Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: RoseDust    08/05/2015    1 recensioni
FF vincitrice del contest a turni "1 su 24 ce la fa!"
Questa ff parla della morte di Haymitch, così come la immagino io. Non è legata alle mie altre ff, nel senso che vi basta sapere che Eileen è la ragazza che amava da giovane e che aveva gli occhi grigi.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa FF si è classificata 1° nel turno finale del contest "1 su 24 ce la fa!" di ManuFury - il che significa che ho vinto questo contest a turni *.* . Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Suzanne Collins; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
Addio all'inferno

Eccomi qui, in un posto che non conosco, pronto a lottare un'ultima volta.
Si potrebbe definire il mio inferno personale, sebbene di inferni io ne abbia visti tanti, nel corso della mia vita.
Le lenzuola candide, l'odore di disinfettante, la luce intensa che entra dalla finestra, la mancanza di alcolici e l'ago costantemente inserito nel mio braccio non mi permettono di dimenticare dove sono neanche per un istante.
Da quanti giorni mi trovo in questo posto?
Guardo il braccialetto - bianco come sembra essere tutto, qui - che porto al polso: c'è scritta una data, quella del 24 marzo, e un orario. Ecco: è stato quello il momento in cui Katniss mi ha portato qui, in questo nuovo ospedale del Distretto 12.
Lei odia vedere i medici, perché le ricordano il passato, ma stavo troppo male per poter venire qua da solo. Forse non ci sarei neanche venuto, se avessi potuto scegliere.
Dunque sono qui dal 24 marzo; non so che giorno sia oggi, però.
Giro la testa verso sinistra e incontro con lo sguardo la flebo che mi inietta nelle vene la morfamina; è grazie a lei che non sento più il dolore.
Sento profumo di cibo e mi domando da quanti giorni io non mangi: in questo ospedale mi danno soltanto cose liquide, che variano dal té caldo al brodo.
Ho smesso di bere quei liquidi senza sapore né consistenza due giorni fa.
A cosa mi servirebbero, in ogni caso? Le sostanze nutritive di cui ho bisogno mi entrano in vena dalla sacca accanto a quella della morfamina.
Cerco di alzarmi per andare in bagno, ma poi ricordo di non poterlo fare: non autonomamente.
Sono troppo debole per alzarmi e trascinare la flebo fino al bagno comune, perciò devo chiamare un'infermiera e chiederle di aiutarmi.
Schiaccio il pulsante rosso presente sul telecomando del letto e vedo una luce accendersi fuori dalla stanza che condivido con un altro paziente.
Paziente.. Curiosa definizione, per me. Non avevo mai pensato di poterlo essere.
Eppure deve essere così; gli ultimi anni, quelli in cui sentivo la debolezza farsi strada ogni giorno dentro di me, come un tarlo lento e insaziabile, devono aver trasformato l'uomo forte e deciso che ero nel vecchio guscio vuoto che sono diventato.
Finalmente arriva l'infermiera che ho chiamato e mi aiuta ad arrivare fino al bagno; quando torniamo in camera, trovo un medico ad attendermi.
Mi comunica che hanno fissato la mia operazione per domani pomeriggio, mi ordina di non bere e non mangiare a partire da questa sera e mi informa dei rischi legati all'operazione; mi fa capire che alla mia età e nelle mie condizioni potrei non farcela e, per tutelarsi, mi fa firmare un documento in cui dichiaro di aver compreso tutto.
L'operazione sarà divisa in due parti: la prima in sedazione e la seconda in anestesia generale.
Non ho mai affrontato un'anestesia totale e l'idea di essere inerme e incosciente con chissà quante persone attorno a me, che possono farmi qualsiasi cosa, non mi rende tranquillo.
So di non avere altra scelta: dovrò farlo se voglio avere almeno una possibilità di sopravvivere ancora un po', tirando avanti questa esistenza che forse sarebbe dovuta finire tanti anni fa; ma voglio davvero sopravvivere? Ha senso continuare a vivere tra i ricordi di ciò che ero e ciò che ho perso, con la consapevolezza che la vita non potrà mai restituirmi ciò che mi ha tolto?
Ormai non sono più il ragazzino che ha lottato tanto tenacemente per la sua vita.
La mia vita è giunta al termine, indipendentemente dall'esito dell'operazione di domani.
Non sono più in grado di badare alle mie oche da diversi mesi, le persone che amavo sono tutte morte, i miei "nipoti" sono cresciuti e hanno preso strade diverse; non so se voglio continuare a vivere questa mezza vita o se sarebbe più dignitoso lasciarmi andare ora.
Non voglio essere ricordato come un vecchio infermo.
Da un lato vorrei lottare ancora, perché non ho mai amato l'idea della morte; dall'altro, non capisco per cosa dovrei lottare.
Chiudo gli occhi e tutto ciò che vedo sono altri occhi che mi guardano.
Li riapro, perché so che se pensassi troppo a quegli occhi finirei per impazzire; mi costringo a riflettere sull'operazione che mi attende, mentre il mio vicino continua a dormire beatamente, ignaro di ciò che mi passa per la testa.
Ho paura, come si ha sempre paura dell'ignoto: non so cosa accadrà domani pomeriggio, non so dove avverrà il mio risveglio e soprattutto non so se durante la sedazione e l'anestesia sia possibile sognare; ho paura dei sogni che potrei fare.
Katniss entra nella mia stanza; la informo dell'operazione di domani e mi dice di non preoccuparmi, che resterà fuori dalla sala operatoria per l'intera durata dell'operazione e che andrà tutto bene.
Le mento, le dico di non aver paura; lei legge qualcosa nei miei occhi e forse comprende il dubbio che mi sta angosciando, comprende la scelta che sto cercando di fare e che, in ogni caso, non servirà a nulla: qualsiasi cosa io decida che sarebbe meglio per me, l'operazione andrà come deve andare. Senza contare il fatto che, qualsiasi cosa io preferisca, il fato senza dubbio sceglierà di fare l'opposto.
Katniss mi si avvicina e mi prende la mano. Mi dice che Peeta le ha raccontato che quando lo hanno operato alla gamba era sotto anestesia totale e che la cosa migliore da fare per garantirsi un risveglio sereno è pensare a un ricordo felice, quando i medici dicono di contare e il gas comincia a entrare nel corpo.
Questo pensiero è assolutamente da Peeta.
Non so se seguirò il suo consiglio, anche perché i miei periodi felici non sono molti e soprattutto non sono mai durati a lungo.
Mi sento improvvisamente stanco, così Katniss mi lascia solo e io mi addormento; mi risveglio la sera e noto che il mio compagno è finalmente sveglio.
Non che questo cambi qualcosa, perché non ci siamo mai parlati. Forse parlare tra di noi potrebbe rendere tutto più reale, potrebbe far crollare l'illusione di essere qui per errore e che domani torneremo a casa.
Osservo il mio corpo, sotto le coperte. Non lo rivedrò più così, perché dopo l'operazione mi resteranno delle cicatrici a eterna testimonianza dell'operazione che mi ha salvato la vita. O che me l'ha tolta?
Quegli occhi passano rapidi nella mia mente.
Vedo sul comodino di metallo accanto a me un libro, probabilmente lasciato qui da Peeta o da Katniss. Vorrei prenderlo e provare a leggerlo, ma le mie braccia non me lo consentono: la flebo che ora non mi permette di muovere il braccio sinistro mi aveva fatto infezione nel destro, lasciandomi con un muscolo completamente inutilizzabile.
Chiamo nuovamente l'infermiera, più per noia che per una reale vescica gonfia; mi ricordo che i primi giorni in cui ero qui dovevo andare in bagno molte volte al giorno, per far uscire dal mio corpo tutto il liquido delle flebo, ma poi le sacche attaccate alla doppia entrata della cannula sono lentamente diminuite e ora mi permettono di non infastidire le infermiere più di tre o quattro volte al giorno.
Torno nel letto, in cui mi addormento accompagnato dagli occhi che evidentemente hanno deciso di non abbandonarmi mai, in questi giorni.
Il mattino, quando mi sveglio, penso che se avessi studiato un po' di quella cosa che i nostri avi chiamavano "psicologia", forse capirei il motivo per il quale quegli occhi mi perseguitano.
Mi preparo a un'altra giornata di digiuno, mentre penso che finalmente oggi, in un modo o nell'altro, tutto questo finirà.
Se l'operazione andrà bene, tra qualche giorno potrò ricominciare a mangiare e dopo potrò tornare a casa, alla mia vita di sempre; mi hanno detto che in sala operatoria mi inseriranno un catetere e un drenaggio e che per un po' non riuscirò a muovermi, quando mi sveglierò.
Mi hanno detto che forse mi dovranno iniettare un tranquillante prima dell'anestesia, ma che lo decideranno al momento.
Mi chiamano nel primo pomeriggio; per l'operazione in sedazione posso indossare il mio pigiama, per fortuna. Ci metto un po' di tempo ad addormentarmi, quindi all'inizio seguo la mia operazione in uno stato di semi-incoscienza. Quando finisce tutto, mi rendo conto che vengo trasportato nella mia stanza, ma non riesco a rimanere sveglio, se non per pochi istanti.
Quando mi chiamano per la seconda operazione, non sono ancora in me.
Capisco che Katniss mi sta aiutando a spogliarmi, perché questa volta potrò avere addosso solo il camice sterile fornitomi dall'ospedale; non ho la forza di protestare e ripiombo nel mio limbo di incoscienza.
Mi risveglio un'ultima volta nell'anticamera della sala operatoria. Immagino che non avranno bisogno di iniettarmi alcun tranquillante, dal momento che riesco a malapena a tenere gli occhi aperti.
Il medico che mi sta attaccando degli elettrodi sul petto mi chiede se va tutto bene; non so cosa rispondere, di certo devono avermi dato dosi generose di morfamina, prima di portarmi qua, perché non sento né dolori, né fastidi.
Faccio un cenno con la testa.
Lui mi sorride gentilmente, poi prende la mascherina, quella da cui inalerò il gas anestetizzante che mi farà perdere ogni contatto con la realtà.
Non penso a niente, in questo momento: il mio cervello non sembra voler collaborare.
Sento la voce del medico che mi chiede di contare fino a dieci e in quel momento un pensiero si affaccia alla mia mente e ricordo il consiglio di Peeta.
Non chiamati, si presentano nella mia mente gli occhi che non mi hanno abbandonato un istante da quando mi trovo in questo edificio.
È un attimo, ma è quell'attimo: quegli occhi d'argento saranno il mio ultimo ricordo di questa vita.
Perché solo ora, nell'ultimo secondo di coscienza che mi resta, mi rendo conto che non possono essere qui per caso; così mi abbandono a loro, fidandomi di Eileen più che di me stesso e andando incontro, non senza rimpianti, a ciò che accadrà.


Note: Tenete conto che Haymitch è anziano e sotto morfamina; per questo in alcuni momenti potreste trovarlo un po' "rammollito". Le persone cambiano, quando sono malate, e sono costrette ad accettare situazioni alle quali normalmente si sarebbero ribellate. Altra cosa: non so cosa ci attenda dopo la morte, ma mi piace credere che Haymitch sia davvero riuscito a ricongiungersi con Eileen e a "vivere" quei momenti perduti.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: RoseDust