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Autore: Wake Me Up Inside    08/05/2015    0 recensioni
Una raccolta di racconti ispirati dalle varie writing challenge, sfide di scrittura trovate qua e là e rimescolate in una sorta di puzzle.
Come mio solito, nonsense allo stato puro.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un personaggio è seduto sul tetto con un animale, e deve parlare con lui. Quello che l’animale fa in risposta spinge il personaggio a prendere una decisione.

  Gli uomini inquinati

  Un tetto, una terrazza di cemento, sopra il grigio delle torri di ego e mattoni; i comignoli delle fabbriche si stagliavano sovrani contro il cielo, sporcavano di fumo la luce dorata del sole morente.
  Una voce, persa nell’aria gravida, sussurrava sottile mistiche verità al nulla.
  -“Go, go, go, said the bird: human kind/ cannot bear very much reality.”*
  Un fruscio distolse la ragazza, improvvisata sacerdotessa, dalla sua lettura; sollevò lo sguardo, e c’era un gabbiano appoggiato placidamente sul parapetto.
  Sorrise un sorriso vago, intermittente.- E tu?- gli disse. L’enorme volatile la fissava intensamente, quasi comprendesse le sue parole. – Signore dei cieli e dei mari più vasti, tu che potresti tuffarti nelle acque più limpide, nei paradisi più lontani, come mai sei qui? Cosa ci fai in mezzo al fumo e ai cantieri sventrati?
  Gli occhi della ragazza avevano lo stesso colore dei fumi delle fabbriche; li puntò all’orizzonte, sfiduciata.
  -E’ tutto così grigio, qui, sai.- proseguì, rivolta al gabbiano, che continuava a fissarla.- Soprattutto le persone. E’ tutto diroccato, decadente, in rovina...gli esseri umani per primi. I sogni si sono estinti decenni fa; le speranze sono morte premature, le hanno sepolte su quella collina laggiù. Perfino le lacrime sanno di amianto.
  Come in risposta, un soffio di vento parve portare con sé l’eco della sua voce:
Human kind / cannot bear very much reality.”
  -Hai ragione,- rispose la ragazza, come se fosse stato l’uccello a recitare quei versi,- e infatti voglio andarmene di qui. Ci pensi? Lasciare questo posto di desolazione e morte, abbandonare questi ridicoli omini di plastica, i comignoli che ci sputano tutto il giorno il loro fumo addosso. Te lo immagini? Magari potrei cominciare una nuova vita da qualche parte, studiare medicina, avere dei bambini...
  Mentre vedeva milioni di possibilità sbocciare come fiori davanti a lei, il suo volto si era illuminato; ma poi lo sguardo le cadde laggiù, sulla collina dov’era il cimitero delle speranze. Allora svanì quel rosa pieno di promesse che le aveva colorato il viso, la ragazza si richiuse su se stessa, come svuotata, si sedette sul pavimento sporco, vietandosi perfino di guardare l’orizzonte.
  -Andiamo, ma chi voglio prendere in giro? Non potrei mai avere una nuova vita; altrove non è meglio che qui.
  Il gabbiano, dalla balaustra, chinò il capo per osservarla, quasi le rivolgesse una domanda.
  Lei sospirò.- Guarda queste case, questi palazzi: siamo come loro, siamo diroccati anche noi che ci viviamo dentro. Abbiamo la muffa sulle tempie e le infiltrazioni d’acqua sottopelle, per via di tutti quei comignoli i nostri occhi non possono più guardare la luce. I fumi delle fabbriche ci inquinano i polmoni, ci entrano nel petto, avvelenandoci l’anima. Guardaci! Siamo tante piccole città in rovina, tante piccole periferie industriali.
  Una lacrima, una sola, precipitò dalle sue ciglia, si schiantò a terra, corrose la pietra.
  -Oh, ma come vorrei andarmene!
  Quasi per risponderle, il gabbiano si voltò; spiegò le ali e volò via, dritto verso quel punto dell’orizzonte in cui la luce dorata si fondeva con il fumo delle fabbriche.
  La ragazza allora si alzò, strinse forte la balaustra arrugginita nelle mani.
  “Go, go, go, said the bird: human kind/ cannot bear very much reality.”
  Poi aprì le braccia come ali, anche lei spiccò il volo.
  Lontana dai fumi delle fabbriche, dagli uomini inquinati.
 
 
*“Via, via, via, disse l’uccello: il genere umano/ non può reggere troppa realtà.”
(T. S. Eliot, Burnt Norton)
  
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