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Autore: Aquiloni    03/05/2015    0 recensioni
Harry ha venticinque anni, è un uomo ma si sente ancora un bambino. Sperduto, indifeso. Guarda fuori dal finestrino di un treno in corsa cercando di sfuggire al succedersi dei pensieri che gli rimbombano nella testa. In mente ha l'unica ventata di aria fresca della sua vita. Un parco, il sole, occhi color del cielo e del mare.
Louis ha ventisette anni, insegna all'università di Cambridge, è un professore ammirato da tutti meno che da se stesso. Si odia per il sonno che si lascia rubare dai ricordi ogni notte. Ricordi di un ragazzo spettinato con il mondo negli occhi, ricordi di una casa con la terrazza, di un vecchio giradischi e una libreria piena di vinili.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Treno delle 5 pm, 1 Febbraio 2015, Londra, Central Station
 
Harry Styles ha venticinque anni da poche ore: è un uomo, si sente ancora un bambino. È in viaggio verso casa, ha appena salutato Gemma, sua sorella, 27 anni e due figli, uno di sei anni e uno di 16 mesi, un marito lontano in un altro stato, a combattere una guerra non sua per una patria non sua. Gemma è una donna forte, ha una buona madre dalla sua parte, un buon padre, lontano ma sempre presente, e un fratello da sempre disposto a dare tutto per lei. Eppure è stanca e impaurita, spaventata da una possibile vita senza un padre per i suoi figli. Gemma è stanca, non lo da a vedere, ma Harry lo sa. Al posto suo lui non riuscirebbe ad affrontare tutto, non capisce come la sorella possa dimostrare sempre tanta forza. È sempre stato fragile lui, ha sempre avuto troppo bisogno di certezze, contatti, presenze. Ora è più grande e più forte, ma gli è rimasta incagliata nel cuore un po’ di quella paura che lo rende fatto in parte di vetro, fragile, precario.
In treno ascolta “Let her go”, guarda i campi scorrere veloci, si sta facendo sera, sente già il freddo nelle ossa. Lui ha lasciato spesso andare via le persone; per paura, orgoglio, perché era giusto così. Le persone hanno sempre fatto avanti e indietro nella sua vita, alcune partivano e poi tornavano, altre erano di passaggio, altre non tornavano mai più. Ma lui ricorda tutti, porta sempre ogni persona dentro al cuore: ricorda chi lo ha ferito, chi è lontano ma resta presente, chi lo ha cambiato, chi ha cambiato se stesso e ora è fin troppo diverso; tutti, gli è inevitabile, le persone gli marchiano l’anima, gli entrano dentro con una facilità incredibile: basta un tocco, una frase, un semplice sguardo. Ricorda soprattutto i particolari, sono ciò che più lo colpiscono: una camminata frettolosa, mani grandi, sorrisi, occhi. Occhi azzurri che oramai conosce a memoria, occhi che non gli ricordano più il mare, perché è il mare ormai a ricordargli di loro.
Occhi che cerca sempre di dimenticare, occhi a cui ora proprio non vuole pensare.
È troppo stanco, neanche gli sembra il suo compleanno: ha corso troppo, parlato e sorriso troppo, finto troppo. Harry è stanco, sono anni che ormai cerca un suo posto, un suo nascondiglio sicuro.
Una volta l’ha trovato, se la ricorda bene la sensazione di caldo sprigionata da quel rifugio, se lo ricorda il suo sospiro di sollievo; ma un giorno il tetto è esploso, le pareti sono crollate, e lui è stato costretto a prendere su le sue quattro cose, i suoi pezzi di anima, e a tornare in viaggio, più stanco e fragile di prima.
 
2010, Londra
 
10 Aprile, Hyde Park
Louis ha venti tre anni da pochi mesi. Ti dicono che più cresci più sei diverso, sei più responsabile, acquisti più autonomia; Louis si sente solo sempre più confuso. Ha tante responsabilità che non ha mai chiesto, ha troppi pensieri in una testa già troppo oberata, non conosce il suo futuro, sono anni che non sa neanche come farlo andare e che strade dovrà seguire. Ultimamente la notte si sveglia spesso, sono attimi ma Louis non respira: il suo cuore smette di pompare sangue per qualche secondo e l’aria non arriva più ai polmoni; “apnee notturne” le chiama il dottore, “paura che gli attanaglia il petto” la chiama lui.
Oggi è un venerdì soleggiato, inizia a fare più caldo, la primavera è arrivata da poco e Louis ha deciso che non è la giornata per pensare, oggi vuole solo chiudere gli occhi e respirare il profumo di fiori. Stanotte non ha praticamente dormito, ha avuto delle brutte crisi, si è svegliato tre volte. Stende una coperta sull’erba, si sdraia e comincia a fumare: si rilassa così, svuota la mente e riempie i polmoni. È sbagliato, lo sa, ma il fumo fa bene allo spirito quanto fa male al fisico, e Louis in questo momento ha solo bisogno di stare bene psicologicamente.
E’ sdraiato sul pile colorato con gli occhi rivolti al sole, intento a guardare il cielo quasi completamente sgombro di nuvole intrecciando i pensieri al fumo denso della sua Camel appena accesa. D’un tratto sente un rumore e nel suo campo visivo entra il muso curioso di un cane, subito seguito dalle manine di un bambino dai grandi occhi nero pece e un ciuccio colorato tra i dentini.
Louis è confuso da quell’apparizione, ma non può fare altro che restare intenerito da quei due piccoli amici che si cercano e si muovono l’uno in funzione dell’altro, uno accompagnato da uno scodinzolare felice, l’altro guidato dalle sue mani curiose, sempre ancorate al pelo del cucciolo, e li osserva  con dolcezza senza neanche preoccuparsi del motivo per cui siano lì.
Louis si gode ogni momento, sta imparando a non farsi troppe domande su ciò che gli accade, crede che sia una buona teoria per affrontare le giornate al meglio, ma ogni convinzione svanisce non appena con la coda dell’occhio nota un ragazzo tutto trafelato all’inseguimento dei due cuccioli forse scappati dalla sua sorveglianza. Gambe lunghe, gote arrossate, e il più sincero sguardo di scuse precedono il sorriso più grande e genuino che Louis abbia mai visto, il quale rapisce immediatamente ogni sua attenzione
“Scusa, quando sono insieme non riesco mai a stargli dietro” dice il ragazzo col fiatone.
Louis resta colpito dalla particolare semplicità di quel ragazzo e da quella situazione così strana, e non può fare altro che rispondere con un semplice gesto del capo accompagnato da un gentile sorriso.
Il ragazzo si piega con dolcezza e prende in braccio uno dei piccoli fuggitivi il quale dopo un breve verso di protesta infila le manine appiccicose dentro ai ricci castani del giovane. Quest’ultimo rivolge un breve sorriso a Louis e poi con un fischio richiama l’altro il quale lo segue trotterellandogli intorno ai piedi.
Louis guarda il gruppetto allontanarsi con una strana sensazione che gli aleggia intorno; in qualche modo, non capisce bene quale, quei tre gli hanno appena stravolto la giornata.
 
29 Aprile, bus 125
Louis corre trafelato verso l’autobus. Non ha fiato perché fuma sempre, ma corre il più veloce possibile: d’altronde l’autista è già fin troppo gentile ad aspettarlo, e Lou non vuole di certo che quello si stufi di aspettare. Un passo ed è su, con un salto si infila nel primo spazio libero e si appoggia ad un pilastro, chiude gli occhi qualche secondo per riprendersi dalla corsa; è così strano essere di fretta per lui, di solito perde tempo tra i suoi pensieri e finisce sempre per fare le cose con troppa calma, ma oggi deve tornare a casa il prima possibile, sua madre ha un impegno di lavoro e lui deve badare alle sorelline.
Controvoglia riapre gli occhi in cerca delle cuffiette del telefono, deve avvisare a casa che sta tornando, e inoltre sa di non poter sostenere il tragitto in autobus senza musica nelle orecchie. Maldestramente si fruga nelle tasche, e si accorge di qualcuno accanto a lui che ride divertito, di lui; si gira già pronto a chiedere cosa diavolo ci sia di tanto divertente ma resta bloccato dalla sorpresa: quello che si trova di fronte è un giovane ragazzo dall’aspetto talmente curioso che non potrebbe non riconoscerlo.
È infatti il ragazzo del parco, quello che giorni prima correva dietro al bimbo e al cane che gli sono piombati sotto al naso quasi spaventandolo. “Ciao” gli dice quel ragazzo che Louis cerca di inquadrare a fatica; è bello, nota, ed è giovane, ma al tempo stesso sembra uno che ha già capito come gira il mondo e quanto semplice sia restarne bruciati. Come lui.
“Sono Harry”, e gli porge una mano; Louis è perplesso, si sente come se quell’incontro stesse per cambiargli la giornata: guarda quella grande mano esitando, deglutisce, gli ci vuole qualche secondo prima di stringerla ed Harry sembra accorgersene perché il suo sguardo si abbassa incerto, quasi come se si sentisse stupido per essere stato così confidente in modo improvviso. Poi però Louis ricambia, e non può fare a meno di notare come il viso del ragazzo si apra in un sorriso. “Lascia che mi scusi ancora per l’altro giorno” parla Harry “spero che i miei cuccioli non ti abbiano dato troppo fastidio, so che Hyde Park può essere un luogo in cui si viene per cercare tranquillità”.
Ma Louis sta solo pensando che quella voce non se la scorderà così facilmente come vorrebbe.
“Nessun disturbo, tranquillo. Ho dei bambini in casa, sono abituato. E gli animali mi piacciono”. E prima di rendersi conto di quanto è inappropriata la domanda che sta per fare, “Era tuo...figlio?”. Harry scoppia a ridere nel modo più caldo ed innocente possibile “Sono giovane per avere un figlio, è mio nipote”, e Louis per risposta sorride, ma non capisce se si sta sentendo a disagio o se quella conversazione lo sta rendendo felice. È sicuro di sentirsi bene in quel momento, ma avverte una sorta sensazione sospetta, come se si stesse avvicinando troppo e troppo in fretta a quel ragazzo, più di quanto solitamente gli piaccia fare con le persone in generale.
E così fa la cosa più contro ogni sua aspettativa che potrebbe fare in quel momento, della quale sa già si pentirà appena sceso dall’autobus: cerca una penna, strappa un pezzo di carta da un foglio nello zaino e ci scrive sopra il suo numero di telefono. Lo porge ad Harry, gli rivolge un saluto sbrigativo e si avvicina alle porte per scendere.
Ed eccola lì la voglia di schiaffeggiarsi per essere stato così avventato: magari Harry lo ha salutato solo per essere gentile, magari non è minimamente interessato a lui, magari è fidanzato, magari con una ragazza, magari pensa che Louis sia un cretino; però Louis nel profondo ha una minuscola sensazione, come se Harry fosse diverso da come ci si potrebbe aspettare, come se sapesse che Harry ha colto quel gesto per quello che effettivamente era, il semplice bisogno della compagnia di quel sorriso così luminoso.
 
Aprile 2015, Cambridge University, Londra
 
Lezione di sociologia. Louis insegna a capire la società perché lui le persone singole ha rinunciato a comprenderle da un pezzo.
Entra in classe, come ogni giorno di lezione poggia prima le sue cose sulla cattedra poi prende il gessetto dalla lavagna e se lo passa sui palmi delle mani; lo fa ogni volta, è come un piccolo gesto di scaramanzia, si sporca le mani di gesso, ha bisogno di sentire la concretezza sui polpastrelli delle dita. Prende poi un profondo respiro e si gira verso la classe, rivolge ai suoi studenti il solito grande sorriso: un po’ rassicurante, un po’ strafottente, un po’ incerto. Sorride a loro e nel frattempo sorride a se stesso, come se volesse darsi forza per affrontare gli altri anche oggi.
I suoi studenti lo ammirano, questo è risaputo in tutta l’università, è un docente bravo, comprensivo, ama il suo lavoro, trasmette la passione, ed ha quella punta di sarcasmo che basta per risultare simpatico e affascinante; per questo motivo le sue lezioni sono sempre affollate, tutti ascoltano assorti e rapiti quello che lui ha da dire. Ma a Louis tutto ciò interessa ben poco; lui non si ammira. Lui non si ascolterebbe rapito, lui non si considera una brava persona, non vuole farlo. Crescendo aveva imparato ad essere sicuro di ciò che faceva nella vita e di come lo faceva, e a capire di essere bravo. Ma questo prima: prima che perdesse la parte più importante della sua vita, prima che commettesse il suo più grande sbaglio, ciò per cui dopo anni ancora non si è perdonato, e per cui mai si perdonerà. Ciò per cui ancora capita che non dorma la notte.
È aprile e Louis lo sa, lo sente nelle vene. E non sente più il profumo dei fiori e la primavera che si espande, ora sente solo i ricordi che gli bloccano la mente e il senso di perdita che gli strizza il cuore.
 
Marzo 2010
Harry è a casa di Gemma, sparecchia la tavola mentre lei gioca con Luke e Buddha, i suoi due cuccioli, nel salotto. Sta ripensando alla conversazione che hanno appena avuto, e sente che anche questa volta la sorella ha ragione: “Hai bisogno di una distrazione Harry, e lo sai anche tu. E se questa distrazione dovesse poi trasformarsi in qualcosa di serio allora tanto meglio, hai bisogno anche di qualcuno che ti stia accanto. Ne hai sempre avuto bisogno, e più cresci e più vedo nei tuoi occhi quanto bisogno hai di essere amato. È una bella occasione, non sprecarla, e come andrà andrà”.
Cazzo, Gemma sa sempre cosa dire. Si rigira tra le dita il bigliettino che Louis gli ha dato qualche giorno prima, e mentre pensa a cosa fare afferra il giubbino e fischiando chiama Buddha: “Gemma lo porto a fare un giro!”, ho bisogno di schiarirmi le idee aggiunge tra sé e sé.
Esce di casa e lascia che il cucciolo corra per la campagna, mentre lui tira fuori il telefono dalla tasca e digita velocemente le cifre scritte sul foglio, veloce prima di cambiare idea. Squilla a vuoto per qualche secondo, e poi una voce leggermente acuta risponde. “Pronto?” a Harry batte il cuore; “Louis? Sono Harry…”. Louis risponde e ad Harry sembra quasi di sentirlo felice, quasi come se sperasse nella sua telefonata fin dal momento in cui si erano salutati sull’autobus.  “Ti andrebbe di vederci? Domani, ad Hyde Park?” ma Harry è incerto, tanto quanto riesce a mostrarsi sicuro e solare agli altri. “Alle cinque?” risponde Louis. “Alle cinque.” ripete Harry dopo aver sorriso.
 
Il giorno dopo Harry pranza di fretta, riordina leggermente i libri sparsi per terra, sistema gli impegni della settimana sull’agenda, e quando è quasi ora di uscire inizia a vestirsi. Immancabili jeans neri, la maglietta bianca col collo a barca, il giubbino di montone e gli stivaletti marrone scuro. Prende le chiavi e appena apre la porta Buddha si precipita fuori scodinzolando. Camminano fianco a fianco fino al parco, e il cane guarda Harry con occhio vigile, finchè quest’ultimo non gli fa un cenno con la mano e lui si sente finalmente libero di correre dove vuole. Harry lo ha addestrato bene, è ancora un cucciolo ma già sa stare al suo posto e non combinare troppi guai, per questo lo lascia sempre libero; non ama i guinzagli, ha sempre dentro di sé il desiderio irrefrenabile di essere libero e slegato da tutti, e non vuole che il suo cane sia obbligato a non sentirsi libero di correre.
Cammina piano Harry, ha le gambe lunghe e non sente l’esigenza di viaggiare di fretta, preferisce godersi la strada che fa; cammina piano verso tutti i luoghi in cui deve andare, e ora cammina piano verso la collinetta in cui ha incontrato Louis qualche settimana prima. E Louis è di nuovo lì. È seduto al sole con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, di nuovo una sigaretta tra le labbra. È semplice nel suo stile ma bello, Harry lo ammette a se stesso.
“Ehi” si avvicina, e lui apre gli occhi. Tossicchia un poco, probabilmente era assorto nei suoi pensieri e lui lo ha colto di sorpresa. “A cosa pensavi?”, non è capace a non essere diretto e spontaneo lui. “Mi piace questo posto” risponde Louis “ci sono tante persone ma allo stesso tempo riesci sempre a trovare una bolla di pace per te stesso”.
Buddha si avvicina scodinzolando con un bastone grande quanto lui tra i denti; è buffo quel cane, Harry lo ha preso apposta, è impacciato quanto lui, e sono riusciti a costruirsi una bella connessione. Louis gli sembra incuriosito dal cucciolo, così prende il bastone in mano e glielo porge, dicendo “Louis, questo è Buddha. Buddha, questo è Louis” e gli fa cenno di lanciare il bastone lontano per far giocare il cane. Louis sorride, ed Harry scorge in quel viso qualcosa che cerca da tempo: la possibilità di essere felice, felice con qualcun altro.
 
Non prende sonno stasera, continua a ripensare agli occhi azzurri di Louis. Sono belli, ma sono stanchi.
Louis sembra stanco di quello che è, Harry riesce a leggerlo, e lo capisce bene. Hanno parlato quel giorno, hanno chiacchierato e cominciato a conoscersi. Ma a Harry sembra di conoscere già Louis.
Sta seduto sul davanzale della finestra e guarda fuori la luce della luna, Buddha ai suoi piedi dorme da un pezzo; com’è bella la vita da cani pensa, alla fine tutto ciò che hanno da fare è essere spensierati e farsi amare. Anche lui vorrebbe solo farsi amare, senza intoppi, senza paure, senza dolore.
Non è così facile, ma Louis è diverso, lo sente. Louis è diverso, e si vede. Harry lo vede. Harry sa che quello che ha visto nei suoi occhi è lo stesso che vede ogni giorno guardandosi allo specchio: Louis è spaventato dalla vita e dai sentimenti.
 
È martedì, sono le dieci di mattina, e Harry ha in mente una cosa che vuole fare. Oggi Buddha resta a casa, lo ha portato fuori già stamattina presto, e ora ha bisogno di fare ciò che deve fare da solo.
Cammina per il parco, passo spedito, occhiali da sole addosso, il suo nuovo profumo sul collo, la camicia rossa a quadri un po’ aperta sul petto; si dirige senza esitazioni nel posto che ormai conosce, e trova come immaginavo Louis sdraiato per terra con la musica nelle orecchie e l’immancabile Camel in bocca. Capelli sparati per aria, gli occhiali da sole gli cadono sul naso, e i piedi scalzi sono immersi nell’erba. Harry senza dire una parola si sdraia accanto a lui in attesa di una reazione. L’altro apre gli occhi di soprassalto e appena lo riconosce sorride, ma subito dopo cerca di velare quella reazione improvvisa, come se cercasse di mantenere una distanza dai sentimenti, proprio come pensavo.
“Ehi” si mette seduto Louis “cosa ci fai qui?”. Harry prende fiato, alla fine anche lui ha un’innocente maschera, quella dello spavaldo, lui agli occhi degli altri non ha paura di mostrarsi per come è, di dire ciò che pensa, di essere sé stesso. Lui agli occhi degli altri è tutto camicie scollate e sorrisi con le fossette, agli occhi degli altri.
Si mette seduto anche lui, “Volevo dirti una cosa”, sfila gli occhiali da sole a Louis, lo guarda negli occhi, lui distoglie lo sguardo fa un ultimo tiro dalla sigaretta e la spegne nell’erba; Harry allunga una delle sue dita affusolate verso il mento leggermente barbuto di Louis e gli gira il viso fino a che anche lui non lo guarda. Trattiene il fiato per un nanosecondo, e poi si avvicina. Si avvicina e posa delicatamente le labbra su quelle di Louis; delicato, in attesa, non vuole dargli l’impressione sbagliata, vuole che sia lui a fargli capire che ci sta. E per tutta risposta, dopo pochi secondi di esitazione, Louis apre le labbra e stringe gli occhi, ma si lascia andare in un bacio che entrambi si ricorderanno per molto tempo.
 
 
Aprile 2015, Cambridge
È stanco, oggi Louis è davvero stanco. Stanotte ha avuto uno dei suoi attacchi. Erano mesi che non gli capitavano, eppure stanotte si è svegliato in preda al panico, troppi pensieri, troppi ricordi. Non respirava, ha bevuto un sorso d’acqua, ha preso una pastiglia; si è un po’ calmato ma ha faticato molto a riprendere sonno. Insomma sa già che oggi sarà molto più sensibile del solito a qualsiasi distrazione o interferenza alle lezioni, e spera che nessuno abbia la brillante idea di disturbarlo proprio oggi.
Otto del mattino, entra in classe, gesto scaramantico col gessetto, appoggia la borsa, rivolge agli studenti un sorriso stanco.
Dopo un’ora di lezione sente un po’ di trambusto nelle ultime file: dei ragazzi stanno cercando di uscire silenziosamente dai banchi ma ci riescono ben poco. Di solito Louis è indulgente, sa che alcuni dei suoi studenti devono prendere i treni per tornare a casa, sa che non tutti riescono a sentire fino in fondo le lezioni, sa anche che di solito nessuno disturba in maniera particolarmente fastidiosa poiché hanno rispetto per lui. Ma oggi è davvero stanco, proprio non ce la fa ad essere paziente.
Si gira, sta per rimproverare il gruppetto, apre la bocca, li guarda, ma non emette suono. Non ci riesce. Si paralizza, l’ha visto. Ha visto ciò che non doveva e non voleva vedere. Non ora, non qui. Non in quello stato. Harry. Harry è lì, nelle ultime file. È bello come lo è sempre stato, non è cambiato per niente. È solo più maturo, più consapevole.
E’ seduto composto in uno dei banchi, ma non ha fogli, quaderni. Non prende appunti. Non l’ha mai visto nelle sue lezioni, non l’ha mai visto in università. Ma allora perché è lì?
Lou cerca di recuperare un po’ di contegno e distoglie lo sguardo da ciò che era la cosa più importante della sua vita fino a tempo prima. O forse lo è ancora.
Riprende la lezione, i ragazzi che sono scappati se li è già dimenticati da un pezzo. Cerca di mettere insieme gli ultimi argomenti, ma per fortuna manca solo mezz’ora ancora. Termina e con più fretta possibile raccoglie le sue cose, vuole scappare, scappare via da quella visione.
Esce dall’aula frettolosamente, attraversa i corridoi dell’ateneo, si rifugia nell’ufficio.
Fa di nuovo fatica a respirare, gli gira la testa, lo stanno sorprendendo troppi ricordi. Quegli occhi, quegli occhi lo hanno sempre reso inerme e incapace di reagire, lo hanno paralizzato per il troppo amore che gli facevano provare, lo hanno gettato nello sconforto durante le liti, lo hanno stregato durante le notti d’amore. E ora di nuovo, di nuovo lo hanno reso inerme, di nuovo lo hanno reso incapace di pensare a cosa fare, di pensare a come reagire a tale apparizione, gli hanno immobilizzato corpo e mente fino a che non è riuscito a liberarsi da quel forte blocco ed è caduto di colpo nello sconforto.
 
Guarda l’orologio ed è passata un’ora in quell’ufficio. E’ riuscito a calmarsi, ma ora ha bisogno di un caffè per tenere la mente sveglia. Il bar dell’università è appena al di fuori del giardino, Lou cammina con calma tra la ghiaia guardandosi i piedi. Il freddo sul viso normalmente gli schiarirebbe le idee, ma oggi le idee restano accavallate e ad esse si aggiungono i pensieri i ricordi le gioie e il dolore.
“Non sei cambiato di molto.” Quella voce, quella voce basta a paralizzare Louis di nuovo. Passano dei secondi, interminabili secondi di silenzio e ricordi, non vuole girarsi, non vuole essere lì, non vuole vederlo. Vuole scappare, correre via, chiudere gli occhi e sparire, ma tutto ciò che riesce a fare è volgere lo sguardo verso l’uomo che ha parlato. Uomo. È davvero diventato un uomo, è cresciuto davvero. Louis lo guarda, non parla, ma i suoi occhi dicono tutto. I suoi occhi sono pieni di domande, sono pieni di rabbia e rimorsi e di rammarico, di nostalgia, di confusione. E infatti a chi ha parlato non serve che Louis proferisca parola; sa già cosa vorrebbe dire.
Ma Lou parla comunque: “Cosa ci fai qui Harry?”
   
 
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