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Autore: moni93    03/05/2015    5 recensioni
[Sequel di "Non è assolutamente vero che gli italiani sono persone immature e casiniste..." di cui non è necessaria la lettura]
Pesci e Cancro, due segni d'acqua che, però, hanno ben poco in comune. Soprattutto se i due rappresentanti di tali segni zodiacali sono Albafica e Manigoldo. Eppure, chissà cosa può celarsi dietro al silenzio dell'uno e al sorriso dell'altro...
Per scoprirlo, prendete un Albafica indifeso e un cancretto premuroso ma, pur sempre, tagliente. Anzi, "pizzicante" come le sue chele. Ora non vi resta altro che leggere e farvi due risate! ;)
NOTA: Manigoldo in questa fic ha origini napoletane. Siccome nel manga non viene specificata la sua provenienza, se non che è italiano, mi sono presa tale libertà. In fondo alla storia trovate l'indice con la traduzione di alcuni temini dialettali.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cancer Manigoldo, Pisces Albafica
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Paure e confessioni, ovvero, come Albafica disse per la prima volta “Ti amo”

 

Dedico questa fanfic ai miei due migliori amici:

Ad Alexander_Scarlet_Carson e a Tsubaki3, che adorano questa coppia.

Al primo, rivolgo i miei ringraziamenti per essermi sempre amico e fonte inesauribile di pazienza e saggezza.

Alla seconda, va la mia gratitudine perchè è da sempre mio punto di riferimento e ispirazione.

Insomma, grazie ad Alex per essere il mio Degel e a Tsu il mio personalissimo Manigoldo!

Grazie per volermi bene.

 

“E così, persino il grande e temibile Albafica di Pisces ogni tanto è vulnerabile.”

“Manigoldo, chiudi il becco. E togli quel ogni tanto, piuttosto una volta ogni mille anni. Più precisamente, quando...”

Avrebbe voluto continuare quella frase con “un pagliaccio travestito da Cavaliere d’Oro non fa altro che infastidire chi, invece, compie doverosamente il proprio compito”, ma, purtroppo, essa era troppo lunga. Persino quel pensiero, tanto pesante, finì per annebbiare la mente del giovane e farlo annaspare in cerca d’aria. Quanto detestava essere così indifeso. Soprattutto, quanto odiava non riuscire a dire a Manigoldo quanto questi fosse idiota e puntuale peggio della Morte nel portargli iella. Perchè Cancer l’aveva predetto, oh se l’aveva fatto.

“Non puoi sempre fare lo smargiassu.” aveva proferito il napoletano il giorno prima, in quella sua strana lingua che nessuno, nemmeno il Gran Sacerdote, riusciva bene a decifrare. Il commilitone l’aveva ignorato bellamente e, questo, aveva dato l’occasione al meridionale di lanciare una delle sue imprecazioni predilette.

“Marì, statte a vedè che alla fine mi toccherà correre dietro a ‘sto pistinìcchiu! Mannaggia Bubbà!”

Alla fine ci aveva visto bene eccome quello scalmanato, sebbene Pesci non volesse ammetterlo nemmeno dinnanzi all’evidenza dei fatti, tanto più ora che l’italiano l’osservava con un misto di preoccupazione e soddisfazione. Poteva ben immaginarne il motivo, il cavaliere, siccome doveva apparire alquanto sciupato e disordinato rispetto al solito. In effetti, quando mai lui si era mostrato scomposto in pubblico? Né nel fisico e neppure nell’animo era mai stato visto se non nella sua forma più impeccabile e perfetta. Persino dopo un aspro combattimento Albafica manteneva il suo portamento fiero e distaccato, di modo da non lasciare falle nelle sue difese, spiragli che gli altri avrebbero potuto cogliere ed usare come passaggi per farsi strada nel suo cuore. Doveva costantemente mantenere alta l’allerta e spietate le proprie spine, affinché nessuno potesse anche solo pensare di avvicinarglisi. Era un’autentica statua di pregiata fattura greca, il cavaliere di Pisces: bellissima, pura, senza imperfezioni, ma pur sempre fredda, distaccata dal mondo proprio a causa del materiale pregiato ed imperturbabile di cui era fatta. L’aveva scelto lui stesso il proprio destino, quel lontano giorno che, però, appariva sempre nella sua mente come vicino, opprimente esattamente come la promessa che vi era legata. Era cambiato Albafica a causa di quel legame scarlatto, aveva ereditato la potente e solitaria armatura della dodicesima casa e, con essa, il fare imperscrutabile e distante di chi aveva l’onore di indossarla. Non si sarebbe mai pentito, mai. Né del suo onere, né di aver intrapreso la via del veleno. Eppure, un certo individuo riusciva ogni volta a sfondare le sue difese, a farlo tornare quello che era e che, in fondo all’animo, non aveva mai smesso di essere. Le spine si ritiravano, il veleno si addolciva e, in qualche modo, la malinconia trionfava su tutto, con un retrogusto di soddisfazione, come se sotto sotto a Pesci piacesse far parte del personale teatrino del napoletano. Ma questi erano pensieri che nemmeno la sua mente si permetteva di formulare. Facevano parte del suo inconscio e, ora che si trovava in tale stato pietoso, Pesci non desiderava altro che starsene in solitudine, come aveva fatto sin da quando era divenuto cavaliere. Non poteva accettare che qualcuno lo vedesse in simili condizioni... men che meno quell’individuo irritante che, per qualche astrusa ragione, una parte di lui lo definiva amico. Eppure egli rappresentava qualcosa di più, lo sapeva bene il cuore traditore di Albafica, che sussultava ogni volta a tale idea. Ed era inutile prendere come scusante l’affinità tra segni d’acqua.

Da parte sua Cancer si stava divertendo un mondo. Non avrebbe mai e poi mai creduto possibile di poter assistere ad un tale evento e, per di più, aveva anche tutto il diritto di fare la ramanzina a quel perfettino del suo migliore amico. Tutto ciò a fin di bene, naturalmente. Insomma, che razza di rappresentante della stirpe italica era, se non smorzava quelle arie da pavone bisbetico che caratterizzavano Albafica dei Pesci?

“Albaficucciolo, non affaticarti troppo, sennò...” tentò di dire, ora che il malato si era zittito per cercare disperatamente un poco di ossigeno.

Tuttavia stavolta fu il turno di Manigoldo ad essere interrotto. Sebbene malato, un segno d’acqua non si sarebbe mai e poi mai chetato. Ci voleva ben altro che un granchietto, per quanto enorme e fastidioso, per bloccare lo scorrere di un fiume! Lo stesso valeva per lo smisurato orgoglio del greco.

“Manigoldo, forse non hai afferrato: chiudi il becco.”

Splash!

Un fazzoletto di cotone imbevuto d’acqua cadde, anzi, venne lasciato cadere sul volto paonazzo di Albafica.

“E io che volevo viziarti e farti sentire coccolato. Scostomato!” fu la semplice replica a tale onta, che Cancer si sentì in dovere di riparare.

Si udirono degli strani mugugni provenire da oltre quel sottile strato di tessuto. Probabilmente di principio dovevano essere di disapprovazione e stizza, ma siccome il fresco ristoratore dell’acqua alleviò le pene del cavaliere, questi si concesse un mezzo istante di piacevole approvazione. Il tutto riassumibile in un semplice, ma inconfondibile, “Mph”. Manigoldo sistemò meglio il fazzoletto sulla fronte del compagno, per poi imbeverne un altro da porre, questa volta, sulla sommità del capo. Tale procedimento, ovviamente, non poté avvenire in silenzio.

“Sei troppo palliduccio, Albaficucciolo, dovresti abbronzarti di più!  Prendi esempio da me, guarda che bel uaglione ca sun! Poi ti credo che ti prendi i colpi di Sole, se te ne stai fermo come un’a zoccola in mezzo alla strada!”

Albafica incassò il colpo e decise di non ribattere troppo aspramente. In fondo era debole e, lo ammetteva, il suo comportamento non era stato dei più scaltri. E, tuttavia, non intendeva dare la soddisfazione all’amico di avere ragione. Anche se ormai ridotto in briciole, aveva ancora un orgoglio da difendere, specie se in sua presenza. Non se lo sapeva ben spiegare, ma da quando erano tornati dalla missione a Venezia, voleva unicamente fare bella figura davanti a Manigoldo. Forse perchè in Italia aveva mostrato un lato di sé non proprio impeccabile...

“Facevo da vedetta sul Grande Tempio, a differenza tua che non fai altro che grattarti la pancia. E non stavo fermo come... come mi hai chiamato?!”

L’italiano sorvolò sull’argomento ponendo il portatore di piacevole frescura sul capo del ragazzo. Questi sussultò ed emise un versetto comico. Per quanto il suo cervello apprezzasse tali premure, i capelli del greco non erano del medesimo parere.

“Ho la testa tutta bagnata...” si lamentò infatti come un bambino.

Manigoldo, da brava infermierina, si fece ancor più logorroico.

“Fai le cazzate e poi tocca a me starti dietro, perchè: e le ancelle non le vuoi vicino a te, perchè hai paura di avvelenarle. E i bronzetti inutili (che si grattano ben altro che la pancia tutto il giorno) no, perchè hai paura di avvelenarli. E i silver nemmeno, perchè hai paura di avvelenarli... oh, sentimi, hai scelto me perchè mi vuoi bene o perchè vuoi provare a vedere se riesci a seccare l’illustrissimo me medesimo stesso?”

Per render ancor più altisonanti le sue parole, il napoletano s’impegnò per parlare in un correttissimo italiano che, tuttavia, risentiva delle sue lacune letterarie, tutt’altro che irrilevanti.

Istintivamente, il giovane dalla chioma azzurrina si portò le mani alle tempie.

“Devi fare tutto questo baccano?” domandò poi, il tono più che mai sofferente, sebbene a fior di labbra aggiunse “Forse la seconda...”

L’altro sbuffò profondamente seccato e, pur non volendo ammetterlo nemmeno a se stesso, un pochino offeso. Tutto sommato, voleva bene a quell’eterno complessato di Albafica. Che poi, lui lo definiva così unicamente per difendersi. Già, perchè prendere in giro chiunque, sminuire ogni cosa fino a renderla ridicola, era l’unico modo che Manigoldo conoscesse per sopravvivere, per evitare il dolore della crudele realtà. Perchè il cavaliere della dodicesima casa era un vero eroe, uno di quelli che si trovano sui libri di storia o nelle più formidabili fiabe per bambini. Era bello e perfetto in ogni suo aspetto, dalla punta dei capelli setosi e impalpabili che parevano pura acqua, sin nel più profondo del suo spirito indomito ed impavido. Pur ben sapendo che persino quell’essere tanto etereo quanto fastidioso possedesse, come ogni essere umano, i suoi difetti come la testardaggine, la lingua tagliente che non conosceva le mezze misure e persino una buona dose d’imbranataggine, per il saint del Cancro essi erano sempre apparsi come trascurabili, di scarso valore rispetto allo splendore dei suoi pregi. Chi si soffermerebbe ad osservare le piccole schegge imperfette di un diamante, quando questo brilla nella splendente luce dei sette colori dell’iride?

Mentre lui... Manigoldo, che cosa era in paragone a quel perfetto essere?

Non era che un ragazzino di strada cresciuto troppo in fretta, nel modo sbagliato, con le sue idee e le sue indelebili pecche. Era cambiato, questo era certo, ma era altresì sicuro che egli sarebbe rimasto sempre lo stesso. Perchè un abito logoro e sporco, per quanto lo si lavi e lo si rassetti al meglio, rimarrà pur sempre un capo di seconda mano. Quale persona sceglierebbe un abito scadente? Tutti vogliono il meglio.

Anche Albafica.

Lo meritava.

Era stato fin troppo fortunato nella sua vita, aveva ricevuto onori e lussi che uno scugnizzo come lui non avrebbe mai avuto il diritto nemmeno di sognare. Aveva trovato un maestro, un genitore parecchio anzianotto e con seri ritardi mentali, dato che non riusciva mai a comprendere quando il suo adorato e diligente figliolo scherzava. Però era lì, per lui, sempre. Aveva nuovamente una famiglia, per quanto colma di individui assurdi e dagli strambi ideali, che nemmeno loro stessi parevano essere consci di possedere. Aveva conosciuto persone formidabili tra di loro, con cui aveva l’occasione ogni giorno di scherzare e di poter chiamare suoi pari. Era persino riuscito a toccare il cavaliere solitario, a farlo suo per una notte, pur dovendo sottostare al suo orgoglio, per non dire altro... però, al diavolo, ne era valsa la pena! Non si sarebbe mai pentito di quell’esperienza, né del fatto che ora poteva stare vicino a quel rompiscatole di cui era... per cui provava...

Forse quel caldo assurdo, quella calura soffocante, spuntata dal nulla per altro, stava fondendo anche a lui il cervello. Da quando si faceva così pessimista? No, realista, era più corretto. E manco riusciva a dire nella sua mente ciò che il cuore gli urlava da mesi, ormai. Che imbelle, erano questi i momenti in cui si sarebbe voluto prendere a pugni: perchè non poteva semplicemente fare l’idiota come suo solito, quando si trovava in presenza di quel greco? Quale diavoleria lo faceva costantemente sentire inetto e sottovalutato?

Sospirò ancora, per l’ultima volta. Gli ci voleva una boccata d’aria, poco importava se arida come il deserto. Lì dentro, nella stanza privata del dodicesimo tempio, sarebbe morto per le esalazioni della rosa più pericolosa e bella mai cresciuta sulla Terra. E non si riferiva al suo veleno, ma alla stessa persona di Albafica. Perchè, si domandava, per quanto fosse malato e scompigliato, ai suoi occhi appariva più bello che mai? Oltre alla depressione crescente, gli saliva anche un certo desiderio poco casto. No, no, decisamente, doveva uscire da lì. Adesso!

“Dato che ti sto tanto antipatico, me ne vado.” disse frettolosamente, accaparrando la prima scusa che gli venne in mente.

Non fece in tempo a terminare la frase, tuttavia, né tantomeno ad allontanarsi, che una presa salda sul suo braccio lo fece arrestare. Incredulo, felice persino in fondo al cuore, l’italiano si voltò speranzoso verso quella inaspettata forza che lo aveva chiamato a sé.

“Manigoldo...”

Due occhi grandi, sorpresi forse essi stessi del loro gesto inatteso, fissavano un punto inesatto sul volto dell’italiano.

“Ma-Manigoldo.”

Un secondo richiamo, stavolta più incerto, quasi timoroso, fece sussultare l’animo del cavaliere che, deglutendo a fatica, pose la fatidica domanda.

“Ch-che c’è?”

Avrebbe potuto formulare una frase migliore ma, dannazione!, quando l’uomo che ami ti parla con quella voce sottile eppure bisognosa, e ti osserva con tale pressante desiderio di protezione, come fa una persona resistere? È puro gioco sporco, insomma!

Le labbra di Pisces annasparono a vuoto, non sapendo nemmeno loro cosa affermare, quali parole scegliere. Poi, fu il suo cuore a decidere, più per necessità che per coraggio.

“Que... quella è un’ape?!”

“Eh?”

Troppo scioccato per formulare un solo pensiero di senso, Cancer si limitò a sbattere le palpebre, incredulo. Se avesse potuto, avrebbe dato una ripulita persino alle sue orecchie.

Gocce di puro terrore, nel frattempo, solcarono il bel viso di Albafica, mentre la presa sul braccio del compagno si stringeva, si stringeva sempre più, fino a quando non si fece spastica.

“Oddio, è un’ape. C’è un’ape.”

Lo sgomento era talmente palpabile, che egli non riusciva nemmeno ad urlare, o forse questo era dovuto alla sua debolezza fisica e mentale. Tuttavia, il suo corpo reagì dimenandosi disperatamente, mentre gli occhi, frenetici, seguitavano ad inseguire un puntino lontano, eppure vicinissimo, sul soffitto in marmo. Manigoldo non poté far altro che accompagnare quello sguardo con il proprio, fino a che, finalmente, comprese che esso fosse rivolto al di là del proprio volto. In effetti, eccola là, la famigerata assassina. Essa svolazzava, facendo non poco chiasso in mezzo a quel silenzio innaturale che si era formato nella stanza, compiendo giri circolari e precisi. Sembrava indifferente alla presenza di quei due giganti che la fissavano con intensità, anche perchè in quel luogo vi era finita per puro caso, attratta fallacemente dall’inebriante profumo di rosa che permeava quelle pareti. Eppure, di fiori, neppure l’ombra. Un poco si sarà sentita offesa, pensò Manigoldo, che poi, con sgomento, affermò in tutta calma “Albaficucciolo... non dirmi che hai paura delle api”.

I fazzoletti caddero sul letto, mentre il greco si dimenava come un tarantolato. Sembrava ricercare un luogo sicuro in cui celarsi e, allo stesso tempo, non avere il coraggio di muovere un dito. Il risultato era una comica danza sul posto, fatta di alzate a sedere e di crolli rovinosi sotto il sottile lenzuolo, suo unico scudo.

“Io non le sopporto!” finalmente la voce di Pisces si fece più chiara ed acuta “Mandala via.”

Il cavaliere credette di udire una nota di preghiera in quella richiesta, eppure la scottante scoperta di essere stato trattenuto in quel luogo tanto infausto quanto ammaliatore per una causa talmente idiota, fece salire in Cancer la voglia di essere crudele e sadico. Soprattutto mulacchiune, come ogni degno italiano che si accaniva sulla propria vittima d’amore.

“Cioè, un saint di Athena si fa mettere in scacco da un’apetta?” esclamò infatti, mentre un lieve sorriso di compatimento gli solcava il volto.

In effetti, una scoperta del genere avrebbe ucciso chiunque, figuriamoci l’imponente e perfetta figura di Albafica dei Pesci. Questi, tuttavia, trovò il coraggio e la spavalderia di fissare con puro astio e sacrosanta superiorità il proprio pari. La Paura faceva veramente girare il mondo e smuoveva le montagne, altro che quello sciocco e prevedibile Amore.

“Forse non sono stato chiaro: io ho la fobia delle api. Non le posso vedere, non le posso soffrire, mi mettono il panico, l’ansia, il terrore... maledizione, Manigoldo, cacciala via!!”

Tale minaccia di morte, non si sa bene se rivolta più all’umano o all’animale che il greco odiava in quel mentre a pari merito, venne accompagnata da un comicissimo sollevamento di lenzuolo che coprì totalmente l’intera figura di Albafica, facendolo apparire come la caricatura di un fantasmino tremolante.

Scuotendo il capo, l’italiano si fece finalmente serio.

“E tu vivi in mezzo alle rose. Povera stella.” constatò con non poco biasimo e compatimento.

“Manigoldo, ti prego, non farmi scegliere cosa odio di più al momento: se te o quella maledetta ape! E mandala via!!”

Piagnucolò quasi. Tale atteggiamento mise in confusione il ragazzo, che oramai non sapeva più se preoccuparsi per la salute mentale dell’amico o se chiamare Degel perchè gli facesse calare i bollori che gli stavano liquefacendo il cervello. Alzando le spalle in segno di resa, Cancer si avviò verso la porta. Ciò scatenò il pandemonio.

“Ma-Ma-Manigoldo!! Brutto bastardo, non abbandonarmi!” urlò disperato il giovane, che poi si rivolse alla sua eterna rivale “E tu va viaaaaa... ti odioooo...”

Si poté chiaramente udire il digrignare dei denti del povero napoletano, ormai propenso allo sclero esistenziale, data l’assurdità della situazione. Insomma, lui si trovava lì perchè sperava di poter fare qualche passo avanti con il suo rapporto, tutt’altro che delineato, con Albafica, non per fare l’ammazza api e che caspio!

“Non me ne vado, anche se sarei tentato! Vado a prendere un’arma!” e volontariamente non specificò per chi fosse.

Così dicendo, in pochi istanti l’italiano andò e rispuntò nella stanza, brandendo nelle mani un asciugamano imbevuto d’acqua, di modo da essere ancor più letale. Alla fine, aveva prevalso l’Amore e la Compassione.

“Mannaggia Bubbà e ad Athena!” pensò con esasperazione il ragazzo “Guarda che mi tocca fare!”

Cominciò così la caccia.

Manigoldo saltellava per la stanza, cercando di spingere il povero insetto fuori dalla finestra, mentre Albafica lanciava a scatti urli impanichiti e istruzioni. Del tipo “Attento, così vai a rompere qualcosa!” oppure “Ma non la farai appena arrabbiare?” e ancora “Guai a te se mi punge, non ti rivolgerò mai più la parola!” che vennero sedati da una semplice affermazione di Cancer.

“Vuoi fare tu?”

Scuotendo la testa, il greco si decise a chetarsi e a sdraiarsi sommessamente nelle profondità del suo letto, pregando con tutte le sue forze che quell’essere diabolico se ne andasse senza troppi rancori. Dopo interminabili minuti di lotta, l’italiano cacciò per sempre dalla stanza la maledetta ape al suono di “Chella gran zompapereta e mammeta!!”. Una volta conclusa tale gesta eroica, Manigoldo venne acclamato come il più grande paladino della Guerra Santa da Albafica, che non la smetteva più di ringraziarlo.

“Manigoldo, ti ho giudicato male in questi anni!” arrivò persino a dire.

Il napoletano si sentiva a disagio, ma per una volta che veniva lodato, per lo più da quell’uomo sempre freddo e controllato, non poté fare a meno di gongolare con un sorriso a trentadue denti.

“Bah, sciocchezze, sciocchezze. Una cosuccia da nulla!” che tacitamente significavano “Ti prego, continua ad adularmi!”

Inaspettatamente, dopo aver strappato al cavaliere la promessa di non far parola di tale vicenda con anima viva (e morta, date le abilità del Cancro), Pesci si lasciò sfuggire di tutto cuore un’esclamazione sconvolgente.

“Manigoldo, ti amo! Grazie infinite!”

 

***

 

“E questo è il racconto della prima volta che Albafica mi disse Ti amo.

La conclusione di tale racconto lasciò basiti i presenti. Tutti, ad eccezione di uno. Kardia, infatti, non si lasciò sfuggire l’occasione di dire la sua.

“Che incommensurabile mestizia.”

Persino Sisifo dovette annuire col capo, sebbene impercettibilmente.

“In effetti non ha un granché di romanticismo... ma in fondo Albafica è tenero per questo!” disse Aldebaran, cercando di risollevare lo spirito della serata.

“La colpa è tua che ti sei scelto un’amante simile.” decretò secco Aspros, che tuttavia mal celava una nota di invidia per il fatto che quell’idiota era riuscito in un’impresa che nemmeno lui era stato in grado di compiere.

Il dibattito venne bruscamente interrotto dall’arrivo del diretto interessato.

“Ancora con questa storia?!” urlò, prorompendo in mezzo al gruppo di amici messi in cerchio come un gruppo di ragazzine preadolescenti “Manigoldo, avevi promesso di non dirlo ad anima viva!!”

L’italiano celere si difese.

“Ma Albaficucciolo, è Verità o penitenza! O raccontavo della prima volta che mi avevi detto Ti amo o dovevo andare in giro per il Presepe ignudo!”

Kardia ridacchiò soddisfatto per la sua trovata geniale. E pensare che all’inizio non voleva nemmeno partecipare a quel gioco per dementi!

“Manigoldo.” sentenziò con astio e imminente sciagura Pesci.

Tuttavia, Cancer lo prese in contropiede.

“Scusami, so che hai ragione ma... volevo dimostrargli che non sei un essere insensibile!”

Il greco rimase a bocca aperta, non sapendo più cosa ribattere. A dar manforte all’italiano, incredibile ma vero, ci pensarono gli altri cavalieri.

“Beh, è naturale che volesse sfogarsi: tu sei un pessimo amante!” decretò Kardia.

“Per quanto tu abbia un corpo da fare invidia a qualsiasi divinità, il tuo carattere è veramente intrattabile e difficile.” acconsentì Aspros, che ricevette dei cenni di assenso da parte dei presenti.

“Povero Manigoldo.” disse Aldebaran, dando una pacca sulla spalla al ragazzo.

“Ti deve amare davvero molto, Albafica. Forse non te ne rendi bene conto.” concluse Sisifo, con un sorriso gentile ed un tono leggermente canzonatorio.

Trovandosi circondato, Pesci non poté fare altro che arrossire ed abbassare lo sguardo.

“Te l’ho detto anche altre volte!” esclamò, nel suo ultimo tentativo di difesa personale.

“Non oggi... né in questa settimana.” si lasciò sfuggire Cancer, che però subito si tappò la bocca con entrambe le mani.

Non voleva lagnarsi, né tantomeno offendere il ragazzo che amava e che, per qualche astruso miracolo, aveva acconsentito a diventare ufficialmente il suo amante. Con grande sorpresa, però, notò che Albafica si stava tormentando le mani. Dopo interminabili secondi di silenzio e sguardi curiosi, si udì un leggero sussurro, appena percettibile.

“... ti amo...”

La reazione fu immediata.

“Albaficucciolo!!!”

L’attacco a sorpresa del Cancro stese a terra il povero Albafica.

“Io ti odio!” si udì chiaramente.

E, dopo tale rivelazione, i presenti non poterono fare altro che esclamare con divertita gioia “Oh, questa è verità!”.

 

 

FINE

 

 

INDICE DEI TERMINI NAPOLETANI E LORO TRADUZIONE:

 

Smargiassu = spaccone

 

Pistinìcchiu = stupido, ma anche presuntuoso

 

Mannaggia Bubbà = tipica esclamazione napoletana, significa letteralmente “Maledizione a Bubbà” e si riferisce ad un personaggio attivissimo dei bassifondi napoletani dell’800, noto per essere invischiato in qualsivoglia traffico o situazione incerta. Se allora qualcosa andava storto si poteva tranquillamente dare la colpa a Bubbà, sicuri che in qualche modo vi fosse implicato. Bubbà assunse quindi, a livello popolare, il ruolo del capro espiatorio e veniva citato in ogni occasione sfavorevole. (fonte Wikipedia) So bene che Lost Canvas è ambientato nel 1700, ma questa esclamazione mi era sempre piaciuta e volevo utilizzarla. Chiedo venia.

 

Scostomato = maleducato

 

Che bel uaglione ca sun = Che bel ragazzo che sono

 

A zoccola = Ve la devo davvero tradurre? xD

 

Scugnizzo = ragazzino

 

Mulacchiune = bastardo

 

Chella gran zompapereta e mammeta!! = Quella gran zoccola di tua madre!!

 

 

Non essendo napoletana, mi scuso se ci sono alcune imprecisioni o errori. Mi sono totalmente affidata al web, ma se qualcuno di voi volesse suggerirmi dei miglioramenti o correzioni, sentitevi liberi di farlo. =) (magari all’interno di una bella recensione... ;D)

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Salve a tutti! =)

Per chi è nuovo di qui, piacere, sono lieta che abbiate deciso di dare una sbircia a questa mia storia. Per chi, invece, mi conosce ormai bene in questo fandom (e non solo) lieta di rivedervi!

Non ho molto da dire in questo angolino, se non che la storia è nata per puro caso (ma che strano!) fondendosi tra realtà e ricordi. Sì, perchè questa scenetta è avvenuta tale e quale anni fa tra me e Tsubaki. E non è un caso se mi riferisco a lei come al mio Manigoldo: oltre ad essere del segno del Cancro, lei è stata quella che mi ha difeso dalla temibile ape, mentre ero knock out a causa di un colpo di Sole! Che esperienza terribile e spassosa, ora che sono sopravvissuta!

Ora, vi avviso, quanto segue è perlopiù diretto ai miei amici citati nella dedica, quindi, se non vi interessa saltate pure, non mi offendo mica. Se invece siete curiosi... a voi!

Questa dedica speciale a inizio storia l’ho voluta inserire, perchè quest’anno è stato davvero strano per me. Mi sono ritrovata sola in un’altra città, senza i miei amici, e col chiodo fisso di essere stata abbandonata. Un po’ lo stress e un po’ la stanchezza, e un po’ tanto il mio caratteraccio, mi hanno fatto spesso riflettere la sera sull’amletica domanda “Ma perchè devo finire sempre per litigare o fare la spocchiosa coi miei amici? Perchè non riesco più a sentirmi me stessa? Non è che domani Alex e Tsu realizzano che sono solo una rompiballe e mi fanno tanti cari saluti?” oppure davo la colpa a loro. “Sì ma, potrebbero anche capirmi, perchè mi vanno sempre addosso?” mi dicevo.

Insomma, sono successe tante piccole cose che mi hanno fatto riflettere e che mi hanno condotto ad un’unica soluzione. Siccome non avevo mai il coraggio di affrontare direttamente l’argomento, l’ho fatto qui, per iscritto, come meglio mi riesce.

Amici miei, alle volte non ci saremo capiti, qualche volta io ho esagerato, altre volte voi non mi avete compresa, ci siamo sentiti un po’ tutti confusi e feriti (almeno, questo è quello che ho percepito io), ma alla fine siamo sempre gli stessi. Siamo sempre uniti, ci vogliamo bene, ci diciamo tutto, diamo tutti noi stessi per aiutarci l’un l’altro... e so che questo non cambierà mai.

Però, e c’è sempre un però, voglio essere chiara. Voglio togliermi una volta per tutte questo peso e dimostrare una volta in più con le parole, e non solo con i fatti, quanto tenga a questi due miei folli, insostituibili, amici.

Siete tutto il mio mondo, la mia famiglia, e vi voglio un mare di bene!

...

Bene, ora che l’ho detto, posso andare a nascondermi per i prossimi duemila anni nell’armadio di camera mia! *odia le smancerie*

Mi auguro che la fic vi sia piaciuta e non solo ai miei amici! Lasciate un commento, se vi va, mi farebbe molto piacere!

Un abbraccio immenso,

 

Moni =)

   
 
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