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Autore: liberty_dream    08/05/2015    0 recensioni
Lyam-soggetto 14- a quasi 20 non ha nessun ricordo del mondo esterno; cosa siano il sole la luna, le stelle, il mare e le montagne, i fiori e gli alberi, non ne ha idea.
Conosce una sola cosa: i volti dei suoi carcerieri.
"Il soggetto 14 è un'evoluzione del genere umano. Lo stiamo studiando per capire le nuove capacità che avremo tutti nel giro di trecento anni."
Per un esperimento sul Soggetto 14, Nemesi è costretta a vivere sotto il suo stesso tetto, rinchiusa tra le sue stesse mura.
"Com'è il sole?"
"E' caldo."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La chiave stava di nuovo girando nella toppa.

Lyam alzò gli occhi contemplando quell’unico spiraglio di luce che filtrava attraverso la serratura. In attesa.
Un ultimo sferragliare segnò l’apertura della porta blindata; suoni di voci concitate parlavano all’esterno e ovattate giungevano alle orecchie del biondo.
La stanza avvolta nel buio più assoluto fu rischiarata da una luce che per il ragazzo sembrava avere la luminosità del sole. Le pupille si restrinsero con troppa velocità incapaci di mettere a fuoco quello che avveniva, le iridi luccicarono per una piccola lacrima che stava per essere rilasciata dai dotti.

Nel candore più accecante scorse delle figure; probabilmente erano di quegli stessi esseri eterei che lo tenevano rinchiuso lì dentro da quando egli aveva memoria. Erano pallidi, con dei volti imperturbabili. Entravano nella cella tenuta all’oscuro per buona parte del giorno, certe volte portavano dentro qualcuno… altre lo trascinavano fuori.
Lyam si raccolse in se stesso, strinse le gambe al petto cercando di nascondere il viso, tentando inutilmente di evitare la visione di quella macchia rossa. Qual era il suo nome? Chi gli aveva tenuto compagnia nelle ultime tre settimane? Era un ragazzo o una ragazza? Non lo sapeva nemmeno lui, erano passati decine di volti davanti ai suoi occhi, decine di voci erano giunte alle suo orecchie, decine di nomi erano stati memorizzati dalla sua memoria.
Perché lui?

Entrarono all’interno di quello spazio angusto, erano in quattro questa volta. I loro camici lasciavano visibile solo i loro volti e i loro capelli: uno di loro era pelato, con dei lineamenti dritti e severi, gli occhi erano due fessure che guardavano con rigore il mondo; il secondo era coperto da lentiggini; la terza era pesantemente truccata, con dosi eccessive di rossetto scuro sulle labbra e ciglia finte, i capelli non erano raccolti, ma erano sciolti nella piega riccioluta; l’ultima era la più bassa dei tre, tra i ricci bruni si scorgevano due occhi inespressivi dove non vi era distinzione tra pupilla e iride.
I due uomini non fecero caso a Lyam, ignorando come al loro solito quello che gli accadeva e quello che faceva: si affaccendarono per ripulire la stanza, restituendole il candore che l’oscurità avrebbe celato; si diffuse senza preavviso un odore di ammoniaca nell’aria. Intanto la donna truccata gli si rivolse:

- Soggetto 14. Come sta?- le lunghe ciglia acuirono lo sguardo mentre le labbra si contraevano in una chiusura a forma di cuore, attese una risposta che il biondo non era in grado di darle.- Non si preoccupi, me lo dirà più tardi.

La ragazza gli si era seduta vicino e gli accarezzava le orecchie prendendo mentalmente nota della loro misura e delle reazioni del giovane. Le guardava incantata mentre studiava il loro profilo, la loro forma così dolcemente delicata, la loro morbidezza al tatto, i brividi che il ragazzo trasmetteva loro con il suo leggero tremore. Il loro colore rosa pallido sfumava verso un rosato sulla punta, il lobo si fondeva con il padiglione auricolare quasi all’attaccatura, e questo si allungava verso l’esterno per sei centimetri. Ma non erano orecchie a sventola normali: il padiglione era schiacciato e l’estremità esterna terminava in una punta.

Una smorfia di fastidio si dipinse sul volto di lui, com’era possibile che ogni volta quelle figure entrassero in quelle quattro mura claustrofobiche dovevano toccarlo o esaminarlo? Si strinse ancora in sé, chiudendosi nel suo guscio e aspettando “pazientemente” che finisse quella quotidiana tortura mordendosi il labbro. A conti fatti, quel piccolo gioco capriccioso non era altri che un assillo frustrante a cui non poteva sottrarsi.

Sentì un fruscio, poi dei passi. I due uomini avevano raccolto il corpo che era stato il suo compagno di cella per due giorni e lo stavano portando fuori. Un tonfo, uno sferragliare di catene. I due rientrarono, pulirono il sangue colato dal cadavere e uscirono accompagnati dalle due donne.

La porta si richiuse, il buio ritornò confortevole. Per quanto altro tempo avrebbe dovuto vivere così? Si sciolse da quella posa, allungò le gambe e sospirò affranto. 






 
  
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