Come un gioco
La stanza in cui si
trovavano era quasi completamente bianca. Bianchi i muri, bianco il soffitto,
bianco il pavimento. Solo le tende alle finestre erano di un bel colore rosso
scuro, più o meno della stessa sfumatura del faccione dello zio Vernon,
che proprio in quel momento gli si era parato davanti agli occhi.
Il bambino si
concentrò sugli occhietti cattivi dello zio.
«Ti
avverto» gli sibilò lui in faccia, «ti avverto. Una sola
piccola stranezza, un solo minimo incidente…
e ti faccio pentire di vivere, ragazzo.»
Zio Vernon lo
chiamava sempre “ragazzo”. Anche zia Petunia lo chiamava
così. Dudley, invece, non lo chiamava affatto; lo picchiava e basta. In
casa era come se lui, Harry, fosse soltanto un insetto fastidioso, che tutti
volevano – se non schiacciare – almeno evitare.
Senza smettere di
fissare gli occhi dello zio, Harry annuì in silenzio. Aveva imparato da
un pezzo che era meglio non rispondere a frasi come quella che gli aveva appena
rivolto.
All’improvviso
sentì un rumore alle proprie spalle. Zio Vernon si raddrizzò di
colpo, con un sorriso stiracchiato e finto. Harry si voltò.
Una porta si era
appena aperta. Strizzando gli occhi, il bambino vide una donna con indosso
quello che sembrava un lungo camice bianco da dottore. Sentì che lo zio
la salutava, in un tono come se si stesse sforzando
di essere carino con lei. Lui si limitò a mormorare un timido “buongiorno”.
La donna
salutò entrambi, si avvicinò e si chinò di fronte a lui.
Harry vide che aveva lunghi capelli castani ed un viso dolce.
«Allora
è questo il mio piccolo paziente» sorrise lei.
Il bambino
annuì di nuovo.
«Lo
scusi» ringhiò la voce di zio Vernon, da qualche parte sopra la
sua testa. «La buona educazione sembra non avere effetti su di
lui.» E con quelle parole gli diede anche uno scapaccione sulla nuca,
forse un po’ troppo forte per essere scherzoso.
«Ma no»
disse la donna, in una risata argentina. «Al contrario, trovo che sia
adorabile!»
Lo zio non
replicò; Harry non osò guardarlo in faccia, ma pensò che
dovesse essere molto contrariato.
«So che ti
chiami Harry» proseguì lei, sempre sorridendogli. «Io mi
chiamo Kathleen. È un vero piacere conoscerti.»
Harry avrebbe
voluto dirle che anche per lui era così… Ma, per qualche strano
motivo, quella donna lo turbava. Strinse piano piano la mano che lei gli
porgeva, sentendosi sempre più in imbarazzo.
Il suo disagio
crebbe quando gli occhi della signora si posarono sulla cicatrice che aveva
sulla fronte.
Harry sapeva che
quella cicatrice destava sempre
l’attenzione di chi la vedeva; lui stesso aveva chiesto molte volte agli
zii come se l’era fatta, visto che non lo ricordava… Ma zio Vernon
e zia Petunia odiavano parlarne, e ora Harry era sicuro che, se quella donna
avesse fatto domande, lo zio l’avrebbe subito trattata da impicciona. E
lui non voleva questo: a lui questa Kathleen stava simpatica…
Per fortuna,
però, lei distolse quasi subito gli occhi dalla sua fronte, e sorrise
ancora, incoraggiante.
«Quanti anni
hai, Harry?»
«Ha appena
compiuto sei anni» lo precedette zio Vernon, poco gentilmente.
«Oh. Ma allora
sei già grande!» Lei ammiccò, senza alzare gli occhi sullo
zio. «E ora dimmi un’altra cosa… È da molto tempo che
hai dei disturbi agli occhi?»
Questa volta, lo
zio non rispose, preferendo lasciar cadere il silenzio.
La verità
era che Harry aveva quei problemi alla vista fin da quando era molto, molto
piccolo; ma gli zii avevano sempre ignorato la cosa, dicendogli che quella era
la “giusta punizione per tutti i suoi capricci”. Però negli
ultimi tempi la signorina Evans, la maestra di inglese, aveva insistito con
loro sul fatto che Harry non riusciva a distinguere la lavagna neppure dalla
prima fila di banchi; era ovvio che aveva bisogno di un controllo, e
probabilmente di occhiali. Poche sere prima, nascosto nel ripostiglio del
sottoscala, il bambino aveva sentito zia Petunia lamentarsi ad alta voce del
fatto che “quel marmocchio” era già abbastanza costoso senza
occhiali. Zio Vernon era riuscito a calmarla soltanto quando le aveva detto
che, se Harry avesse visto meglio “quel che combinava”, avrebbe
potuto finalmente sbrigare le faccende da cui Dudley era “esonerato”
– rassettare, pulire, lavare i piatti…
Evidentemente, lo
zio non aveva molto piacere nel far sapere queste cose a Kathleen.
Schiarendosi la
voce, finalmente Harry riuscì a rivolgerle qualche parola.
«Ehm… Beh… Non tantissimo» bofonchiò,
imbarazzato.
Kathleen sorrideva
ancora.
«Molto bene.
Allora» aggiunse posandogli delicatamente una mano sull’occhio
destro, lasciando scoperto solo il sinistro, e sollevando l’altra mano ad
una certa distanza dal suo viso, «quante dita vedi?»
Harry si
concentrò.
«Tre…?»
«Benissimo!»
esclamò la donna. Spostò la mano e stavolta gli coprì
l’occhio sinistro. «E adesso?»
Questa volta il
bambino ci pensò un po’ di più. Non erano più tre
dita, di questo era sicuro; però…
«Sono
quattro?»
«Uhm.»
Kathleen abbassò entrambe le mani. «Eh, no, qui abbiamo un
problemino.» Gli indicò un cartellone appeso alla parete alle sue
spalle. «Vedi quelle scritte laggiù?»
«Sì,
signora.»
«Kathleen»
lo corresse gentilmente lei. «Bene. Sai leggere, vero, Harry?»
All’improvviso,
zio Vernon emise una specie di ringhio.
«E ci
mancherebbe che non sappia neanche leggere» sbuffò a mezza voce.
Preso com’era
dai modi di quella signora così gentile, Harry si era quasi dimenticato
della presenza dello zio. Annuì, continuando a guardare la donna
inginocchiata di fronte a lui.
«Perfetto»
disse ancora Kathleen, ignorando costantemente i commenti dello zio.
«Allora vieni: siedi su quella poltrona, io ti indicherò alcune
lettere e tu mi dirai di quali lettere si tratta, va bene?»
Harry la
seguì docilmente fino alla poltrona. Zio Vernon rimase indietro, accanto
ad una parete, gli occhi attenti a tutto ciò che succedeva.
Poi la donna
andò a posizionarsi accanto al cartellone ed estrasse da una tasca del
suo camice un lungo bastoncino di legno…
«Harry, ti
presento la mia bacchetta magica!»
Con la coda
dell’occhio, il bambino vide lo scatto di zio Vernon, e sentì
anche la sua esclamazione di sorpresa e nervosismo. Se c’era una cosa che
lo zio odiasse più del sentirgli parlare della sua cicatrice, era sentir
parlare di tutto ciò che aveva a che vedere con la fantasia e la magia.
Questo Harry lo sapeva bene. Ma gli sembrava comunque un po’ esagerato
che si comportasse così di fronte a quella simpatica signora.
«Come ha detto, prego?»
«Suvvia,
signor Dursley, stavo solo giocando un po’ con suo nipote.»
Kathleen gli sorrise spensierata. Lo zio non sembrò tranquillizzarsi
molto, ma lei si rivolse nuovamente a Harry. «Allora, tesoro. Vediamo un
po’.» Puntò la bacchetta sotto la lettera più grande,
quella in cima al cartellone. «Con tutti e due gli occhi scoperti, riesci
a distinguere questa?»
Harry annuì.
«È una
O.»
«Bravissimo!»
Kathleen spostò la bacchetta più in basso. «E
questa?»
Qui Harry
cominciò a esitare.
«Non…
Non la vedo.» Si strinse nelle spalle, contrito. «Mi
dispiace.»
«Ma tesoro,
non è certo colpa tua!» La donna scosse la testa, senza smettere
di sorridere. Poi si avvicinò alla scrivania, rovistò in alcuni
cassetti ed infine estrasse un paio di occhiali semplici, dalle lenti rotonde.
Lo raggiunse alla poltrona e glieli porse. «Prova con questi. Sono quasi
sicura che sono giusti per te…»
Esitante, Harry
prese gli occhiali dalle sue mani e se li spinse sul naso.
Subito
lanciò un “oh!” di
sorpresa. Tutto gli sembrava più chiaro e nitido, adesso.
Rivolse a Kathleen
un ampio sorriso.
«Meglio,
vero?» Lei tornò allegramente al cartellone. «Allora, dai,
prova a leggere tutta l’ultima riga.»
Harry non ebbe
bisogno di strizzare le palpebre; ormai vedeva benissimo quelle piccole lettere
nere.
«H…
A… R… R… Y…»
Solo quando
arrivò alla fine, si rese conto di ciò che aveva appena detto.
«Ma è
il mio nome» sorrise. «Lì c’è scritto il mio
nome!»
«Sì,
esatto.» Kathleen alzò di nuovo la bacchetta, puntandola su una
lettera a caso. «Proviamo ancora!»
Era come un gioco:
lei gli indicava una lettera, lui la leggeva a voce alta, ma presto,
perché lei era già pronta con la lettera successiva. Harry si
stava divertendo. Era una cosa che non gli capitava molto spesso.
«N… O…
N… S… E… I… S… O… L… O…»
«Può
bastare così» disse alla fine Kathleen, raggiante. «Molto
bene, Harry. Vieni qui, ti svelo un segreto.»
Tutto contento,
Harry saltò giù dalla poltrona e la raggiunse davanti alla
scrivania.
La donna si
chinò ancora una volta alla sua altezza, accovacciandosi a terra, e lo
guardò solennemente.
«Sappi che
non avrai mai bisogno di cambiare queste lenti» gli sorrise. «Anche
se la tua vista si abbasserà ancora un po’, non dovrai mai
cambiarle… Perché anche queste sono magiche, sai…?»
Zio Vernon emise un
altro ringhio. Né Harry né Kathleen vi fecero caso.
«E ricordati
un’altra cosa.» La donna si fece seria e gli pose le mani sulle
spalle. «Tu non sei solo, Harry. Non lo sarai mai.»
Harry la
fissò. Non capiva cosa volesse dire, ma le sue parole erano comunque
molto belle… Come si diceva?… Rassicuranti.
Era un po’ come avere un’amica.
«D’accordo,
è proprio ora di andare.» Lo zio interruppe bruscamente
l’occhiata silenziosa che i due si stavano scambiando; non poteva aver
sentito le ultime parole della donna, era troppo lontano – ma era
evidentemente impaziente di porre fine a quello strano incontro. «Senta,
quanto le devo…?»
«No, lasci
stare» disse fermamente Kathleen, guardando ancora Harry con la stessa
espressione seria. «Lo consideri il mio regalo per il compleanno di
Harry.»
Questa volta, il
bambino era decisamente stupefatto.
«Come fa a
sapere che oggi è il mio compleanno? Lo zio non l’ha detto…»
Kathleen sorrise
ancora.
«Magia…»
Con un’aria
della serie “quando-è-troppo-è-troppo”, zio Vernon
afferrò Harry per la collottola e lo trascinò attraverso la
stanza.
«Molto bene,
allora. Anche se non mi piace ricevere regali da sconosciuti, la prendo in
parola. Addio, signora.»
Sconsolato, Harry
si voltò a guardare Kathleen. Lei non sembrava affatto offesa dalla
reazione di zio Vernon. Si rialzò da terra e rivolse loro un saluto con
la mano.
«Grazie…»
riuscì a gridarle il bambino, prima che lo zio chiudesse con uno
schianto la porta alle loro spalle.
Si ritrovarono nel
corridoio dell’ambulatorio.
Harry alzò
gli occhi: zio Vernon ansimava, ed era visibilmente scosso e furioso.
«Senti,
ragazzo» boccheggiò, «si può sapere come accidenti faceva quella… donna… a conoscerti tanto
bene?»
«Non ne ho
idea» mormorò Harry in risposta, ma lo zio non poteva sentirlo; si
era lanciato in una lunga tirata contro Kathleen.
«Che razza di
dottoressa è mai quella…? Non si è mai vista una cosa
simile…! E tutte quelle chiacchiere insulse…! Bacchette
magiche… Occhiali magici… Magia! Bah! Quanto a te» aggiunse tornando a rivolgersi direttamente al nipote,
«visto che non sai spiegarmi cos’è successo in questa maledettissima stanza, da oggi puoi
scordarti la paghetta. E ora, avanti, a casa! Se non altro ho risparmiato una
spesa inutile!»
Senza trovare il
coraggio di replicare, Harry lo precedette lungo il corridoio, con gli occhi
bassi, fissi sul pavimento, attraverso le lenti che Kathleen gli aveva appena regalato.
Gli sembrava di
conoscerla da sempre. O forse… era una speranza.
Nonostante le minacce dello zio, pensava che quel
compleanno non fosse andato poi tanto male.
Kathleen Rowlings osservò
Vernon Dursley che spingeva malamente in macchina suo nipote, il piccolo Harry
Potter, il bambino che era sopravvissuto.
Il bambino che non
sapeva ancora quanto la sua esistenza fosse preziosa.
Accarezzando la
bacchetta che ancora stringeva tra le mani, si lasciò andare ad un altro
sorriso.
«Grazie a te, Harry Potter» mormorò.
«Non ti lasceremo solo. Ricordatelo.»
Poi tirò le
tende e si ritirò di nuovo nella sua copertura da dottoressa Babbana.
Mi sono
sempre chiesta in quale circostanza i Dursley avessero provveduto al difetto
visivo di Harry. Voglio dire, non sono esattamente gli zii magnanimi che si
preoccupano della salute del nipote, no?… Così ho iniziato a
rimuginare su come potesse essere andato quell’episodio…
Tra l’altro
oggi, rileggendo “La Camera dei Segreti”, mi sono imbattuta in
questa frase pronunciata da Harry a King’s Cross: “I Dursley non mi
danno la paghetta da circa sei anni”… E allora ho deciso di unire
le due situazioni in questa piccola shot, scritta di getto all’una del
mattino!
Voi che ne
pensate? :)
Buon anno
a tutti!