Non era
esattamente una buona giornata. No, non lo era. Il mal di testa non accennava a
diminuire, nonostante le due pastiglie, il freddo gli ghiacciava la faccia ed
il traffico di New York se possibile sembrava ancora più incasinato. Per
arrivare dal parcheggio al portone ci aveva messo quasi dieci minuti, e come se
non bastasse stava iniziando a piovere; grosse gocce gelide che sbattevano
sulla testa. Avrebbe dovuto prendere un taxi. Ma lui odiava i taxi.
Quasi quando
odiava essere fissato.
Eccoli lì, i
ragazzini che lo guardavano senza vergogna. Gli adulti almeno facevano finta di
non fissare lui, fingevano di osservare il suo soprabito sformato, o il
manifesto pubblicitario davanti al quale stava passando; ma i ragazzini ed i
bambini, no, essi lo guardavano in faccia, lo studiavano, lo riconoscevano, lo
additavano, a volte ridacchiando tra di loro.
Il vecchio
mutante passò davanti ai piccoli occhi curiosi, veloce e chino, a grandi passi
più veloci di quanto potesse ormai gestire senza che un leggero affaticamento
salisse al petto; lasciandosi sfuggire un ringhio infastidito, salì i gradini
che conducevano al portone. Si strofinò le dita intorpidite, tirò fuori dalla
tasca le chiavi ed aprì la serratura.
Spinse il portone ed entrò nell’anticamera. Dentro l’appartamento era quasi completamente buio, ad eccezione dei lievi riverberi della sera che entravano dalla strada.
Si chiuse la
porta alle spalle, ed accese la luce. Tolse il soprabito bagnato e l’appese
all’attaccapanni; le gocce rotolarono sul tessuto grigio cadendo sul lucido
pavimento di legno. Fece un passo avanti e…
“Le scarpe!”
Una voce
tuonò dal soggiorno.
“Me le stavo
togliendo, maledizione!”
No, non era
vero. Non se le stava togliendo. Se ne stava dimenticando anche questa volta. Borbottò,
spazientito, chinandosi a slacciare le grandi scarpe fuori misura. Odiava
queste scarpe, e soprattutto odiava doversi chinare, con i dolori dell’artrite,
a toglierle perché quel deficiente di suo fratello non voleva che si entrasse
in casa con le scarpe. Non esisteva più neanche in Giappone da decenni, questa
regola, e lui doveva adattarsi a far contento quell’emarginato che continuava a
vivere nel suo mondo da favola.
Eppure, il
vecchio mutante sorrise, al piacevole contatto delle piante dei piedi col
parquet di legno riscaldato. Beh, in fondo non gli dispiaceva affatto, tornare a
camminare come natura comanda, come faceva da ragazzo…
Il mutante entrò
nella grande sala che fungeva da cucina e soggiorno, ed accese la luce anche
qui. Le mani trovavano subito l’interruttore, dopo tanti anni di abitudine; non
era casa sua, ma era come se lo fosse.
L’ambiente
era spazioso e curato. L’architettura in stile orientale presentava mobili in
legno scuro e pannelli di carta alle pareti, dove scene mitologiche giapponesi
si susseguivano nelle loro tonalità pastello. Varie mensole sfoggiavano
reperti provenienti dalle diverse parti del mondo. Preziose katana brillavano sui loro
supporti. Una daruma rossa, vecchia
di quasi duecento anni, aveva ancora un solo occhio disegnato; segno di un
antico desiderio mai avverato.
Suo fratello
era seduto sul divano, e continuava a toccare un libro sulle ginocchia. Le
raggrinzite mani verdi sfioravano veloci i puntini braille, mentre lo sguardo
vuoto si girò in direzione della porta da dove era entrato il fratello, che gli
chiese: “Hai mangiato?”, e si diresse verso la zona cucina.
Così, senza
preamboli, come al solito. Niente “Ciao fratello, come stai” e niente
convenevoli. D’altronde, tra di loro, non ce n’erano mai stati.
Leonardo
chiuse il libro e si alzò dal divano. Un colpo di tosse schiarì la gola.
“Sì, ho
appena finito. Ci sono degli avanzi nel frigo.”
Raffaello aveva
già aperto la porta del frigorifero, e tirato fuori un piatto scuro contenente
tre onigiri, lo poggiò sul tavolo,
insieme ad una bottiglia d’acqua.
“Ma hai
mangiato questi, Leo? Il medico ti ha rimesso i carboidrati?”
La tartaruga
cieca strinse le spalle con noncuranza, mentre si sedeva, un po’ a fatica, su
una sedia vicino al tavolo.
“Ti sei almeno
misurato la glicemia, oggi?” chiese ancora il fratello, tirato fuori un
bicchiere dal pensile sul lavello e sedendosi al tavolo anche lui; poi, alla
seconda alzata di spalle, sbottò irritato.
“Fai come
credi. Non me ne frega niente.”
Leonardo
sorrise. Ancora, dopo tanti anni, il sottile divertimento di far innervosire il
fratello era rimasto totalmente intatto. Era uno dei pochi piaceri che la vita
gli concedeva ancora. Sentire il fratello mangiare rumorosamente alla sua
tavola, dopo che era stato via molti giorni, era un altro di questi.
“Chi te li
ha portati?” chiese l’anziano mutante mascherato di rosso, con la bocca piena.
Alcuni chicchi di riso si erano attaccati al lato della bocca.
“Ivonne.”
Leonardo si
girò verso la mensola dove era riposta la foto della donna. Non poteva più
vederla da anni, ormai, ma sapeva che era lì.
Aveva sempre
amato quella fotografia. In essa, Ivonne era ancora una ragazzina. Leonardo
ricordava a memoria ogni particolare dell’immagine, dal mare sullo sfondo al
vestito giallo della semimutante, dai suoi capelli rossi al suo sorriso
luminoso. Era appunto per il suo sorriso, che Leonardo amava tanto quella foto.
Un sorriso bellissimo, in una bocca appena appena più grande per gli standard
umani, che rivelava la sua ascendenza mista. Un sorriso che sapeva di
gioia di vivere, il sorriso fiducioso che solo le persone molto giovani possono
ancora avere.
Il sorriso
che svelava la curiosa fessura tra i denti che aveva ereditato dal suo bisnonno.
“La legge è passata! È passata!”
Donatello era
entrato nel vecchio rifugio di corsa, trafelato. Il volto illuminato dalla
gioia. Dietro di lui, veniva April, col loro piccolo semimutante in braccio.
I fratelli
si erano avvicinati alla tartaruga in viola, che continuava a gridare,
eccitato: “È passata!”
Donatello era corso da Leonardo, e l’aveva
abbracciato; poi si era staccato, aveva allungato il braccio e catturato
Raffaello. Donatello aveva abbracciato anche lui, per un attimo; poi
stringendolo forte per le spalle, l’aveva guardato negli occhi, si era girato nuovamente
a Leonardo, poi ancora a Raffaello.
Gli occhi nocciola brillavano di lacrime, un
sorriso svelava la fessura tra i denti.
“Cittadini a tutti gli effetti, Leo. Raph.
Cittadini.”
Raffaello
aveva continuato a mangiare, in silenzio. Leonardo inclinò la testa di lato,
per sentire se la pioggia stesse aumentando d’intensità, fuori, per le strade
della città. Dentro, al caldo, tutto era tranquillo.
Sorrise
ancora.
“Ho
ascoltato il tuo discorso al Congresso. Bello. Sdolcinato, ma bello.”
“Vai al
diavolo.”
“No,
davvero. Fa effetto. Capisco perché la gente ti segue.”
Raffaello
prese un grosso morso dall’ultimo onigiri.
Mugugnò con la bocca piena.
“La gente mi
segue perché sono il fratello di Donatello. Solo per questo.”
“Non è vero
Raph. Sai che-”
“Non mi va
di parlarne!”
Leonardo si
ritrasse, poggiando il guscio contro lo schienale della sedia, con un tocco
sonoro della cheratina sul legno. Dentro casa, poteva non indossare i vestiti,
come una volta.
“Non urlare.
Sono cieco, il sordo sei tu.”
“Non sono
affatto sordo, idiota” sbottò Raffaello irritato. Effettivamente, l’udito non
era più quello di una volta, ma non si considerava affatto sordo, no.
Infilò in
bocca l’ultimo boccone, ed allontanò il piatto. Bevve rumorosamente, e si
asciugò il lato della bocca col dorso della mano.
“Davvero,
era sdolcinato? Perché?” chiese, cercando di dare alla domanda un tono casuale.
Piegò il collo da una parte all’altra, per sgranchirsi.
Leonardo si
alzò in piedi.
“No, no. Era
buono.”
Allungò la
mano sul piano del tavolo, cercò a tentoni il piatto che aveva usato il
fratello, lo prese e lo portò al lavandino. Raffaello si alzò a sua volta,
avvicinandosi anche lui al lavandino.
“Era
perfetto” aggiunse ancora Leonardo iniziando al insaponare il piatto. L’acqua
calda alzò un po’ di vapore. “A Donnie sarebbe piaciuto.”La voce del vecchio
mutante in blu si spense piano.
Raffaello
prese uno strofinaccio dal cassetto, lasciandosi sfuggire appena un sospiro.
Alla menzione del nome, il solito ferro rovente girò nello stomaco. Erano
passati quasi sei mesi, ma il dolore per la perdita del loro ultimo fratello si
faceva ancora sentire forte. Era come se fosse scomparso un pezzo di sé, come
se mancasse qualcosa in più che un braccio ed una gamba, e come se la morte stessa
avesse già iniziato a presentarsi a lui, ammiccando alla sua vecchiaia. Donatello
si era spento serenamente, circondato dai suoi nipoti, dai suoi studenti, dai
suoi amici. Dai suoi due fratelli.
Aveva
lasciato in pace questa esistenza. I giornalisti avevano chiesto
un’ultima
intervista pochi giorni prima che morisse, ma il vecchio mutante aveva
serbato solo per la sua famiglia le sue ultime parole. Aveva chiesto di
non piangere per
lui, perché andava via senza rimpianti: aveva vissuto una bella
vita, aveva
fatto tanto, amato tanto. Aveva trascorso quasi settant’anni
della sua vita
accanto all’unica donna che avesse mai amato, ed altrettanti ad
amarne il
ricordo. Aveva visto cambiare il mondo, e molto aveva fatto lui stesso
per
cambiarlo.
“Non è
giusto, Raph.” La voce del blu, bassa e un po’ roca, riportò Raffaello dai suoi
pensieri.
Raffaello
finì di asciugare il piatto e lo ripose nel pensile.
“Cosa, non è
giusto?”
“Non è
giusto che sia stato Donnie, il primo.” Leonardo si incamminò piano verso il
divano. “Io sono il più vecchio.” Si sedette, lentamente, lo sguardo vuoto
fisso davanti a lui. “Io sono il più vecchio. È giusto che
se ne vada prima il più vecchio. È nella
natura delle cose.”
Raffaello lo
raggiunse, si sedette accanto a lui. Non capiva se il fratello volesse una
risposta o non avesse piuttosto iniziato a parlare da solo con sé stesso, come
era solito fare.
Rispose
ugualmente.
“Ancora con
questa storia, Senzapaura? Chi te l’ha detto che sei il più vecchio? Sei solo
quello invecchiato male” scherzò battendogli bonariamente una mano sulla
spalla.
Il blu
ridacchio. “Disse il sordo artritico!”
“Non sono
sordo, vecchio idiota.”
Raffaello
sorrise e chiuse un attimo gli occhi, appoggiando il collo dolorante contro il
morbido cuscino del divano. Improvvisamente, si sentì addosso tutta la
stanchezza del viaggio, e soprattutto, quella degli anni.
Dopo lunghi
minuti di silenzio, ripensando a quello che aveva detto prima Leonardo, si
sentì in dovere di correggere il lapsus del fratello.
“E Donnie
non è stato il primo.”
Leonardo
girò piano la testa verso di lui. Il viso, solcato da piccole linee e tante
macchie, non più fresco come quello di un ragazzo ma neanche rugoso come un umano
molto vecchio, si accigliò.
Da quanto
tempo non parlavano di lui?
Echi e
percezioni lontane, fantasmi di una malinconia pungente, di un dolore sottile
rimasto tutta la vita nell’animo come un rumore di fondo, tornarono a fargli
visita. Visioni di infanzia, risate perdute nel tempo, inafferrabili sensazioni
di ricordi diluiti nei sogni.
Raffaello si
voltò a sua volta.
“Ci pensi, a
volte, a lui?”
Leonardo
tornò a voltarsi avanti, prese un paio di profondi respiri.
“Sì, Raph.
Ci penso. Non sempre. Ma spesso.”
Sai e katana tintinnavano scontrandosi. I piedi si
muovevano veloci sui tappeti del dojo, i corpi verdi brillavano di sudore.
Splinter osservava l’allenamento dei suoi due figli maggiori, adulti, più forti
e grandi di lui. Ormai, i consigli che poteva dare erano diventati sempre più
rari. Si limitava a guardare, orgoglioso, i due corpi muscolosi scontrarsi con
maestria.
“Ragazzi!” Casey Jones era entrato nella tana,
gridando. “Ragazzi, maestro Splinter!”
Si erano precipitati fuori dal dojo.
“Dove diavolo avete i telefoni? Accendi la
televisione. Le notizie! Mi ha telefonato Mondo. Canale Sei, Raph, le notizie.
Donnie e April stanno andando. E…”
L’umano era trafelato, rosso in volto.
“Che cavolo succede?” aveva chiesto Raffaello,
afferrando l’umano, confuso, mentre Leo aveva già sintonizzato il televisore.
Splinter li aveva seguiti, anche lui allarmato.
“C’è stata un’esplosione… la polizia…”
I balbettii convulsi dell’uomo bruno si erano
spenti davanti alle immagini dell’edizione straordinaria.
“… rivendicato dal sedicente gruppo di ‘Terra Prime’.
Per adesso sembra che le vittime di questo attentato alla pacifica manifestazione
a Times Square siano diverse decine, tra le quali anche un mutante…”
Leonardo aveva lasciato cadere a terra il
telecomando. Si era voltato verso Splinter, con gli occhi dilatati
dall’angoscia.
“Mondo e Mikey erano alla manifestazione…” aveva
mormorato, portandosi una mano alla bocca.
Casey Jones aveva stretto le spalle di Raffaello,
ancora davanti a lui. L’aveva fissato negli occhi verdi.
“Mi ha chiamato Mondo, dall’ospedale. Ragazzi,
maestro, dovete venire con me...”
La pioggia
fuori dalla finestra era intensificata, trasformandosi in un vero e proprio
acquazzone. Batteva contro il vetro, mentre il mondo fuori si faceva ancor più
scuro.
“A volte, io
a volte non lo ricordo bene…” La voce di Raffaello era adesso carica di
tristezza.
“È normale, Raph. È passato molto
tempo…”
“No!” Il
vecchio mutante in rosso sbatté una mano sul divano. “Non è normale! Non
dovevo, non dovevo dimenticarlo!”
“Ma non
l’hai dimenticato, Raph.”
“Sì, Leo,
l’ho fatto. Ed anche tu.” Si guardò le vecchie mani stanche, voltandole un paio
di volte, lentamente. “Ricordi… ricordi il suono della sua voce?”
“Io…”
Leonardo si
alzò nuovamente in piedi. Si avvicinò alla finestra, girando intorno alla
poltrona, come se la vedesse, da quante volte si era mosso in quella stanza. Si
avvicinò alla finestra, e mise la mano contro il vetro.
Sentì il
battere ritmico dello scrosciare della pioggia. La città vibrava sotto l’acqua,
agitata dalla vita di milioni di anime.
Strinse
forte gli occhi blu, opachi.
Si ricordava
il suono della sua voce? Se lo ricordava?
N/A Un altro frutto del Cartoonkeeper-LaraPink
challenge. Due fratelli, futuro, et voilà.
Ho accennato
alla Daruma rossa di Splinter. Sono
figurine votive della tradizione giapponese; quando vengono create, hanno le
orbite bianche, cieche. Si usa poi esprimere un desiderio tracciando il primo
occhio: il secondo occhio verrà disegnato quando il desiderio si avvera. Mi
sono sempre chiesta quale sia stato il desiderio espresso dal mutante topesco.
Gli onigiri sono… buonissimi XD Ah, sì, sono
polpettine di riso, dalla forma triangolare. Il ristorante giapponese vicino
casa mia le fa con tutti i crismi. Se passate da Bergamo fatemi sapere :D
Terra Prime non è una mia idea. È
un’organizzazione terroristica di matrice razzista di Star Trek. Lunga vita e prosperità…
Mi auguro
che la storiella vi sia piaciuta. Un abbraccio a tutti, tartapopolo, grazie per
essere qui! :*