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Autore: ranyare    05/05/2015    4 recensioni
"It's everything you wanted, it's everything you don't
It's one door swinging open and one door swinging closed
Some prayers find an answer, some prayers never know
We're holding on and letting go
"
Ben e Ray vivono nella loro adorata Londra, finalmente sereni. Lei studia per diventare un poliziotto, lui si sta affermando ad ogni ruolo di più come l'attore fantastico che è. Eppure, in un piovoso pomeriggio di metà estate, un passato che non ha più intenzione di essere ignorato bussa alla loro porta, ricordando ad entrambi che è impossibile fuggire da ciò che ci ha reso ciò che siamo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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base capitoli HOLG

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            [Ray]

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Nonostante tutto, l'aria che si respira in Texas non ha eguali in nessun altro luogo al mondo.

Mi sono disabituata alla dolcezza del sapore di questo vento perenne, che spira dagli altopiani del profondo Ovest e giunge fin qui, sciogliendosi in mille brezze che non smettono mai di accarezzare le immense pianure baciate dal Sole. Mi sono assuefatta al profumo di fuliggine e di pioggia che permea Londra in qualunque stagione dell'anno ma qualcosa, dentro di me, riconosce e gioisce in questa calura che, ad altri, potrebbe sembrare opprimente.

Io sono nata qui.

Io sono cresciuta qui e, nonostante io non abbia avuto un'infanzia e un'adolescenza particolarmente felici o serene, ricorderò sempre con affetto l'odore del manto dei cavalli, che sembra essere onnipresente persino in città, il calore tutt'altro che spiacevole di questi raggi che non mi hanno mai bruciata nonostante io sia pallidissima, il colore che sembra innaturale di questo magnifico cielo azzurro.

Questa non è più casa mia, ma rimarrà sempre la mia terra.

Mi calco inconsciamente il mio vecchio Stetson sui capelli arruffati – ed è un gesto che credevo di aver dimenticato, che credevo non facesse più parte di me – mentre mi volto verso Ben.

Vederlo qui, anche lui con un cappello a tesa larga in testa per proteggersi dalla calura, che cammina tranquillamente accanto a me come se non stesse crepando in queste temperature atroci a cui non è abituato, mi suscita un insieme di emozioni che districo solo dopo un po' d'impegno: come sarebbe stata la mia vita se non me ne fossi andata? Lo avrei conosciuto comunque?

-Sei sicuro di volerlo fare?- gli domando, dando voce ad uno soltanto dei se e dei ma che mi si stanno affollando nella mente, alzando gli occhi verso la villetta a schiera che, uguale a tutte le altre, stiamo lentamente raggiungendo.

Hanno cambiato casa.

Questa non è l'abitazione stretta e buia da cui sono scappata io: è una bella casetta su due piani, modesta ma dall'aspetto confortevole, con tanti fiori esposti nelle fioriere che sporgono dai davanzali e le finestre tutte aperte.

Ben aggrotta le sopracciglia ed è davvero adorabile, quando lo fa – diventa una cosa sola con quel cappello, ti scongiuro –, mentre allunga una mano per intrecciare le dita alle mie.

-Non sarà piacevole.- borbotto, mandandomi mentalmente a quel paese perché, lo so, la mia testa sta cercando tutti gli appigli più strambi per distrarsi da quello che sta per succedere; ma io devo rimanere concentrata, determinata, perché questa non è una cosa da poco e in gioco ci sono il benessere di mia sorella e la mia stessa libertà... la libertà che, dopo tanti anni passati a trascinarmi dietro il peso del passato, credo di essermi ampiamente meritata.

-Sono con te. Ora, domani, fra un anno o per sempre.- afferma, e la determinazione nelle sue parole rimpingua anche la mia, tutt'altro che entusiasta.

È vero.

Lui è accanto a me da molto tempo e lo è stato anche durante queste ultime giornate, passate negli uffici dall'odore pestilenziale degli assistenti sociali, in banca, da mia nonna – che credo abbia una cotta per lui, a giudicare da come l'ha guardato dopo essersi ripresa dalla sorpresa e dalla gioia di avermi trovata sulla sua soglia.

Sorrido, fra me e me, socchiudendo gli occhi e riportando alla mente la sensazione meravigliosa che ho provato fra le braccia di mia nonna, la persona che mi ha dato tutto, che mi ha insegnato tutto, che mi ha concesso la possibilità di diventare la donna che sono.

Ben si avvicina a me e il ricordo di quell'abbraccio si mescola a quello in cui mi stringe lui, adesso, davanti alla casa in cui vivono i miei genitori, sotto il Sole cocente del Texas. Respiro, concentrandomi sull'odore della sua pelle, aggrappandomi alla sua camicia per qualche istante mentre anche il mantra che mi sono ripetuta per sedici anni torna a galla: sono forte, sono invincibile, sono una donna.

Mi sciolgo dalla stretta di Ben, gli sorrido e poi mi volto verso quella porta che mi sembra molto più minacciosa di quanto, solitamente, dovrebbe essere una porta.

Prendo un lungo, lunghissimo respiro, forse per prepararmi all'apnea che potrebbe salvarmi dall'annegamento se l'odio di mia madre si dovesse riversare su di me, prima di fare questi ultimi passi – quanto sembra lungo, questo vialetto –, allungare una mano verso il campanello – da quando ho le mani tanto pesanti? – e premere, finalmente, il fottuto bottone.

Posso ancora darmela a gambe, vero?

Dopo qualche secondo sento un tramestio dall'altra parte della parete e il suono di un catenaccio che viene aperto; poi la maniglia si abbassa, togliendomi ogni possibilità di fuga, inchiodandomi qui dove sono quando gli occhi scuri di una donna di mezz'età si riempiono di sorpresa e sgomento nel riconoscermi.

Sei cambiata anche tu, mamma.

Ora è meno scheletrica di quanto la ricordassi: la depressione le aveva tolto ogni appetito e, me lo ricordo, convincerla a mangiare qualcosa di più di un pacchetto di grissini era davvero un'impresa impossibile... è persino truccata, lei che non si truccava mai, e credo che sia stata dal parrucchiere di recente perché ha un taglio corto dall'aspetto nuovo fiammante, che ben si sposa con i suoi – i miei – tratti affilati.

-Ciao, mamma.- esordisco e, per un istante, mi sento fiera di me: nella mia voce e nella mia faccia non c'è niente – niente che faccia trapelare l'angoscia e la paura che sto provando, niente della tensione che ha tirato ogni singolo muscolo del mio corpo, niente dell'attesa dello schiaffo che posso quasi già sentire sulla pelle.

Forse se ne accorge, lei, perché scorgo un lampo di sofferenza attraversarle il viso e, se fossi ancora la ragazzina che ha cacciato di casa anni fa, potrei anche provare compassione e rimorso nei suoi confronti.

-Ray...-

Sentire il mio nome pronunciato da lei non fa così male come avevo preventivato. È solo un nome, dopotutto, pronunciato da un’estranea che non credo di aver mai conosciuto davvero.

-Possiamo entrare?- domando, sostenendo il suo sguardo incerto e colpevole con una serenità e una pacatezza che non mi appartengono, che devo aver momentaneamente preso in prestito da Ben perché è sempre stato lui quello tranquillo, fra noi due, quello glaciale, quello pragmatico.

-Certo... prego.- entro in casa per prima, seguita da Ben che, senza una parola, supera mia madre e mi si affianca. Nonostante io non sia mai stata in questo posto riconosco i mobili, i colori caldi che mia madre ama vedere sulle pareti e che io invece ho sempre detestato, i quadri, i soprammobili…

Mi accomodo in salotto e l’odore della stoffa un po’ consunta di questo divano, per un istante, mi fa vacillare: mi sono accoccolata proprio lì, in quell’angolo fra il bracciolo e lo schienale, almeno un migliaio di volte… Ben si siede accanto a me e l’ombra di quel ricordo svanisce, evaporando come un miraggio nel deserto.

Maddy Cooper si siede di fronte a me, sulla poltrona, attorcigliandosi le mani piccolissime in grembo e guardandomi dal basso verso l’alto, a disagio.

-Ti trovo bene...- mormora, dopo diversi secondi di spiacevole silenzio.

-Anche tu mi sembri in forma.- replico, sempre in questo tono di voce calmo e serafico che, sulle mie labbra, sembra quasi alieno. -Ascolta, sono qui per Shirley.- esordisco, impedendo che altro silenzio si dilati in questa stanza già pregna di tensione: voglio che tutto questo finisca al più presto. -So che avete riottenuto l'affidamento.- aggiungo, ed una punta di disprezzo colora, per un momento, le mie parole.

È stato per Shirley che mio padre è venuto a cercarmi: dopo anni di cure psichiatriche e dietro ferrei controlli dei servizi sociali, infatti, a lui e a mia madre è stato concesso di riavere indietro mia sorella, ma mio padre – dando prova di un amore paterno che mi ha sorpresa, considerando i precedenti – ha voluto che io lo venissi a sapere prima che gli accordi definitivi venissero firmati, in modo che, se avessi voluto farlo, avrei potuto oppormi.

Mia madre coglie il sarcasmo che ha spezzato la mia calma e sospira, abbassando lo sguardo. Anni fa non lo avrebbe fatto: avrebbe reagito.

-Sono cambiata, Ray. Mi sono curata.- sussurra, fissandosi insistentemente le ginocchia.

-Mi è stato detto.- replico, ma mi costringo a prendere un profondo respiro per non lasciar uscire nemmeno mezza delle miriadi di parole che vorrei urlare in faccia a questa donna. Devo pensare a Shirley. -Sai quante volte ho chiesto il suo affidamento?- le domando, quindi, non più tranquilla ma con un odioso tremolio nelle parole, nelle dita che, istintivamente, cercano quelle di Ben.

-Undici volte.- annuisce lei, tornando a guardarmi: ha gli occhi marroni, mamma, al contrario di me. -Mi dispiace che te lo abbiano sempre negato.- aggiunge e, se non avessi imparato da tantissimo tempo a non prendere per vera nemmeno una sillaba delle sue frasi stucchevoli e piene di sentimento, questa affermazione avrebbe anche potuto sorprendermi.

-La mia unica consolazione era sapere che stava con la nonna.- commento, respirando di nuovo e poi ancora una volta, cercando di riportare la calma nella ragazzina spaventata in fondo al mio cuore che, nonostante tutto, vorrebbe davvero riabbracciare la sua mamma. -Non mi pento di avertela tolta.- mormoro, piano, inclinando la testa di lato per osservarla con più attenzione.

-Hai fatto bene.- ammette, e vorrei davvero poter credere al rimorso e al senso di colpa che sento e vedo in lei. Lo vorrei con tutta me stessa. -Non ero una persona in grado di essere una buona madre.-

La morsa che mi serra il petto è, ormai, qualcosa che conosco molto bene.

-Direi che su questo siamo d'accordo.- sibilo, fra i denti, assottigliando le palpebre e stringendo la mano di Ben nella mia.

Mamma mi guarda, e vedo qualcosa luccicarle fra le ciglia.

-Vorrei che tu potessi perdonarmi.-

-Non posso.- la risposta che mi sale sulle labbra è talmente istantanea che anche io impiego un secondo per registrare di averla pronunciata. -Non lo farò.- aggiungo, drizzando la schiena ed ergendomi in tutta la mia altezza.

Se c’è qualcosa di cui sono assolutamente certa è questa: non riuscirò mai a perdonare a questa donna l’avermi tolto la mia mamma nel momento in cui avevo più bisogno di lei.

-Ma posso sperare che tu sia, per Shirley, una madre migliore di quella che sei stata per me.- aggiungo, e sono queste mie parole ad illuminarle il viso e a strapparle un sorriso sollevato, pieno, che mi fa più male di tutto il resto.

Ho passato gli ultimi tre giorni ad ascoltare gli assistenti sociali che hanno seguito la mia famiglia, a leggere le relazioni stilate durante questi anni dagli psichiatri e dagli specialisti che hanno gestito la riabilitazione dei miei genitori e il sostegno per Shirley.

Ho domandato fino allo sfinimento, ho spremuto da quelle persone e da quei documenti ogni goccia del mio passato e del loro, affogando nel dolore e nel senso di colpa fino a che non ho dovuto, per forza, infrangere il pelo dell’acqua, salata di lacrime, per respirare. Ho letto della malattia di mia madre, ho letto dei suoi rimpianti, ho visto il mio nome tante volte, spesso sbavato dalle lacrime cadute sul foglio su cui lei vergava tutti i suoi rimorsi nel tentativo di impedire che la lacerassero dentro.

Da quei documenti mancava solamente la mia firma: se io avessi voluto impedire che Shirley tornasse in questa casa avrei potuto farlo. Avrei potuto, finalmente, portarla via con me.

Non sono una sciocca né una sprovveduta: i servizi sociali terranno sotto stretto controllo la situazione fino a che Shirley non avrà diciott’anni, mia nonna continuerà ad essere estremamente presente nella vita di questa famiglia e, al minimo sgarro, mia sorella verrà riportata da lei… ma ho deciso che Shirley merita di avere dei genitori. Almeno lei.

-È più di quanto io meriti da te.- esala, mia madre, appoggiandosi una mano sul petto come per aiutarsi a respirare. Ho insistito per essere io a portarle la notizia, per infliggere a me stessa l’ultimo calvario, per spezzare definitivamente ogni legame fra me e lei con questa decisione che, e lei lo sa, ho preso solamente per il bene di Shirley.

-Indubbiamente.- scuoto la testa, chiudendo gli occhi per mezzo secondo, esausta. -Non cercatemi mai più, né tu né tuo marito. Non voglio avere nulla a che fare con nessuno di voi due.-

Le mie parole, fredde come ghiaccio, la colpiscono e vanno a segno con una crudeltà e una precisione incredibili.

Forse sperava che io tornassi da lei, dopotutto. Forse sperava davvero che io la perdonassi, che io desiderassi riallacciare un qualche tipo di rapporto con loro.

Sbagliava.

Annaspa, senza saper cosa dire, per un paio d’attimi; poi, però, si affloscia, abbassando la testa e annuendo, sconfitta. -Lo capisco.- no, non è vero. Ma va bene così. -Shirley è di sopra, se vuoi andare da lei.- aggiunge, ed io sono in piedi prim’ancora che lei abbia finito di parlare. Guardo Ben, rivolgendogli una muta domanda a cui lui risponde con un sorriso.

-Va'.- mi incoraggia e, prima che io stessa possa accorgermene, sono già davanti alla porta della stanza di mia sorella, che riconosco perché, come quando era bambina, è tappezzata di poster e di disegni coloratissimi.

Le domande si affollano, all’improvviso, nella mia testa, facendomi esitare proprio quando la mia mano è, ormai, sul pomello: chissà com’è diventata, la mia Shirley. Chissà se mi assomiglia, se ha ancora qualcosa in comune con me, se mi odia per quello che ho fatto…

Stringo i denti, ricacciando indietro le lacrime e abbassando di scatto la maniglia, socchiudendo la porta.

-Shir?- chiamo, esitante, facendo appena in tempo a scorgere un piccolo, vivace mondo pieno di colori in questa stanza prima che una marea bionda mi travolga, affogandomi in un’onda di capelli sottili e spettinati.

-RAY!- urla una voce nel mio orecchio destro, mentre le mie costole scricchiolano sotto la stretta spasmodica, terrorizzata, di queste braccia che sono più lunghe e più forti di quelle che ricordavo, ma che conservano la morbidezza della bambina che ho lasciato anni fa.

Mi aggrappo a questo corpo acerbo con tutte le forze che ho, chiudendo gli occhi nel lunghi capelli arruffati della mia sorellina – e c’è lo stesso profumo, lo stesso che mi cullava di notte, quando lei si nascondeva nel mio letto per dormire con me.

-Ciao, sis...- mormoro, allargando le dita sulla schiena di mia sorella e stringendola al petto lentamente, assaporando ogni istante di questo abbraccio che mi è mancato più di qualsiasi altra cosa al mondo: più di Anthony, più di Will, più di tutto, è Shirley che avevo bisogno di stringere ancora ed è lo spazio vuoto nel mio petto che nessuno, a parte lei, potrà mai colmare.

Trema, la mia sorellina che oramai è alta quasi quanto me, freme e affonda il viso nel mio petto, come quando era bambina. Lacrime calde mi bagnano le spalle scoperte e le sue unghie mi si piantano nella schiena, ma non protesto. -Non ti vedo da così tanto...- mugola la stessa voce che mi ha quasi assordata, così simile a quella che rammentavo eppure più adulta, diversa, ancora infantile ma con un retrogusto di donna che mi sconvolge più di tutto il resto. -Oh, Ray...-

-Sssh.- sussurro, cercando di inghiottire il grumo di lacrime e di commozione che mi si è annodato in gola e accarezzandole la testa, appoggiando la guancia alla sua tempia. -Va tutto bene. Sono qui con te.-

Rimaniamo strette su questa soglia molto a lungo, riappropriandoci ognuna della propria sorella: gli anni non sono stati capaci di smorzare il legame che ci ha unite da sempre, fin da quell’assolato giorno di agosto in cui ho visto i suoi occhi blu schiudersi per la prima volta e ho promesso a lei e a me stessa che avrei protetto quella creaturina appena nata da ogni bruttura, da ogni sofferenza.

Solo dopo molti minuti Shirley si separa, a malincuore, da me, ed io posso finalmente guardare questo bel visetto che ricordavo più paffuto, più rotondo e più infantile.

-Sei qui per portarmi via?- mi chiede, sfregandosi lo zigomo con il dorso della mano. È diventata stupenda, la mia bambina. -La mamma è cambiata davvero, non credo che ce ne sia ancora bisogno e__-

-No.- la interrompo, sforzandomi di sorridere. Ogni cellula del mio corpo vorrebbe scappare, andare via da qui e portarla con me, ma non voglio strapparle la possibilità di essere amata dai suoi genitori. Non posso. -Voglio sperare che lei sia cambiata davvero, ma non posso esserne certa.- aggiungo, e so che posso essere completamente sincera con questa ragazzina che, nonostante tutto, ho scorto crescere e maturare fra le righe delle sue e-mail, nelle foto che mi mandava, nei suoi sorrisi e nella sua voce attutita attraverso un telefono cellulare.

Le accarezzo i capelli e la seguo, sedendomi con lei sul suo letto. È una camera ampia, accogliente e piena di luce e di colori: al contrario di me, Shirley ha sempre amato la vita, ha sempre cercato di portare la vivacità e l’allegria nella sua esistenza… ed è merito anche mio, realizzo, sentendo il cuore mancare un battito.

È anche grazie a me se Shirley è cresciuta in modo più sereno, protetta dalla malattia di sua madre e dai suoi scatti d’ira, lontana il più possibile da ciò che avrebbe potuto segnarla così com’è successo a me.

Ho mantenuto la mia promessa, ma manca ancora qualcosa.

Shirley mi guarda, curiosa, mentre prendo un lungo respiro e infilo una mano nella borsa, estraendone un plico di fogli ben stretti in una cartellina trasparente. -Sono qui per offrirti la libertà.- affermo, scaricandole tutto in grembo. Lei mi guarda, confusa, strappandomi un altro sorriso.

-Questi sono i dati di un conto corrente a te intestato a cui potrai accedere presentando in banca il tuo diploma, e solo se avrai ottenuto un punteggio encomiabile.- le spiego, e lei si morde un labbro, arrossendo: è brava, a scuola, ma tende a non impegnarsi molto. -Inoltre, potrai usare questi soldi esclusivamente per frequentare un college a tua scelta o, se non vuoi fare il college, un qualsiasi master di specializzazione o di preparazione al lavoro.- continuo, guardandola diventare sempre più incredula mentre, con le dita abili di una pittrice, scorre rapidamente i fogli e sgrana gli occhi, scorgendo la cifra a cui ammonta il suo fondo fiduciario. -Potrai usarli per andare dove più desideri: potrai venire a Londra e, in quel caso, ti aiuterò a trovare una casa e un eventuale lavoro, oppure restare qui, oppure ancora viaggiare e studiare e fare tutte le esperienze che desidererai fare.-

Ho lavorato per cinque anni, accumulando questa piccola fortuna per dare a mia sorella una chance di essere felice. Ho accumulato ogni centesimo, ogni gratifica, ogni straordinario, ho persino rischiato di dovermi prostituire pur di non perdere tutto, ma sono stati sforzi che, e me ne rendo conto quando lacrime commosse cominciano a scendere lungo le guance di mia sorella, rifarei.

-La scelta sarà solo ed esclusivamente tua, ma solo ad una condizione.- la avverto, ma lei ha già capito.

-Nessuno oltre la nonna ne saprà nulla.- mormora, alzando lo sguardo: i suoi occhi blu, innocenti e pieni di voglia di vivere, sono rimasti gli stessi di quella neonata spelacchiata di tanti anni fa. Annuisco.

-Ti servirà comunque la controfirma della nonna per ogni movimento, a proposito. Lei è il tuo garante.- le espongo, indicando la firma della nonna accanto alla mia.

-Come hai fatto a mettere da parte questi soldi? Voglio dire… sono troppi, io non posso__-

-Tu puoi e devi accettarli, perché non ho faticato per anni per lasciare che tu rifiuti tutto questo.- la redarguisco, inarcando un sopracciglio: non le permetterò di rifiutare questo regalo. Ha troppa importanza, sia per lei che per me. -Ti sto dando una possibilità, Shirley. Non perderla.- la avverto, ma subito capisco che mia sorella non rinuncerà a tutto questo, lo leggo sul suo viso entusiasta: ha troppa fame di vita, di felicità, per rifiutare.

-Verrai a trovarmi più spesso, ora?- mi chiede, speranzosa.

Scuoto la testa, lentamente. Non tornerò mai più in questo posto, ne sono perfettamente conscia. -Verrai tu. In quella busta ci sono anche alcuni biglietti prepagati di andata e ritorno per Londra.-

A queste parole Shirley si apre in un sorriso accecante, incredibile, che in un battito di ciglia mi riporta indietro di anni, a quando quel sorriso era l’unico motivo per andare avanti, per continuare a lottare.

-E hai l'obbligo morale di continuare a scrivermi tutte le volte che ne sentirai il bisogno.- aggiungo, strizzandole l’occhio appena prima che, travolgente come sempre, Shirley mi si butti letteralmente addosso per stritolarmi di nuovo, scoppiando in un pianto irrefrenabile contro la mia maglietta.

-Ti voglio bene, big sis.- singhiozza, stringendo nei pugni i lembi dei miei vestiti. Sorrido, stringendo forte questo pezzo di bellezza che renderà un po’ più luminoso il mondo di ogni persona che incontrerà sulla sua strada.

-Ti voglio tanto bene anche io, Shirley.- mormoro, piano, sorridendo. -Te ne vorrò sempre.-

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§

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Lake Cliff Park è sempre stato uno dei posti più belli di questa città. Tante volte, da bambina, mi sono trovata qui assieme ai miei amici, inscenando avventure e battaglie che possono esistere solamente nel mondo pieno di fantasia che è prerogativa dei bambini e degli scrittori.

Chiudo gli occhi, assaporando la brezza calda che mi accarezza le spalle e mi spinge un ricciolo in faccia, facendomi il solletico. Sento senza vederli gli occhi di Ben, in piedi accanto a me, percependo il tocco della sua attenzione sulla pelle, come una carezza.

-Credi che se la caverà?- mi chiede, ed io annuisco, piano, allungando una mano verso di lui ed incontrando le sue dita sulla mia strada.

-È mia sorella. Ce la farà.- non aggiungo quello che, per Ben, dev’essere ormai ovvio: abbiamo una tempra forte, noi Cooper.

Apro gli occhi, sorridendo quando mi specchio negli occhi scuri e caldi di questo meraviglioso uomo che ho imparato ad amare nel corso degli anni, avvicinandomi per lasciare un bacio lieve sulla sua bocca. Lui mi cinge la vita con una mano, allargando piano i polpastrelli sul mio fianco, solleticandomi lievemente e strappandomi un mugolio che vorrebbe davvero essere di protesta.

-Hai fatto una cosa stupenda per lei.- soffia, a bassa voce, sulle mie labbra. -Sono fiero di te.-

Sorrido, socchiudendo gli occhi e abbandonandomi in questo mezzo abbraccio, negli abbacinanti raggi del Sole che gli colorano gli zigomi di un rosa più acceso e che profumano d’estate e di qualcosa che, finalmente, posso chiamare libertà.

Sono libera.

Finalmente, dopo tanti anni trascorsi a fuggire dal mio stesso passato, in questi giorni ho scritto la parola fine di un racconto perduto che non avevo mai avuto il coraggio di scrivere, chiudendo definitivamente un capitolo di una vita che non mi appartiene più.

Qui, con Ben, immersi in un bagno di luce e di quiete, io sono finalmente libera.

-Lo sono anche io.- bisbiglio, abbandonando nel vento questa verità che mi vede finalmente protagonista di una storia tutta nuova, che ho iniziato a narrare nel momento stesso in cui Ben è entrato nella mia vita.

Ben ricambia il mio sorriso e mi accarezza una guancia, indugiando con il pollice sulla fossetta del mento – lo fa sempre quando riflette – e guardandomi per lunghi istanti in cui non riesco a comprendere quali siano i pensieri che si stanno affollando dietro quei due pozzi color cioccolato.

-Devo domandarti una cosa.- esordisce, ad un certo punto, riscuotendosi e scostandosi un poco da me. Inarco un sopracciglio, divertita dal suo repentino cambio d’espressione.

-Cosa?-

-Beh... avrei dovuto chiedertelo tempo fa, ma non ho mai trovato il... momento adatto?- mi osserva, passandosi le lunghe dita fra i capelli prima di prendermi entrambe le mani e stringersele al petto. -Ray, io voglio tutto di te. Il tuo passato, il tuo presente e, soprattutto, il tuo futuro. Ti amo come non amerò mai nessun'altra e adesso dimmi, per favore, che vale lo stesso per te, perché altrimenti non so davvero come potrò continuare questo discorso senza capo né coda.- pronuncia questo ragionamento tutto d’un fiato, continuando a guardarmi con quel misto di esitazione e di determinazione che proprio non riesco a comprendere.

-A volte sei davvero stupido.- sospiro, scuotendo la testa. -Ti amo, Ben. Ti ho amato da subito e ti amerò per ogni giorno della mia vita. Non dovresti nemmeno avere dei dubbi su questo, ormai.-

La semplicità con cui queste parole, che non ho mai detto a nessuno e che credo non ripeterò mai più nella vita a qualcuno che non sia lui, escono dalla mia bocca e dal mio cuore è disarmante tanto per me quanto per lui.

-Era per esserne certo una volta per tutte.- commenta, accennando un mezzo sorriso un po' da psicopatico che mi inquieta più di qualunque altra cosa al mondo.

-Ben, che cosa diav__- comincio, ma gli basta uno sguardo per zittirmi.

Infila una mano in tasca, estraendola chiusa a pugno per non farmi vedere che cosa tiene stretto. Poi s'inginocchia sull’erba tagliata di fresco, alza gli occhi verso di me, mi mostra un anello che varrà tipo mezza Londra e pronuncia le parole più sconvolgenti che una donna potrà mai sentir dire dal proprio compagno:

-Ray, vuoi sposarmi?-

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My space

Ho scritto questo capitolo a tempo di record, oggi pomeriggio, pur di finirlo in orario. Sono ancora capace di scrivere qualcosa di decente spero in tempi brevi, miracolo! Perché vi avevo detto di aver finito anche questo capitolo, ma il salvataggio dev'essere andato storto, ho dovuto riscriverlo -.-

Il parco della scena finale è il Lake Cliff Park di Dallas, che potete vedere in questa bella immagine trovata sul web. Invece la sorella di Ray, Shirley, la potete vedere nell'immagine di copertina: il suo volto è quello di Lily Osment, mentre quello della madre è di Jamie Lee-Curtis e quello del padre è di John Schneider somebody saaaaaave meeeeeeeeeeeeeeeeeee. La frase "sono forte, sono invincibile, sono una donna" ("I'm strong, I'm invincible, I'm woman") viene dalla canzone di Helen Reddy, I am Woman. La canzone del titolo, Let it Go, non è quella di Frozen, ma di Tim McGraw e non c'entra proprio niente con la mia Snow Queen preferita.

E finalmente ce l'ho fatta a finire qualcosa in orario! Per me è una soddisfazione non da poco, devo ammetterlo. Sono assolutamente incapace di portare a termine le cose che comincio nei tempi prestabiliti, ed è stata una bella sfida riuscire a fare tutto in modo decente, una volta tanto. Per chi segue anche Leggi per me, non temete! Sono tornata al lavoro anche su quella ed era ora.

Ed eccoci arrivati alla mia "sorpresa" finale, ossia alla proposta di matrimonio di Ben a Ray! Sapevate già del matrimonio e della pargoletta, Sinéad, ma spero comunque che questo finale zuccheroso vi sia piaciuto. Inoltre ho adorato il discorso di Ben, e sono sempre più convinta che dovrei scrivere una guida per gli uomini su come conquistare le donne. Tizi come il "mio" Ben si stanno estinguendo, temo!

Una scena che mi ha commossa davvero è stata quella fra Ray e Shirley. Il rapporto fra queste due sorelle è stato bellissimo da descrivere, lo ammetto. Inoltre queste due sono agli antipodi: Ray è un personaggio un po' ombroso, un po' malinconico, mentre Shirley è letteralmente un'esplosione di vitalità: è stato bello poter descrivere queste due personalità tanto contrastanti eppure così legate.

Spero che questa mini-long vi sia piaciuta almeno quanto è piaciuto a me scriverla! Vi annuncio che pubblicherò, fra non troppo tempo, una one-shot direttamente successiva a questa storia... ebbene sì: matrimonio is coming.

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, che hanno letto, che hanno Preferito/Seguito/Ricordato o che, in silenzio o meno, hanno dato un'occhiata a questa storia. Vi adoro tutti.

A presto!

B.

   
 
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