è immedesimato nel gatto stesso, cercando di capire tutti gli spostamenti che avrebbe potuto fare un micio, le sue prede, i suoi ritmi pigri ed oziosi di vita. In quei giorni, non lo posso di certo negare, Alberto Gervasoni era talmente entrato nella parte che a tratti, nel suo convulso sonno, miagolava pure.
Ma il caso che più mi ha colpito, è stato quando era scomparsa Betta, la più bella ragazza di Poggibonsi. In tanti dicevano che s’era andata a suicidare buttandosi nel fiumiciattolo che scorre vicino alla nostra cittadina, il “notissimo” Borro de’ Carfini: sostenevano che per una delusione d’amore aveva più volte manifestato la sua ferrea decisione di farla finita. Non vi dico i poveri genitori in che stato erano… Sempre a piangere disperati. E non poterono esimersi dall’incaricare Alberto Gervasoni di ritrovare la loro amata figliola, confidando nel fatto che non si fosse ancora data alla morte. Il nostro segugio, Alberto Gervasoni, accettato l’incarico, passò subito all’azione, senza perdere neanche un minuto, essendo – in un caso del genere – ogni istante di vitale importanza. Batté le piste più ovvie come quelle più imperscrutabili, senza trascurare nessuna ipotesi, perché – come dice sempre lui – “a volte il caso più difficile si risolve nel modo più facile”. Così incaricò pure me di tendere l’orecchio fra i ragazzini della mia età e tra quelli un po’ più grandi, cercando di carpire anche il più minimo particolare che sarebbe potuto essere utile alle indagini. Io, sinceramente, non ci tirai fuori niente dai miei appostamenti. Ma lui, Alberto Gervasoni, stava seguendo una pista impensabile, che l’avrebbe portato di certo a qualche cosa. Difatti si era recato anche a San Gimignano, il paese più vicino al nostro, ed aveva scoperto che già da qualche giorno un ragazzo del posto, tale Corradino, era partito con la sua piccola decappottabile per una breve gita. I genitori di questo Corradino raccontarono ad Alberto Gervasoni che il loro figliolo era andato via da solo, ed aveva loro detto che sarebbe andato ad Arezzo a trovare degli amici, restando fuori casa per al massimo quattro o cinque giorni. Tutto questo puzzava non poco per Alberto Gervasoni: c’era sicuramente un nesso tra la breve gita fuori porta di Corradino e la misteriosa scomparsa di Betta. Fatte le dovute congetture al proposito, Alberto Gervasoni si mise ben presto alla ricerca della piccola decappottabile nera di Corradino: era convinto che trovata l’auto, si sarebbe in qualche modo risolto anche l’enigma che avvolgeva Betta.
Le ricerche andarono avanti tra mille difficoltà ed impervie, ma proprio quando sembrava essere giunto al punto di gettare la spugna, il nostro Alberto Gervasoni, casualmente fermatosi con la sua auto lungo il ciglio di una strada per un improrogabile bisogno di far pipì, scorse tra le boscaglie in lontananza qualcosa che non avrebbe potuto non destare la sua attenzione. Le colline della Toscana ogni tanto, nel loro incedere riposato ed asciutto, si interrompono in improvvisi boschi, dalle dimensioni più disparate. Il bosco che in lontananza aveva scorto Alberto Gervasoni era particolarmente fitto e tenebroso, e nonostante questo non gli sfuggì un innaturale riflesso della luce: pareva esserci qualcosa di “strano” in mezzo alle tante foglie ed ai tanti rami. Così, sgrullatesi ben benino le scarpe dall’orina che accidentalmente gli era piovuta addosso (a causa della scuotimento che gli aveva dato la sorprendente scoperta), si diresse deciso verso il bosco incriminato. Lasciò l’auto abbastanza lontano dall’inizio dell’angusta vegetazione, e con tutte le cautele del caso, pistola alla mano, si introdusse furtivo tra la famelica vegetazione. La sua intuizione si era per l’ennesima volta dimostrata azzeccata: infrattata tra i copiosi cespugli ed i pesanti rami che piegati si protendevano verso il sottobosco ricoperto di foglie appassite, si celava astutamente la piccola decappottabile nera che stava affannosamente cercando da giorni. Impossibile scorgere se ci fosse stato qualcuno al suo interno, dato che i vetri erano appannati, e naturalmente la capote era tirata su. Così, assicurandosi di non essere visibile ad anima viva, un po’ strisciando in mezzo alle foglie cadute ed un po’ impantanandosi nel fango, riuscì a raggiungere l’auto. Con il fiatone che gli faceva appannare i cerchioni in lega della macchina, stringendo più forte l’impugnatura della sua revolver e scattando improvvisamente in piedi, aprì con violenza ed impeto lo sportello anteriore di guida dell’auto, sempre brandendo la pistola. La scena che si trovò di fronte era a dir poco inquietante: Corradino e Betta, tutti e due nudi ed avvinghiati l’uno all’altro. I due poveretti, interrotti nel loro tenero (ma pur lungo: quattro giorni, cavolo!) amoreggiamento, sbarrarono gli occhi e si lasciarono prendere da una paura che mai più in seguito avrebbero provato sulla loro pelle.
Quando tutto fu finito, e le rispettive famiglie riabbracciarono i propri figlioli, io ovviamente chiesi ad Alberto Gervasoni che cosa fosse successo, e come li aveva ritrovati: lui glissò sul discorso, dicendomi che ero ancora troppo piccolo per capire certe cose. Questo mi piace di lui: il grande detective è sempre un duro fino in fondo, che non cede neppure ai sentimenti, ed è pragmatico, di poche essenziali parole. Con quelle semplicissime ed apparentemente sibilline parole, Alberto Gervasoni era riuscito a farmi capire tutto senza dirmi effettivamente niente. E così fa con tutti, e l’ha sempre fatto. Un uomo di poche parole, ma che quando parla sputa laconiche sentenze. Un uomo che con un solo sguardo ti legge dentro, fin nelle ossa, i pensieri più remoti ed indicibili.
Certo che a guardarlo non si direbbe mai che è un investigatore: l’aspetto è totalmente opposto a quello dello stereotipo di detective. Non beve, non fuma, non passa notti insonni tra locali e belle donne, non ha informatori. Non fa nella più assoluta maniera una vita sregolata, essendo un salutista convinto. Ha una pipa, che però nulla ha a che vedere con il detective creato da Sir Arthur Conan Doyle: quella pipa è il ricordo di suo nonno, e la tiene gelosamente custodita nella sua bacheca. Non penso che l’abbia mai accesa in vita sua. Dice sempre che è la cosa più preziosa che ha, perché “nulla è più prezioso del ricordo di una persona”.
Insomma, per tagliare corto, potremmo dire che Alberto Gervasoni è un investigatore autarchico ed autodidatta. Ma pur sempre un infallibile detective.
Voi ovviamente non ne sarete ancora convinti: abituati come siete a vivere in città metropolitane dove gli efferati delitti neanche si contano più, non potete capire una realtà così ristretta e provinciale come la nostra. Qui i casi su cui investigare sono sciocchezzuole agli occhi di un cittadino metropolitano: ma solo perché non scorre sangue, non vuol dire che siano meno difficili. Voglio vedere se Maigret sarebbe stato in grado di ritrovare il gatto della signora Tancredi!
Il trucco sta sempre nell’assecondare la natura delle cose, nel rendersi invisibile e confondersi col mondo circostante: solo in questo modo si potranno vedere le cose che gli altri non vedono.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: balakov