Uno scienziato riflette sul proprio lavoro mentre analizza la relatività ristretta. Si pone delle domande, ma arriverà a discernere la natura dell'uomo?
Prosa dell'omonima poesia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Seduto in questo atrio mi riesce difficile non riuscire a pensare a cosa realmente mi sto dedicando.
Sono nel mio studio, mi ingegno per riuscire a estrapolare una qualche nuova forma di conoscenza da ciò che sto cercando di capire. La mia vita si sta riducendo a dei "e se..?"
E se fosse inutile tutto il lavoro che mi carico sulle spalle?
Se fosse inutile conoscere come funziona il nostro mondo?
Se fosse tutto tempo sprecato?
Perché lo stai facendo, Πολυτροπος*?
Perché tenti di innalzare un grande edificio, avendo in mano tutto fuorché la pietra d'angolo..
L'uomo è ipocrita. Pretende di conoscere ciò che succede attorno a lui e di controllarlo. Pretende di essere un dio, pronto a manipolare la realtà per il proprio profitto!
L'uomo crede di sapere, quando è niente ciò che conosce.
Per conoscere ciò che c'è fuori, è necessario conoscere il proprio io. Conosci te stesso, mi dissero.
Avevano ragione, ed io non diedi loro retta per puro orgoglio.
Mi ritrovo quindi qui, parlo con la mia mente.. ma ho capito che ciò che faccio non deve essere finalizzato ad un qualcosa. L'uomo ha smesso di chiedersi il motivo scatenante un evento.
Ora si chiede solamente a cosa è finalizzato. Una guerra? Una nuova guerra forse? Nuove armi, nuovi apparecchi, nuove strutture... l'uomo ha fatto della scienza il proprio fucile, non può più fermarsi.
E non posso nemmeno io.
Non posso perché devo continuare a capire, e non ha pretendere di farlo.
Il nostro mondo non dovrebbe essere un mistero.
Note:
*significa ''dalla multiforme scaltrezza'' ed è l'epiteto omerico di Odisseo (Ulisse).