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Autore: Feel Good Inc    31/12/2008    24 recensioni
Era come un gioco: lei gli indicava una lettera, lui la leggeva a voce alta, ma presto, perché lei era già pronta con la lettera successiva. Harry si stava divertendo. Era una cosa che non gli capitava molto spesso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Sorpresa, Vernon Dursley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Come un gioco

Come un gioco

 

 

 

 

La stanza in cui si trovavano era quasi completamente bianca. Bianchi i muri, bianco il soffitto, bianco il pavimento. Solo le tende alle finestre erano di un bel colore rosso scuro, più o meno della stessa sfumatura del faccione dello zio Vernon, che proprio in quel momento gli si era parato davanti agli occhi.

Il bambino si concentrò sugli occhietti cattivi dello zio.

«Ti avverto» gli sibilò lui in faccia, «ti avverto. Una sola piccola stranezza, un solo minimo incidente… e ti faccio pentire di vivere, ragazzo.»

Zio Vernon lo chiamava sempre “ragazzo”. Anche zia Petunia lo chiamava così. Dudley, invece, non lo chiamava affatto; lo picchiava e basta. In casa era come se lui, Harry, fosse soltanto un insetto fastidioso, che tutti volevano – se non schiacciare – almeno evitare.

Senza smettere di fissare gli occhi dello zio, Harry annuì in silenzio. Aveva imparato da un pezzo che era meglio non rispondere a frasi come quella che gli aveva appena rivolto.

All’improvviso sentì un rumore alle proprie spalle. Zio Vernon si raddrizzò di colpo, con un sorriso stiracchiato e finto. Harry si voltò.

Una porta si era appena aperta. Strizzando gli occhi, il bambino vide una donna con indosso quello che sembrava un lungo camice bianco da dottore. Sentì che lo zio la salutava, in un tono come se si stesse sforzando di essere carino con lei. Lui si limitò a mormorare un timido “buongiorno”.

La donna salutò entrambi, si avvicinò e si chinò di fronte a lui. Harry vide che aveva lunghi capelli castani ed un viso dolce.

«Allora è questo il mio piccolo paziente» sorrise lei.

Il bambino annuì di nuovo.

«Lo scusi» ringhiò la voce di zio Vernon, da qualche parte sopra la sua testa. «La buona educazione sembra non avere effetti su di lui.» E con quelle parole gli diede anche uno scapaccione sulla nuca, forse un po’ troppo forte per essere scherzoso.

«Ma no» disse la donna, in una risata argentina. «Al contrario, trovo che sia adorabile!»

Lo zio non replicò; Harry non osò guardarlo in faccia, ma pensò che dovesse essere molto contrariato.

«So che ti chiami Harry» proseguì lei, sempre sorridendogli. «Io mi chiamo Kathleen. È un vero piacere conoscerti.»

Harry avrebbe voluto dirle che anche per lui era così… Ma, per qualche strano motivo, quella donna lo turbava. Strinse piano piano la mano che lei gli porgeva, sentendosi sempre più in imbarazzo.

Il suo disagio crebbe quando gli occhi della signora si posarono sulla cicatrice che aveva sulla fronte.

Harry sapeva che quella cicatrice destava sempre l’attenzione di chi la vedeva; lui stesso aveva chiesto molte volte agli zii come se l’era fatta, visto che non lo ricordava… Ma zio Vernon e zia Petunia odiavano parlarne, e ora Harry era sicuro che, se quella donna avesse fatto domande, lo zio l’avrebbe subito trattata da impicciona. E lui non voleva questo: a lui questa Kathleen stava simpatica…

Per fortuna, però, lei distolse quasi subito gli occhi dalla sua fronte, e sorrise ancora, incoraggiante.

«Quanti anni hai, Harry?»

«Ha appena compiuto sei anni» lo precedette zio Vernon, poco gentilmente.

«Oh. Ma allora sei già grande!» Lei ammiccò, senza alzare gli occhi sullo zio. «E ora dimmi un’altra cosa… È da molto tempo che hai dei disturbi agli occhi?»

Questa volta, lo zio non rispose, preferendo lasciar cadere il silenzio.

La verità era che Harry aveva quei problemi alla vista fin da quando era molto, molto piccolo; ma gli zii avevano sempre ignorato la cosa, dicendogli che quella era la “giusta punizione per tutti i suoi capricci”. Però negli ultimi tempi la signorina Evans, la maestra di inglese, aveva insistito con loro sul fatto che Harry non riusciva a distinguere la lavagna neppure dalla prima fila di banchi; era ovvio che aveva bisogno di un controllo, e probabilmente di occhiali. Poche sere prima, nascosto nel ripostiglio del sottoscala, il bambino aveva sentito zia Petunia lamentarsi ad alta voce del fatto che “quel marmocchio” era già abbastanza costoso senza occhiali. Zio Vernon era riuscito a calmarla soltanto quando le aveva detto che, se Harry avesse visto meglio “quel che combinava”, avrebbe potuto finalmente sbrigare le faccende da cui Dudley era “esonerato” – rassettare, pulire, lavare i piatti…

Evidentemente, lo zio non aveva molto piacere nel far sapere queste cose a Kathleen.

Schiarendosi la voce, finalmente Harry riuscì a rivolgerle qualche parola.
«Ehm… Beh… Non tantissimo» bofonchiò, imbarazzato.

Kathleen sorrideva ancora.

«Molto bene. Allora» aggiunse posandogli delicatamente una mano sull’occhio destro, lasciando scoperto solo il sinistro, e sollevando l’altra mano ad una certa distanza dal suo viso, «quante dita vedi?»

Harry si concentrò.

«Tre…?»

«Benissimo!» esclamò la donna. Spostò la mano e stavolta gli coprì l’occhio sinistro. «E adesso?»

Questa volta il bambino ci pensò un po’ di più. Non erano più tre dita, di questo era sicuro; però…

«Sono quattro?»

«Uhm.» Kathleen abbassò entrambe le mani. «Eh, no, qui abbiamo un problemino.» Gli indicò un cartellone appeso alla parete alle sue spalle. «Vedi quelle scritte laggiù?»

«Sì, signora.»

«Kathleen» lo corresse gentilmente lei. «Bene. Sai leggere, vero, Harry?»

All’improvviso, zio Vernon emise una specie di ringhio.

«E ci mancherebbe che non sappia neanche leggere» sbuffò a mezza voce.

Preso com’era dai modi di quella signora così gentile, Harry si era quasi dimenticato della presenza dello zio. Annuì, continuando a guardare la donna inginocchiata di fronte a lui.

«Perfetto» disse ancora Kathleen, ignorando costantemente i commenti dello zio. «Allora vieni: siedi su quella poltrona, io ti indicherò alcune lettere e tu mi dirai di quali lettere si tratta, va bene?»

Harry la seguì docilmente fino alla poltrona. Zio Vernon rimase indietro, accanto ad una parete, gli occhi attenti a tutto ciò che succedeva.

Poi la donna andò a posizionarsi accanto al cartellone ed estrasse da una tasca del suo camice un lungo bastoncino di legno…

«Harry, ti presento la mia bacchetta magica!»

Con la coda dell’occhio, il bambino vide lo scatto di zio Vernon, e sentì anche la sua esclamazione di sorpresa e nervosismo. Se c’era una cosa che lo zio odiasse più del sentirgli parlare della sua cicatrice, era sentir parlare di tutto ciò che aveva a che vedere con la fantasia e la magia. Questo Harry lo sapeva bene. Ma gli sembrava comunque un po’ esagerato che si comportasse così di fronte a quella simpatica signora.

«Come ha detto, prego?»

«Suvvia, signor Dursley, stavo solo giocando un po’ con suo nipote.» Kathleen gli sorrise spensierata. Lo zio non sembrò tranquillizzarsi molto, ma lei si rivolse nuovamente a Harry. «Allora, tesoro. Vediamo un po’.» Puntò la bacchetta sotto la lettera più grande, quella in cima al cartellone. «Con tutti e due gli occhi scoperti, riesci a distinguere questa?»

Harry annuì.

«È una O.»

«Bravissimo!» Kathleen spostò la bacchetta più in basso. «E questa?»

Qui Harry cominciò a esitare.

«Non… Non la vedo.» Si strinse nelle spalle, contrito. «Mi dispiace.»

«Ma tesoro, non è certo colpa tua!» La donna scosse la testa, senza smettere di sorridere. Poi si avvicinò alla scrivania, rovistò in alcuni cassetti ed infine estrasse un paio di occhiali semplici, dalle lenti rotonde. Lo raggiunse alla poltrona e glieli porse. «Prova con questi. Sono quasi sicura che sono giusti per te…»

Esitante, Harry prese gli occhiali dalle sue mani e se li spinse sul naso.

Subito lanciò un “oh!” di sorpresa. Tutto gli sembrava più chiaro e nitido, adesso.

Rivolse a Kathleen un ampio sorriso.

«Meglio, vero?» Lei tornò allegramente al cartellone. «Allora, dai, prova a leggere tutta l’ultima riga.»

Harry non ebbe bisogno di strizzare le palpebre; ormai vedeva benissimo quelle piccole lettere nere.

«H… A… R… R… Y…»

Solo quando arrivò alla fine, si rese conto di ciò che aveva appena detto.

«Ma è il mio nome» sorrise. «Lì c’è scritto il mio nome!»

«Sì, esatto.» Kathleen alzò di nuovo la bacchetta, puntandola su una lettera a caso. «Proviamo ancora!»

Era come un gioco: lei gli indicava una lettera, lui la leggeva a voce alta, ma presto, perché lei era già pronta con la lettera successiva. Harry si stava divertendo. Era una cosa che non gli capitava molto spesso.

«N… O… N… S… E… I… S… O… L… O…»

«Può bastare così» disse alla fine Kathleen, raggiante. «Molto bene, Harry. Vieni qui, ti svelo un segreto.»

Tutto contento, Harry saltò giù dalla poltrona e la raggiunse davanti alla scrivania.

La donna si chinò ancora una volta alla sua altezza, accovacciandosi a terra, e lo guardò solennemente.

«Sappi che non avrai mai bisogno di cambiare queste lenti» gli sorrise. «Anche se la tua vista si abbasserà ancora un po’, non dovrai mai cambiarle… Perché anche queste sono magiche, sai…?»

Zio Vernon emise un altro ringhio. Né Harry né Kathleen vi fecero caso.

«E ricordati un’altra cosa.» La donna si fece seria e gli pose le mani sulle spalle. «Tu non sei solo, Harry. Non lo sarai mai.»

Harry la fissò. Non capiva cosa volesse dire, ma le sue parole erano comunque molto belle… Come si diceva?… Rassicuranti. Era un po’ come avere un’amica.

«D’accordo, è proprio ora di andare.» Lo zio interruppe bruscamente l’occhiata silenziosa che i due si stavano scambiando; non poteva aver sentito le ultime parole della donna, era troppo lontano – ma era evidentemente impaziente di porre fine a quello strano incontro. «Senta, quanto le devo…?»

«No, lasci stare» disse fermamente Kathleen, guardando ancora Harry con la stessa espressione seria. «Lo consideri il mio regalo per il compleanno di Harry.»

Questa volta, il bambino era decisamente stupefatto.

«Come fa a sapere che oggi è il mio compleanno? Lo zio non l’ha detto…»

Kathleen sorrise ancora.

«Magia…»

Con un’aria della serie “quando-è-troppo-è-troppo”, zio Vernon afferrò Harry per la collottola e lo trascinò attraverso la stanza.

«Molto bene, allora. Anche se non mi piace ricevere regali da sconosciuti, la prendo in parola. Addio, signora.»

Sconsolato, Harry si voltò a guardare Kathleen. Lei non sembrava affatto offesa dalla reazione di zio Vernon. Si rialzò da terra e rivolse loro un saluto con la mano.

«Grazie…» riuscì a gridarle il bambino, prima che lo zio chiudesse con uno schianto la porta alle loro spalle.

Si ritrovarono nel corridoio dell’ambulatorio.

Harry alzò gli occhi: zio Vernon ansimava, ed era visibilmente scosso e furioso.

«Senti, ragazzo» boccheggiò, «si può sapere come accidenti faceva quella… donna… a conoscerti tanto bene?»

«Non ne ho idea» mormorò Harry in risposta, ma lo zio non poteva sentirlo; si era lanciato in una lunga tirata contro Kathleen.

«Che razza di dottoressa è mai quella…? Non si è mai vista una cosa simile…! E tutte quelle chiacchiere insulse…! Bacchette magiche… Occhiali magici… Magia! Bah! Quanto a te» aggiunse tornando a rivolgersi direttamente al nipote, «visto che non sai spiegarmi cos’è successo in questa maledettissima stanza, da oggi puoi scordarti la paghetta. E ora, avanti, a casa! Se non altro ho risparmiato una spesa inutile!»

Senza trovare il coraggio di replicare, Harry lo precedette lungo il corridoio, con gli occhi bassi, fissi sul pavimento, attraverso le lenti che Kathleen gli aveva appena regalato.

Gli sembrava di conoscerla da sempre. O forse… era una speranza.

Nonostante le minacce dello zio, pensava che quel compleanno non fosse andato poi tanto male.

 

 

Kathleen Rowlings osservò Vernon Dursley che spingeva malamente in macchina suo nipote, il piccolo Harry Potter, il bambino che era sopravvissuto.

Il bambino che non sapeva ancora quanto la sua esistenza fosse preziosa.

Accarezzando la bacchetta che ancora stringeva tra le mani, si lasciò andare ad un altro sorriso.

«Grazie a te, Harry Potter» mormorò. «Non ti lasceremo solo. Ricordatelo.»

Poi tirò le tende e si ritirò di nuovo nella sua copertura da dottoressa Babbana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sono sempre chiesta in quale circostanza i Dursley avessero provveduto al difetto visivo di Harry. Voglio dire, non sono esattamente gli zii magnanimi che si preoccupano della salute del nipote, no?… Così ho iniziato a rimuginare su come potesse essere andato quell’episodio…

Tra l’altro oggi, rileggendo “La Camera dei Segreti”, mi sono imbattuta in questa frase pronunciata da Harry a King’s Cross: “I Dursley non mi danno la paghetta da circa sei anni”… E allora ho deciso di unire le due situazioni in questa piccola shot, scritta di getto all’una del mattino!

Voi che ne pensate? :)

Buon anno a tutti!

   
 
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