Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |      
Autore: Ginger_90    07/05/2015    7 recensioni
Osaka, 1974. In un normale ed anonimo lunedì sera, un barista riceve nella hall dell'albergo in cui lavora due giovani ragazzi che gli cambieranno la vita.
(dal testo)
[...] la cosa che più mi aveva lasciato interdetto era stato lo sguardo che avevo visto nei loro occhi, specialmente quello che avevo visto di sfuggita poco prima di chiudere la porta e andarmene via. Si sorridevano, sì, ma non era il solito sguardo felice ed euforico che contraddistingueva due amanti che capivano finalmente di essere soli, ma piuttosto era uno sguardo triste, malinconico. Per tutto il tempo che sono stati nella hall, lui non faceva altro che guardare lei cercando continuamente il suo sguardo, esitante, come per cercare sempre un suo segno di assenso, come per chiederle di poter continuare e prendere davvero quella stanza. Era uno sguardo impaurito, ma pieno di tenerezza e rassegnazione, e ogni volta che li avevo riscoperti a guardarsi in quel modo, avevo automaticamente distolto gli occhi, non riuscendo a sostenere quella vista. Vedere il loro amore mi faceva troppo male.
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sbadiglio, guardando il soffitto. Il leggero chiarore aranciato che entra nella stanza fra le fessure della tapparella, mi indica che la giornata sta quasi per volgere al termine e che fra poco farò bene ad alzarmi. Sta per iniziare il mio turno. Pochi secondi dopo, infatti, ecco Bankotsu tamburellare chiassosamente alla mia porta, chiamandomi ad alta voce.

- Inuyasha! Sveglia bello mio sono le sei - mi dice allegro. - La hall è tutta per te! Ci vediamo domani, io vado. -

Sbuffo, mugugnando un "arrivo" e alzandomi dal letto. Tanto per quel che avevo dormito tanto valeva alzarsi; ormai sono sveglio già da un bel po'. Stanco, assonnato, ma non riuscendo comunque a chiudere occhio per un misero quarto d'ora.

Dopo aver fatto una doccia ed essermi rivestito, afferro il mazzo di chiavi accartocciato sulla scrivania ed esco dalla mia stanza, dalla stanza riservata al custode dell'albergo. Ma non il custode di un albergo qualunque, no; perché questo non è un semplice albergo di periferia, magari abitualmente frequentato da qualche cliente occasionale che passa di qui per caso, bisognoso di un punto di ristoro, o da chi non può permettersi il Grand Hotel al centro della città. Qui viene anche chi cerca un rifugio per se stesso, per qualche ora d'amore o per del semplice sesso. Sì, qualche ora perché questo è un albergo ad ore, e io, lavoro al bar come cameriere e alla reception per accogliere i clienti; alcuni storcerebbero il naso, schifati. Ma per me, è un lavoro come un altro.

Per tutto il periodo che sono stato all'università, lavorare qui si era rivelato perfetto per me. Al mattino potevo tranquillamente seguire i corsi mentre la sera avevo molto tempo per studiare, a parte consegnare le chiavi delle stanze agli sporadici clienti che arrivavano di tanto in tanto e che, a quel epoca, non erano poi così tanti come oggi. La paga era ottima, e, anche adesso, per un reietto come me che non aveva più dove andare né qualcuno che lo aspettasse a casa, quel posto era oro: quel posto, era diventato casa mia, ormai.

Naraku, il proprietario, non c'era quasi mai perché si fidava totalmente di me e quindi mi ritrovavo a gestire quell'albergo come se fosse mio, ormai: colazioni da preparare, camere da prenotare, clienti da accogliere, direttive per far pulire le camere ad ogni ora del giorno e della notte, imprenditori che organizzavano meeting ed eventi; e per quelle poche ore che riuscivo a sdraiarmi un po', quando Bankotsu mi dava il cambio, non riuscivo assolutamente a riposare, e se ci riuscivo dormivo malissimo e mi risvegliavo più stanco di prima. Il mio cervello, nonostante la stanchezza fisica e mentale che accumulavo durante il mio turno di lavoro, si divertiva a vagare su ricordi che avrei preferito di gran lunga restassero sepolti sotto strati e strati di polvere, in fondo a tutti i miei pensieri.

 

Oggi per fortuna è lunedì, l'albergo ora è totalmente vuoto e stasera molto probabilmente non verrà nessuno. Sono già le undici passate, e il solito tipo che viene sempre tutti i lunedì con la solita prostituta di turno al seguito sembra che stasera non voglia proprio farsi vedere. Meglio per me. Potrò finalmente starmene un po' tranquillo a magari leggere quel vecchio libro che non sono mai riuscito a finire, pensai fra me e me mentre finivo di asciugare con un panno gli ultimi bicchieri e le ultime tazzine di caffè appena lavate...

Non faccio neanche a tempo a terminare quel pensiero che sento il campanello del portone d'ingresso suonare e un rumore di passi diretti alla hall annunciare l'arrivo di un cliente.

Come non detto. È arrivato. In ritardo, ma è arrivato. E tanti saluti a un po' di riposo.

Alzo gli occhi al cielo, sbuffando, e vado al bancone della reception, mormorando un appena udibile "buonasera", senza nemmeno alzare la testa per guardarlo. Oltre che farmi schifo, quell'uomo mi dava seriamente i brividi. Aveva una faccia davvero inquietante e ogni qualvolta che veniva mi faceva sempre a pezzi la camera che gli consegnavo; Naraku mi aveva detto di non darci troppa importanza data la sua assidua frequentazione nel nostro albergo e dato che pagava sempre molto bene. Vorrei proprio vedere chi lo avrebbe fatto venire ancora, altrimenti, senza cacciarlo fuori a pedate come appena si faceva di nuovo vivo.

- Il solito? - chiedo dandogli volontariamente le spalle per prendere una delle tante chiavi appese ai ganci d'argento davanti a me. Domattina dovrò ricordarmi di chiamare di nuovo il fabbro per constatare i danni...

- Ehm, buonasera... Veramente è la prima volta che veniamo qui... - sento rispondere invece da una voce esitante e un po' timida che do per certo non essere quella di quel pappone da strapazzo che sapeva comunicare solo a grugniti e borbottii con una voce strascicata.

Questa era la voce di un ragazzo.

- Oh, perdonatemi - dico sorpreso.

Curioso, mi volto a guardare i nuovi arrivati.

Erano due ragazzi, entrambi sui vent'anni, ma la cosa che mi lasciò totalmente spiazzato è che erano completamente differenti dal tipo di gente che ero abituato a ricever lì dentro, così uguale, alla fine così simili fra loro che faticavi a distinguerli poi uno dall'altro; non saprei nemmeno spiegare bene ma questi due ragazzi sembravano così semplici, puliti, di una bellezza genuina, e mi osservavano leggermente imbarazzati, tenendosi per mano. Non era certo un posto per loro questo.

Lui era poco più basso di me, con i capelli portati non troppo corti ma comunque curati, e un viso bello e gentile, mentre lei anche se non molto alta non sfigurava affatto accanto a lui: i capelli scuri ed ondulati le arrivavano oltre le spalle e il viso grazioso dalla pelle diafana e dai tratti vagamente occidentali, era impreziosito da due lucenti occhi castani.

Entrambi erano vestiti normalmente, con dei jeans, delle scarpe da tennis e un cappotto. Stretto nel pugno della mano libera che non stringeva quella della ragazza, lui aveva un borsone capiente, da viaggio. Sembravano molto provati, stanchi.

Mi ridestai, constatando di essere rimasto lì a fissarli come un cretino forse per un minuto buono.

- Stanza per due, suppongo - chiesi bruscamente, abbassando di colpo lo sguardo e rigirandomi di nuovo verso la parete di chiavi.

- Sì... Grazie -

- Avete... Avete preferenze o vi va bene una stanza normale? -

- In che senso, scusi? - domandò lui sorpreso.

- Beh, qui abbiamo camere di vario tipo... E genere - risposi in tono eloquente leggermente imbarazzato. C'erano molte camere diverse fra loro: a tema scolastico, mondo delle favole... Bah.

Quando finalmente ebbero capito, entrambi arrossirono, imbarazzati. - N-no! No no! Ne va bene una qualunque - disse infine lui.

Avevo visto giusto. Loro non avevano mai messo piede in un posto del genere.

Annuisco, poi allungo il braccio per prendere la chiave attaccata al grande portachiavi di ottone con sopra impresso il numero 5, poi mi fermo, ripensandoci, e prendo la chiave della stanza numero 3.

La numero 3 era fra tutte, la camera più bella

Quando fu ristrutturato l'albergo, tra tutte le stranezze che Naraku mi aveva obbligato a prendere per le stanze, era d'obbligo tenere almeno qualche camera normale, e in segreto, mi ero preso la libertà di arredarne una personalmente. La concedevo solo a pochi.

- Per quanto tempo ritenete di fermarvi? -

Dopo aver scambiato un'occhiata di intesa con la ragazza al suo fianco, lui mi rispose che sarebbero rimasti fino all'indomani mattina.

- Bene, seguitemi allora - dissi io, incamminandomi verso l'ascensore.

- Aspetti, non vuole vedere prima i nostri documenti per registrarci? - chiese inaspettatamente il ragazzo.

Mi girai, sorridendogli comprensivo. - Questo non è un albergo normale, ragazzi - dissi loro sardonico. -Non ce n'è bisogno qui, basta solo che domattina non scapperete dalla finestra senza pagare. -

Il ragazzo mi guardò interdetto, poi posò gli occhi sul viso della ragazza che ricambiò lo sguardo con un'alzata di spalle e un sorriso, ed infine sorrise anche lui, sconfitto.

- Ci faccia strada - disse sospirando.

Li accompagnai al secondo piano, aprendo l'ultima porta del lungo corridoio di moquette rossa a destra dell'ascensore, la stanza numero 3. Li lasciai nel salottino, pregandoli di accomodarsi lì affinché io abbia potuto preparare la camera da letto e di servirsi al frigo bar se volevano; avrei potuto chiamare la cameriera, ma tanto non avevo nulla da fare. Dal cassetto del grande armadio a muro, presi delle lenzuola nuove. Mentre le sistemavo sul letto, il fresco profumo del bucato appena ritirato mi invase, facendomi sorridere: a Kikyo piaceva tanto questo odore. Quando ebbi finito, mi ripresentati da loro dicendo che la camera era a loro completa disposizione. Li trovai seduti, in attesa: le sui cuscini del divano e lui appoggiato sul bracciolo. La ragazza era girata verso di lui, giocherellando con la sua mano di lui mentre il ragazzo le accarezzava piano la testa, bacuandole la fronte. A quella scena mi congedai subito, dirigendomi in fretta verso la porta, e lasciando, sul tavolino d'ingresso, la chiave con il numero 3.

- Aspetti un secondo, la prego - mi richiamò la ragazza facendo un passo avanti e andando a rovistare nel borsone di pelle adagiato sul divano. Ne cacciò fuori una valigetta metallica, nuova di zecca. Non vorrà mica tirarne fuori una pistola da lì dentro, vero? Pensai allarmato, guardando quella cosa con diffidenza; ma poi la ragazza si avvicinò a me, aprendola, e mostrandomene il contenuto: tre file di quattro mazzette di banconote, ciascuna dal taglio di 100 yen, mi stavano osservando maledettamente invitanti.

- Ecco. Con questi paghi la stanza, e tenga pure il resto - disse la ragazza con voce gentile.

Strabuzzai gli occhi, osservandola sbigottito, e spostando lo sguardo prima alla ragazza, poi al ragazzo al suo fianco, poi di nuovo ai soldi che lei mi stava porgendo.

- Ma siete impazziti...! - Esclamai sgomento.

- I soldi non sono un problema per noi - rispose con semplicità. - E poi è per ringraziarla della sua gentilezza. La prego, li prenda. -

Sospirai, guardando ancora di sott'occhio i soldi. No, non potevo accettarli, erano... Erano troppi. - No... No ragazzi,sul serio, non posso domattina mi darete solo il necessario per pagare la stanza -

- Se non li prende non c'è problema. Li bruceremo - replicò il ragazzo, interrompendomi e togliendo dalle mani della ragazza la valigetta per poi cacciare una accendino dalla tasca.

Lo guardai stranito, allarmato da tanta indifferenza verso tutto quel ben di dio e dal mistero di tutti quei soldi. Non sembrava stesse scherzando per nulla.

- E va bene. Va bene allora - dissi per fermarlo ed osservando leggermente dubbioso i mazzetti impilati ordinatamente uno sopra l'altro e ancora rilegati nello strato trasparente di plastica protettiva, pensando a tutto quel che avrei potuto eventualmente fare con tutto quel denaro. E se fossero stati falsi? Magari era una candid camera... Sì, altrimenti figurati se li avrebbero dati a me... Va bene, vorrà dire che farò finta di crederci fino a domattina.

In quel momento dovevo avere un'aria da vero idiota probabilmente, fermo lì in mezzo alla stanza a guardare meditabondo quella valigetta aperta, perche entrambi i ragazzi scoppiarono a ridere. - Sono sicura che starà pensando ad uno scherzo o a dei soldi falsi, ma le assicuro di no. Li porti in banca, fra qualche giorno, vedrà che sono autentici -

- Beh, sì poi vedrò... Vedrò come fare - mormorai leggermente intontito. - Li prenderò domattina se non vi dispiace. Potete stare qui quanto volete. Nessuno vi disturberà e, se è di vostro gradimento vi farò mandare la colazione in camera, se volete - 

Con un enigmatico sorriso, annuirono entrambi.

- Le saremmo molto grati. Venga pure verso le 6 e mezza - disse la ragazza guardandomi dolcemente, dopo aver guardato il ragazzo al suo fianco che l'aveva stretta a sé in un gesto colmo d'amore.

Mi sentii a disagio, e fui costretto a distogliere i miei occhi dai suoi. Con un cenno del capo mi congedai nuovamente da loro, lasciandoli finalmente soli.

Prima di chiudere la porta, gettai un ultimo sguardo all'interno della camera: quei due ragazzi si guardavano, sorridendosi a vicenda, le mani intrecciate una con quelle dell'altro.

 

Tre ore più tardi, mi ritrovai sul divano della hall a fissare la stessa pagina del mio libro da non so quanto, la testa completamente altrove. Chi erano quei ragazzi? Da dove venivano? Perché viaggiavano con tutti quei soldi? Erano forse dei ladri internazionali di gioielli e siccome erano inseguiti dalla polizia avevano bisogno di mollare il malloppo da qualche parte...? Eppure mi erano sembrati così sinceri, non sembrava che stessero mentendo o almeno quella era la mia impressione; a saperlo avrei davvero chiesto un nominativo...! Aaah sto impazzendo. Buttai il libro sul divanetto di fronte a me scuotendo la testa, il cervello troppo distratto, troppo affollato di supposizioni e strambe teorie per poter riuscire a concentrarmici davvero su. Tanto valeva andare al bar e iniziare a preparare la colazione ed i caffè per domani. Alla fine erano arrivati altri clienti dopo quei ragazzi, ma il fatto di avere qualcosa da fare non mi impedì di non pensare: la cosa che più mi aveva lasciato interdetto era stato lo sguardo che avevo visto nei loro occhi, specialmente quello che avevo visto di sfuggita poco prima di chiudere la porta e andarmene via. Si sorridevano, sì, ma non era il solito sguardo felice ed euforico che contraddistingueva due amanti che capivano finalmente di essere soli, ma piuttosto era uno sguardo triste, malinconico. Per tutto il tempo che sono stati nella hall, lui non faceva altro che guardare lei cercando continuamente il suo sguardo, esitante, come per cercare sempre un suo segno di assenso, come per chiederle di poter continuare nel prendere la stanza. Era uno sguardo impaurito, ma pieno di tenerezza e rassegnazione, e ogni volta che li avevo riscoperti a guardarsi in quel modo, avevo automaticamente distolto gli occhi, non riuscendo a sostenere quella vista. Vedere il loro amore mi faceva troppo male.

Il trillo del campanello del forno, mi fece trasalire comunicando che la torta era pronta, distogliendomi per un attimo dai miei pensieri. Dopo aver controllato che fosse cotta, la cacciai fuori, mettendone a cuocere un'altra. Non amavo mangiare dolci, ma trovavo estremamente rilassante prepararli. Chiusi il forno, andando a preparare un vassoio del te per dei clienti che mi attendevano ai tavolini del bar. Quando l'albergo fu ristrutturato, dovetti sottostare al volere di Naraku di ricercare per la nuova zona bar, uno stile moderno ma che richiamasse alla lontana il bar del Louvre che aveva visto quando era andato a Parigi, con delle poltroncine attono ai tavolini rotondi dalle gambe esili ed il bancone costeggiato dagli sgabelli. Stranamente mi ero trovato d'accordo su quella scelta. Il bar ora aveva un'aria davvero sofisticata e anche molto accogliente.

Quella notte passò in fretta, e in un lampo mi ritrovai ad osservare il chiarore grigiastro di un nuovo mattino fuori dalle vetrate. Oggi si prospettava pioggia.

Alle 6, iniziai a preparare il carrello da portare su nella camera dei due ragazzi. Sistemai con cura le brocche del latte e del caffè con le varie tazzine, posai un piccolo coperchio di porcellana sopra ogni piatto con le fettine di torta e sui cornetti, e i vari barattolini con tante varietà di marmellata e cioccolato; poi quando arrivò l'ora ordinai alla cameriera di turno di salire su l'ordinazione per la camera numero 3 e che dopo sarei andato io a ritirare il carrello. Ci avevi pensato una notte intera, eppure ancora non avevo deciso cosa fare con quei dannati soldi. Sinceramente non mi servivano granché: ero pagato piuttosto bene, e avevo ancora parecchi soldi da parte... Ma invece di bruciarli o darli a me o a qualsiasi atra persona , perché non darli ad un'associazione? O intestarli alla ricerca?

Sospiro, dandomi dello stupido. E io ancora che ci penso. Sarà uno stupidissimo scherzo e quando andrò da loro dirò che non li voglio e che possono tenerseli e farci quello che vogliono, fine della storia

Ero dietro al bancone quando mi vidi la cameriera, Narumi, tornare indietro correndo trafelata giù dalle scale completamente sconvolta, bianca come un lenzuolo, arrivando da me senza fiato. Si aggrappò alle mie braccia cercando di dire qualcosa guardandomi spaventata ma dalla sua bocca non uscì che un flebile balbettio.

- Narumi, che hai? Ti senti male? - chiesi preoccupato. Lei serrò gli occhi, scuotendo energicamente la testa. Non l'avevo mai vista in quello stato. - E allora cosa c'è...? Cos'è successo? - domandai ancora. Non sarà mica che...

- Sei andata nella stanza di quei due ragazzi, giusto...? Era vuota,vero?! - sbottai incazzato. Lo sapevo, accidenti a me....!

Ma Narumi scosse di nuovo la testa e stavolta i suoi occhi le si riempirono di lacrime. - Sono morti... Sono morti, Inuyasha... Sono morti! -

La guardai intontito, certo di non aver capito bene. - Morti? Ma che stai dicendo? -

Per risposta la cameriera continuò a singhiozzare, coprendosi il volto con entrambe le mani. - Va bene, va bene - dissi mettedole un braccio attorno alle spalle e spostando lo sguardo sulla sala per cercare con gli occhi l'altra cameriera. I clienti, iniziavano a girarsi verso di noi, incuriositi, chiedendosi cosa fosse successo. Come appena la ragazza mi vide e si avvicinò allarmata, gli affidai Narumi e partii spedito nella hall, salendo di corsa le scale diretto alla camera numero 3.

La porta della camera era rimasta aperta, ed alcuni clienti che avevano preso anche loro delle camere erano tutti lì sul pianerottolo, chiedendosi cosa fosse successo. Probabilmente Narumi aveva urlato.

Entrai nella stanza nervoso, camminando con cautela come se temessi di fare rumore, il cuore che mi martellava nelle orecchie. Dal salottino, riuscivo a vedere solo la finestra della camera da letto che inondava di luce grigiognola l'interno della stanza. Poi li vidi.

Abbracciati uno all'altra, entrambi era stesi sul letto, pallidi come solo la morte può rendere.


 


 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
Salve
 :D sbuco all'improvviso con un'altra storia, so che ho una storia sospesa dall'anno scorso e una da dicembre ma per vostra disgrazia non le ho abbandonate e le ho riprese entrambe in mano per risistemarle e spero di riuscire ad aggiornarle presto! Chiedo profondamente scusa a tutti quelli che le avevano messe tra le seguite, ricordate, preferite e che avevano anche recensito, comunque certa del fatto che mi manderete lo stesso a quel paese ^_^"

Passando a questa nuova storia, l'idea è partita ascoltando una canzone degli anni '70 cantata da Herbert Pagani, che si chiama appunto Albergo ad ore (se vi va di sentirla basta cercarla su YouTube!). La canzone fu tradotta in italiano dalla versione in francese cantata da Edith Piaf nel 1956 intitolata Les amants d'un jour ed è stata proposta da tanti cantanti ma secondo me la versione migliore è quella di Herbert Pagani. Sia nella versione francese che in quella italiana, a parlare è un barista di un albergo a ore che da la stanza ad una coppia per il quale non viene specificato il genere, cioè se è una coppia omosessuale o eterosessuale, prima del loro suicidio. Mentre la ascoltavo e riascoltavo (oltre a piangere come una disperata XD) ho pensato ad un possibile "prosieguo"... Ed ecco qui :) spero di non avervi annoiato con la mia scrittura e di avervi incuriosito almeno un po' XD se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, ne sarei molto felice :)

P.S.: nei love hotel giapponesi esistono davvero ogni genere di stanze inimmaginabile, come ad esempio a tema scolastico nel quale è possibile indossare le divise e la stanza è allestita come una vera e proprio aula; a tema epico, a tema hello kitty, anime.... chi più ne ha più ne metta 0.0

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: Ginger_90