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Autore: DarkNeptune    05/05/2015    1 recensioni
La vita di Roza può essere descritta in poche parole : semplice, ripetitiva, monotona...
Niente di più e niente di meno. Come anche le cose che la interessano. Poche, pochissime. Ama la sua gattina, le passeggiate notturne e la sua copertina lillà.
Lo scopo della sua vita è di creare qualcosa di perfetto con le sue stesse manine. Sì, Roza è una ragazza che cerca la perfezione, ma non in se stessa.
Ma chi è quella sagoma nera che sta sempre accucciata sopra il suo appartamento? Qual'è la vera identità di Roza? Si tratta di una ragazza troppo intelligente o è solo malata?
Niente di vagamente fantasy in questa storia.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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I personaggi e i luoghi sono inventati, riferimenti a persone e luoghi esistenti sono puramente casuali.


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Prima Iniezione    




24 ottobre
 
La vita di Roza poteva essere descritta in poche parole : semplice, ripetitiva, monotona...
Niente di più e niente di meno. Come anche le cose che la interessavano. Poche, pochissime. Amava la sua gattina, le passeggiate notturne e la sua copertina lillà, che fungeva anche come orsacchiotto-dolcisogni durante la notte. Era una ragazza a cui piaceva parlare poco e sognare tanto. La sua immaginazione confinava ai limiti del possibile e a volte balzava con estrema facilità nell’impossibile. Ogni sera prima di dormire, si ancorava al suo lenzuolino e dava vita dentro la sua testa a personaggi apparentemente invisibili a occhio umano, ma che per lei avevano una forma e una consistenza propria.
Roza era una ragazza di ventun anni, ma il suo visino mostrava una ragazzina più giovane. Tuttavia il suo corpo era formoso e morbido, un corpo da donna. Era anche una fanatica dei bei visi, perché semplicemente le piaceva riprodurli su carta. Lo scopo della sua vita era di creare qualcosa di perfetto con le sue stesse manine. Sì, Roza cercava la perfezione, ma non in se stessa.
 


 
***


 
Il corso di sociologia economica finì ancor prima che Roza potesse accorgersi che fosse iniziata. Si alzò di scatto in piedi, raccattando i diversi fogli sul piccolo banco. Fogli completamente spogli, pensò la ragazzina ridacchiando tra sé. Odiava quel corso, odiava tutti i corsi, odiava quell’aula sudicia, odiava la voce gracchiante e soporifera del professore e odiava persino la persona in sé. Eppure era la più brava. Aveva una memoria uditiva infallibile. Un po’ come la memoria fotografica, ma la sua era una vera e propria malattia. Ogni vociare di qualsiasi individuo vicino a lei s’impregnava nella sua testa, lasciandole un ronzio costante e fastidioso nelle orecchie. Era andata da diversi psicologi e psichiatri, tutti le avevano consigliato medicinali su medicinali. Lei non ne prese nessuno. Contro ad ogni tipo di farmaco, era dell’idea che avevano tutti, nessuno escluso, un effetto placebo. Per lei le malattie erano un brutto scherzo del cervello, quindi per combatterle bisognava parlare al diretto interessato. Sì, lei parlava con il suo cervello. E persino con il suo stomaco. Lei parlava con ogni suo organo interno.

“Ehi! Ehm...” si girò verso la fonte di quella voce dal timbro acuto che le picchiettava fastidiosamente l’orecchio sinistro. 

“Buon pomeriggio, Melanie.” Soffiò Roza e deliziò la ragazza con un leggero sorriso. La ragazza in questione alzò un sopracciglio, rendendolo ancora più arcuato di quanto lo fosse già. Buon pomeriggio? Pensò sardonica la bionda. La prendeva per pazza, tutti la prendevano per una pazza in quell’università.

“Senti, André vuole invitarti alla sua festa di Halloween.” Sentenziò aggrottando la fronte e maledicendo il suo amico per non aver avuto il coraggio di andare ad invitarla da solo. Roza la guardò con i suoi occhi da cerbiatta, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia nere.

“Halloween... non lo sa che agli spiriti non piace essere disturbati dalle vostre canzoncine e dai vostri volgari travestimenti?” chiese retorica, non credendo minimamente alle sue stesse parole. Tuttavia sapeva delle dicerie che giravano sul suo conto e alle volte le usava per scopi personali, come in quel momento. Si diceva che riusciva a comunicare con i fantasmi e che - quando questi glielo chiedevano - esaudiva ogni loro desiderio. Tutte cavolate, pensò, ma mi piace spaventare questa banda d’idioti creduloni. Sfoggiò un sorriso falso e alzò leggermente il mento rotondo. Anche se era piccolina, riusciva lo stesso a farsi notare in mezzo a mille persone. Forse per la sua pelle bianca e immacolata come l’avorio, o forse per i suoi grandi occhi color pece. Non possedeva nessun neo, aveva semplicemente la pelle unita in un solo colore. Era per quello che giravano quelle voci sugli spettri, perché lei assomigliava ad uno di loro.

“Sì, certo...” esclamò incerta Melanie e la guardò di traverso. Ora che le parlava direttamente, ne era più che certa: Roza era veramente una da internare. “Comunque ti ha invitata, fatti vedere venerdì prossimo alle dieci di sera. Non è il caso che ti travesti se proprio non vuoi offendere i tuoi amichetti. Tanto a te non servirebbe neppure.” L’ultima frase la mormorò appena, ma per la diretta interessata fu come un urlo con tanto di eco. La mora rispose con un altro sorriso che non coinvolse gli occhi e lo trattenne finché la bella bionda svoltò l’angolo più vicino. Sospirò stancamente e si diresse verso l’uscita dell’istituto. Non sarebbe andata alla festa perché semplicemente non avrebbe giovato alla sua salute mentale rimanere rinchiusa in una casa spettrale e buia, con musica a palla e chiacchiericci fastidiosi. Halloween. Odiava vedere i visi delle persone deturpati da finto sangue o dall’esagerata quantità di cipria bianca. Lei odiava persino il trucco, per tanto non si truccava mai. Ogni cosa che potesse rovinare la perfezione, lei la odiava. Che fosse alcol, fumo, droghe e persino certi tipi di alimenti.

Si diresse a grandi falcate verso la fermata dell’autobus e posò lo sguardo sul piccolo televisore elettronico non appena fu davanti. Ancora due minuti, pensò. Aspettò paziente l’autobus arrivare e puntò dritta verso gli ultimi posti. Pochi secondi dopo una figura a lei famigliare si sedette accanto.

“Giornata sfiancante, eh?” chiese divertita una testolina dai ricci infuocati. Lexy, una ragazza tutto pepe e che Roza adorava in maniera quasi spropositata. Era l’unica che riusciva a starle accanto senza esserne spaventata ed era anche la sua modella preferita. Era alta, magra e leggermente abbronzata e con due occhi di un bellissimo color smeraldo accesso. Il suo viso era tutto spruzzato di lentiggini chiare e Roza le amava una ad una, tant'è che s’impuntava sempre a disegnarle tutte. Sì, era una ragazzina piuttosto paziente.

“Noiosa e inutile.” La corresse, ricevendo come risposta uno sguardo di chi la sapeva lunga.

“Sono certa che hai saputo come intrattenerti durante le lezioni.” Svoltò lo sguardo verso la strada ancora bagnata dalla pioggia di quella mattina e continuò “È normale che i nostri compagni ti prendano per pazza. Passi le tue giornate a guardare l’angolo più buio dell’aula e a far sfarfallare le tue labbra. Si proprio così!” la indicò non appena la vide rifarlo.

“È a causa vostra se sfarfallano.” Se ne uscì, appoggiando il mento sulle ginocchia tirate su. “Più parlate e più le mie labbra si muovono da sole. È come se ripetessi le vostre stesse parole.” Si fece di colpo pensierosa non appena finì la sua frase.

“Ma non te ne accorgi mai?” chiese distrattamente la vicina, prendendo nel frattempo una merendina e mangiucchiandola.

“Se me ne accorgessi, non lo farei.” Fece ovvia Roza e le riservò un ampio sorriso di scherno.

“Sai qual’è il pettegolezzo dell’ultimo momento?” ignorò la battuta dell’amica, continuando a masticare energicamente.

“Lo sai che non m’interessa.” Sorvolò la questione con un gesto seccato della mano. Piuttosto si raddrizzò e si mise a guardare tutti i presenti e a cercare qualche viso che avrebbe disegnato su carta quella sera stessa. Nessuno d’interessante, solo facce comuni e stanche. Non le piaceva disegnare visi comuni, ancor meno quelli solcati dalla stanchezza. Sbuffò, ritornando stravaccata sul suo posto. Ce n’era uno carino non molto lontano da lei, dagli occhi vivaci che guizzavano da parte a parte, la bocca morbida e il naso leggermente rotondo. Era un ragazzo, ma aveva tratti decisamente femminili. Forse avrebbe disegnato lui. Cercò d’imprimersi in testa ogni sua sfaccettatura e ogni suo più singolo tratto. Sarebbe stato comunque difficile disegnare la sua esatta replica, ma almeno ci avrebbe provato.

“Dicono che sia grazie ai fantasmi se sei sempre la prima.” E ovviamente ignorò ancora una volta le parole della mora. “Dicono che siano loro a suggerirti le risposte durante gli esami.”

“Affascinante.” Sorrise divertita. Almeno cercavano di usare la loro immaginazione, il che faceva piacere alla ragazza.

“Pulce, dovresti negare ciò che dicono.” Le consigliò la rossa, sapendo che l’amica faceva tutto il contrario. Era una tipa strana che adorava incutere paura a quei poveri stupidi e che provava persino un certo piacere nel farlo.

“Tu hai paura di me?” chiese di punto in bianco la ragazzina, avvicinando pericolosamente il suo visino a quello di Lexy. Quest’ultima arrossì vistosamente e si allontanò di scatto. Il suo cuore ebbe un tumulto, ma cercò di nasconderlo più che poteva. Quei grandi pozzi neri la destabilizzarono, ma era una cosa che mai avrebbe osato rivelare.

“S-smettila! La g-gente potrebbe fraintendere...” balbettò di fronte agli occhi insistenti dell’amica. Spostò lo sguardo da tutt’altra parte e notò un gruppetto di adolescenti indicarle e ridacchiare tra loro. Le sue guance si fecero ancora più infuocate.

“Non farti condizionare dai pensieri altrui.” La ammonì la mora, accorgendosi in quell’istante che fosse quasi arrivata a casa. Si affrettò a premere il tasto sudicio per poi mostrare una leggera smorfia schifata. “Mi avvio per prima allora.” Le lasciò un leggero bacio sulla guancia a mo’ di saluto. Era diventata un’abitudine tra loro, ma il rossore sulle guance di Lexy non volle proprio sparire. Roza aggrottò la fronte, ma lasciò subito stare non appena le porte dell’autobus si aprirono. Scese quei piccoli scalini saltellando e si diresse verso il suo condominio. Un po’ troppo antico, ma era forse l’unico con un affitto ragionevole in tutta Parigi. Odiava quella città, troppo affollata e troppo cara, ma doveva pur assicurarsi un futuro e per farlo doveva studiare in una buona scuola.

Salì le rampe di scale fino al quinto piano. Non c’era nessun ascensore, ma per lei non era un problema. Un po’ di esercizio fisico non mi farà certo male, pensò come ogni qualvolta che si trovava a fissare esasperata quella buia salita.
Entrò nel suo minuscolo appartamento e ricevette come saluto solo il miagolio della sua gatta, Kira.

“Ciao piccolina.” Prese prontamente in braccio quel sacco di pelo nero. Kira era tutta nera, non un solo sprazzo bianco o altro sul suo pelo. Ed era lungo, molto lungo. Roza l’aveva presa proprio per andare contro alla superstizione umana. Ed era finita per amare profondamente quel felino.
Si girò per controllare la ciotola della gatta e la trovò completamente vuota. “Oh ma che brava ma belle, hai mangiato tutto.” Arruffò teneramente la sua testolina rotonda, per poi lasciarla libera dalla sua presa. Si tolse la giacca con uno sbuffo che indicava tutta la sua stanchezza. Forse non sarebbe riuscita a disegnare quella sera.

Si stiracchiò le braccine dirigendosi in un secondo momento verso il piccolo balcone che dava alla vista più orribile che si sarebbe mai potuta immaginare. La sera ormai stava scendendo, ma all’orizzonte si era innalzata una nebbiolina di smog che faceva sfumare tristemente tutto quel bell’indaco in un colore più opaco e triste. Roza sospirò quando vide che altre tre gru si erano intromesse nel suo panorama. La settimana scorsa erano solo quattro ed ora sono sette, pensò amaramente, peggio dei funghi. Odiò ancora di più quella città. Fece scricchiolare il collo, gustandosi almeno l’aria fresca che le colpiva il viso, quando una sensazione sgradevole la invase.

Spostò di scatto lo sguardo verso uno dei numerosi alberi situati sotto casa e la vide. Un’ombra scura si spostò fulminea non appena gli occhi intelligenti di Roza si posarono su di essa. Un brivido percorse la spina dorsale della ragazzina. Senza pensarci ulteriormente, si fiondò verso la porta d’ingresso e corse a perdifiato giù per le scale. Lei non era una persona che prima rifletteva e poi agiva. Lei agiva. Impulsiva e testarda, due aggettivi che facevano alle volte da sinonimo a stupida.

Arrivò sotto casa sua con il fiatone e si guardò frettolosamente intorno. L’ombra era sparita. Si aggirò verso l’albero in questione, ma non vi era nessuno. Ho anche le allucinazioni adesso? Si chiese insicura. Si guardò un’ultima volta le spalle, per poi dirigersi a passo fermo verso il cancelletto. Tutto il suo turbamento sparì non appena capì chi era l’artefice di quello scherzetto: il suo cervello. Lo so che sei stanco, ma cerca di non farmi sembrare più strana di quanto lo sia già, si sentì subito più rilassata nel momento in cui gli parlò.
 
 
 
 

A pochi metri di distanza, sopra il tetto del condominio...


“Avevi ragione, appena mi ha visto si è fiondata per controllare.” Ridacchiò una sagoma vestita di nero.

“Hai preso quello che devi?” chiese senza cerimonie una voce femminile ovattata, contraffatta sicuramente.

“Sì, dalla sua giacca. Spero solo che sia suo.” Guardò dubbioso il contenuto della bustina trasparente che teneva dentro la sua mano inguantata.

“Se non è suo allora dovremmo provvedere con una soluzione più drastica. Prima che lo facciano gli altri.”

“Ricevuto, lo porto subito in laboratorio.” Asserì con voce annoiata, premendo il bottone di fine chiamata dall’auricolare bluetooth. “Che palle.” Commentò a bassa voce. Si avvicinò al bordo del tetto e guardò giù. La ragazzina era ancora lì, intenta a guardarsi frettolosamente attorno. Sorrise sardonico davanti a tanta stupidità.

“Quella si farà uccidere un giorno o l’altro.” Pensò a voce alta. Con uno scatto repentino, saltò sopra il tetto del palazzo vicino. Corse veloce e silenzioso come un ghepardo e si diresse per la sua strada.




Continua...





   
 
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