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Autore: LaraPink777    02/05/2015    11 recensioni
Molti anni nel futuro, due vecchie tartarughe mutanti.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leonardo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il suono della sua voce

 

Non era esattamente una buona giornata. No, non lo era. Il mal di testa non accennava a diminuire, nonostante le due pastiglie, il freddo gli ghiacciava la faccia ed il traffico di New York se possibile sembrava ancora più incasinato. Per arrivare dal parcheggio al portone ci aveva messo quasi dieci minuti, e come se non bastasse stava iniziando a piovere; grosse gocce gelide che sbattevano sulla testa. Avrebbe dovuto prendere un taxi. Ma lui odiava i taxi.

Quasi quando odiava essere fissato.

Eccoli lì, i ragazzini che lo guardavano senza vergogna. Gli adulti almeno facevano finta di non fissare lui, fingevano di osservare il suo soprabito sformato, o il manifesto pubblicitario davanti al quale stava passando; ma i ragazzini ed i bambini, no, essi lo guardavano in faccia, lo studiavano, lo riconoscevano, lo additavano, a volte ridacchiando tra di loro.

Il vecchio mutante passò davanti ai piccoli occhi curiosi, veloce e chino, a grandi passi più veloci di quanto potesse ormai gestire senza che un leggero affaticamento salisse al petto; lasciandosi sfuggire un ringhio infastidito, salì i gradini che conducevano al portone. Si strofinò le dita intorpidite, tirò fuori dalla tasca le chiavi ed aprì la serratura.

Spinse il portone ed entrò nell’anticamera. Dentro l’appartamento era quasi completamente buio, ad eccezione dei lievi riverberi della sera che entravano dalla strada.

Si chiuse la porta alle spalle, ed accese la luce. Tolse il soprabito bagnato e l’appese all’attaccapanni; le gocce rotolarono sul tessuto grigio cadendo sul lucido pavimento di legno. Fece un passo avanti e…

 “Le scarpe!”

Una voce tuonò dal soggiorno.

“Me le stavo togliendo, maledizione!”

No, non era vero. Non se le stava togliendo. Se ne stava dimenticando anche questa volta. Borbottò, spazientito, chinandosi a slacciare le grandi scarpe fuori misura. Odiava queste scarpe, e soprattutto odiava doversi chinare, con i dolori dell’artrite, a toglierle perché quel deficiente di suo fratello non voleva che si entrasse in casa con le scarpe. Non esisteva più neanche in Giappone da decenni, questa regola, e lui doveva adattarsi a far contento quell’emarginato che continuava a vivere nel suo mondo da favola.

Eppure, il vecchio mutante sorrise, al piacevole contatto delle piante dei piedi col parquet di legno riscaldato. Beh, in fondo non gli dispiaceva affatto, tornare a camminare come natura comanda, come faceva da ragazzo…

Il mutante entrò nella grande sala che fungeva da cucina e soggiorno, ed accese la luce anche qui. Le mani trovavano subito l’interruttore, dopo tanti anni di abitudine; non era casa sua, ma era come se lo fosse.

L’ambiente era spazioso e curato. L’architettura in stile orientale presentava mobili in legno scuro e pannelli di carta alle pareti, dove scene mitologiche giapponesi si susseguivano nelle loro tonalità pastello. Varie mensole sfoggiavano reperti provenienti dalle diverse parti del mondo. Preziose katana brillavano sui loro supporti. Una daruma rossa, vecchia di quasi duecento anni, aveva ancora un solo occhio disegnato; segno di un antico desiderio mai avverato.

Suo fratello era seduto sul divano, e continuava a toccare un libro sulle ginocchia. Le raggrinzite mani verdi sfioravano veloci i puntini braille, mentre lo sguardo vuoto si girò in direzione della porta da dove era entrato il fratello, che gli chiese: “Hai mangiato?”, e si diresse verso la zona cucina.

Così, senza preamboli, come al solito. Niente “Ciao fratello, come stai” e niente convenevoli. D’altronde, tra di loro, non ce n’erano mai stati.

Leonardo chiuse il libro e si alzò dal divano. Un colpo di tosse schiarì la gola.

“Sì, ho appena finito. Ci sono degli avanzi nel frigo.”

Raffaello aveva già aperto la porta del frigorifero, e tirato fuori un piatto scuro contenente tre onigiri, lo poggiò sul tavolo, insieme ad una bottiglia d’acqua.

“Ma hai mangiato questi, Leo? Il medico ti ha rimesso i carboidrati?”

La tartaruga cieca strinse le spalle con noncuranza, mentre si sedeva, un po’ a fatica, su una sedia vicino al tavolo.

“Ti sei almeno misurato la glicemia, oggi?” chiese ancora il fratello, tirato fuori un bicchiere dal pensile sul lavello e sedendosi al tavolo anche lui; poi, alla seconda alzata di spalle, sbottò irritato.

“Fai come credi. Non me ne frega niente.”

Leonardo sorrise. Ancora, dopo tanti anni, il sottile divertimento di far innervosire il fratello era rimasto totalmente intatto. Era uno dei pochi piaceri che la vita gli concedeva ancora. Sentire il fratello mangiare rumorosamente alla sua tavola, dopo che era stato via molti giorni, era un altro di questi.

“Chi te li ha portati?” chiese l’anziano mutante mascherato di rosso, con la bocca piena. Alcuni chicchi di riso si erano attaccati al lato della bocca.

“Ivonne.”

Leonardo si girò verso la mensola dove era riposta la foto della donna. Non poteva più vederla da anni, ormai, ma sapeva che era lì.

Aveva sempre amato quella fotografia. In essa, Ivonne era ancora una ragazzina. Leonardo ricordava a memoria ogni particolare dell’immagine, dal mare sullo sfondo al vestito giallo della semimutante, dai suoi capelli rossi al suo sorriso luminoso. Era appunto per il suo sorriso, che Leonardo amava tanto quella foto. Un sorriso bellissimo, in una bocca appena appena più grande per gli standard umani, che rivelava la sua ascendenza mista. Un sorriso che sapeva di gioia di vivere, il sorriso fiducioso che solo le persone molto giovani possono ancora avere.

Il sorriso che svelava la curiosa fessura tra i denti che aveva ereditato dal suo bisnonno.

“La legge è passata! È passata!”

Donatello era entrato nel vecchio rifugio di corsa, trafelato. Il volto illuminato dalla gioia. Dietro di lui, veniva April, col loro piccolo semimutante in braccio.

I fratelli si erano avvicinati alla tartaruga in viola, che continuava a gridare, eccitato: “È passata!”

Donatello era corso da Leonardo, e l’aveva abbracciato; poi si era staccato, aveva allungato il braccio e catturato Raffaello. Donatello aveva abbracciato anche lui, per un attimo; poi stringendolo forte per le spalle, l’aveva guardato negli occhi, si era girato nuovamente a Leonardo, poi ancora a Raffaello.

Gli occhi nocciola brillavano di lacrime, un sorriso svelava la fessura tra i denti.

“Cittadini a tutti gli effetti, Leo. Raph. Cittadini.”

Raffaello aveva continuato a mangiare, in silenzio. Leonardo inclinò la testa di lato, per sentire se la pioggia stesse aumentando d’intensità, fuori, per le strade della città. Dentro, al caldo, tutto era tranquillo.

Sorrise ancora.

“Ho ascoltato il tuo discorso al Congresso. Bello. Sdolcinato, ma bello.”

“Vai al diavolo.”

“No, davvero. Fa effetto. Capisco perché la gente ti segue.”

Raffaello prese un grosso morso dall’ultimo onigiri. Mugugnò con la bocca piena.

“La gente mi segue perché sono il fratello di Donatello. Solo per questo.”

“Non è vero Raph. Sai che-”

“Non mi va di parlarne!”

Leonardo si ritrasse, poggiando il guscio contro lo schienale della sedia, con un tocco sonoro della cheratina sul legno. Dentro casa, poteva non indossare i vestiti, come una volta.

“Non urlare. Sono cieco, il sordo sei tu.”

“Non sono affatto sordo, idiota” sbottò Raffaello irritato. Effettivamente, l’udito non era più quello di una volta, ma non si considerava affatto sordo, no.

Infilò in bocca l’ultimo boccone, ed allontanò il piatto. Bevve rumorosamente, e si asciugò il lato della bocca col dorso della mano.

“Davvero, era sdolcinato? Perché?” chiese, cercando di dare alla domanda un tono casuale. Piegò il collo da una parte all’altra, per sgranchirsi.

Leonardo si alzò in piedi.

“No, no. Era buono.”

Allungò la mano sul piano del tavolo, cercò a tentoni il piatto che aveva usato il fratello, lo prese e lo portò al lavandino. Raffaello si alzò a sua volta, avvicinandosi anche lui al lavandino.

“Era perfetto” aggiunse ancora Leonardo iniziando al insaponare il piatto. L’acqua calda alzò un po’ di vapore. “A Donnie sarebbe piaciuto.”La voce del vecchio mutante in blu si spense piano.

Raffaello prese uno strofinaccio dal cassetto, lasciandosi sfuggire appena un sospiro. Alla menzione del nome, il solito ferro rovente girò nello stomaco. Erano passati quasi sei mesi, ma il dolore per la perdita del loro ultimo fratello si faceva ancora sentire forte. Era come se fosse scomparso un pezzo di sé, come se mancasse qualcosa in più che un braccio ed una gamba, e come se la morte stessa avesse già iniziato a presentarsi a lui, ammiccando alla sua vecchiaia. Donatello si era spento serenamente, circondato dai suoi nipoti, dai suoi studenti, dai suoi amici. Dai suoi due fratelli.

Aveva lasciato in pace questa esistenza. I giornalisti avevano chiesto un’ultima intervista pochi giorni prima che morisse, ma il vecchio mutante aveva serbato solo per la sua famiglia le sue ultime parole. Aveva chiesto di non piangere per lui, perché andava via senza rimpianti: aveva vissuto una bella vita, aveva fatto tanto, amato tanto. Aveva trascorso quasi settant’anni della sua vita accanto all’unica donna che avesse mai amato, ed altrettanti ad amarne il ricordo. Aveva visto cambiare il mondo, e molto aveva fatto lui stesso per cambiarlo.

“Non è giusto, Raph.” La voce del blu, bassa e un po’ roca, riportò Raffaello dai suoi pensieri.

Raffaello finì di asciugare il piatto e lo ripose nel pensile.

“Cosa, non è giusto?”

“Non è giusto che sia stato Donnie, il primo.” Leonardo si incamminò piano verso il divano. “Io sono il più vecchio.” Si sedette, lentamente, lo sguardo vuoto fisso davanti a lui. “Io sono il più vecchio. È giusto che se ne vada prima il più vecchio. È nella natura delle cose.”

Raffaello lo raggiunse, si sedette accanto a lui. Non capiva se il fratello volesse una risposta o non avesse piuttosto iniziato a parlare da solo con sé stesso, come era solito fare.

Rispose ugualmente.

“Ancora con questa storia, Senzapaura? Chi te l’ha detto che sei il più vecchio? Sei solo quello invecchiato male” scherzò battendogli bonariamente una mano sulla spalla.

Il blu ridacchio. “Disse il sordo artritico!”

“Non sono sordo, vecchio idiota.”

Raffaello sorrise e chiuse un attimo gli occhi, appoggiando il collo dolorante contro il morbido cuscino del divano. Improvvisamente, si sentì addosso tutta la stanchezza del viaggio, e soprattutto, quella degli anni.

Dopo lunghi minuti di silenzio, ripensando a quello che aveva detto prima Leonardo, si sentì in dovere di correggere il lapsus del fratello.

“E Donnie non è stato il primo.”

Leonardo girò piano la testa verso di lui. Il viso, solcato da piccole linee e tante macchie, non più fresco come quello di un ragazzo ma neanche rugoso come un umano molto vecchio, si accigliò.

Da quanto tempo non parlavano di lui?

Echi e percezioni lontane, fantasmi di una malinconia pungente, di un dolore sottile rimasto tutta la vita nell’animo come un rumore di fondo, tornarono a fargli visita. Visioni di infanzia, risate perdute nel tempo, inafferrabili sensazioni di ricordi diluiti nei sogni.

Raffaello si voltò a sua volta.

“Ci pensi, a volte, a lui?”

Leonardo tornò a voltarsi avanti, prese un paio di profondi respiri.

“Sì, Raph. Ci penso. Non sempre. Ma spesso.”

Sai e katana tintinnavano scontrandosi. I piedi si muovevano veloci sui tappeti del dojo, i corpi verdi brillavano di sudore. Splinter osservava l’allenamento dei suoi due figli maggiori, adulti, più forti e grandi di lui. Ormai, i consigli che poteva dare erano diventati sempre più rari. Si limitava a guardare, orgoglioso, i due corpi muscolosi scontrarsi con maestria.

“Ragazzi!” Casey Jones era entrato nella tana, gridando. “Ragazzi, maestro Splinter!”

Si erano precipitati fuori dal dojo.

“Dove diavolo avete i telefoni? Accendi la televisione. Le notizie! Mi ha telefonato Mondo. Canale Sei, Raph, le notizie. Donnie e April stanno andando. E…”

L’umano era trafelato, rosso in volto.

“Che cavolo succede?” aveva chiesto Raffaello, afferrando l’umano, confuso, mentre Leo aveva già sintonizzato il televisore. Splinter li aveva seguiti, anche lui allarmato.

“C’è stata un’esplosione… la polizia…”

I balbettii convulsi dell’uomo bruno si erano spenti davanti alle immagini dell’edizione straordinaria.

“… rivendicato dal sedicente gruppo di ‘Terra Prime’. Per adesso sembra che le vittime di questo attentato alla pacifica manifestazione a Times Square siano diverse decine, tra le quali anche un mutante…”

Leonardo aveva lasciato cadere a terra il telecomando. Si era voltato verso Splinter, con gli occhi dilatati dall’angoscia.

“Mondo e Mikey erano alla manifestazione…” aveva mormorato, portandosi una mano alla bocca.

Casey Jones aveva stretto le spalle di Raffaello, ancora davanti a lui. L’aveva fissato negli occhi verdi.

“Mi ha chiamato Mondo, dall’ospedale. Ragazzi, maestro, dovete venire con me...”

La pioggia fuori dalla finestra era intensificata, trasformandosi in un vero e proprio acquazzone. Batteva contro il vetro, mentre il mondo fuori si faceva ancor più scuro.

“A volte, io a volte non lo ricordo bene” La voce di Raffaello era adesso carica di tristezza.

È normale, Raph. È passato molto tempo…”

“No!” Il vecchio mutante in rosso sbatté una mano sul divano. “Non è normale! Non dovevo, non dovevo dimenticarlo!”

“Ma non l’hai dimenticato, Raph.”

“Sì, Leo, l’ho fatto. Ed anche tu.” Si guardò le vecchie mani stanche, voltandole un paio di volte, lentamente. “Ricordi… ricordi il suono della sua voce?”

“Io…”

Leonardo si alzò nuovamente in piedi. Si avvicinò alla finestra, girando intorno alla poltrona, come se la vedesse, da quante volte si era mosso in quella stanza. Si avvicinò alla finestra, e mise la mano contro il vetro.

Sentì il battere ritmico dello scrosciare della pioggia. La città vibrava sotto l’acqua, agitata dalla vita di milioni di anime.

Strinse forte gli occhi blu, opachi.

Si ricordava il suono della sua voce? Se lo ricordava?

 

 

N/A Un altro frutto del Cartoonkeeper-LaraPink challenge. Due fratelli, futuro, et voilà.

Ho accennato alla Daruma rossa di Splinter. Sono figurine votive della tradizione giapponese; quando vengono create, hanno le orbite bianche, cieche. Si usa poi esprimere un desiderio tracciando il primo occhio: il secondo occhio verrà disegnato quando il desiderio si avvera. Mi sono sempre chiesta quale sia stato il desiderio espresso dal mutante topesco.

Gli onigiri sono… buonissimi XD Ah, sì, sono polpettine di riso, dalla forma triangolare. Il ristorante giapponese vicino casa mia le fa con tutti i crismi. Se passate da Bergamo fatemi sapere :D

Terra Prime non è una mia idea. È un’organizzazione terroristica di matrice razzista di Star Trek. Lunga vita e prosperità…

Mi auguro che la storiella vi sia piaciuta. Un abbraccio a tutti, tartapopolo, grazie per essere qui! :*

 

  
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