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Autore: IrethTulcakelume    05/05/2015    2 recensioni
E' vero, anche i principi piangono di fronte al mare. Ma se c'è qualcosa di più vero ancora, è che perfino il mare ha imparato a piangere di fronte a loro.
Un amore che varca i confini tra giusto e sbagliato. Due nemici, finora troppo ciechi per vedere quanto questo confine sia labile. Ma la verità fa male.
La verità uccide.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Ettore, Patroclo
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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PICCOLA PREMESSA: Dunque, inizio scusandomi per il ritardo con cui è arrivato questo capitolo, ma mi farò perdonare: questo è più lungo degli altri. Qui le acque cominciano a scaldarsi... vi avviso, è un capitolo un po' incasinato. Ci sono due cambi di punti di vista (ergo tre punti di vista in tutto), sta a voi capire chi sono. L'ultimo è un personaggio che abbiamo già incontrato, ma di cui non ho mai sfruttato il punto di vista... credo che lo riconoscerete subito. Come al solito, dedico il capitolo alla mia beta vitadiunalettrice e vi lascio al capitolo... ci vediamo alla fine per le ultime cose.


 
Capitolo V

 


Se n’era andato. Se n’era andato lasciandomi sulla spiaggia, da solo con le mie paure, i miei dubbi, la mia confusione, ma se credeva che l’avrei lasciato fuggire così, si sbagliava. Volevo - pretendevo - delle risposte, e non gli avrei permesso di scappare ancora, come aveva fatto quella mattina, tornando in città non appena aveva capito chi ero. Mi alzai rapidamente e iniziai a rincorrerlo come se ne andasse della mia stessa vita, e forse era davvero così.
Guadagnavo terreno ogni secondo, ormai l’avevo quasi raggiunto. - Ettore! Fermati, Ettore! – urlai. Anche se ci avessero sentiti, non me ne sarebbe importato. L’unica cosa che contava, in quel momento, era capire. Sentendo la mia voce, Ettore rallentò e, dopo pochi istanti, si fermò. Io rimasi alle sue spalle, come in attesa che fosse lui a fare qualcosa, a voltarsi, a parlare. Avevamo entrambi il fiatone per la corsa, riuscivo a percepire il movimento irregolare del suo petto mentre cercava di riprendere a respirare normalmente. Restammo in quella posizione per un tempo che mi sembrò infinito, poi Ettore si girò verso di me, e le vidi. Calde lacrime solcavano il suo viso, ma lui sembrava non curarsene, come fossero di poco conto.
Mi avvicinai a lui, lanciandogli uno sguardo interrogativo. Faceva male guardare i suoi occhi, così pieni di disperazione, di un dolore così grande da non poter essere descritto a parole. – Perché piangi? – gli chiesi. Non sapevo perché, ma quando avevo visto il suo viso attraversato dalle lacrime, avevo sentito qualcosa dentro di me spezzarsi.
- P-perché… io, io non posso… non devo… - La voce gli uscì rotta, mentre le lacrime cominciavano a sgorgare più copiose di prima. Stava tremando, ma si impose comunque di calmarsi e di parlare. Quante volte hai dovuto nascondere i tuoi tormenti? – Ti… ti devo delle risposte. Oggi… stamattina… ti ho lasciato andare perché… anche se dovrei odiarti, dovrei essere il tuo acerrimo nemico… io… io non ci riesco, io non voglio che tu muoia. In fondo… quanto siamo diversi io e te? Anche tu ci hai pensato, lo so… e… io non riuscirei mai a ucciderti… non più.
Mentre parlava, la voce un po’ incerta che però riacquistava rapidamente il suo vigore mano, continuò a guardarmi. Più volte fui tentato di distogliere lo sguardo da quegli occhi, così pieni di dolore, di vergogna per ciò che stava dicendo, ma mi convinsi a non farlo. Non sarei stato così codardo da fuggire ancora da quei sentimenti che si dibattevano dentro di me per uscire dalla prigione in cui avevo tentato di relegarli, gli stessi sentimenti di Ettore. Quella sensazione di proibito, di sbagliato, continuava a gravare sui nostri cuori come un pesante mantello, come un cappio stretto intorno alle nostre gole, ma a me non importava.
Fu forse quando mi disse quelle parole, o quando continuammo ad avvicinarci quasi inconsciamente fino a sfiorarci, che compresi cosa avevo cercato di reprimere, non conoscendone la natura. Quella sensazione che provavo mano a mano che la distanza tra i nostri visi diminuiva inesorabilmente, o poco prima, sulla spiaggia, quando avevo afferrato il suo braccio e il solo contatto con la sua pelle mi aveva fatto accelerare il battito cardiaco. Era come la scorsa notte: caldo e freddo allo stesso tempo. Un connubio micidiale nelle nostre mani abituate a distruggere più che a costruire, a obbedire alla furia omicida di un duello più che alla calma dettata da un sentimento più profondo, più nobile dell’onore conquistato sul campo di battaglia al prezzo di litri e litri di sangue.
Mani che ora si stavano intrecciando, mani assassine che volevano provare ad amare. Fu un attimo, un secondo di troppo in cui scorgemmo negli occhi dell’altro gli stessi sentimenti, così sbagliati ma allo stesso tempo così forti da non poter essere altro che giusti: le nostre labbra si cercarono come due gemelle che finalmente si incontrano dopo anni di separazione, le mie dita corsero tra i suoi capelli, li accarezzarono, li strattonarono per portarlo ancora più vicino.
Ci staccammo a malincuore, entrambi con il respiro affannato. Ettore mi accarezzò la guancia. – Ci vedranno, siamo in mezzo alla pianura, chiunque potrebbe arrivare…
- Non mi importa. – Mi rigettai sulle sue labbra come se dovesse essere l’ultima volta, ed Ettore non oppose resistenza, nonostante l’insicurezza mostrata poco prima, ma anzi rispose con ardore, passandomi le braccia attorno alla vita. E tra quelle braccia forti, premuto contro il suo petto, mi sentii finalmente a casa, al sicuro. Erano mesi, anni, che non sentivo quella meravigliosa sensazione di calore e di felicità, e a quel pensiero sorrisi sulle sue labbra, staccandomi nuovamente e guardandolo in viso. Nei suoi occhi vidi le stesse sensazioni che stavo provando in quei secondi, che a me sembrarono eterni e allo stesso tempo fin troppo brevi, e seppi che quella notte non c’era giusto, non c’era sbagliato: c’erano soltanto Ettore e Achille. Un Troiano e un Acheo. Due nemici, era vero, ma anche due amanti; avevamo compreso ciò che si agitava dentro di noi, in quella lunga notte, sotto una luna circondata di stelle. Sembravano quasi volerci indicare la via, pensai.

 
***

Guardai Achille come se non ci fosse nulla di più importante al mondo, e gli sorrisi. In quel momento, sentii che non mi importava se qualcuno ci avesse visti. Che guardassero pure, e se avessero anche solo provato a impedirci di amarci, li avrei uccisi tutti. Achei o Troiani che fossero. Ma quei pensieri non tardarono a essere sostituiti da altri: non appena distolsi per qualche secondo lo sguardo dal viso di Achille, vidi in lontananza una figura immobile, come pietrificata. La riconobbi subito: era un guerriero Acheo che molto spesso avevo visto combattere a fianco di Achille. Si battevano schiena contro schiena, in perfetta sincronia, si proteggevano l’un l’altro in ogni battaglia. In quegli anni ero anche giunto a supporre che esistesse un legame ben più profondo dell’amicizia tra i due, un qualcosa che superava addirittura la filìa. Il mio cuore perse un battito: il solo pensiero di Achille insieme a qualcun altro mi fece rabbrividire, e sentii uno strano sentimento salirmi dal profondo del cuore: sì, era gelosia. In quel momento, però, mi sfuggiva il suo nome. Subito tornai a rivolgere la mia attenzione ad Achille, che mi stava lanciando uno sguardo interrogativo, come a domandarmi cosa ci fosse che non andava. Io non gli risposi, anzi lo baciai nuovamente e lui rispose con passione. Certo, l’avevo fatto perché per me, ormai, quelle labbra erano diventate indispensabili alla sopravvivenza al pari dell’aria, ma anche per un altro motivo: non volevo che si voltasse, non volevo che anche lui scorgesse quell’uomo poco lontano da noi. Temevo che, se l’avesse fatto, sarebbe corso da lui, lasciandomi solo.
Di nuovo.
Mi sentivo un po’ meschino, ma mentre le nostre labbra cozzavano tra di loro, un pensiero si fece largo prepotentemente nella mia testa. Forza, guardaci. Soffri vedendomi con lui, vero? Bene. Non mi interessa di te, non mi interessa se cercherai di portarmelo via. Lui è mio.
Mio.
Mio.
Questa parola rimbombò nella mia mente a lungo, in modo quasi ossessivo, come un’eco che fa fatica a placarsi. Poi un’idea, forse un po’ malsana, folle, mi balenò nella testa.
Interruppi il contatto tra le nostre bocche e gli sussurrai: - Devo andare, o si accorgeranno della mia assenza. Sono l’unico vero comandante che hanno, – ridacchiai – mi tengono quasi sotto sorveglianza.
Lui mi guardò facendo una smorfia di disappunto; sorrisi a quella vista. Possibile che in quel poco tempo il mio cuore si fosse già così tanto indebolito? Possibile che, in due soli giorni, Achille avesse infranto quasi senza sforzo i muri che avevo eretto in tutti quegli anni di bugie? La risposta era scritta a chiare lettere sul mio volto disteso.
- Mm… hai ragione.
Prima di voltarmi, gli lasciai un ultimo bacio a fior di labbra.
Sei un bugiardo.
Direi questa e mille altre bugie ancora, se dovessero servire a tenerlo con me.

 
***
E Seléne tòv erastòn filè estin, kai mónoi eròntes polemìa. (*)
 
No. Non ci credo, non è possibile. Queste frasi rimbalzarono nella mia mente. Cercavo di convincermi che quello che stavo vedendo fosse solo un’illusione, un’immagine prodotta dalla mia fantasia.
Quella notte avevo intenzione di seguire Achille, per capire cosa lo turbasse. Erano giorni che era come… distante da me: sembrava che un muro ci separasse, soprattutto dopo la notte precedente. Quando la mattina non l’avevo visto al mio fianco avevo fatto finta di niente, avevo tentato di persuadermi che fosse normale.
Anche se non era mai successo che Achille non restasse con me tutta la notte.
Avevo provato a fare finta di niente anche quando, cercandolo tutto il giorno per il campo Acheo, non ero riuscito a trovarlo. Ma quella sera, quando l’avevo visto incamminarsi verso la spiaggia, non avevo resistito all’impulso di seguirlo. Non capivo perché non mi avesse detto nulla, né quella notte né quella prima: non vi erano mai stati segreti tra di noi. E forse per il timore di ciò che mi stava nascondendo, lo seguii di nascosto, senza farmi vedere. Quando lo vidi sedersi in riva al mare, mi venne la tentazione di andare da lui e di chiedergli cosa ci fosse che non andava. Poi, un attimo prima che potessi avvicinarmi, vidi una figura sedersi accanto a lui. Non riuscivo a capire chi fosse: era buio, e la luce fioca della luna piena non era bastata a rivelarmi l’identità del suo interlocutore. Avevo atteso che se ne andasse, per poi chiedere spiegazioni ad Achille, ma l’uomo di fianco a lui a un certo punto si mise a correre, venendo prontamente inseguito. Io andai dietro di loro, sempre più confuso, poi lo sentii.
Quel nome.
- Ettore!
Non ricordavo cosa avesse urlato dopo: era bastata quell’unica parola per farmi perdere l’uso della razionalità. Non seppi grazie a quale miracolo riuscii a continuare a correre: forse la mia curiosità, in quel momento, superava anche la paura di ciò che avrei potuto scoprire se fossi andato avanti.
Li vidi avvicinarsi sempre di più, finché i loro visi si toccarono. Mi irrigidii di colpo. Non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo. Eppure, mano a mano che i secondi passavano, i miei dubbi si dissipavano, perdevano consistenza di fronte a ciò che si trovava davanti ai miei occhi, a pochi passi. Senza neanche rendermene conto, delle lacrime cominciarono a scendere sul mio volto. Mi sentivo impotente, usato… tradito. Ed ecco, dopo la disperazione, giungere la rabbia e il risentimento.
Ma chi vuoi prendere in giro? Non riuscirai mai a odiarlo, e lo sai.
Sì, lo sapevo. Amavo troppo e da troppo tempo Achille perché qualcosa potesse scacciare dalla mia mente quel sentimento così profondo, neanche un tradimento così palese.
Dopo alcuni minuti, li vidi allontanarsi l’uno dall’altro: Achille si diresse verso l’accampamento, mentre Ettore sembrava voler tornare in città, ma dopo essersi accertato che Achille fosse abbastanza lontano, cambiò direzione.
Sembrava che volesse seguirlo, ma poi deviò; solo in un secondo momento capii dove stava andando. Stava venendo verso di me. Non sapevo nemmeno cosa provare di fronte a lui: l’avevo appena visto baciarsi con Achille, con il mio Achille. Ormai, anche la rabbia era scomparsa, sostituita da un profondo disgusto verso me stesso: ero talmente schiavo dei sentimenti che provavo, che non ero neanche capace di gestirli.
Quando giunse di fronte a me, ci guardammo per un lungo istante, che mi sembrò infinito. Fu lui il primo a parlare – io non ci sarei mai riuscito, schiacciato dalla repulsione verso me stesso.
- Ci hai visti, non è così? – Più che una domanda, fu una frase sussurrata, che riuscii a cogliere solo grazie alla vicinanza. Annuii debolmente.
- Bene. Allora lascia che ti dica una cosa, – E in che modo potrei riuscire a impedirti di parlarmi? A stento riesco a frenare l’istinto di crollare, se c’è qualcuno che non devi temere, quello sono io. – te lo ripeterò solo una volta: stai. Lontano. Da. Lui. Mi hai capito?
Quella fu veramente la goccia che fece traboccare il vaso. Finalmente, in un modo che trovai quasi liberatorio, sentii la rabbia invadermi. Per una delle poche volte nella mia vita, il risentimento dentro di me era tanto forte da possedermi completamente: mi scorreva nel sangue, raggiungeva ogni singolo capillare, ogni organo.
Tuttavia, tentai di mantenere il controllo. – E sentiamo, chi saresti tu per farmi stare “lontano da lui”? – Lo dissi quasi con sarcasmo, la voce venata d’ira.
- Io? Io sarei quello che lo ama.
Non mi aspettavo quella risposta, non credevo che i suoi sentimenti fossero già giunti a questo punto. Quelle parole, però, scatenarono in me una risata che rasentava quasi l’isterico. – Tu? Tu lo ami? Tu non hai vissuto al suo fianco, tu non sai cosa vuol dire amare una persona per tutta la propria vita, dedicare ogni singolo momento a essa. No, Ettore, io non ti permetto di minacciarmi così, non ne hai alcun diritto.
Vidi negli occhi di Ettore che le mie parole avevano sortito il loro effetto: stava soffrendo, e io ne ero felice. Un senso di profonda soddisfazione mi pervase, ma dopo pochi istanti il suo sguardo tornò colmo di determinazione.
- Non mi interessa dei diritti di cui dici di poterti vantare. Io so quello che provo e so quello che prova lui. Quindi, e questa è l’ultima volta che te lo dico, vedi di stare attento a quello che fai.
- Altrimenti che fai? – gli chiesi in uno scatto di rabbia. Stavo iniziando a stancarmi di questo suo atteggiamento così sicuro. Perché tu non sei più sicuro di essere corrisposto.
Ettore mi guardò intensamente, poi scandì le sue parole chiaramente, imprimendovi un’enfasi che mi lasciò a bocca aperta. – Altrimenti ti ammazzo.
Dopo di ciò, si voltò e tornò verso la città a passo lento e cadenzato, quel passo che avevo imparato a riconoscere. Il passo di Ettore lo sterminatore. In quel momento, sotto quel cielo stellato, ebbi paura per la mia vita, perché avevo visto negli occhi di Ettore la determinazione di chi ama con tutte le proprie forze.



 
(*) Per chi non fa greco: La luna è amica degli amanti, e nemica di colore che amano da soli
Ehm... sì... mi piace il greco, tanto tanto tanto! *scappa mentre vitadiunalettrice le lancia dietro il GI e il Rocci contemporaneamente*
Va be', vi lascio... ci vediamo al prossimo capitolo!
  
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