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Autore: Old River Chant    04/05/2015    3 recensioni
La chiamavano Sangue di Drago, a casa, nell'enclave. Lei aveva sempre nascosto i suoi poteri: non li poteva controllare, la spaventavano. Le era capitato di fare del male con quei poteri che non aveva mai voluto, e aveva giurato di non risvegliarli mai più.
Ma durante il Flagello, forse, una promessa come quella non aveva più senso.
[Fanfiction su Origins]
***
[Spero non sia troppo OOC... scusatemi, non sono molto brava con le fanfiction]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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[Capitolo 4]

L’unico suono che le riempiva la mente era il battito forsennato del suo cuore. 
Come un’eco sinistra un grido la assordava. Non ce l’ho fatta. Ho infranto la promessa. 
I suoi occhi erano fissi sulle mani bianche, costellate di cicatrici, fasciate con un drappo sbrindellato per impedire ai pugnali di scivolare. Nessuna traccia dell’oscurità che le aveva appena attraversate, quasi avrebbe potuto dimenticarsi dell’accaduto. Però quel corpo carbonizzato e irriconoscibile era là, muto testimone. 
Una voce ruppe il muro intorno a lei e le arrivò alla mente. Sollevò lo sguardo confusa e vide la bionda nobile dagli occhi bui tenderle una mano. 
«Grazie» le disse. 
Ythil sentì uno strano sentimento farsi strada tra le crepe del muro fino a farlo esplodere in mille pezzi. Strinse la mano di Elissa, sorpresa e meravigliata della sua gratitudine. 
La ragazza si voltò subito e riprese la marcia, seguita da Jory che le scoccò un’occhiata sconcertata e Daveth che non la degnò più di uno sguardo. Ythil, ancora piena di quel caos che le rimbombava dentro, stette qualche secondo a fissare la treccia ondeggiante di Elissa mentre un calore nuovo scioglieva lentamente il senso di colpa. 
«Andiamo?» le chiese piano Alistair, indicando gli altri, rialzandosi dopo aver riempito le fiale che aveva con sé del sangue nero e viscoso dei mostri. «Non dovremmo stare nelle Selve da soli.» 
L’elfa si riscosse e annuì. Riprese a camminare evitando accuratamente quel che restava dell’emissario. Nel frattempo le nuvole plumbee avevano concretizzato la loro minaccia, e sottili e rade gocce di pioggia cominciavano a battere sulla terra, sulle piante e su di loro. 
«Elissa mi ha ringraziato» disse lei. La voce le apparve ridicolmente sottile e smarrita, come quella di una bambina. Non sapeva perché stesse parlando con il ragazzo. Di solito non parlava mai con nessuno, o quasi. 
Ma in quel momento forse le sue barriere usuali erano crollate, e si fidava improvvisamente di Alistair. 
«Mi aspettavo che avrebbe fatto chissà cosa, ma non certo ringraziarmi» aggiunse. 
«Elissa è una sorpresa continua» confermò Alistair. Stava cauto, come se temesse che Ythil si trasformasse da un momento all’altro in un mostro assetato di sangue. 
«Avete paura di me, non è vero?» 
La domanda l'aveva messo a disagio, si vedeva. Scrollò le spalle facendo tintinnare tutte le piastre dell'armatura. 
«Beh, ecco...» balbettò imbarazzato, evitando di guardarla negli occhi. 
«È inutile stare qui a prendersi in giro a vicenda, non trovate?» lo interruppe lei duramente. «Non sareste il primo ad avere paura. Ci sono abituata ormai.» 
Evitò di dirgli quanto lei stessa fosse terrorizzata. 
«Ehm, voglio dire... prima di partire, Duncan mi ha detto una cosa. Ha visto qualcosa in voi e... beh, non può certo essere qualcosa di malvagio» concluse il giovane. Sembrava stesse cercando di rassicurare soprattutto se stesso, piuttosto che lei. 
Ythil rimase in silenzio. La pioggia si era fatta più forte, le chiome degli alberi non riuscivano più a ripararli e l'acqua fastidiosa le stava impregnando i capelli e gli abiti. Si sentiva a disagio, il cuoio della corazza leggera le si incollava alla pelle mentre brividi correvano lungo la sua schiena. 
Però il suono continuo e lieve della pioggia sulle Selve era bellissimo. A Denerim pioveva spesso, in primavera, e quel suono, lì nel cuore della foresta, le ricordava quando sua madre era ancora viva e lei credeva di essere una bambina come tanti altri, e passava i pomeriggi di pioggia raggomitolata sul letto nella sua minuscola camera ad ascoltare la sinfonia delle gocce sul tetto. 
Si sorprese a ringraziare la pioggia che mimetizzava le lacrime sulle sue guance. 
Davanti a loro procedevano Jory e la Cousland. Stavano discorrendo tranquillamente come fossero vecchi amici. Probabilmente si conoscevano almeno di vista già da prima, concluse Ythil. Non aveva idea di come funzionasse la nobiltà, ma da quelle rare storie e voci che giungevano fino all'enclave, aveva intuito dovessero conoscersi un po' tutti almeno di nome. 
Daveth invece era più avanti, arco teso e freccia incoccata, gli occhi furbi che scorrevano rapidamente il fogliame circostante, attenti a cogliere ogni minimo dettaglio. Le era parso così simpatico, all’inizio. Un po’ invadente, forse; lei non era dell’umore adatto a fare conoscenze, ma le aveva fatto una buona impressione. Non avrebbe mai dimenticato l’espressione di terrore misto a disgusto che aveva intravisto sul volto del ragazzo prima che questi si voltasse e cominciasse a camminare ostentando indifferenza nei suoi confronti.
Dovette trattenere il sorriso amaro che stava per affiorare sul suo volto. Avvertiva le occhiate fulminee di Alistair, che inaspettatamente camminava ancora al suo fianco, e non voleva peggiorare ulteriormente la sua situazione.
Si era illusa, dopo anni, di poter controllare quei poteri. Dopotutto, nemmeno nel caos del matrimonio e del rapimento da parte di Vaughan si erano fatti sentire più intensamente della solita morsa al petto che l’aggrediva ogni volta che doveva combattere, quell’istinto che le suggeriva sempre come muoversi per sopravvivere.
E invece no, non li aveva sconfitti, e appena aveva abbassato la guardia, loro erano riemersi più incontrollabili e famelici di sempre.
Aveva giurato in lacrime a suo padre, quella terribile notte in cui i templari erano venuti a prendere Adaia, che non avrebbe mai più usato quei poteri. L’aveva ripetuto come un mantra nella sua mente fino a perdere il senso delle parole, quella notte che aveva passato tremando nascosta sotto il letto sperando che gli enormi guerrieri dall’armatura lucente non la trovassero.
Quei ricordi erano impressi a fuoco nella sua memoria, eppure non era stata abbastanza forte per mantenere quel maledetto giuramento.
Questa volta non riuscì a trattenersi e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
Sentì i passi del ragazzo fermarsi di colpo.
«State bene?»
No che non sto bene, dannazione! Sono un mostro, e non sono abbastanza forte per controllare questa schifosa magia. Dovevano uccidere me, non mia madre.
«Sì» rispose invece, tenendo gli occhi fissi a terra.
«State piangendo...» osservò lui, confuso.
Quella frase la spezzò. Le lacrime finora a stento contenute si riversarono sul suo volto. I singhiozzi le scuotevano la schiena e lei non poteva fermarli, o semplicemente non voleva.
«Avevo giurato che li avrei trattenuti! L’hanno uccisa per colpa mia, e io non riesco a mantenere una dannata promessa!»
Si portò le mani al volto strappandosi le gocce salate di pianto che si mischiavano alla pioggia. Avvertì il peso della mano di Alistair, avvolta dal guanto di armatura, che si posava sulla sua spalla. Probabilmente nemmeno lui sapeva come comportarsi.
Vide il mondo vorticarle intorno come impazzito e il terreno fangoso e morto avvicinarsi sempre di più. Le braccia del giovane guerriero interruppero la sua caduta e Ythil si ritrovò improvvisamente con la guancia appoggiata alla sua fredda corazza. Non riusciva a smettere di piangere per quanto provasse con tutte le sue forze. Che figura stava facendo? Piangeva come una bambina di fronte ai suoi futuri compagni di avventure.
Però le lacrime sembravano incontrollabili, scorrevano sul suo viso già bagnato dalle lacrime del cielo; la sua schiena sussultava squassata dai forti singhiozzi che tentava inutilmente di frenare.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui si era concessa di piangere tra le braccia di qualcuno? Undici anni, si rispose quasi automaticamente. Da quella notte.
Allora aveva suo padre a stringerla e ripeterle che tutto andava bene, ora anche lui era lontano e lei si aggrappava disperatamente a un perfetto sconosciuto. Era come se quegli anni in cui aveva represso le lacrime a forza le fossero tornati improvvisamente davanti agli occhi e non poteva fare altro che lasciarli scorrere via.







 
Note della persona orribile.
Mi dispiaceeee!! T__T
Non voglio sapere quanto tempo è passato dallo scorso aggiornamento...
Questo capitolo è stato un incubo. Non riuscivo a scrivere qualcosa di decente,
continuavo a iniziare, arrivare a metà pagina, accorgermi che faceva schifo e cancellare tutto.
Non ho mai scritto ff prima e ho il terrore di andare OOC :(
Mi dispiace tantissimo... non so se è decente il capitolo, ma sapevo che
se avessi aspettato ancora a pubblicarlo avrei cancellato tutto di nuovo.
Spero che non vi faccia così tanto schifo ^^
Alla prossima!!

- River
   
 
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