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Autore: choppy_choppy    05/05/2015    5 recensioni
« Vorresti dirmi che stasera non ci sarà nessuno di guardia? »
« Hai capito bene, Ginta. Nessuno. »
« Ma non c’è rischio che qualcuno scappi? »
« Ma chi vuoi che scappi da qui. »
[…]
Si sedette a terra, guardando con attenzione quella stoffa che le avvolgeva stretto il corpo. Non voleva chiamarla con il giusto nome, perché sarebbe stato come ammettere che fosse realmente pazza e, lei non lo era di certo.
[…]
« Non serve strappare le pagine della vita, basta saper voltar pagina e ricominciare. »
____BuOna LeTTura_____
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Koga, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ehm Ehm ^^’ Salve a tutti!
Forse alcune di voi mi conoscono , altre invece no. Che dire, dopo il mio lungo periodo di assenza, ho deciso di pubblicare una nuova storia, cercando di portarla a termine questa volta (xD)
Mi dispiace per tutte quelle persone che seguivano le mie storie, ma ho un avuto dei problemi familiari e, la voglia di scrivere mi era completamente passata, non ne avevo più voglia.
Ma molto probabilmente dopo averle revisionate e corrette le porterò avanti :)
Comunque, ho ricominciato a scrivere perché mi piace, quindi, spero che la lettura sia di vostro gradimento. :D
A presto! <3



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AVVISO: La storia tratta di tematiche delicate, quali la violenza, lo stupro e quant’altro. Non credo di essere così esplicita nel parlare di queste cose, ma avviso comunque :D Grazie per l’attenzione!








 

“Io dico che queste mura sono strane: prima le odi,
poi ci fai l'abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più
a farne a meno: sei istituzionalizzato.
È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono.
La parte che conta almeno.”

°°Morgan Freeman°°

 
Prologo – Survive.


Il rumore della  porta sbattuta di una cella le fece aprire di scatto gli occhi, mettendo tutti i suoi sensi in allerta.
Cercò di mettere a fuoco la superficie rovinata sulla quale era distesa, socchiudendo leggermente gli occhi.
Scosse leggermente la testa, mettendosi a sedere, nonostante avesse le braccia completamente immobilizzate da uno strato di stoffa spesso.
Sì schiarì la voce, riuscendo finalmente a riprendere possesso della sua vista.
Si guardò intorno per pochi secondi, poi abbassò lo sguardo: era ancora tutto dannatamente uguale.
La stanza, quasi buia, era leggermente illuminata dalla fioca luce della lampadina che si trovava poco sopra la sua testa. Le quattro pareti grigie, che le fungevano da casa, si erano rovinate nel tempo, ma avevano mantenuto quel colore così anonimo e familiare. La porta, larga e imponente, era sigillata, ad eccezione di una piccola fessura, attraverso cui le guardie potevano controllare l’interno.
Poco lontano da lei, un materasso biancastro, sgualcito e rattoppato più e più volte, spiccava tra quelle quattro mura grigiastre.
Strusciò un piede per terra, guardando dritto verso la porta: era chiusa.
Sbuffò sonoramente, pronta a riappisolarsi di nuovo.
Il giorno prima non era stato per niente facile: aveva avuto più di una visita, cosa che, per sua fortuna, accadeva raramente.
Era così stanca, frustrata.
La sua vita volgeva in una monotonia tale che, se non l’avessero presto uccisa fisicamente, sarebbe morta dentro. In effetti, desiderava solo quello: morire.
Magari la morte avrebbe avuto un più dolce sapore, in confronto a quello schifo di vita.
Un tonfo la ridestò dai suoi pensieri. Chiuse gli occhi, cercando di capire cosa stava succedendo fuori: sentiva un via vai di gente camminare per i corridoi, porte che si aprivano e chiudevano e delle voci.
Li riaprì, lentamente. Provò ad alzarsi in piedi, cercando di trovare una sorta di equilibrio ma che senza l’uso delle mani le risultò dannatamente difficile. Dopo non poca fatica e vari tentativi per non traballare e cadere ancora, riuscì ad acquistare una posizione abbastanza eretta.
Avanzò zoppicando verso la porta, sentendo la catena avvolta intorno al piede, tintinnare ad ogni  movimento.
Poggiò l’orecchio destro contro la porta, rabbrividendone subito dopo per il contatto gelido.
« Vorresti dirmi che stasera non ci sarà nessuno di guardia? »
« Hai capito bene, Ginta. Nessuno. » sentì biascicare.
« E perché? »
« Oggi è il compleanno del capo, ha invitato tutti quanti. »
« Ma non c’è rischio che qualcuno scappi? » domandò un’altra voce.
« Ma chi vuoi che scappi da qui. »  li sentì scoppiare a ridere, mentre si allontanavano.
 
Un pallido sorriso le si disegnò sulle labbra, mentre cercava di assimilare bene ciò che aveva appena sentito.
Non c’era nessuno di guardia.
Si sedette a terra, guardando con attenzione  quella stoffa che le avvolgeva stretto il corpo. Non voleva chiamarla con il giusto nome, perché sarebbe stato come ammettere che fosse realmente pazza e, lei non lo era di certo.
Il suo sguardo si posò poi sulle gambe nude, coperte da lividi e graffi d’ogni genere. Ma l’ematoma nero, all’interno coscia, spiccava maggiormente rispetto agl’altri.
Girò il viso stizzita, ricordando come se l’era procurato, ma soprattutto chi gliel’avesse  inferto. 
Un vago senso di terrore le fece stringere gli occhi: Sì, doveva senz’altro sbrigarsi.
 Mosse leggermente le spalle e, facendo leva con le braccia, cercò di strattonare quella cosa, ma con scarsi risultati. Tirò ancora più forte, mordendosi violentemente un labbro e sentendo la stoffa cedere leggermente sotto la sua pressione.
Ma non era abbastanza.
Il sapore metallico del sangue le si espanse in bocca, e come se fosse stata una bevanda rinfrescante, lo mandò giù, facendo appena una smorfia quando lo sentì bruciare in gola.
Si sdraiò per terra, strisciando e, ignorando il dolore  in tutto il corpo, cercò di levigare quel tessuto che per anni aveva tenuto come seconda pelle.
Lo sforzo le fece dolere la testa, che iniziò a martellarle dolorosamente.
Strinse i denti: non aveva alcuna intenzione di arrendersi, non ora che aveva la possibilità di scappare, di andare via da quell’inferno dove le punizioni e le torture erano all’ordine del giorno.
Inghiottì pesantemente, mentre sentiva il sudore scivolare via dalla fronte, come fossero state lacrime.
Percepì le maniche strapparsi appena e, proprio mentre sentiva di potercela fare, una risata sadica riecheggiò al di fuori della stanza, immobilizzandola per la paura.
Conosceva benissimo quella voce, ma in cuor suo sperava di sbagliare, pensando che magari l’udito le stesse facendo solo un bruttissimo e schifosissimo scherzo.
Attese in silenzio, finché il rumore di passi si fece sempre più vicino.
Per un momento il cuore le galoppò in gola, mentre pregava di essersi sbagliata davvero e che in realtà la persona che stava giungendo lì, non fosse Lui.
Strinse gli occhi quando il suono della combinazione della sua stanza le rimbombò nella testa: quattro, nove, due, cinque, sette, tre. Era come una cantilena che si ripeteva abitualmente ogni giorno e alla quale lei sapeva di non potersi sottrarre.
La serratura scattò e il cuore perse qualche battito, mentre rivoli di sudore le scendevano giù dalla tempie.
« Higurashi. » Il tono impetuoso e la voce roca, mandò tutte le sue speranze in fumo.
Serrò gli occhi in una stretta alquanto dolorosa, ma non aveva alcuna intenzione di riaprirli e di incontrare ancora, quelle due fessure scure appartenenti all’uomo che le aveva portato via tutto.
Tese le orecchie, avvertendo il respiro di lui farsi sempre più vicino e s’irrigidì non appena sentì una sua mano scivolarle su tutta la lunghezza della gamba; un brivido di puro disgusto la colse.
Quelle mani.. troppe volte se le era ritrovate addosso senza che potesse fare niente per reagire. Troppe volte avevano preso possesso delle sue parti più intime. Troppe volte avevano violato il suo corpo, ferendola fisicamente e nell’animo. Davvero troppe volte.
Sarebbe mai arrivato il momento in cui avrebbe potuto dire ‘basta’?
« Hei Higurashi.. lo so che sei sveglia.. » biascicò, mentre l'acro puzzo di alcool le arrivò dritto e forte alle narici. Una smorfia le deturpò il volto, cosa che non sfuggì affatto all'uomo che sorrise mestamente.
D'un tratto, si sentì sollevare per i capelli e sbattere violentemente contro una parete. L’impatto le mozzò il respiro, interrompendo il grido che stava per nascere spontaneo dalla sua bocca.
Il dolore prevalse sulla paura, tant’è che fece violenza su se stessa pur di non reagire e di dargliela vinta ancora una volta.
Sapeva benissimo, che lui aspettava una sua minima reazione per potersi divertire ancora di più.
Scosse la testa: non era il momento di pensare al proprio orgoglio.
Dopo lo stordimento iniziale, cercò di riprendere lucidità ma un pugno in pieno  stomaco la colpì e non poté evitare di emettere un verso soffocato.
La vista le si offuscò e, malgrado avesse solo una voglia matta di piangere e dar sfogo alla propria frustrazione, si impose di rimanere – per quanto possibile – impassibile.
Gli occhi di lui brillarono a quello spettacolo che avrebbe definito addirittura divertente, se solo quella sgualdrina avesse collaborato un po’.
Amava terribilmente maltrattare quella ragazza.
La sua espressione spaventata lo metteva di buon umore e le sue urla di dolore erano un dolce richiamo al quale non sapeva dire di no.
Sì, era senz’altro la sua preda preferita.
La vide tossire convulsamente, così la prese per le braccia, avvicinando il proprio viso al suo per sussurrarle roco all’orecchio: « Piangi per me.. » le disse, sorridendo maligno.
Lei alzò lo sguardo, puntando le sue iridi nocciola in quelle pece del suo aguzzino. Quegl’occhi la spaventavano, erano così scuri, così cupi.. sembravano davvero privi di vita. Lui la scosse, facendole salire un conato di vomito. Quando si fermò, sembrava soddisfatto dell’effetto ottenuto.
Lei boccheggiò, sentendosi leggermente stordita.
Aveva cercato di mantenere la calma, ma con lui era difficile non reagire.
Gli sorrise mesta, cercando di non sviare lo sguardo e poi, senza esitazione alcuna, gli sputò in faccia.
Lui non si scompose, ma la continuò a fissare. E sebbene avesse un’espressione piuttosto calma, lei sapeva benissimo che dentro di sé stava ribollendo dalla rabbia.
« No, no. Non ci siamo per niente ragazza 705. Voglio sentirti urlare, supplicarmi di lasciarti stare. Voglio vederti piangere invocando il mio nome! » Urlò le ultime parole con rabbia, buttandola senza troppe cerimonie sul materasso bucato. Lei non si mosse e richiuse gli occhi, arrendevole.
"Finirà anche questa volta,  vedrai." si disse. “Poi non lo vedrai più.
A quel pensiero un timido sorriso le si dipinse sulle labbra: questa sarebbe stata davvero l’ultima volta, poi sarebbe sparita, lasciando dietro di sé solo polvere e brutti ricordi.
Tuttavia il sorriso le si smorzò, quando l'uomo si portò sopra di lei, sovrastandola con il suo corpo robusto. S’irrigidì quando, da sotto la maglia, fece apparire un pugnale che le puntò alla gola.
Si mosse nervosa e la lama finì per tagliare parte della manica.
« Dì il mio nome, avanti! » la incitò, mentre faceva salire con una mano la stoffa fino all'addome.
Sentì il tessuto arrivare quasi al capolinea: si strava strappando.
Nonostante fosse stata minacciata, non disse niente. Non voleva assolutamente dargli soddisfazione; invece pensava a come far affondare nuovamente la lama in quella maledetta stoffa che le stava dando davvero del filo da torcere.
Un ceffone in pieno viso la colse impreparata, facendola gemere dal dolore e, nonostante si era prefissata di non parlare, dovette cedere.
« Na.. Naraku.. » sussurrò.
Lui sorrise vittorioso, mentre poggiava poco lontano da sé, il pugnale. Si diede mentalmente della stupida per non aver approfittato dell’occasione.
Ma ogni pensiero le si azzerò quando la mano di quel verme andò a sfiorare la sua femminilità.
Subito cercò di dimenarsi, ma sapeva che ogni sforzo con lui era completamente inutile dato che, la sua forza, era nettamente superiore.
« Dillo ancora! » la esortò al limite della sopportazione, mentre si abbassava quanto bastava, i pantaloni.
Doveva ammettere che quella ragazzina, nonostante fosse ancora nei tratti, un po’ infantile, lo eccitava da morire. Qualsiasi cosa facesse.
Quel carattere indomato, quell’orgoglio negl’occhi, quel desiderio di vendetta.. semplicemente lei.
Era un insieme di perfezione.
« Na.. » delle lacrime le punsero gli occhi,  ma lei le ricacciò prontamente indietro.  Non era proprio il momento per darsi alla tristezza.
« Avanti! » urlò ancora, mentre, ormai stanco di aspettare, la penetrava con un'unica, violenta spinta.
Gridò il suo nome, ma un dolore al basso ventre le smorzò il fiato in gola, lasciandola senza respiro.
Annaspò in cerca di aria mentre le spinte sempre più forti le fecero annebbiare la vista.
E mai come in quel momento, rimpianse il fatto di non potere utilizzare le braccia per spingerlo via, lontano da sé.
Dopo vari minuti che a lei parvero ore, la lasciò stare, sistemandosi e riprendendosi il pugnale, per poi andare via, lasciandola lì, inerme sul materasso.
Una sola lacrima le rigò il viso e, si promise che quella sarebbe dovuta essere l'ultima.
Un capogiro la disorientò, nonostante fosse stesa e immobile. Gli occhi le si chiusero da soli, così, stanca e spossata, si lasciò andare ad un leggero sonno, ma sempre pieno di incubi.
 
 
 
 
Quando si svegliò, non sapeva quanto tempo fosse passato ma, l'insolito silenzio che si percepiva fuori, le fece capire di essere ancora in tempo per la fuga. O almeno lo sperava.
Aprì gli occhi lentamente, cercando piano di mettere a fuoco la stanza, e si stupì non poco quando si rese conto di non essere più nel luogo in cui si era addormentata. Un vago senso di terrore la colse.
“Se fosse stato Naraku?” pensò, per poi scuotere leggermente il capo. Non poteva essere stato lui, infondo le guardie avevano detto che la sera si sarebbe tenuta una festa e, sicuramente, lui vi avrebbe partecipato.
La sua presenza era importante, in quanto vice direttore di quel patibolo.
Sospirò. Di certo doveva trattarsi di qualcuno che ricopriva una carica importante, se era  riuscito a passare, senza che nessuno lo notasse. Oppure, erano davvero tutti così presi a festeggiare che non ci avevano nemmeno dato peso.. chissà.
Portò una mano a coprirsi il viso ma, quel movimento le fece sbarrare gli occhi, tant’è che  di scatto, la riportò alla postazione iniziale. Possibile che..
Inghiottì pesantemente, facendo scorrere lo sguardo sul proprio corpo: un’espressione meravigliata si fece largo sul suo viso.
Quella camicia, che per anni e anni le aveva fatto da seconda pelle, era stata rimossa e, al suo posto, vi erano dei larghi pantaloni neri e una grossa giacca a maniche lunghe, del medesimo colore. I piedi erano stati lasciati nudi e, la catena che vi era avvolta intorno, era completamente sparita.
L’attenzione poi, le ricadde sulle braccia: erano completamente libere. Niente maglie che le immobilizzavano, niente che le potesse ostacolare. Le alzò verso l’alto, guardandole attentamente: erano così leggere.
Un sorriso sincero s’impossessò delle sue labbra: chiunque fosse stato, era stato davvero gentile; ma soprattutto si era preso la briga di far sparire quella cosa dalla sua vista.
Puntò i gomiti sulla superficie morbida sulla quale era sdraiata, mettendosi seduta con non poca fatica.
La schiena le doleva terribilmente: l’impatto col muro era stato più pesante di quanto credesse. Anche il dolore alle gambe si faceva sentire, ma non aveva tempo da perdere, perchè prima o poi i festeggiativi sarebbero finiti e lei, doveva senz’altro agire in fretta.
« Vedo che ti sei svegliata. » una voce la fece trasalire, così si girò di scatto.
Le sue iridi nocciola incontrarono quelle color cielo di un uomo. Era alto poco più sopra alla norma e le spalle, ben piazzate, mettevano in risalto il petto muscoloso e l’addome scolpito sebbene fosse coperto da una giacca simile a quella che indossava lei al momento. I lineamenti, ben pronunciati, davano quel fascino da uomo maturo.
I capelli, neri come la pece, erano stati raccolti in un’alta coda di cavallo e spiccavano in contrasto al suo viso diafano, impreziosito da due gemme azzurre.
La bocca piegata in un timido sorriso, metteva in risalto un accenno di barba.
Un sospiro di sollievo le uscì dalle labbra rosse: era stato il suo migliore amico.
Doveva aspettarselo che fosse stato lui, poiché  più volte le era stato vicino e le aveva promesso che, prima o poi, l’avrebbe fatta fuggire.
« Koga.. » disse, sorridendogli appena.
Lui le si avvicinò, poggiando la  mano sulla fronte della ragazza. « Stavolta c’è andato giù pesante. Ma credo che adesso ti sia ripresa abbastanza – disse – devi andartene, sbrigati. » continuò, alzandosi e prendendo una borsa.
Lei lo guardò, inarcando un sopracciglio, confusa. Non sarebbe venuto con lei?
« E tu? » chiese, dando voce ai suoi pensieri. Lui la guardò appena, per poi riempire la sacca con qualche tozzo di pane e una boccetta contente dell’acqua, supponeva.
La ragazza si alzò lentamente, e sebbene le tremassero le gambe andò verso Koga, mettendogli una mano sulla spalla « non verrai.. vero? » chiese.
Lui si girò a fissarla. Aveva uno sguardo triste, cupo. Le si strinse il cuore a vederlo in quello stato.
« Non posso, piccola. Devo rimanere qui per.. lei. » sussurrò.
Annuì, triste. Sua figlia si trovava lì, tra quelle quattro mura e non poteva lasciarla da sola. Non l’aveva mai vista, ma sapeva che era davvero bella. Ed era un peccato che Koga non sapesse dove si trovasse, altrimenti era sicura che l’avrebbe già fatta uscire di lì.
Gli accarezzò una guancia, sentendo la barba pungere sul suo palmo liscio «Ti voglio bene. » gli disse.
Lui sorrise «Anche io, piccola. – disse - Ora ti prego.. và. » la incitò.
Lei prese la borsa, lanciando solo una piccola occhiata al suo contenuto « il tratto è sempre lo stesso? » chiese, muovendo qualche passo verso la porta.
Koga annuì « Sempre lo stesso. Vai sempre dritta, se non incontri nessuno, nel giro di poco tempo sarai fuori. »
La ragazza lo abbracciò, stringendolo forte. Lui le posò un bacio tra i capelli, con fare paterno, per poi sorridergli dolce « Buona fortuna. » 
 
 
 
 
Superare la prima porta era stato abbastanza facile: non c’era praticamente nessuno, l’unica guardia che era rimasta lì, a controllare, si era completamente addormentata, al punto da non aver notato nulla.
Ma era più di un ora che svoltava corridoi, eppure non riusciva a trovare il portone che le aveva indicato Koga.
Più proseguiva, più la luce andava ad affievolirsi e sapeva che ben presto, si sarebbe ritrovata a girovagare per quell’enorme struttura, quasi completamente al buio.
Le vie si susseguivano una dopo l’altra, ma dell’uscita nemmeno l’ombra.
Era stanca, forse troppo.
Avrebbe voluto fermarsi e riposare, ma non era affatto tranquilla: quel silenzio era piuttosto inquietante.
Un vago senso di paura la colse. E se non fosse riuscita più ad uscire? E se l’avessero beccata? Se tutti i suoi sforzi fossero stati inutili? Naraku gliel’avrebbe sicuramente fatta pagare cara..
Respirò piano, cercando di calmarsi: avere paura era l’ultimo dei suoi problemi al momento.
Scosse piano la testa, cercando di focalizzare qualcosa in quel buio opprimente, ma con scarsi risultati.
Accelerò il passo, fino a correre e, nonostante il dolore alla gambe si facesse sentire, riuscì a tenere un ritmo costante. Ben presto però, la stanchezza prese il sopravvento e così dovette rallentare e riprendere fiato.
 
 
 
Il tempo passava e a lei sembrava che fosse quasi una vita che camminava senza sosta.
Poi, mentre proseguiva, un pensiero si fece largo nella sua mente: una volta uscita,cosa ne sarebbe stato di lei? Dove sarebbe potuta andare?
Aveva vissuto i suoi ultimi quindici anni lì dentro, senza mai uscire, tant’è che non ricordava nemmeno di che colore fosse il sole.
Cosa avrebbe fatto?
Sperava di avere almeno la possibilità di scoprirlo.
 
 
 
 
Svoltò per l’ennesima volta in un corridoio più stretto rispetto agli altri e.. dovette mordersi a forza il labbro inferiore, per non gridare dalla felicità quando vide l’uscita. Finalmente aveva trovato il portone che diceva Koga!
Si appiattì contro la parete liscia, sbirciando nell’oscurità. Sembrava non ci fosse nessuno, ma non ne era del tutto sicura.. possibile che l’uscita fosse così scoperta?
Strusciò piano contro il muro, cercando di essere il più silenziosa possibile e tendendo le orecchie per ascoltare ogni sorta di rumore. Niente.
Si mosse più velocemente, trovandosi con poche falcate dinnanzi l’uscita.
Sospirò: finalmente sarebbe stata libera.
Spinse la porta verso di sé, aprendola con non poca fatica. Il cigolio rimbombò per i corridoi, ma non se ne curò affatto.
Ormai era fuori.
Mosse un passo in avanti, pronta per addentrarsi in quel posto sconosciuto, ma che aveva il sapore della libertà. 
Le ali che le erano state imprigionate, ora avevano il diritto di spiccare un nuovo volo, e questa volta, nessuno glielo avrebbe impedito.
Mosse un passo fuori, ma il cuore perse un battito quando vide il suo incubo aspettarla, sorridendole sadico: « Vai da qualche parte, Higurashi? »
 
 


*Angolino Autrice*
Che dire? Se siete arrivati fin qui, per me è già un traguardo, quindi grazie mille!
So che come prologo è.. aspro e, sicuramente sarete un po’ “confusei”, ma state tranquillei nel corso dei capitoli si spiegherà tutto per bene!
Bene, non ho molto da dire, visto che è stato introdotto solo il personaggio di Kagome e, un accenno al luogo in cui si trova, ma se avete dubbi, curiosità, o quant’altro, sarò ben lieta di soddisfarvi con delle spiegazioni!
Detto questo, ringrazio ancora una volta le persone che sono arrivate a leggere fin qui :)
Spero il capitolo sia stato di vostro gradimento, e spero che mi facciate sapere – se volete ovviamente- il vostro parere :)
Alla settimana prossima (spero xD) <3
Baci <3
 
P.s Vorrei ringraziare Lullaby99 per avermi consigliato e spinto a pubblicare ancora.. grazie! <3
 
  
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